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Autore: Yvaine0    26/07/2012    1 recensioni
Cambio di titolo! Ex "La vita secondo loro".
Il tempo passa, le situazioni cambiano, ma loro rimangono sempre gli stessi.
Sophia è una ragazza dolce e maldestra; Rocco è un amico fedele con la testa piena di segatura; Arianne è una donna tutta d’un pezzo. Francesco è una testa calda; Steve un musicista innamorato e Federica la sua dolce metà. Una banda di sconclusionati che, attraverso gli anni, finisce sempre con l’incontrarsi di nuovo.
Episodi di vita più o meno quotidiana di un gruppo di ragazzi più o meno ordinari.
Genere: Demenziale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Questo racconto è un po’ per Alessia, che probabilmente non lo leggerà mai:
è per vendicare ciò che è successo a lei che ho scritto uno degli
episodi che leggerete, quello che porta il suo nome.
 
Ma soprattutto questo racconto è dedicato a Maria, senza la quale il personaggio
di Alberto non sarebbe lo stesso e, forse, non ci sarebbe proprio.
Questa è tutta tua, Meri-chan.
 


Migliori amici, amori e scaldaletto

-A new generation story.-
 


Alberto Pulcinelli camminava per strada sempre a testa alta.
Studiava economia un paio di ore al giorno, giocava a calcio altrettante, suonava la chitarra un’ora ogni sera e si atteggiava a latin lover ventiquattro ore su ventiquattro, anche mentre dormiva.
Aveva una terza grande passione, oltre la musica e il calcio, e questa erano le ragazze.
Sarebbe quindi meglio dire che Alberto Pulcinelli camminava per strada a testa alta finché non sentiva l’impellente bisogno di voltare il capo per guardare il sedere di qualche passante.
Immagine molto indicativa, ma non abbastanza per descrivelo. Non era il classico bello sciupafemmine, era una ragazzo molto più profondo e complicato di quanto non si credesse.
La sua terza grande passione erano le ragazze, dicevo; una in particolare tendeva a fargli girare la testa (in tutti i sensi) più spesso delle altre. Era alta, formosa, allegra e si chiamava Giulia Ravanni. Non era la ragazza più sveglia della città, ma era dolce, disponibile e spiritosa. Aveva la stessa età di Alberto, ma era in classe con me, per via di un errore di percorso che l’aveva portata alla bocciatura.
Alberto era irrimediabilmente cotto di Giulia, ma lei non lo degnava di uno sguardo. Era troppo impegnata a cercare di attirare le attenzioni di Giorgio, il migliore amico proprio di Alberto, nonché mio fratello. Una sfiga immonda, no? Erano – eravamo – tutti estreamente connessi da legami strettissimi e, potenzialmente, sarebbe potuto essere tutto perfetto. Bastava solo una spintarella, un’unica mossa per assemblare il puzzle. Bastava che Giulia si accorgesse di ciò che provava Alberto nei suoi confronti e tutti i tasselli sarebbero andati al posto giusto. Ma non era possibile che accadesse. Non lo era, perché Alberto aveva un miriade di difetti, ma il più riprovevole era l’arrendevolezza. Si era arreso in partenza. Si era arreso all’idea che Giulia fosse innamorata di Giorgio e non aveva mai provato a farsi conoscere da lei. Non si erano quasi mai parlati, non avevano mai scherzato. Avevano riso con me, magari, o con mio fratello. Avevano visto gli stessi film, avevano riso alle stesse battute, avevano passato intere giornate sotto lo stesso tetto, condiviso la stessa bottiglia d’acqua in afose giornate d’Agosto, magari. Ma nulla di più. Non avevano mai sostenuto una vera conversazione, non si erano mai sorrisi. E capirete che non ci si può innamorare, se non si sorride insieme almeno una volta.
