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Autore: Klavdiya Erzsebet    19/07/2012    2 recensioni
Parte della serie Until Death Do Us Part
(Tornano Greg e Sophia Lestrade protagonisti. È dichiaratamente romantico, anche se l’amore non è il genere principale. E pensare che non credevo di essere capace di trattarlo anche solo minimamente.)
Una strana malattia colpisce Sophia Lestrade, e un caso particolarmente inspiegabile approda nell’ufficio di Greg. Due misteri, collegamenti inaspettati, una corsa contro il tempo e una modesta ipotesi di come l’amore per la vita abbia potuto portare alla morte: tutto è contorto. Talvolta è difficile determinare l’impossibile.
{Attenzione: fanfiction Greg–centrica a livelli vergognosi}
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lestrade , Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Until Death Do Us Part'
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Cap.III

Tentazione

 

Alec Martin se n’era andato alle cinque del mattino, attraversando l’atrio col passo rilassato e con solo una camicia addosso nonostante fosse novembre. Teneva la giacca su una spalla e aveva ancora i capelli bagnati; indossava gli occhiali da sole, a nascondere occhiaie che non potevano essere peggiori di quelle di Greg. Era più giovane di lui, con ancora addirittura tutti i capelli castani.

La donna che aveva di fianco – un’amica di Sophia – messa in questi termini sarebbe stata la vendetta ideale. Annabel: fianchi morbidi e pelle abbronzata, occhi scuri e penetranti con la profondità non di un pozzo ma di una tazza di cioccolata densa. Greg le sorrise ammiccante quando lei lo guardò, fisso nelle occhiaie rimaste dopo la peggiore delle nottate, con una luce di divertimento e di cattiveria. Sophia intanto beveva il suo tè da una tazza precocemente natalizia, e non sospettava nulla. Non vedeva gli strati di pelle scurita dalle lampade, scoperti nonostante il freddo di novembre.

La ragazza gli fece cenno di avvicinarsi a lei e di ignorare sua moglie, in un richiamo caldo che si scontrò contro una resistenza fragile. Greg la accontentò e le andò accanto, di fronte a Sophia; la mano di Annabel andò alla sua. Improvvisamente si sentì meno stanco.
Le dita accarezzarono il palmo ma sua moglie sembrava cieca, assorta a dire di smalti, di creme, di sole che non faceva il suo dovere sulla sua pelle pallida, quasi di luna, priva sia di lentiggini che di colore. “E non so cosa dirgli,” sembrò concludere a un certo punto, gesticolando. “Muore dalla voglia di farmi quella pettinatura, è più forte di lui”.
Sorriso gelido di Annabel e sguardo fugace al volto di Greg, insolitamente allegro per essere lì ad ascoltare sua moglie; “Deve essere orribile” disse mite la ragazza con la sua voce vellutata. Poi tolse la mano.

Greg gemette di disappunto quando la spostò sul braccio di Sophia, posandola lì e sorridendole. “Mi fai vedere se sei ancora irritata?” le chiese, e lei si sfilò senza farsi problemi la maglietta, posandola sulla sedia senza rivoltare le maniche, mostrando la spalla ad Annabel che sorrise soddisfatta.
“Finalmente si è sistemato” esclamò passando due volte le dita sul tatuaggio con delicatezza come se fosse stato di vetro e si potesse rompere con un soffio di vento. “Guarda che bello. Lo avevo detto che sulla tua pelle stava benissimo. Anche se vedo che continui a grattartelo”
“Lo so” rispose Sophia sorridendo. Per girarsi a guardare la scapola voltò le spalle a Greg, che per un attimo vide solo la sua coda di cavallo sfiorarle l’altra spalla. “Mi piace” disse. “Che te ne pare?”

L’uomo si riscosse quando si rese conto che parlava a lui, chiedeva la sua opinione, cercava la sua conferma. A quei livelli di pacioso ignorarsi non si era ancora arrivati alla civile necessità di rivolgersi la parola pur senza avere nessuna voglia di farlo. “È bello” le disse lui. “Ti fa sembrare… più giovane”.
Si maledisse e si rese conto di avere appena detto la cosa più stupida possibile, nonostante fosse quella l’impressione che il tatuaggio gli dava sul corpo di sua moglie.
Era inchiostro che dominava la pelle, nero sul pallore del bianco, una rosa piccola, scura e inquietante sul retro della sua spalla. Sfumature di grigio infinite e impenetrabili che le vedeva bene addosso.

