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Autore: Flami Destrangis    28/07/2012    4 recensioni
“Per un attimo le sembrò di aver dimenticato tutto. Il telefono perso, il motivo per cui si trovava lì, le preoccupazioni degli ultimi mesi. Kogoro, Shinichi, Conan, Sonoko.. le sembravano solo nomi lontani. Poi, la realtà tornò a bussare con insistenza alla porta. E per quanto lei non volesse aprire, prima o poi la realtà si stufava di aspettare. Estraeva la chiave di scorta e apriva la porticina della sua mente, irrompendo come un fiume in piena.”
In un giorno di primavera, Conan scompare improvvisamente. L’ultima immagine che Ran ha di lui è quella di un bambino che corre, attirato da una strana Porsche nera parcheggiata nelle vicinanze. Due giorni dopo, il suo corpo viene ritrovato nei pressi del porto. Chi è stato? Ran è sempre più confusa, al dolore per la morte di Conan si aggiunge lo strano e improvviso silenzio di Shinichi. Perché non la chiama più?
Per mantenere viva la speranza di ritrovarlo, Ran decide di partire. Un viaggio alla ricerca di Shinichi, un percorso che la porterà in giro per il Giappone, tra città sconosciute, antichi templi e una leggenda che assomiglia fin troppo alla sua storia. Finché la leggenda non si tramuterà in realtà.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Kogoro Mori, Ran Mori | Coppie: Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Amor condusse noi ad una morte.

Caina attende chi a vita ci spense.”

 

(Dante, Inferno – Canto V)

 

 

6. Il coraggio di credere nella verità

 

Uscirono ben presto dalla città antica, e si avviarono verso al periferia. Ran continuava a guardare fuori dal finestrino, cercando di orientarsi in quel labirinto di vie sconosciute. Con la coda dell’occhio lanciava uno sguardo all’uomo alla guida, che di tanto in tanto imprecava, maledicendo chissà quali divinità ogni qualvolta imboccava la via sbagliata. Forse nemmeno loro erano del luogo.

Non aveva il coraggio di girarsi ed incrociare nuovamente gli occhi dell’uomo biondo, seduto accanto a lei. Si limitava ad osservare il riflesso di lui sul vetro. Stava immobile, le braccia conserte, guardava fisso davanti a sé. Tutto quello che Ran poteva sentire era quell’odiosa puzza di nicotina e alcol, impregnata in ogni singolo angolo della vettura.

Alla fine, giunsero a destinazione. O almeno, così pensò la ragazza, dal momento che la macchina si era fermata.

“Scendi.” le ordinò il capo, smontando a sua volta. Ran non fiatò, limitandosi a fare ciò che le era stato richiesto. Una volta fuori, i suoi dubbi furono confermati. Si trovavano in un vicolo buio, contornato da alti palazzi che impedivano ai raggi del sole di filtrare fino a terra. Davanti a loro si stagliava un edificio abbandonato, decorato da qualche crepa. Ad un’analisi più attenta si dimostrava davvero pericolante. Le finestre erano sbarrate e, dove non lo erano, si potevano osservare in bella vista le persiane abbassate. Una serranda appena sollevata da terra sbarrava la porta d’entrata.

No, Shinichi non poteva essere lì. Quegli uomini l’avevano tratta in trappola. Ma di che si stupiva? Lo sapeva benissimo che correva quel rischio. Cosa volevano farle? Erano due uomini, molto più alti e robusti di lei. Il karate non l’avrebbe salvata. Sperò solo che non avessero intenzione di fare quello. Rabbrividì, e si massaggiò automaticamente le braccia per cercare di frenare la pelle d’oca.

L’uomo biondo doveva aver capito i suoi pensieri. Lo vide sorridere, mentre osservava il suo gesto e il suo sguardo che cercava di mascherare l’apprensione e la paura. Ma in fondo, era stata lei a cacciarsi in quel guaio. Sapeva i rischi  a cui era andata incontro.