Qual è il mio ruolo in tutto questo, dite? Io sono Eva Semi, la migliore amica di entrambi. Li conosco come le mie tasche – anzi, forse conosco le loro meglio delle mie –, ecco perché posso informarvi sull’accaduto come se l’avessi vissuto sulla mia stessa pelle. Anche perché, in un certo senso, è così. Vi ho già spiegato come i fili delle nostre vite fossero tutti irrimediabilmente intrecciati? Be’, era una treccia di quelle casuali e per questo molto più complessa. Di quelle che si formano quando si tengono gli auricolari dell’iPod in tasca e questi si annodano e sembrano non aver alcuna intenzione di districarsi mai più. Così eravamo noi.
Le nostre vite si erano attorcigliate durante una delle rimpatriate in cui i nostri genitori si incontravano, dopo tanto tempo, assieme a tutti i loro compagni e amici del liceo. Fu così che conobbi Alberto, ad a malapena due anni. Un tempo era il classico bambino con la testa nel pallone. Era stata l’adolescenza a fregarlo, come succede un po’ a tutti i ragazzini.
Aveva scoperto le ragazze con l’inizio delle superiori. Essendosi iscritto al liceo classico, si era ritrovato immerso nel loro affascinante universo, ammirando le diverse specie di femmina esistenti come avrebbe fatto un ornitologo nella foreste pluviale.
La sua prima, vera ragazza era stata Francesca, una sua compagna, in quarta superiore. Non troppo alta, mora e formosa. Un po’ volgare, sicuramente, ma lui non sembrava farci molto caso. La prima ragazza è pur sempre la prima ragazza e Alberto si crogiolava nella vita di coppia come se gli si fosse aperto un mondo. E, in un certo senso, era così. Fu con Francesca che Alberto scoprì – ehm – l’arte di rotolarsi sotto le lenzuola in compagnia. Era stato a causa di Francesca che si era scatenato ‘il mostro’, ovvero il terribile umorismo malizioso ed allusivo made in casa Pulcinelli, ed era stato a causa di Francesca che avevo coniato il termine ‘scaldino’. Era chiaro come il sole, infatti, che Alberto fosse ancora cotto di Giulia e l’unico primato di Francesca nel suo cuore era quello di averlo introdotto alla disciplina olimpionica del riscaldamento dei letti altrui. La sua importanza nella vita di Alberto era pari a quella che avrebbe avuto lo stesso scaldaletto di cui aveva preso il nome e ben presto, con l’arrivo dell’estate, anche la sua utilità scemò.
Dopo di lei, fu il turno di Alessia, una tizia alta, bruna, con un sorriso ebete e due meloni nel reggiseno. Ovviamente la sua unica qualità non era l’indossare un cestino per la frutta sotto la maglietta, era anche estremamente intelligente. Motivo per cui,  una volta iniziata la quinta liceo, aveva bellamente piantato Alberto dicendo di aver bisogno di concentrarsi solo sulla scuola in vista della maturità. Aspirava al cento ed era sicura di potercela fare, se solo si fosse impegnata abbastanza. L’orgoglio di Alberto subì un duro colpo; si lamentò per giorni e giorni, incredulo di essere stato scaricato per via dello studio – non potete immaginare quanto fosse divertente ascoltarlo delirare in proposito e, magari, infierire un pochino.
Caso che volle che, tuttavia, solamente il suo orgoglio ne venisse intaccato, perché, come dimostrò l’arrivo di una successiva ragazza, il suo cuore pulsava ancora solo per Giulia, mentre l’amichetto del piano di sotto si invaghiva ciclicamente di altre giovani fanciulle di bell’aspetto. Le rispettava e voleva loro bene... solo non abbastanza da sovrastare i sentimenti che nutriva per Giulia.
