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Autore: kenjina    30/07/2012    4 recensioni
Non fu il dolore fisico che gli procurò quello strazio assordante, né la carezzevole consapevolezza che sarebbe morto in pochi minuti. Morire significava liberarsi dal peso opprimente di un fardello che non era riuscito a sopportare e che ora lo stava schiacciando, per lasciarlo finalmente libero dalle angosce e dai tormenti. Aveva sempre immaginato la sua morte e sapeva che sarebbe stato in battaglia. Sarebbe caduto da soldato, davanti le mura della sua amata città, per difendere con onore il suo popolo dalle armate nemiche che giungevano come un'ombra da Est. La sua morte sarebbe servita per salvare le terre che lo avevano visto crescere, per dare una possibilità alle future generazioni di vivere una vita lontana dalle tenebre e dalle paure.
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Boromir, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Foreste di Betulle; giardini di Pietra.'
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Buona inizio di settimana a tutti, miei cari lettori e adorate lettrici.

Questo è, al 90%, il penultimo capitolo. Non nasconderò il fatto che sono un po' in ansia, sia per la paura di deludere le vostre aspettative sia perché questa storia sta volgendo al termine.

Ma lascerò le lacrime per il prossimo capitolo, per ora godetevi questo!

Ah, quasi dimenticavo! Complimenti a mamie per aver trovato la citazione di De Andrè! Per chi se la fosse persa la frase è questa: Quando ho incontrato Brethil credevo che la mia vita sarebbe finita quel giorno, che non ci sarebbe stato ritorno. La canzone è La Guerra di Piero.
A presto,
Marta.

                                                                                                                                                                                                   

 

Betulla


14.

25 Marzo 3019 T. E.

 

 

Era una gioia talmente intensa che quasi gli faceva male il petto. Intorno a lui le grida di felicità e sollievo si levavano con forza dalle gole arse dei soldati in festa.

Frodo ce l'aveva fatta.

Frodo aveva distrutto l'Unico Anello e Sauron era caduto.

Cosa c'era di più bello della sensazione dell'Ombra più grande che veniva sconfitta, una volta per tutte?

Boromir chiuse gli occhi ed inspirò l'aria di libertà che era ora finalmente respirabile ovunque, intorno a loro.  La sentì nei polmoni, nella mente, nel cuore e nelle vene. Provò la piacevole emozione di essere pace con se stesso e si ritrovò a ridere da solo, come un povero, vecchio pazzo. Si guardò intorno e vide Brethil, inginocchiata e stremata, mentre accanto a lei Nerian le accarezzava il viso con il muso. Sembrava incredula quanto lui e il resto dell'esercito. Ma lei, più di tutti, aveva temuto che quell'impresa non venisse portata a termine, per causa sua. Aveva vissuto l'ultimo anno della sua vita con l'angoscia di aver liberato l'essere che avrebbe distrutto ogni speranza, e invece ecco la prova tangibile che il sogno di suo padre, e poi il suo, era stato davvero profetico.

Boromir combatté contro l'impulso di abbracciarla e di ridere finché avesse perso le forze perché la vista delle sue lacrime lo bloccò. Brethil piangeva, piangeva quasi con disperazione. Non seppe dire se fosse per il sollievo o per la tristezza di non poter festeggiare con l'amico perso solo qualche giorno prima. Ma quei singhiozzi ebbero il potere di fermare ogni suo gesto. Rimase imbambolato, mentre la donna stringeva il collo del suo cavallo e affondava il viso sulla sua morbida criniera castana, e si voltò solo quando percepì una mano forte stringergli la spalla. Trovò il volto di Aragorn stanco e provato, ma sorridente come mai l'aveva veduto. Era il ritratto vivente della felicità. Si abbracciarono fraternamente e a loro si aggiunse Pipino, risvegliatosi dal brutto colpo che aveva subìto in battaglia e che lo aveva messo fuori gioco.

«Dov'è Gandalf?» chiese lo Hobbit, con le lacrime agli occhi.

«È andato a riportare a casa Frodo e Sam.» disse Aragorn, con la voce rotta dalla commozione. Era tutto talmente bello che pareva irreale. Pipino temette quasi di respirare, per paura che quella splendida sensazione di libertà potesse svanire da un momento all'altro. Poi, nonostante la fatica e il dolore, il piccoletto riuscì a trovare anche la forza di saltare e cantare dalla gioia e Boromir rise e cantò con lui.

