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Autore: SoleStelle    24/07/2012    2 recensioni
Tutto, dall'esterno, sembra una fiaba.. ma all'interno cosa succede realmente?
Sorrisi e amore sono parole sconosciute per Sara, che a soli diciotto anni è già satura di negatività.
Poi arriva lui e qualcosa cambia.
Lui, lei..e l'altro.
La classica storia, ma cosa succede quando "l'altro" in questione non è chi pensiamo che sia?!
Detto questo premetto che il rating arancione è dovuto solamente ad alcuni episodi descritti ma non è dovuto a scene di sesso..
È la prima storia che pubblico qui, anche se non è la prima che scrivo..
Sarà una storia di 20 capitoli totali, anche se 2 saranno cortissimi (prologo ed epilogo).
Dal testo:
Mi avvicinai a lui fissando il mazzo di rose rosse appoggiate sul mio banco. Mi ci fermai di fronte.
[...] “mi dispiace per ieri” disse tirando fuori una custodia dalla tasca dello zaino. La aprì mostrando una collana di perle. [...]

Beh, che altro dire.. buona lettura.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Incubo..favola..realtà.'
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Entrai in classe ignorando tutti, come sempre, e mi sedetti al mio banco, svogliata.
Vidi alcune compagne passarmi affianco, guardandomi con aria sprezzante, per poi sedersi al loro posto. Mi voltai a guardare fuori dalla finestra isolandomi completamente, tanto che non mi accorsi nemmeno che il mio compagno di banco arrivò fino a quando non lo sentii parlarmi.. una delle rare volte in cui qualcuno mi rivolgeva la parola.
“Ti cercano.” disse. Mi voltai e trovai Matteo affacciato alla mia classe. Mi alzai, senza nemmeno ringraziare Riccardo dell’avviso, e uscii raggiungendo quello che tutte reputavano uno dei ragazi più belli di tutta la scuola.
“Dimmi.” dissi, con poca spinta.
“Stasera vengo a prenderti alle 20.00, fatti trovare pronta.” rispose, senza pochi preamboli.
“Alle 20.00, capito.”. Rientrai in classe, senza dire altro, e cercai di ignorare le voci maligne delle mie compagne di classe. Chi mi dava della stronza e chi dell'egoista solo perchè lo tenevo tutto per me. Se solo avessero avuto abbastanza cervello da pensare avrebbero smesso di insultarmi per partito preso. Non che questo mi importasse chissà quanto, ma.. se lo volevano, potevano prenderselo!
Mi risedetti al mio posto, evitando accuratamente di toccare o sfiorare Riccardo, ed aspettai che l’insegnante arrivasse in classe.

Dopo una giornata intera di lezioni, la nostra era l’unica scuola superiore, in tutta la regione, ad avere l’orario di lezione anche pomeridiano per cinque giorni, tornai a casa.
Io avevo scelto quell’istituto proprio perché mi teneva lontano da quel luogo il più possibile ma, purtroppo, il momento del rientro arrivava sempre.
Entrai senza aspettare che il maggiordomo mi venisse ad aprire la porta, o prendermi giacca e borsa, e mi affrettai a segregarmi nella mia parte di casa. Aprii il frigorifero e controllai quello che mancava, facendo una micro lista che portai subito nella cucina principale, dove il maggiordomo era intento a fare la stessa cosa.
“Theodor.” lo chiamai, entrando sotto il suo sguardo vigile.
“Signorina non dovrebbe entrare qui, se i suoi genitori la vedono potrebbero arrabbiarsi.” disse, premuroso come sempre. Faci spallucce.
“Ti ho portato la lista della spesa.” dissi, allungandogli il post-it giallo che avevo in mano. Lo prese sorridendo.
“Sarei passato io, non si doveva disturbare.” rispose, attaccandolo alla lista della spesa che lui stava stilando.
“Non fa nulla.”. Sorrisi e tornai nella mia parte, o almeno ci arrivai vicina..
“Cosa ci fai qui? Sai che non sei autorizzata a scorrazzare in giro.”. Riconobbi la voce di mia madre, non distante da me, e mi bloccai di colpo. Lentamente mi voltai verso di lei.
“Chiedo scusa." dissi. "Ero passata, momentaneamente in cucina, per dare a Theodor la lista della spesa.”. Quasi non finii la frase che mi arrivò uno schiaffo in pieno volto. Voltai il viso, seguendo la direzione della sberla, e quando la mia guancia fu libera lo raddrizzai.
“La prossima volta aspetta che passi lui a prenderla!” urlò, inviperita, per poi andare via, accompagnata dal ticchettio dei suoi tacchi.
Tornai nella mia dependance e mi ci chiusi dentro, nuovamente. Non ne sapevo il motivo ma definirla così mi faceva sentire meno prigioniera.
Mi spogliai, mettendomi un costume, e mi rintanai dentro alla piscina riscaldata. Feci un paio di vasche poi me ne restai in ammollo con le braccia appoggiate al bordo e il mento su di loro a fissare un punto indefinito.
Rimasi immobile qualche ora poi mi ricordai di Matteo. Uscii e mi precipitai in doccia per prepararmi.
Dovevo darmi una mossa o avrei fatto tardi!

Alle 20.00 spaccate lo vidi arrivare nella sua BMW M2 rossa. Salii e mi lasciai portare a quel ricevimento, dove per l’ennesima volta avrei dovuto interpretare la figlia felice.
Arrivammo in poco tempo e trovammo i miei genitori intenti a parlare con i suoi. Ci avvicinammo e, come al solito, salutarono solo lui, ignorando categoricamente me.
Poco male, almeno per una sera me ne tirerò fuori, lasciando lui a sorbirsi, al posto mio, tutte le presentazioni ufficiali.

La serata si protrasse più del previsto e non avemmo il tempo di cambiarci abito, né di passare da casa per cambiare macchina quindi, io e Matteo, arrivammo a scuola con la stessa auto e con dei vestiti che, per tutte le malelingue che sparlavano in continuazione, erano degno motivo di pettegolezzo, inventando un appuntamento, probabilmente idilliaco, che non c’era stato.
Entrai in classe, sotto le solite occhiatacce. Nessuno, però, sembrò notare il vestito, decisamente troppo elegante per una giornata scolastica ma, forse, il fatto che non mi fosse permesso indossare un paio di pantaloni in un luogo pubblico era un motivo più che valido per giustificare la loro indifferenza. Il mio abbigliamento era stato motivo di molte frecciatine da parte di tutti, non solo delle ragazze della mia classe, ma di tutte le ragazze dell’istituto.. e di qualche professoressa.
Non mi ero mai presentata, in nessuno dei cinque anni di superiori o dei tre di medie, con un pantalone o una scarpa senza un minimo di tacco. Neppure in periodi invernali, come quello.
Mi andai a sedere al mio banco, dove Riccardo si era già posizionato con tanto di iPod acceso e, passandogli affianco, non potei fare a meno di sentire la musica che ne fuoriusciva.
Ma sono i Bon Jovi?
Aguzzai l’udito, sedendomi, e cercai di capire se potessi aver sentito male.
No.. è proprio It’s my life.
Rimasi, quasi, incredula.
Ero sicura di non avere nulla in comune con tutti loro, eppure mi sbagliavo.





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Note dell’Autrice:
Non si capisce ancora molto ma, se avete voglia di recensire, sarò lieta di leggere anche le critiche.
   
 
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