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Autore: Mabelle    24/07/2012    6 recensioni
Gli astrofisici le definiscono "stelle gemelle".
Le stelle gemelle sono fisicamente legate tra loro, non si possono separare con nessuno strumento. La stella più luminosa della coppia è chiamata Primaria, mentre la più debole, Secondaria. Queste due stelle si girano intorno in un movimento orbitale, la loro luce è 70 volte superiore a quella del Sole. Si illuminano a vicenda, ma la stella più forte tenderà piano piano a prendersi la luce dell'altra stella, portandola così a "morire".
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Styles
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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15. Capitolo quindici.

 

- Well it’s good to hear your voice.
I hope your doing fine
and if you ever wonder i’m lonely here tonight.
Lost here in this moment and time keeps slipping by
and if i could have just one wish:
i'd have you by my side. -
{Stay - Miley Cyrus.

 

Mai abbastanza vicini da toccarsi e diventare "noi".

Una volta rientrati, i ragazzi erano usciti e a loro si era unito Harry, mentre Amélie aveva deciso di rimanere a casa. Non aveva voglia di fare nulla. I suoi capelli erano ancora umidi, a causa del tuffo in mare che le aveva fatto fare il riccio a sua insaputa, ma voglia di asciugarli non ne aveva, piuttosto si sarebbe presa il raffreddore.

Quella casa, la sua casa, diceva Harry. Che poi tanto sua non la sentiva, perchè la sua vera casa erano le braccia di Harry. Salì le scale, le girava un po’ la testa, ma poteva sopportarlo. Aveva sopportato tanto in quei diciotto anni da quando era stata messa al mondo, i genitori si erano separati quando lei era piccola, la sua insicurezza le aveva giocato brutti scherzi, causandole tentativi di autolesionismo, poi era arrivata la droga, in un primo momento le sembrava la sua salvezza, ma poi si era trasformata nella sua condanna a morte. Aveva conosciuto tante persone nella sua vita, ma non aveva potuto definirli amici, perchè non c’erano mai stati veramente per lei. Poi aveva conosciuto Harry, ed era forse per questo che si era legata subito a lui, perchè quel ragazzo non si era limitato solo alla sua reputazione, ma aveva scavato nelle maglie delle sue parole, disinnescandole tutte. 

Sbatté diverse volte le palpebre per cacciare indietro le lacrime, si lasciò sfuggire un debole sorriso e salì le scale.

Arrivò davanti alla camera di Harry ed aprì la porta, entrò.

Le tapparelle erano abbassate, la luce fioca, un’atmosfera calma e tranquilla, mentre lo stomaco di Amélie era in subbuglio.

Si sedette sul letto e pensò.

Faceva davvero male essere fragili, deboli, vulnerabili e non lottare, starsene con le mani in mano a guardare e ad osservare, senza fare niente.

 

Voleva far accadere, non più aspettare.

 

Era una partita persa a prescindere quella che stava affrontando, lo sapeva, ma forse lo stava facendo per Harry, per lui, solo per lui. Lui, a differenza degli altri, era rimasto. Perchè?, si domandava. Però le piaceva questo restare veramente, senza prendere pause, senza partenze e ritorni. Sarebbe andata all’aeroporto solo per vedere le persone partire ed arrivare, perchè è questo che fanno per tutta la vita, frettolosamente. Non riescono a stare fermi, nello stesso posto. Partono, così, da un momento all’altro, senza dirti niente. Ma non capiscono che sarebbe bastato rimanere, rimanere una sola volta.

Lei sarebbe rimasta, davvero. 

Non era stata in grado si salvare se stessa, pur avendone le possibilità, ma poteva salvare Harry. L’aveva coinvolto, purtroppo, ed era questo che aveva sempre temuto.

Si alzò dal letto e prese il suo borsone, rinchiuso nell’armadio, nel frattempo raggruppò tutti i suoi vestiti sul letto, controllando che non mancasse nulla. Li infilò nel borsone molto velocemente, cercando di non sprecare tempo, ma quel “cercando di non sprecare tempo” significava solo una cosa: sfuggire agli occhi di Harry.