Con una pedata l’uomo grosso, che da quanto aveva capito di faceva chiamare Vodka, sollevò la serranda a sufficienza per permettere loro il passaggio. Poi la prese per un braccio e la buttò dentro con violenza, tanto che Ran faticò a restare in piedi.

All’interno regnava il buio più assoluto, eppure i due uomini si muovevano agilmente. Dovevano essere già stati lì. Quello grosso la caricò sulle spalle, mentre lei iniziava a scalciare e strepitare, tirandogli pugni sulla schiena totalmente alla cieca.

“Ehi, capo, questa qui è violenta!” disse sghignazzando. L’altro non sembrò gradire la battuta.

“Zitto e scendi queste dannate scale.” fu la sua risposta.

Ben presto arrivarono in quella che doveva essere una sala sotterranea. Ran sentì lo scatto di un interruttore e la stanza fu inondata dalla luce. Non ebbe tempo di alzare lo sguardo che quel bestione la scaraventò a terra. Nell’urto si scorticò il gomito. Si alzò a sedere, notando di aver lasciato una piccola striscia rossa sul pavimento: la sbucciatura doveva essere abbastanza profonda. Sentì un forte bruciore.

La stanza era spoglia. Nessun mobile, a parte un grosso armadio chiuso con un lucchetto, situato giusto vicino alla porta da dove erano entrati. Per il resto, assolutamente niente. Sembrava di stare in un capannone abbandonato: un po’ come quelle vecchie fabbriche ormai smantellate.

Si sentì improvvisamente tirare per un braccio e fu costretta a rimettersi in piedi. Scalciò nel tentativo di sfuggire alla presa dell’uomo con gli occhiali. Ma era troppo forte per lei.

Nel frattempo, l’altro uomo le si era avvicinato. Teneva una pistola nella mano sinistra, puntata verso il pavimento. Ran si chiese per quanto ancora quell’arma sarebbe rimasta puntata verso il terreno. Istintivamente, cercò di indietreggiare, ma la sua mossa ebbe solo l’effetto di far rafforzare la presa dell’energumeno.

“Allora, cara la nostra signorina. Si può sapere perché stai cercando Shinichi Kudo? E’ una storia vecchia, e non vale la pena muovere le acque. Non trovi?”

La voce dell’uomo biondo faceva gelare il sangue nelle vene. Ma il nome di Shinichi le aveva dato coraggio. Cosa avevano fatto quelle persone al suo amico? L’uomo la fissava con quei suoi occhi verdi. Ancora quel fetore di alcool e nicotina. Lo odiava. Con tutta se stessa. Non aveva più paura, provava solo rabbia. Senza nemmeno pensarci, sputò per terra.

“Va all’inferno.” sibilò. Non avrebbe detto una parola su Shinichi, non avrebbe permesso loro di trovarlo. A costo della vita.

Un lampo di stizza attraversò gli occhi del suo aguzzino. Poi, Ran sentì la canna fredda della pistola poggiata sotto al mento.

“Provaci di nuovo e ti faccio saltare in aria questo bel visino.”

Deglutì, cercando di fermare il tremito che aveva iniziato a correre su e giù per le gambe. Si era sbagliata. Aveva paura. Sì, ma chi non ne avrebbe avuta al suo posto? L’importante era trovare il coraggio e la fermezza. Cercò di prendere tempo.

“Che cosa volete sapere?” chiese, tutto d’un fiato. La bocca si era fatta ormai secca.

Shinichi Kudo non c’è più da più di un anno ormai. E non ci va a genio che tu vada in giro a parlare di una faccenda scomoda. Per cui …” lasciò volutamente in sospeso la frase, avvicinando l’indice sinistro al grilletto.

Ran ormai sudava freddo. E quella notizia era stata come un colpo al cuore. Shinichi era morto da più di un anno? Ma com’era possibile? Lei l’aveva incontrato l’ultima volta appena un mese prima della scomparsa di Conan! Shinichi non poteva essere morto, non era vero. Convinta ormai che l’uomo stesse per spararle, chiuse gli occhi e attese. Ormai non sentiva più le gambe tremolanti. Si irrigidì.