 Poco più in là Legolas e Gimli, stanchi ma in piedi, camminavano tra i cadaveri, insieme ai gemelli di Rivendell, per contare i caduti e controllare se ci fossero superstiti. I Capitani partiti da Minas Tirith erano sopravvissuti, ma molti dei loro uomini giacevano senza vita nella desolazione del Morannon. Del Nemico, invece, non c'era più traccia. Gli Orchetti e gli Uomini ch'erano rimasti in vita avevano iniziato a disperdersi velocemente; alcuni riuscirono a scappare, in preda al panico, altri vennero catturati e resi prigionieri, affinché venissero usati per ripulire il sangue versato e dare una sepoltura decorosa ai caduti.

Aragorn aguzzò la vista e vide le Aquile tornare dal Monte Fato con due fardelli tra gli artigli. Non poté frenare l'ennesimo sorriso. Sollevò al cielo Andúril e gridò con tutto il fiato di cui disponeva. «Amici, fratelli miei! Che questo giorno sia ricordato e festeggiato come il più lieto della Terza Era! Il giorno in cui i popoli liberi della Terra di Mezzo hanno sconfitto il Signore delle Ombre grazie al coraggio di due Hobbit della Contea!» I soldati risposero con canti e squilli di trombe, osannando l'Elessar e tutti i Mezzuomini che calpestavano la loro bella terra.

Quando il futuro Re di Gondor si voltò verso Boromir, lo vide avvicinarsi ad una figura china su un cavallo e nel momento in cui la riconobbe non poté nascondere lo stupore che si fece largo tra la felicità. Era davvero Brethil quella piccola donna avvolta in un mantello sporco di sangue e fango?

Il Sovrintendente si fermò a pochi passi da lei, che alzò lo sguardo nel sentirsi osservata. Incontrò quegli occhi limpidi, lavati da ogni preoccupazione e ombra, così luminosi e fieri da farle rompere qualsiasi indugio. Boromir era lì, di fronte a lei.

Ed era vivo.

Si ritrovò tra le braccia dell'Uomo prima ancora che potesse rendersene conto. Lui lasciò cadere scudo e spada nel momento in cui lei gli si gettò contro, e la strinse a sé con forza, nascondendo il volto tra i suoi corti capelli neri e riassaporando la sensazione di averla nuovamente accanto. In quel momento non gli importò perché li avesse raggiunti, né come avesse fatto a non farsi scovare. C'era spazio solo per lei, nella sua mente.

«È finita?» mormorò lei, incredula. «È finita davvero?»

«Sì, lo è. Abbiamo vinto.» Boromir sorrise, asciugandole le lacrime dalle guance sfregiate e poggiò la fronte contro la sua. «Abbiamo vinto e non devi più preoccuparti di alcuna profezia, Brethil. Né io sentirò più quelle terribili voci, finalmente.»

Lei rise e pianse, non riuscendo a trattenere tutta quell'emozione che sembrava volerle lacerare l'anima. Gli circondò il collo con le braccia e lo abbracciò ancora, con la punta dei piedi che sfiorava appena il terreno. Rimasero fermi in quell'abbraccio per quelli che parvero minuti interminabili, mentre attorno a loro la festa continuava. Furono interrotti solo da Pipino, che s'infilò tra i due prendendoli per mano e ballando gioiosamente, suscitando l'ilarità di chiunque li vedesse ed udisse.

Nell'infinita gioia, Boromir prese lo Hobbit in braccio e lo sollevò un paio di volte, riprendendolo al volo e baciandolo tra i capelli riccioluti. Brethil rischiò anche di essere colpita da un piede peloso volante, se non fosse stato per la sua prontezza di riflessi. Sentì una mano sulla spalla e appena si voltò incontrò gli occhi grigi di Aragorn, che non le diede il tempo di parlare. Si abbracciarono in silenzio, perché non esistevano parole in quel momento che potessero esprimere ciò che stavano provando: la felicità di aver vinto una guerra così importante e la tristezza delle numerose ed importanti perdite di quei giorni funesti.

Dalle spalle di Aragorn, la donna si accorse della brutta ferita sul capo di Boromir e sciolse l'abbraccio, avvicinandosi all'uomo.