Chiuse il borsone e se lo mise sulla spalla, scese velocemente le scale. Fortunatamente i ragazzi non erano ancora arrivati, si avvicinò alla porta, ma non l’aprì. Cercò frettolosamente un pezzo di carta, sperando di trovarlo, e così fu. Scrisse la prima frase che le venne in mente, quella che da quando l’aveva conosciuto continuava a rimbombarle nella mente, quella che accompagnava i suoi sogni, quella che, molto probabilmente, spiegava ogni cosa, o perlomeno ci provava.

 

“Siamo sempre stati troppo, ma mai abbastanza. - A.”

 

Lasciò il fogliettino sul tavolo, sperando che il primo a vederlo fosse stato Harry. Infine varcò la soglia, si chiuse la porta alle sue spalle e decise che da quel momento si sarebbe dimenticata tutto: il sapore dei baci, le carezze delicate, le parole sussurrate, gli abbracci sentiti, le mani intrecciate, le promesse non mantenute. Tutto. E avrebbe ricominciato, o forse avrebbe continuato la sua solita vita, senza Harry. Le lacrime affiorarono nuovamente, ma le trattenne convincendosi che in questo mondo lo avrebbe salvato, certo, sarebbe stato così. Stava morendo dentro per quello che stava facendo, ma era convinta che fosse la cosa giusta. Non se ne stava andando, no, stava rimanendo, a modo suo. Stava rimanendo nei ricordi, come aveva sempre fatto.

Prima di entrare in casa spense il cellulare, ora era lei, se stessa e il tempo.

Era come l’aveva lasciata, ormai non ci entrava da un paio di settimane, ma l’odore di fragola era sempre presente e questo la sollevò. Il disordine regnava, certamente, ma lei si trovava bene tra quelle scartoffie, tra quei vestiti rintanati negli angoli più remoti, tra i piatti ancora da lavare e asciugare. Ma era davvero così difficile tornare quella di sempre, tornare a sorridere e a non dare peso a ciò che diceva la gente. Lo voleva veramente, o forse non abbastanza per riuscirci.

Salì le scale e appoggiò il borsone per terra, di fianco alla scrivania, e si coricò sul letto, con la nausea che la tormentava, un mal di testa che le rimbombava nella mente, le gambe che non la reggevano più, e un comodino che custodiva la sua condanna a morte, molto probabilmente, dato che non se ne era sbarazzata.

 

 

 

 

 

 

 

La chiave scattò nella serratura, Harry aprì la porta ed entrò in casa, seguito dagli altri ragazzi. Avevano trascorso un pomeriggio girando per Londra, ma non acquistarono niente, piuttosto preferirono fermarsi in un bar e chiacchierare un po’, fare il punto della situazione. L’unico che non aveva partecipato attivamente era stato Harry, per tutto il pomeriggio aveva taciuto, farfugliando deboli parole ogni tanto per far sentire la propria presenza, ma la sua mente era altrove, il suo cuore era altrove. Aveva pensato continuamente a lei, a cosa stesse facendo senza di lui, aveva avuto paura a lasciarla da sola. 

 

Non è che non si fidasse di lei, non si fidava di se stesso.

 

Temeva il peggio, ma pensava al meglio. 

Temeva l’addio, ma pensava all’arrivederci.

Temeva le parole, ma pensava ai baci.

 

I ragazzi avevano insistito nel domandargli cos’avesse, ma Harry non aveva mai risposto.

Il pensiero di essere finalmente tornato a casa lo rincuorava, non vedeva l’ora di trascorrere del tempo con lei.

Eppure, sentiva che c’era qualcosa che non andava.

La casa era troppo silenziosa, gli odori non si percepivano, le mani non toccavano.

Il suo sguardo si soffermò su un bigliettino lasciato sul tavolo, lo afferrò e lesse.

 

Non è che non si fidasse di lei, non si fidava di se stesso.

 

Non sarebbe dovuto uscire, no.

Non avrebbe dovuto lasciarla da sola, no.

Sarebbe dovuto rimanere, sì.

 

«Harry, qualcosa non va?» domandò Louis, notando lo stato confuso del suo migliore amico.

«Tutto.» rispose, stringendo nella sua mano il foglietto. Louis si accorse di quell’azione e come sempre capì.