“Aspetta, capo. Mi è venuta in mente una cosa.”

La voce profonda dell’uomo con gli occhiali la fece sciogliere di colpo. Le gambe si fecero improvvisamente molli, e sarebbe caduta rovinosamente a terra se quel bestione non l’avesse sostenuta.

Il biondo sembrò infastidito: “Che diavolo c’è, Vodka? Sbrigati, mi sta prudendo il dito dalla voglia di premere il grilletto.”

Il compagno si affrettò a spiegare, volendo evitare di far innervosire ancora di più il suo capo. Nel frattempo, Ran cercava di riprendere fiato. Non aveva respirato per tutti quei secondi di silenzio, in cui credeva che davvero sarebbe finita all’altro mondo.

“Ti ricordi il bambino dell’altra volta, Gin?”

“Cosa vuoi che me ne freghi di un bambino, ora?”

Era davvero stizzito: Vodka valutò se continuare o meno. Alla fine, dato che ormai si era imbarcato, optò per iniziare a remare.

“Il bambino di Tokyo. Quello che abbiamo incontrato nei pressi di Beika e che ci ha seguiti fino al porto. Saranno stati due mesi fa.”

Ran sentì nuovamente un tuffò al cuore. Un bambino? Tokyo? Beika? Due mesi prima? La Porsche nera? I due corvi? Quegli uomini? Il porto?

Tutte immagini che diventavano vive nella sua mente, una dopo l’altra. Scorrevano veloci come pagine strattonate dal vento. E poi, una figura su tutte, netta, chiara, nitida come non mai: quella di Conan. No, non era tutta una coincidenza. Tra Conan e quegli uomini c’era un legame. Tra Shinichi e quegli uomini c’era un legame. Tra Conan e Shinichi c’era un legame. Ed anche stretto. Che motivo avrebbe avuto Conan per seguire quegli uomini? Era sveglio, sì, ma era pur sempre un bambino. E quelli non sembravano dei criminali dilettanti. Maneggiavano armi e sapevano come mettere alle strette le persone. Si chiamavano con nomi in codice e vestivano alla stessa maniera. Dovevano appartenere ad un’organizzazione più ampia.

Gin sembrò capire. Inarcò le sopracciglia, come per riflettere. Continuava a tener puntata la pistola su Ran.

“Quel bambino, è vero. La somiglianza con Shinichi Kudo era notevole.”

Sì, la loro somiglianza era davvero notevole. Non solo fisicamente, ma anche nei modi di fare. Nel modo di atteggiarsi, di parlare, di ribattere ad un’affermazione, nel modo di mangiare, di ridere, di arrabbiarsi, di fingersi imbronciati: Ran rifletteva su tutto questo e considerava le cose sotto una nuova luce. Paradossalmente, non sentiva nemmeno più la pistola puntata su di sé. Era troppo presa dai suoi pensieri. Troppo sconvolta da una verità che stava cominciando pian piano a manifestarsi.

Nel frattempo, Gin aveva ripreso a parlare, sorridendo beffardo: “Ma che pensiero stupido, Vodka. Un adolescente non può essere contemporaneamente un bambino. Nemmeno Houdini era capace di simili trucchi.”

Era davvero impossibile? Ran non ne era più così sicura. Conan era comparso  quando Shinichi era sparito. Conan aveva uno stretto rapporto con il dottor Agasa. Conan era straordinariamente intelligente per la sua età. Conan era fin troppo autonomo per la sua età. Conan che non c’era mai quando Shinichi veniva a trovarla. Conan che non c’era mai quando Shinichi le telefonava. Conan che aveva seguito quei due uomini, che era scappato un giorno, di punto in bianco, così come aveva fatto Shinichi.