La ferita di Alberto fu curata da una seconda Francesca. Questa omonima era forse la più simpatica di tutte le ragazze del mio migliore amico, l’unica con cui avrei potuto, forse, stringere amicizia. Francesca era intelligente, simpatica e paziente. Il suo difetto più grande era quello di essere perdutamente innamorata di Alberto. E quando dico ‘perdutamente’, intendo dire che a causa di questo aveva – o avrebbe - perduto tutta la propria dignità. Ogni parola uscita dalla bocca di Alberto era, per lei, oro colato, e così ogni sua azione, ogni suo comportamento, anche il più infantile. Non si arrabbiava quando erano insieme e lui mi telefonava per fare due chiacchiere e nemmeno sentendolo continuamente nominare Giulia. Poteva bidonarla per giocare a calcio, per guardare la partita, per uscire con gli amici, per vedere un film porno con mio fratello; poteva dirle che non aveva voglia di vederla, che sarebbe rimasto in casa e per poi invece uscire con gli amici; poteva abbracciarmi in sua presenza, fare battute sconce, avrebbe potuto girare nudo per strada. Francesca non se la sarebbe presa. Non con lui. Con me, forse, con Giorgio, con Alan, ma mai con Alberto. Una ragazza del genere era pane per i denti di un ragazzo nella situazione di Alberto che, pur essendosi affezionato a Francesca, continuava ad osservare Giulia da lontano con aria malinconica. Dopo non molto tempo, però, la sua eccessiva flessibilità cominciò a star stretta al signorino Pulcinelli – o meglio, gli stava troppo larga. Il suo bisogno di essere coccolato e viziato era perfettamente colmato dalle attenzioni di Francesca, ma ciò che lui avrebbe voluto era una ragazza che lo mandasse a quel paese senza troppi giri di parole quando lui superava il limite, una che lo tenesse un po’ in riga, che lo facesse penare per farsi perdonare. Fu lui a lasciarla, questa volta, con il caldo consiglio di tirare fuori gli attributi e non farsi mettere i piedi in testa. Un po’ mi dispiacque, perché, come ho già detto, nonostante il suo problemino con l’imposizione di se stessa e dei propri ideali, era una gran brava ragazza, carina e simpatica. Peccato che ci sia rimasta così male per il due di picche di Alberto, che non volle più vedere lui, né qualcuno di noi a lui caro, me inclusa.
Dopo Francesca II, era stato il turno di Clara. Per quanto riguarda questa donzella in particolare, non sarò in grado di dirvi molto. Si incontrarono in discoteca durante l’estate dei vent’anni di Alberto. Quella era stata la relazione più breve che avesse mai avuto. Non avevo nemmeno avuto il tempo di farmi un’idea negativa di lei, ché avevano già troncato di netto. Ricordo solamente che aveva i capelli corti e rossicci, era altissima e aveva un sorriso molto dolce. Alberto era sempre molto vago quando gli chiedevo di lei. Addirittura si rifiutò di darle il mio numero di telefono, quando lei glielo chiese. Questo, assieme ad un paio di episodi di cui non sono a conoscenza, avevano spinto mio fratello Giorgio a credere che Clara fosse molto più simile ad Albi di quanto lui non avesse in un primo momento creduto. Avevano gli stessi gusti, in un certo senso. In altre parole, si supponeva che Clara fosse omosessuale e Alberto avesse preso un granchio enorme. I suoi grugniti e gli strategici cambi di argomento ogni qual volta la conversazione vergeva su di lei non facevano che confermare le ipotesi di mio fratello. Mi chiedo per quale motivo avesse voluto il mio numero...
Ma continuiamo con il nostro viaggio attraverso le relazioni di Alberto Pulcinelli.
Dopo Clara, era stato il momento della breve parentesi chiamata Tanja, una studentessa universitaria tedesca in Erasmus. Alberto incontrò anche lei in discoteca, ma, questa volta, sembrava essergli andata un po’ meglio. Per lo meno aveva azzeccato l’orientamento sessuale, ma per quanto riguarda il carattere, io non ne sarei così sicura.