“Grazie” gli disse Sophia. Tono incolore.
“Spero non vi dispiaccia se fumo una sigaretta” si intromise Annabel, già col pacchetto in mano; indossava una maglietta corta, che scopriva quasi l’ombelico, e Greg non volle farla uscire.
“No” le rispose subito. Sophia tacque e non disse niente quando la ragazza infilò la mano nella tasca dei jeans di Greg e prese l’accendino.
Le dita di Annabel reggevano la sigaretta vicina alle labbra, a contatto con le unghie lunghe e smaltate di rosso simili ad artigli ricurvi. Le labbra grosse e lucide aspirarono qualche boccata e si piegarono in un piccolo sorriso provocante. “Tu fumi?”
“No” risponde Sophia pacata. Occhi impassibili. Domanda probabilmente non rivolta a lei.

“Io sì” disse Greg. Annabel sorrise e lo guardò negli occhi, sensuale e provocante.
Un colpo di tosse leggero da parte di Sophia li riscosse; il marito le lanciò un’occhiata veloce e la vide ancora con le mani davanti alla bocca e gli occhi sgranati. Tossì una seconda volta, e poi un’altra; dalle fessure tra le sue dita scivolò una goccia di sangue, cadendo leggera fino alla tovaglia.
“Tutto bene?” le chiese Annabel tranquilla posandole una mano sulla spalla.
“Sì” le rispose l’altra. Greg sentì un momentaneo e orribile terrore gelargli il petto.
Le prese le mani e le pulì del sangue con il tovagliolo, stringendo le dita della moglie tra le proprie nel lavare via le tracce di quella singola goccia. “Grazie” gli disse lei quando ebbe finito. Voce pacata e fievole, piacevolmente sorpresa.
“Stai bene?”
“Sì”.

Inevitabile atto d’affetto nei confronti di Sophia: probabile perdita di attrattiva per Annabel. Greg si allontanò di scatto mentre la moglie si passava le dita sulla bocca, pulendo le ultime tracce di sangue.
“Vado in bagno” disse la moglie alzandosi. Posò la tazza e si alzò lentamente, con attenzione nel districarsi dal tavolo e dalla sedia. Camminò lentamente fino al bagno, appena oltre il salotto.

“Com’è andata al lavoro?” chiese con voce sensuale la ragazza quando se ne fu andata.
“Benissimo” rispose Greg. Un uxoricidio e una coppia di anziani trovati morti avvelenati nella loro casa. Vorrebbe dirlo ma qualcosa gli suggerisce che non sarebbe una scelta vincente. “Non abbiamo nemmeno dovuto chiamare il nostro consulente”.
Sperò di incuriosire Annabel e gli parve di riuscirci. Funzionavano sempre, le storie su Sherlock e le sue stranezze. “Avete un consulente?” chiese la ragazza come previsto, avvicinandosi a Greg e sgranando gli occhi scuri e truccati.

“Sì. È un bravo ragazzo, ma un tizio molto strano”.
“Un drogato?”
“Non è da escludere, sai?”
“Cosa fa?”
“Guarda le scene del crimine, fuma una sigaretta, ci pensa un attimo e poi tira fuori teorie allucinanti su chi è il colpevole, come ha ucciso la vittima e a che scuola è andato”.
“Accidenti. Deve usare droghe pesanti”.
Greg rise. “Lo pensano in molti”.
“Oggi a cosa avete indagato?”

Esitazione. Informazioni riservate. “Sul caso del British Museum. Siamo a buon punto” mentì. “Poi c’è stata una donna che ha ammazzato il marito” continuò. “È stato facile”. Si era costituita.
“Perché chiamate ogni volta il consulente?”
“È geniale. Sa capire dove sei stata solo guardandoti i jeans”.
Annabel lanciò un’occhiata ai propri pantaloni neri con qualche paillette. “Davvero?”
“Certo”. Greg finse – per scherzo? – di accostare la bocca all’orecchio della ragazza come a volerle rivelare un segreto, sorridendo. Lei rise.