D’improvviso, un’immagine le attraversò come un flash la memoria. L’omicidio del Luna Park, proprio il giorno della “scomparsa” di Shinichi. Ecco dove aveva visto quei due uomini che amavano chiamarsi con nomi di superalcolici. Erano saliti sulla loro stessa giostra e avevano una gran fretta di tagliare la corda. Erano loro che il suo amico aveva seguito? Non trovava altra soluzione.

Conan era comparso quando Shinichi se n’era andato. E con Conan, si era improvvisamente zittito anche Shinichi. E poi c’era qualcosa, qualcosa che Agasa, Ai, Heiji e Yukiko sapevano, ma che non avevano voluto rivelarle. Cos’erano quelle misteriose frasi dette a metà? Qualcosa tipo “è meglio l’incertezza della sicurezza”? Come se loro si fossero ormai rassegnati sulla sorte di Shinichi. Come se lui fosse morto con Conan.

Fu un attimo. Una specie di intuizione sovrannaturale, che le chiarì una verità totalmente paradossale, che sfiorava l’assurdo. E bisognava avere coraggio per credere in quella verità. Era come essersi scervellati a lungo su un problema e, tutto d’un tratto, arrivare alla soluzione, maledicendosi per essere stati così stupidi da non esserci arrivati prima. Urlare “Eureka!”, come aveva fatto Archimede, capire ciò che ci è sempre davanti agli occhi.

Come aveva potuto non capire quegli sguardi che Conan a volte le riservava? Come aveva potuto non capire la voglia di proteggerla che manifestava nella maggior parte delle occasioni? Come aveva potuto fraintendere il suo diventare rosso ogni volta che lei lo abbracciava? Come aveva potuto essere così cieca, sorda, così stupida, avere la mente talmente annebbiata dall’abitudine alla normalità da non trovare una soluzione che andasse oltre ciò che comunemente vedeva?

Conan era Shinichi. E lei stava cercando un fantasma.

Non le importava come avesse fatto a tornare bambino. Sapeva solo che era così. Era stato tutto chiaro, in un solo istante. Ma quegli uomini c’entravano. Loro avevano rovinato la vita di Shinichi. E stavano distruggendo la sua.

Vendetta. Ecco cosa provava in quel momento. Un vivo, ossessivo desiderio di vendetta, che si diffondeva come linfa vitale nel suo corpo. Chi commette ingiustizia merita di subirne una peggiore. Guardò fisso negli occhi l’uomo biondo che aveva di fronte. Tutto quel male che aveva commesso.. lei glielo avrebbe ritorto contro. Sì, ecco cosa avrebbe fatto.

Ran non ragionava più, la sua mente ottenebrata dall’ira e dal rancore pulsava, animata da un desiderio quasi animale. Voleva fare giustizia da sé, una giustizia più simile a quella fra bestie che fra esseri dotati di ragione. La rabbia è follia, e l’odio perpetuo è pazzia. Il risentimento non la faceva più ragionare. Dov’era finita la Ran dolce, solare, buona e gentile di solo qualche ora prima? Era stata soppiantata nell’arco di qualche secondo da una donna aggressiva, risoluta, ferma nel suo proposito di vendetta. Sentiva che niente l’avrebbe più fermata. Ma non aveva molto tempo, doveva agire in fretta. Prima che Gin sparasse.

Shinichi non è morto.” disse piano, quasi scandendo le parole. La sua voce era priva di sentimento: sembrava un automa. Gli occhi vitrei non lasciavano trasparire emozione alcuna.

“L’ho visto.” continuò imperterrita,notando che lo sguardo dell’uomo si faceva interessato.

“Quando?” chiese quello, di rimando.

Hai abboccato, pensò.

“L’ultima volta un mese fa. Poi, è sparito. E’ per questo che ho iniziato a cercarlo.”