«Vado a cercarla.» sbottò, afferrando il cappotto, ma l’amico lo fermò.

«Non capisci? - gli fece notare - se ne è andata di sua spontanea volontà e l’ha fatto senza farti male, Harry. Ha bisogno di stare da sola, in questo momento. Lasciala riflettere, per favore. Non è una situazione facile e tu lo sai.»

«Le avevo promesso che non l’avrei più lasciata andare via e lei mi aveva rassicurato ,dicendomi che sarebbe rimasta, ma così non è stato.» aggiunse.

Nonostante tutto non riusciva ad essere arrabbiato con lei. Era diventato davvero così dipendente? Sì, pensò.

Si chiuse nella sua camera. Nella camera che fino a poche ore prima aveva ospitato Amélie, nella camera in cui avevamo dormito insieme più di una volta. Avrebbe voluto chiamarla, ma sapeva che non gli avrebbe risposto, sapeva che, se avesse voluto, si sarebbe fatta sentire lei. Ma l’attesa ti logora troppe volte. Acido che scorre nelle vene e le corrode. 

 

 

 

 

 

 

 

La notte era il momento della giornata che preferiva. Buia, silenziosa. In quell’attimo accadeva tutto, senza che nessuno lo sapesse. Buia, lunga. Non terminava mai, il tempo non scorreva. Buia, gelida. I brividi lungo la schiena, le nocche bianche che afferravano le coperte. La notte è il momento in cui il cuore fa pace.

Ma per Amélie quella notte era diversa dalle altre. Le crisi di astinenza la coglievano in particolare nel buio, quando nessuno poteva udirla ed era da sola. Non aveva più voglia di resistere, sapeva che sarebbe accaduto. Fin dall’inizio era stata consapevole che prima o poi sarebbe tornata al punto di partenza, perchè era questo il suo destino, dipendere. 

Con il fiato corto, le mani gelide, il battito cardiaco accelerato, aprì bruscamente il comodino e sbatté contro uno spigolo, trattenne il gemito di dolore, nel buio cercò la sua salvezza. Harry, pensò. No, no, basta con lui, basta con tutto, si sarebbe lasciata andare, ora, domani, per sempre. Afferrò tentennando la siringa, l’ultima che aveva e che forse l’aspettava, lì, immobile, celava dentro di sé quello da cui Amélie per tanto tempo era fuggita, ma alla fine l’aveva trovata. Strinse il laccio emostatico intorno al braccio e così, all’oscuro, si iniettò la dose di eroina che tanto l’aveva desiderata e bramata. Spinse in fondo lo stantuffo, infine buttò a terrà la siringa e rimase così, seduta sul letto, aspettando di stare meglio, ma che meglio poi non stava, lo sapeva, era solo una maschera che prima o poi avrebbe dovuto togliersi, ma c’era tempo.

Mai abbastanza vicini da toccarsi e diventare "noi".













Sono tornata dalla Sardega proprio due giorni fa e naturalmente il tempo a Milano era una merda, come sempre, lol. Infatti ha piovuto, porca miseria. (?) Poi sull'aereo ho visto l'arcobaleno, rjkntkjgr, che cosa figa, vero? c:
Comunque, eccomi qua con un nuovo capitolo di questa FF. E' venuto fuori un po' una merda, scusate. çç
Alla fine Amélie ha deciso di andarsene, di salvarlo, come di lei. Voi cosa ne pensate? 
Inoltre sono apparsi alcuni avvenimenti della sua vita, come la separazione dei suoi genitori e i tentativi di autolesionismo, questo spiega un po' il carattere della ragazza.
Be', che vi posso dire? Che siamo quasi alla fine, ancora un po' di capitoli e poi ci sarà il finale e l'epilogo.
Il finale è l'unica cosa che ho in mente dall'inizio della FF, AHAHAH, ma siccome sono una stronza - lol - non vi dirò niente, però provate ad indovinare, se volete, rgnrkjng.
Vi ringrazio per le vostre meravigliose recensioni che mi fanno sempre sorridere, gjkrnrt. ;D
Vi chiedo, per favore, di farmi sapere cosa ne pensate del capitolo con una recensione, sapete che accetto tutto. uu
Un bacio. xx

Amélie.


  
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