«Siedi un attimo e seda la tua gioia per qualche istante.» gli disse, con voce ferma, indicando con lo sguardo la tempia sanguinante. «È da medicare prima che s'infetti.»

Boromir tentò di replicare, ma Pipino si mise le mani sui fianchi, crucciando la fronte. «Non voglio sentire scuse, mio signore. Fai come ti è stato ordinato, o mi vedrò costretto a prenderti per un orecchio e farti sedere a forza!» esclamò lo Hobbit, sotto lo sguardo stralunato dei presenti.

L'unico che rise, poiché aveva capito chi stesse imitando, fu proprio il Gondoriano. «Ioreth maledirà te e la tua discendenza, se ti farai scappare qualcosa di simile nelle sue vicinanze.»

Pipino si strinse nelle spalle. «A meno che dama Brethil non l'abbia portata in viaggio con sé, per ora posso dirmi al riparo da qualsiasi ritorsione.» disse, strizzando un occhio.

«A proposito.» fece una voce, appartenente ad Éomer, nuovo Re di Rohan. «Tu non dovresti trovarti a Minas Tirith?»

Lei rizzò la schiena, assumendo la rigida espressione che aveva sempre indossato da quando aveva intrapreso quella vita. Chiamò Nerian con un fischio e il cavallo fu prontamente da lei. Slacciò la borsa dalla sella e si chinò su Boromir, che ora la fissava intensamente, in attesa di una spiegazione.

«Dovresti conoscermi, ormai, Éomer. Non mi si può ingannare tanto facilmente.» rispose Brethil, bagnando un fazzoletto con dell'acqua per pulire la ferita. Ricambiò lo sguardo contrariato dell'Uomo, ma non aggiunse altro.

«Oh, lo so bene, eccome. Tu e mia sorella dovreste essere legate ad un albero per sperare di tenervi a bada.» replicò Éomer, ora sorridendo. «Sono felice di vederti in piedi sulle tue gambe, amica mia. Anche se un po' ammaccata.»

«Neanche tu mi sembri tanto in forma.» Brethil ricambiò il sorriso. «E no, neanche legandoci con corda elfica potresti ammaestrarci, Re di Rohan.»

«Come hai fatto ad eludere la sorveglianza delle sentinelle?» domandò improvvisamente Boromir, mentre Pipino raccoglieva la sua spada e lo scudo e glielo porgeva accanto. Per quanto avesse cacciato dalla mente ogni spiegazione, ora che gli si presentava la possibilità di sapere voleva scoprire tutto: sia quale follia l'avesse spinta a seguirli e, soprattutto, come avesse fatto a passare inosservata.

La donna incrociò le braccia, sollevando le sopracciglia. «Boromir, il tuo scetticismo mi offende oltremodo. Quando voglio so essere un'ombra.» Catturò un veloce sguardo orgoglioso di Aragorn, ma si impose di non sorridergli. Avevano iniziato quella piccola battaglia di fierezza e non era ancora pronta per cedere.

«Ora ricordo... eri tu il Ramingo silenzioso della notte scorsa, insieme ai gemelli di Imladris.» Gli occhi di Boromir si strinsero in una linea sottile, puntandole un dito contro. Persino da seduto riuscì a sovrastarla con la sua mole «Ti sei presa gioco di me!»

Lei scosse il capo. «Fino a prova contraria voi vi siete presi gioco di me. O la mente m'inganna?» domandò, ora rivolgendosi ad Aragorn.

«Ricordi bene, amica mia.» fece l'Elessar, chinando il capo. «E spero sarai pronta a perdonarci, dopo che avrai udito le nostre motivazioni.»

«So già cosa ti abbia spinto a tenermi indietro, Aragorn. E lo apprezzo. Ma nonostante io sia qui, oggi, questa volta i Valar hanno deciso di risparmiarmi ulteriore dolore. Quanto a te...» Brethil premette più forte il fazzoletto sulla ferita dell'uomo, che gemette contrariato. «Tu mi avresti chiusa in una cella pur di non farmi cavalcare al tuo fianco, e non certo per cavalleria nei miei confronti.»

«Sei ingiusta.» borbottò Boromir, temendo la mano di lei quando la riavvicinò per completare la medicazione. «L'avrei fatto per il tuo bene.»