Tanja era tedesca e, lasciando perdere gli stereotipi, era una ragazza con le palle. Era l’esatto contrario di Francesca II. In un primo momento, Alberto fu felice di aver trovato una ragazza a cui correre dietro, con cui faticare un po’. Tanja non era un cagnolino, era un gatto selvatico. Sapeva essere dolce affettuosa, ma era possessiva e orgogliosa. Non sopportava che Alberto passasse del tempo con altre ragazze, senza la sua supervisione, né che la snobbasse per il calcio o gli amici. Ecco perché la mia idea di intraprendere uno scambio epistolare con lei per migliorare il mio tedesco svanì ben presto: Tanja mi odiava. Ogni volta che Alberto passava a casa mia per fare due chiacchiere con me o Giorgio, doveva portar con sé anche lei, se non voleva essere mandato in bianco per una settimana. Non che questo a noi desse fastidio, ma le occhiatacce che mi rivolgeva ogni volta che aprivo bocca non passavano di certo inosservate. Alberto aveva sempre avuto un forte istinto di protezione nei miei confronti e ben presto smise di portarla con sé. All’inizio fu abbastanza semplice. Tanja si era fidata di Alberto, quando le aveva detto che per lui ero come una sorella e che, soprattutto, Giorgio non gli avrebbe mai permesso di sfiorarmi nemmeno con un dito. Questo sembrò tranquillizzarla, ma poi Giulia tornò dalle vacanze e riprese a frequentare casa mia, come aveva sempre fatto. Questo, al contrario, non le piacque per niente. E come avrebbe potuto farlo? Una nuova ragazza, a lei sconosciuta, frequentava la maledetta casa delle tentazioni. Non una semplice ragazza, per di più, ma la ragazza per cui Alberto aveva una cotta da sempre. Lui non riuscì più scrollarsela di dosso; Tanja riprese a seguirlo quando veniva a casa nostra, ma questa volta palesava la sua insofferenza nei confronti miei e di Giulia con borbottii nella sua lingua madre. Nessuno di noi era madrelingua tedesco, ma tutti e quattro avevamo frequentato un liceo linguistico e studiato quella lingua: qualcosa riuscivamo a coglierlo e non tutto era poi così carino. Alberto rideva forte, in imbarazzo, quando comprendeva qualche cattiveria di troppo. Si sopporta tutto per un amico e, di conseguenza, io portavo pazienza.
Ci fu un giorno, però, in cui mio fratello Giorgio scoppiò. Si mise a camminare avanti e indietro nel salotto, sproloquiando a proposito di stalking e diffamazione. Poi si fermò, guardò Tanja dritto negli occhi e cominciò a sputare fuori tutto ciò che si era tenuto dentro fino a quel giorno. Era stufo di quella ragazza; poteva essere bella quanto Alberto voleva, poteva essere anche simpatica, a volte, ma non poteva intrufolarsi in casa altrui e insultare tutti, non in una lingua che era incorrettamente convinta nessuno capisse.
Tanja ci rimase malissimo. Non trovò alcuna argomentazione per ribattere, riconoscendo forse i suoi errori e non si presentò più a casa nostra. Nel giro di pochi giorni, Giulia troterellava in giro al settimo cielo alla prospettiva di essere stata così coraggiosamente difesa da Giorgio. Questi, dal canto suo, non faceva che ripeterle che stava difendendo solo sua sorella. In tutto ciò, Alberto sembrava particolarmente depresso per lo sviluppo che stavano prendendo le cose: Giulia sembrava ancora più innamorata di prima. Di Giorgio, però. Per sfogare la propria frustrazione, prese coraggio e andò all’appartamento in cui abitava Tanja, per piantarla, ma non fece in tempo. La incontrò a metà strada assieme alla coinquilina. Quando lo vide, lei gli corse incontro con un’espressione truce e lo scaricò senza troppi giri di parole: “Voi italiani non siete persone serie”. Lo accusava di averla solo usata per farsi bello agli occhi delle sue sgualdrine – sì, temo che una di esse fossi io -, di essere un bambino viziato ed egocentrico, che ragionava esclusivamente con l’amichetto del piano di sotto. Non avrebbe combinato nulla nella vita, era destinato a rimanere solo come un cane, bla, bla, bla, avrebbe dovuto imparare a portare rispetto per le donne e a non pensare solamente al calcio e agli amici e “Auf nicht mehr wiedersehen, mein Schatz!”. (*)
Fu un sollievo per tutti. Tranne che per lo stupidissimo orgoglio di Alberto, ovviamente. Lui passò giorni e giorni ad insultarla, incapace di accettare di essere stato battuto sul tempo. Tutto questo, accadde in un paio di mesi, forse tre.