Lestrade fece per socchiudere le labbra – un colpo di tosse. Sophia accanto al tavolo, di ritorno dal bagno. Nessuna reazione. Le loro teste erano ormai lontane, ma non abbastanza da escludere senza ombra di dubbio che avesse visto ogni cosa: errore. Non era da lei palesare emozioni – rabbia o gioia che fossero. Estremamente misurata e ingannevole.

Greg si allontanò da Annabel che ancora sorrideva e si chiese cosa gli avesse preso; si era appena sorpreso a provarci con un’altra donna. Ed era spuntata fuori sua moglie come un fungo accanto al tavolo a cui stavano amabilmente conversando e dove lui stava sperimentando l’ennesima utile funzione di Sherlock Holmes. Attimo di debolezza, forse, un lunghissimo attimo in cui si era reso conto davvero che la ragazza che aveva accanto aveva ventisei anni e dei jeans aderenti e a vita molto bassa nel chiaro intento di fare colpo su di lui. Attimo da non ripetere. Rossore sulle guance e vergogna – almeno con se stesso si era costituito, proprio come l’ormai vedova Baker.

Sophia si risedette al proprio posto in silenzio mentre Annabel dava uno sguardo alla sua imitazione di una borsa di marca, attivando il touch screen del cellulare con il pollice e controllando i messaggi. Non ne aveva nessuno.

“Mi dispiace ma devo scappare, ho un appuntamento dal parrucchiere” si scusò in fretta e furia, baciando l’aria accanto alle guance di Sophia ma lasciando il rossetto su quelle di Greg. Gli lanciò un’ultima occhiata maliziosa sparendo alla porta.

Lui andò a richiuderla mentre Sophia si rannicchiava sul divano, stanca. Gli occhi le si chiudevano. Greg non riuscì a stabilire quanto impatto avesse potuto avere il vederlo flirtare con Annabel Reimy sulla sua psiche; se stesse per addormentarsi o se si stesse arrovellando, se stesse trattenendo le lacrime, se stesse valutando di odiarlo fino alla fine dei propri giorni, nella speranza che potesse rivelarsi successiva alla fine di quelli di lui. Greg andò in cucina a vedere la tv, preparandosi un panino. Si ritrovò a guardare senza troppa attenzione una telenovela su BBC1.

All’improvviso sentì Sophia tossire violentemente. Si affacciò sul salotto e la vide portarsi la mano alla bocca; dopo qualche secondo la ritrasse rivelando sul palmo dell’altro sangue.

Greg sentì il cuore mancare un battito e salirgli in gola, violentemente, aprendogli un vuoto nel petto. “Sophia…?”

Lei alzò la testa e lo guardò. “Sì?” rispose in un sussurro caldo.

“Dovresti… andare al pronto soccorso” le disse lui senza sapere bene come interpretare quel suo tono; non era un ordine, non era una domanda. Un suggerimento?

Lei lo guardava negli occhi, intanto. Nelle iridi verdi c’era una pacatezza inquietante che le aveva già visto. “Non… è necessario” lo rassicurò abbassando lo sguardo. “Sto bene. Davvero”

Cominciò a studiarsi le unghie, imbarazzata. Le labbra erano leggermente incurvate nell’abbozzo di un sorriso.
“Vado in farmacia” si arrese il marito. Le lanciò un ultimo sguardo esitante ma lei non glielo impedì, non ne ebbe la forza. Greg afferrò la giacca e le chiavi; aprì la porta e velocemente se la richiuse alla spalle, dando due mandate.

Scese le scale in fretta, infilandosi la giacca sui gradini – vide mille possibili ipotesi pessimistiche di malattie spesso e volentieri viste solo in tv. Ricordò il sangue sulla sua mano ed ebbe un brivido, sicuramente non dovuto al freddo o all’aria che entrava dalla porta del palazzo lasciata aperta da chissà chi. Uscendo la richiuse e a passo sostenuto si avviò verso una farmacia poco lontano.

