Fanfic su attori > Robert Pattinson
Segui la storia  |       
Autore: valina_babi    19/07/2012    1 recensioni
Babi è a Londra, i fuga dalla sua cittò troppo stretta, non può immaginare cosa la aspetta, un incontro, uno scontro, e il destino che cambia in un momento. in bene in male? chi può dirlo "la vita è come una scatola di cioccolatini non sai mai quello che ti capita" devi solo imparare a conviverci.
Genere: Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Buondì!
Eccomi qui col secondo capitolo.
Grazie grazie grazie a chi ha letto il primo.
Come sempre aspetto le voste critiche e i vostri giudizi
Buona lettura
Vale

Capitolo due. - Points of view 

Ci allontanammo ridacchiando come due povere matte.
«Ma come ti è venuta quell’uscita?» chiese Giulia mentre camminavamo verso casa.
«Non ne ho idea», tergiversai.
Lei mi guardò di sottecchi e mi pungolò.
«Oh, Babi, avanti. Non sei buona di dire balle. Avanti, sputa il rospo», maledetta me, e la mia assoluta incapacità di mentire.
A che cavolo sono serviti cinque anni di corso di teatro se non sono neanche capace di dire una semplice, innocente bugia?
Tanto valeva ormai dirle la verità, provare ad arrampicarmi sugli specchi non sarebbe servito a nulla. Sperai solamente che non mi sfottesse troppo.
«Lo so, ora mi prenderai per il culo per tutta la vita. Ma… magari così non si scorda di me» finii la frase di corsa e mi sentii avvampare, il mio viso lo sapevo era diventato di colpo rosso come un pomodoro maturo.
Mi stupii quando non sentii nessuna risata, alzai gli occhi e fissai Giulia.
Stava pensando ed elaborando una risposta.
«Allora, non mi ridi in faccia ora?» la punzecchiai.
«No. Alla fine è da te. Sei una scemina romantica ed è da te fare una cosa del genere… d’altra parte non credo che si scorderà di quella imbranata turista italiana che ha quasi investito e la cui amica se lo è sbranato... » fu lei a farmi ridere, scoppiai in una risata fragorosa.
Continuammo a punzecchiarci in quel modo fino a casa. Arrivati al portone aprimmo ed entrammo.
«Allora… - cominciò Giulia, di sicuro la migliore delle due nel fare programmi, si voltò verso di me con la sua faccia tipica di quando aveva in mente qualcosa, nella fattispecie, la scaletta per la giornata – direi… doccia al volo e poi Buckingham Palace, ci stai? Se vogliamo fare tutto però abbiamo un quarto d’ora massimo per prepararci…»
«Ok, agli ordini capo, sarò qui sotto tra un quarto d’ora», corsi all’ultimo piano, in camera mia.
Resi grazie che quella stramba casa avesse ben due bagni, un lusso che a casa mia non c’era, resi grazie anche a quello: avevo imparato a fare la doccia più veloce del mondo con quel sistema, forse anche perché a casa la Gaetts, mia mamma… se entro cinque minuti non ero fuori dal bagno cominciava a sclerare… chissà.
Fui fuori dalla doccia, avvolta nel mio mega asciugamano rosa, in cinque minuti e mi ritrovai di nuovo davanti alla mia valigia aperta. “Vale, sta sera quando torni la svuoti, è indecente che sia ancora piena” la rivoltai sopra al letto alla ricerca di un paio di jeans e di una maglietta carina che ci stesse assieme.
Optai per jeans chiari e la mia maglietta dell’Hard Rock Cafè di Mosca, una delle mie preferite.
Pettinai i capelli in una coda che raccolsi in un comodo chignon, avevo sempre odiato i capelli lunghi sciolti d’estate (facevano caldo, soprattutto se come i miei erano lunghi fino al sedere) e poi era la pettinatura che da quando pattinavo, cioè da una vita, reputavo più comoda; infilai le scarpe da ginnastica e presi la borsa a tracolla viola.
Scesi di corsa, trovai Giulia al fondo delle scale pronta ad urlarmi di muovermi
, ma la precedetti.
Restò quasi stupita nel vedermi pronta all’orario stabilito: da quando ero universitaria l’usanza del quarto d’ora accademico si era allargata in tutto quello che facevo...più o meno.
«Visto? quando voglio so essere puntuale» le dissi con un sorriso.
«Sì, appunto. Quando vuoi» rispose sorridendo a sua volta.
Uscimmo di casa e percorsa tutta la Lancaster Miews andammo verso la fermata della metro, era la cosa più comoda, ad attraversare a piedi tutto Hyde park e a fare il giro dei giardini di Buckingham Palace ci avremmo messo molto di più, ma anche così non era troppo comodo. Prendemmo due fermate della rossa, per poi scendere e cambiare fino a Westminster, e poi arrivammo a piedi. Tutt’altro che comodo insomma ma di certo più veloce che farsela tutta a piedi.