Siamo quasi giunti al termine della lista. Le ragazze indicate sopra, sono quelle che, nel tempo, io ho avuto occasione di conoscere. Non ho mai pedinato Alberto in giro per i locali, tantomeno posso sapere quante volte una ragazza sia entrata in casa sua – o viceversa. Queste sono le relazioni di cui mi ha parlato, quelle più importanti e in cui, in qualche modo, sono stata coinvolta –da lui o da loro.
Quelle di cui vi parlerò da ora in avanti, sono quelle che hanno cambiato le cose.
Dopo Tanja, Alberto passò un po’ di tempo a diffidare delle ragazze, sempre e solo coinvolto in storie poco serie. Era il periodo in cui alla nostra compagnia si era aggiunto Michele, un ventiseienne decisamente fuori corso che frequentava l’università assieme ad Alberto e Giorgo e per cui, lo ammetto, avevo una mostruosa cotta. Nel vano tentativo di combinare qualcosa tra me e il suddetto Michele, Alberto cominciò a trascinarmi in giro con loro. Ebbi modo, dunque, di assistere all’autopresentazione di Silvia Marchesi e di odiarla fin dal primo momento. Esordì avvicinandosi al tavolo a grandi, ancheggianti, falcate, accompagnata dal mio ex, Alan, e dalla sua nuova ragazza, chiaramente la migliore amica. Eravamo in una discoteca, seduti ad un tavolino mentre mio fratello sbaciucchiava una tizia di colore di nome Rachel, che aveva presentato come la sua nuova ‘puffetta’ – squallore e disgusto nell’udire quel nomignolo.
In stile Sandra Dee alla fine di Grease, Silvia aveva preso con sé – leggasi: afferrato con fare rapace - Alberto e l’aveva trascinato in pista, lasciandomi così in balia di due coppiette dagli animi agitati e un Michele in preda ad un forte attacco di ridarella, imbarazzato quanto me nel dover reggere il moccolo. Glissando sulle battutine del mio simpaticissimo ex ragazzo, torniamo a parlare della coppia del momento.
A parte la pessima prima impressione che Silvia mi fece con quel suo microscopico tubino rosso e i tacchi alti almeno quaranta centimetri, ebbi la (s)fortuna di conoscerla meglio e poter così avere la conferma del suo essere la figlia del demonio. Magari non proprio di Satana, ma di uno dei suoi emissari. Ad ogni modo doveva aver qualcosa a che fare con il diavolo, perché non era umanamente possibile che una ragazza fosse così bella. Alta, magra – magrissima! – con tutte le fantomatiche “curve al posto giusto”. Gambe infinitamente lunghe, capelli neri come la pece e perfetti in ogni circostanza, pelle liscia, senza una lentiggine o una qualunque imperfezione, due occhi azzurri in grado di congelare all’istante l’autostima di qualunque ragazza. L’unica cosa che le mancava erano le fossette sulle guance, ma quelle erano inevitabilmente sinonimo di simpatia e spontaneità, elementi che a lei mancavano.