Forse non era niente, forse era solo tosse un poco più forte del normale. Rallentò lentamente finchè non si accorse di stare passeggiando.
Aveva sempre avuto paura per Sophia in un modo o nell’altro. L’aveva vista piangere e sorridere e aveva provato le sue stesse, travolgenti emozioni. Solo non le aveva mai capite. Aveva sempre avuto un muro, o anche solo nei momenti migliori un velo, a separarlo da lei. Sophia era come un lingotto d’oro sott’acqua: abbellita dalle onde che la allontanavano dal mondo. Da Greg.

Entrò nella farmacia e d’improvviso ebbe caldo, tanto da slacciarsi la giacca. “Buongiorno” lo salutò una donna robusta sulla cinquantina al bancone, con una targhetta sul camice su cui era scritto solo ‘Maggie’.
“Buongiorno. Mia moglie ha… tossito un po’ di sangue, c’è forse qualche sciroppo o qualcosa del genere…?” chiese Greg, senza avvicinarsi troppo a lei.
“Ecco qui” lo interruppe spiccia. “Ma se peggiora vada al pronto soccorso”

L’uomo fece un passo avanti e prese dalle mani tozze della farmacista una confezione bianca con due strisce verdi in alto e un nome strano, un nome da medicinale; “Quant’è?” chiese mettendosi una mano in tasca per prendere il portafoglio e pagò senza fiatare la cifra che gli venne detta. “Un sacchettino?”
Maggie annuì e ne prese uno minuscolo da sotto il bancone. Lo porse a Greg, aprendolo con le mani, e lui ci lasciò cadere dentro lo sciroppo. “Arrivederci”.
“Arrivederci”.

Uscì lasciando che la porta scorrevole si chiudesse alle sue spalle quando ormai si era allontanato di qualche metro con passo veloce. Tornò a casa senza rallentare, concentrandosi solo sul suono ritmico della borsa con lo sciroppo che rimbalzava contro la sua gamba destra.
Una volta alla palazzina aprì il portone, salì le scale, arrivò alla porta. Bussò leggermente e senza aspettare risposta entrò.
Sophia era pallida, sul divano. Greg posò il sacchetto sul tavolo e si avvicinò a lei di scatto.

Gli occhi erano lucidi e iniettati di sangue, la fronte bollente, le labbra in netto contrasto col viso che sembrava essere stato prosciugato di ogni sua energia. Il colorito era verdastro. In mano aveva un fazzoletto di carta ormai pregno di sangue e altre gocce erano sulla camicia da notte che nel frattempo doveva avere indossato, e sui braccioli del divano.
“Ti porto al pronto soccorso” le disse senza pensarci due volte e riallacciandosi la giacca.
“No!” lo implorò lei.

Greg non le diede ascolto, andando a prenderle la giacca appesa nell’ingresso, senza perderla nemmeno un attimo di vista quando si alzò con tutte le poche energie che le rimanevano e cominciò a camminare concitata in giro per casa. “No!” tentava di urlargli, per poi riprendere fiato; “…non ne ho bisogno, sto bene” aggiunse quando ne fu in grado.
“Non dire cazzate” la sgridò lui, prendendo le chiavi dell’auto mentre lei spariva in cucina. “Tu stai male” aggiunse. I passi si fermarono.

Greg sentì un rumore metallico, poi quello di mani che urtavano qualcosa di duro. “Vieni, mettiti la giacca, che ti porto al…”

Un rumore sordo, un dolore paralizzante; alla testa, forte e deciso. Una padella contro il suo cranio. “Sophia!” gridò appoggiandosi al tavolo per non cadere, la prima superficie solida che riuscì a trovare. Si voltò, andando a massaggiarsi cautamente la testa, dove l’aveva colpito. Lei era in piedi, tremante, e capì che nonostante il colpo non fosse stato poi così potente doveva averci messo tutta la sua forza, o almeno quella che le rimaneva.

Greg si accorse di stringere ancora tra le dita tremanti le chiavi dell’auto. Prese quelle di casa, aprì la porta e una volta sul corridoio senza riuscire a impedirsi di guardarsi indietro se la richiuse alle spalle.

  
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