La visita a Buckingham Palace fu magnifica, non riuscivo a non incantarmi davanti al lusso e alla bellezza del palazzo.
Non potei non rimanere incantata nel salone da ballo, quello usato per i ricevimenti ufficiali, tanto che Giulia dovette prendermi per un braccio e dirmi in tono scherzosamente minaccioso «Guarda che io vado avanti con la guida e non ti torno a riprendere sai?».
Veloce scattai l’ultima foto e raggiungemmo la guida che stava già di nuovo spiegando, introducendo la Queen’s Gallery, la galleria di quadri della regina.
Rimasi incantata, per l’ennesima volta, davanti a un Vermeer.
«Ehi… hai intenzione di metterci radici li davanti?» mi punzecchiò di nuovo Giulia, scossi la testa senza risponderle, senza realmente averle prestato attenzione, quando andavo per musei era come se non esistesse nessun altro, solo io e il quadro, o l’opera d’arte, che avevo davanti a me, entravo in un mondo tutto mio e niente poteva distogliermi da lì davanti.
«Terra chiama Vale, terra chiama Vale – disse imitando la voce gracchiante di una radio, poi mi prese per un braccio – dai, su. Lo so che tu staresti qui in eterno, ma tempus fugit come diceva Orazio, quindi andiamo!»
«Ma…»
«Niente ma. Già mi tocca trascinarti via di qui a forza come ho fatto da davanti ad Amore e Psiche del Canova quando eravamo al Louvre…»
«E aggiungerei anche dal David a Firenze» continuai stando al gioco.
«Sì appunto. Ma hai idea della faccia che hai quando sei davanti a un quadro o a una statua?»
«Ehm… non proprio sai?» le risposi sincera.
«Beh… hai presente quando tu mi dicevi che quando parlavo del moroso avevo gli occhioni luccicanti e pieni di stelline peggio che un albero di Natale?»
«Sì, certo, ti ho sfottuto finché ci sei stata assieme», le risposi sorridendo.
«Ecco… tu, davanti alle opere d’arte sei uguale. Potrei quasi dire che hai la stessa faccia sognante che avevi sta mattina davanti a Mr. Pattinson» disse, chiudendo in bellezza lo sfottò.
Io arrossii al ricordo della figuraccia del mattino.
«Ecco lo sapevo dove volevi andare a parare», dissi incrociando le braccia, finta offesa, facendole una linguaccia in pieno stile “bambina di cinque anni”.
Lei per tutta risposta, smascherato il mio bluff si mise a ridere e mi prese sottobraccio; ci avviammo velocemente ridendo come due matte, verso il cancello principale pronte a vedere il cambio della guardia.

L’attesa sembrava interminabile, per di più la ressa di gente stava aumentando davanti al cancello e cominciavano pure ad arrivare spintoni da quelli dietro che volevano crearsi un varco per vedere qualcosa.
«Uffi, ma quanto ci mettono!» mi lamentai.
«Babi, calmati.. mancano ancora tre minuti a mezzo giorno. Lo so che mi stai morendo di fame, ma se pazienti un altro pochino…» «Veramente non sto morendo di fame, non ragiono con lo stomaco io, solo che.. solo che se questa cafona qui dietro mi tira un altro spintone giuro che mi volto e me la mangio» dissi alzando la voce e girandomi verso la turista grassottella che avevo alle spalle fulminandola con lo sguardo.
Poi mi voltai di nuovo e preparai la macchina fotografica.