Un demone nel corpo di una dea, Silvia era la pura essenza dello ‘scaldinismo’. Questa volta, però, c’era una sostanziale variante nella direzione dello scaldinismo: sembrava essere Alberto quello che veniva usato a proprio piacimento da Silvia, per dimenticare il proprio ex o fare ingelosire qualcuno o magari solo per noia. Lui si era invaghito di lei – o meglio del suo fisico - a tal punto da lascirsi giostrare come lei preferiva, senza aver mai nulla da obiettare, senza mai opporsi. Era il classico caso in cui un paio di gambe troppo lunghe fanno perdere la testa ad un ragazzo.
Alberto: un nome e una garanzia; quella che si sarebbe sempre trovato la ragazza sbagliata.
La relazione con Silvia segnò l’inizio di una nuova fase nella vita di Albi e di tutti noi. Assieme a lei, arrivò Rachel, tanto per cominciare, ma questo è un problema che non riguarda il nostro caro Pulcinelli. Al contrario, un periodo di crisi familiare lo riguardò eccome. Proprio in quel periodo, Alberto scoprì che suo padre tradiva sua madre. Lo shock fu grande per lui, tanto che per un po’ di tempo non mise più piede in casa propria, trasferendosi invece nella stanza degli ospiti di casa Semi, ovvero la mia. Fu un bel cambiamento per tutti, soprattutto visto che a Silvia non importava un fico secco che la casa in cui faceva visita al suo ragazzo appartenesse a terzi, non si faceva quindi scrupolo a suonare il campanello a qualunque ora del giorno e della notte. Nel giro di poco tempo, inoltre, scoprì che sua madre non solo aveva riaccettato il marito in casa, ma era anche incinta. Un altro duro colpo per Alberto.
Per distrarlo, io e Giorgio organizzammo una vacanza di due settimane in montagna. Avevamo una villetta a due piani e un sacco di camere da letto, dove abitavano i genitori di mio padre. Furono ben felici di accoglierci là. Chiaramente, l’invito alla vacanza, che avrebbe dovuto coinvolgere solo me, mio fratello e Alberto, fu espanso anche anche alle fidanzate e, addirittura, ad Alan (più ragazza) e Michele.
Furono due settimane d’inferno. Per me, almeno. Silvia non ci mise molto captare la mia antipatia nei suoi confronti, acuita dalla caparbietà con cui si ostinava a indossare abitini succinti durante le scampagnate o alla sera, all’aperto, quando la temperatura scendeva vertiginosamente e tutti noialtri (eccezion fatta per la sua compare Laura) mettevamo i giubbotti. Trovò la cosa molto divertente, considerata la mia tendenza a non essere scortese con gli altri, e iniziò a fare dispetti di ogni tipo, durante quella convivenza forzata, e apparentemente accidentali, uniti a frecciatine demoralizzanti, allusioni alla mia conclusa storia con Alan e alla mia incapacità di farmi notare da Michele.
La negatività di quella ragazza non passò inosservata ad Alberto, ma, per qualche motivo, quando si parlava di Silvia non sembrava capace di intendere e di volere. Che ne fosse innamorato davvero era improbabile, conoscendolo, ma se era davvero così, io non ero nessuno per mettermi tra lui e la possibilità di stare con la persona che amava.
Il fatto che lei lo tradisse era noto a tutti, ma lui non voleva saperne. Erano solo dicerie, non era possibile. E, anche se fosse stato, a lui non importava. Non era davvero innamorato, si ostinava a dire, stavano insieme perché si piacevano, ma non sentimentalmente. Quello che sentivo parlare in quei momenti, non era il vero Alberto. Era l’effetto che le suddette gambe lunghe avevano avuto su di lui. Continuavo a chiedermi quando sarebbe rinsavito.
Quella con Silvia fu forse la sua relazione più duratura. Rimasero insieme a lungo, finché, finalmente, non ci furono sviluppi tra Alberto e Giulia. Le mie conoscenze a proposito di questo periodo, sono piuttosto distorte dall’incredibile entusiasmo della mia migliore amica e nondimeno da quello della controparte maschile. In quel periodo io ero in vacanza al Lago di Bolsena con i miei genitori, il mio fratello migliore e le famiglia di alcuni suoi compagni di scuola. Giorgio rimase a casa e, a quel tempo, Alberto stava ancora da noi.