L’uomo ripose in tasca la pistola. Fece cenno al compagno di lasciare la presa sulla ragazza. Non appena Ran fu libera, si sgranchì le braccia, che formicolavano. Ma fu un attimo: Gin l’afferrò per l’avambraccio destro con tanta forza da farle male. Avvicinò il suo viso a quello della ragazza, facendole sentire tutto il fetore minaccioso del segugio.

“Se stai mentendo per cercare di aver salva la vita, sappi che non ti servirà a molto.”

Ran si mantenne lucida. Non aveva più paura. Non aveva più niente da perdere.

“Non sto mentendo.” disse sprezzante, “Non ne avrei motivo.”

Gin mollò la presa, facendola barcollare. Riuscì in qualche modo a mantenere l’equilibrio. Aveva sull’avambraccio i segni rossi di quegli artigli.

“Perché non collaboriamo? Stiamo cercando la stessa persona.”

L’uomo biondo si accese una sigaretta, senza calcolare minimamente la sua frase. Forse fu per quello che l’altro si sentì autorizzato a parlare: “Ehi ragazzina, come ti permetti di…

“Sta zitto, Vodka. Sentiamo cos’ha da dire.”

Fece un cenno con la testa, come per autorizzarla a parlare. Ran strinse i pugni. Quell’uomo sapeva di avere un vantaggio su di lei: quello di poterla fare fuori in qualsiasi momento.  Doveva agire nella maniera giusta. Ogni errore le sarebbe stato fatale.

“Potrei esservi utile. Shinichi è un mio amico di infanzia, lo conosco sin da quando eravamo in fasce. Entrambi lo stiamo cercando: insieme possiamo arrivare a lui.”

Gin mordicchiava la sua sigaretta, continuando a fissarla. Buttò fuori il fumo.

“C’è una cosa che non mi convince. Non penso che stiamo cercando quel detective per lo stesso motivo.”

“Diciamo che il fine comune è a grandi linee lo stesso. A me importa solo ritrovare Shinichi. A qualsiasi mezzo.”

Ran sperò di averli convinti. Cercava di mantenersi fredda e calma.

I due uomini si lanciarono uno sguardo. Il bestione non osava parlare. Quella era una decisione importante e le decisioni importanti spettavano al capo. Si limitò ad accendersi a sua volta una sigaretta e aspettò che Gin prendesse la parola. Quello fece qualche passo verso Ran. Sputò fuori la sigaretta, pestandola sotto il tacco dei suoi stivali.

“Perché no.” disse alla fine, “diventerai una di noi. Almeno fino a quando ci servirai.”

Le ultime parole suonarono come una minaccia, ma Ran non le calcolò. Perché nella sua mente era lei che si sarebbe servita di loro, fino a mettere in atto la sua vendetta. Doveva solo cogliere l’occasione giusta.

Loro avevano ucciso Shinichi. Lei avrebbe ucciso loro.

Non rispose nemmeno. Il suo assenso era sottointeso. L’uomo biondo le voltò le spalle e si avviò verso l’uscita. Sembrava soddisfatto.

“La nostra nuova compagna ha parlato un po’ troppo. Falle fare un riposino, Vodka.”

Ran non fece nemmeno in tempo a girarsi. Sentì un forte colpo alla testa. Poi tutto prese a girare vorticosamente, come in una spirale infinita.

E fu quello l’inizio della fine.

 

 

 

 

Angolino autrice:

Ed ecco qui il sesto capitolo.. ok, so che le cose stanno prendendo una piega decisamente strana, ma il mio inconscio mi ha guidato in questo senso mentre scrivevo .. spero che il capitolo vi sia piaciuto :)

Vorrei ringraziare chi ha recensito il capitolo 5, cioè Aya_Brea Silver Night IAm_SlightlyMad magakagirl 88roxina94 AliHolmes.. grazie mille davvero! Scusate ma oggi sono un po’ di fretta, per cui non riesco a ringraziare personalmente chi ha la storia tra le preferite, ricordate o seguite.. vi mando un abbraccio e un ringraziamento generale!

A  presto,

Flami

  
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