Quando tutto fu finito e le guardie furono tornate ai loro posti, Giulia insistette per portarmi a mangiare in un “Fish and Chips”, tipico fast food inglese dove si mangiava pesce e patate fritte.
Questo stando alla teoria, in pratica una volta preso in mano il cartoccio di carta oleata non riuscivi più a distinguere quale fosse il pesce e quali le patatine fritte, avevano lo stesso odore e sapore: olio fritto e rifritto.
«Giuro, prossima volta piuttosto Mc Donald’s, ok?» dissi addentando l’ennesimo pesce-patatina, non provai nemmeno a distinguere. «Ok ok – rispose – Mi perdoni se per scusarmi del pranzo non proprio eccezionale ti porto a fare shopping da Harrods?»
«Certo Giulietta, lo sai che Shopping è la parola magica» dissi facendole un sorriso a trentadue denti e sporgendomi per abbracciarla.
Evitai, aveva fatto una faccia del tipo “Se mi tocchi con quelle manacce unte però mi rimangio la proposta”, scoppiai a ridere e lei con me, anche se non sapeva esattamente perché poteva immaginarlo.
Veloci finimmo il pranzo e poi ci dirigemmo di nuovo al metrò. Harrods. I
l paradiso degli acquisti l’enorme centro commerciale che insieme ai Lafayette di Parigi riempie i sogni di ogni malato di shopping. Otto piani di lusso sfrenato e negozi firmati, otto piani di articoli super costosi e all’ultima moda che aspettano solo di essere provati e acquistati.
Personalmente non sono mai stata una malata di shopping, certo, mi piace la moda e mi piacciono le firme, ma… il mio portafoglio mi ha sempre e solo permesso di sognarle, o a scelta di averle a Natale come regalo unico di vari parenti insieme.
Bah, che invidia, e che palle avere dei genitori che pensano che qualunque cosa tu voglia comprare sia uno spreco di soldi.
Come se io fossi la fighetta ricca che vuole per capriccio la decima borsa di Luis Vuitton solo perchè «Quelle che ho ora sono fuori moda, sono della collezione passata». Che odio. Ne avevo tre in classe del genere, e ve lo posso assicurare, ne avrei fatto molto volentieri a meno.
Ero solo una persona normale, un’universitaria normale che a casa studiava e si faceva un mazzo quadro per riuscire a fare un piccolo lavoretto e avere due soldi per togliersi gli sfizi.
Pretendevo tanto chiedendo un’aiutino per comprarmi quelle scarpe favolose?
“Bah tanto è inutile, qui o vinco il super enalotto o quelle scarpe potrò solo continuare a sognarle.” Pensai scollando finalmente il naso dalla vetrina.
Diedi un’occhiata all’orologio.
“Oh, cavolo! Sono già le tre! Avevo appuntamento al piano terra un quarto d’ora fa con Giulia. Se fa tardi a lavoro, Quella finisce che mi ammazza.”
Mi dissi e cominciai a correre verso le scale mobili, non feci a tempo a fare dieci metri che SBAM!
Riuscii a scontrarmi contro un ragazzo, imprecai tra me guardando la custodia dei miei Ray Ban appena comprati che volava fuori dal sacchetto in cui l’avevo amorevolmente riposta mentre io volavo a gambe all’aria.
“Se mi si sono rovinati gli occhiali nuovi non mi arrabbio neanche… vedrai come impari a guardare dove vai.”
Una mano si avvicinò a me, lunga affusolata e ben curata
“Una mano da pianista” partorì in automatico la mia testa.
«Baby, Baby… dovresti stare più attenta sai? Ad avere la testa sempre così tra le nuvole rischi di farti male…»
“Ossantoddio” è la Sua voce quella che sento?
No.
Non è possibile il quasi incidente di sta mattina mi deve avere fatto poco bene.
Non è possibile che in una città di quasi otto milioni di abitanti come Londra, io riesca nella stessa a giornata a farmi quasi investire da una persona e poi lo stesso pomeriggio a scontrarmi con lui?
E quante possibilità ci sono che quella persona sia Robert Pattinson?
«Non sono la tua Baby, né quella di nessun altro. Al massimo, poi, è Babi». Risposi rifiutando la mano che mi offriva e guardandolo negli occhi.
“Oh madre santa No. Non è possibile. Non ci posso credere. È davvero lui di nuovo. O il destino si sta proprio divertendo a giocare con me e a prendermi per i fondelli, o io ho davvero un culo o una sfiga spropositata, bisogna vedere i punti di vista.”

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su attori > Robert Pattinson / Vai alla pagina dell'autore: valina_babi