Giulia aveva trovato Giorgio e Rachel intenti a scambiarsi effusioni. Era l’unica a non sapere che stessero insieme, ma, a quel punto, lo scoprì. Scappò via in lacrime, disperata, andando poeticamente a sbattere contro Alberto, che stava rientrando dopo una partita a calcetto. Le chiese cosa avesse e, nel pieno di una crisi isterica, Giulia gli raccontò tutti. Passeggiarono per la città parlando di Giorgio e dei suoi contraddittori messaggi, che Alberto le spiegò non essere per nulla tali, anzi chiarissimi tentativi di non illuderla. Giulia ci rimase male inizialmente, ma apprezzò molto l’improvviso (?) interesse di Alberto e la sua gentilezza. Iniziò a frequentarlo come amico e nel giro di una settimana, lui la baciò e lei ricambiò.
Al mio ritorno dal Lago, a Cesena erano cambiate un bel po’ di cose. Tanto per cominciare, io avevo appianato i rapporti con mio padre, Rachel e Giorgio avevano smesso di chiamarsi ‘puffo’ e ‘puffetta’ – grazie a Dio –, Alberto e Giulia si erano messi insieme e sembravano la coppia più felice del mondo, Silvia era stata bellamente piantata quando lui si era finalmente accorto di avere più corna del padre di Bambi e la nuova arrivata in casa Pulcinelli si sarebbe chiamata niente po’ po’ di meno che Giulia.
La nuova coppia era un piacere per gli occhi e per l’anima. Erano entrambi estremamente belli, Giulia gioiosa come non mai e Alberto finalmente felice di poterla avere tutta per sé. Le cose non sarebbe potuto andare meglio di così, non per loro almeno. Erano innamorati e la dolcezza che esprimeva ogni loro gesto era un toccasana per un’inguaribile romantica come me, che voleva loro così tanto bene.
Vorrei sapervi dire come è andata a finire, ma purtroppo non posso. A quanto ne so, la loro storia continua. Sono passati otto mesi da quando si sono messi insieme, ma, già da ormai sei, io non li ho più visti. Stufa della monotonia della mia vita – che girava intorno alla mia famiglia, ai miei amici. Volevo, una volta tanto, fare qualcosa per me, così – sono partita per un lungo viaggio in Giappone. Ora abito e lavoro come ragazza alla pari a casa di una parente della mia insegnante di giapponese. Rimarrò qui ancora qualche mese e poi, forse, tornerò a casa.
Al mio ritorno, vi farò sapere come stanno le cose.
Momentaneamente Giulia non mi rivolge la parola, offesa dalla mia partenza, ma a giudicare dai racconti via Skype di Alberto, va tutto a gonfie vele.
Vi terrò aggiornati.
 


 
(*) Auf wiedersehen è “arrivederci”. Auf nicht mehr wiedersehen è la mia traduzione totalmente letterale di un “a mai più rivederci”. Mein Schatz sta per “Tesoro mio”.

Ed ecco qui un esperimento. Eva, figlia di Steve e Federica, racconta le avventure sentimentali del suo migliore amico, figlio niente po' po' di meno che di Walter e Benedetta di Rinunce d'amore (e, sì, mi sto autopubliccizando, ma è a fin di bene, per dimostrare che, alla fine, anche quei hanno avuto un lieto fine. Di che parlo? Cliccate e lo scoprirete!) ^^
Come ho già detto, questo racconto è un'esperimento. Era un sacco di tempo che pensavo di far raccontare una storia a qualcuno che ci è dentro ma non ne è il protagonista, ma è una tecnica ancora da appianare. Spero che almeno un po' vi sia piaciuto. :)
  
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