«Cosa puoi saperne di cosa sia bene o male, per me?» replicò lei. «Sono grande abbastanza da saper prendere le mie decisioni, Boromir. Persino mio padre, quando ero una bambina, mi lasciava libera di scegliere. E da quanto ricordo, non mi risulta che tu sia Aeglos, Dúnedain del Nord.»

Brethil non aveva alzato il tono di voce, ma a Boromir parve che stesse gridando. Aveva imparato, ormai, che quella donna perdesse raramente la pazienza, e le poche volte che ciò accadeva - stranamente sempre in sua presenza - riusciva a farlo rabbrividire. Era vero, non spettava a lui scegliere per lei. Ma possibile che fosse così ottusa da non capire che aveva agito solo per proteggerla? Ed era stata così stolta da mettersi in viaggio da sola, con una spalla lussata, nel mezzo di una guerra, quando il territorio che avevano attraversato in settemila pullulava di nemici! «Stupida ragazzina, mi preoccupo per la tua sorte e questo è il modo in cui ripaghi la mia apprensione? Me ne ricorderò, la prossima volta, stai pur certa.»

«Se ciò ti porta lontano dalle mie decisioni ben venga, Boromir.» sbottò lei.

Aragorn ed Éomer si scambiarono una rapida occhiata ed esortarono lo Hobbit a seguirli e a lasciare che quei due sfogassero il loro astio senza la presenza di spettatori. Peccato, pensò Pipino, si stava divertendo un mondo. E aveva anche in mente di fare il tifo per sostenere Brethil, tanto per vivacizzare la situazione.

«Grampasso disfa-giochi!» mormorò tra sé e sé, beccandosi l'occhiataccia del diretto interessato, che gli tirò un buffetto amichevole sulla nuca.

«Disfa-giochi, eh?» gli disse, con un ghigno per niente promettente. «Vieni con me, messer Peregrino, e servi il tuo Re come si addice ad un vero scudiero di Gondor.»

«Mi vuoi schiavizzare per punizione?» domandò lo Hobbit, preoccupato. «Perché nel caso mi aggrapperò alla tua infinita clemenza.»

«E cosa ti assicura che io sia clemente?»

Pipino rabbrividì sotto quello sguardo improvvisamente duro e serio. Poi udì la risata dei due Re solleticargli le orecchie e si rasserenò nuovamente.

«Non rilassarti troppo, Pipino. Mi serve davvero il tuo aiuto.» riprese Aragorn, ora più dolcemente. «Anzi, servirà di più a Frodo e Sam.»

Il viso dello Hobbit s'illuminò. «Andiamo da loro?»

«Certo. Avranno bisogno delle nostre cure; temo che questo viaggio li abbia portati al limite delle loro forze e dobbiamo affrettarci. Vieni, cavalca con me. Gli altri Capitani ci raggiungeranno presto.» Lo prese in braccio e lo fece sedere sull'ampia sella del suo destriero, raggiungendolo poco dopo.

Fu quello il momento migliore per confidare all'Uomo qualcosa d'importante - e non per altro, non poteva guardarlo negli occhi se non voltandosi. «Sai che ero a conoscenza della presenza di dama Brethil?»

Quello quasi tirò le redini per fermare il cavallo, dallo stupore. «Tu lo sapevi?» chiese, stupito. «Pipino, mi sorprendi.»

«Lo so, sono una delusione. Avrei dovuto dirtelo, ma...»

«Non travisare le mie parole. Mi sorprende che non ti sia fatto scappare neanche una parola per così tanto tempo.» L'Uomo rise e poté immaginare le sue guance andare a fuoco per l'affronto.

«Ho fatto un giuramento, sulla testa di Merry.» disse con orgoglio l'altro. «Non potevo certo rischiare che gli rotolasse giù per il Pelennor. Anche se non saprà mai di aver avuto la vita sull'orlo della mia lingua per ben quattro giorni! Non glielo dirai, vero?»

Aragorn sorrise. «No, non glielo dirò. E lo posso giurare sulla tua testa.»

Pipino non rise. Trovò lo scherzo davvero di cattivo gusto!

 

 

Salire nuovamente in sella di Nerian alle spalle della Dùnadan fu come tornare indietro nel tempo, a qualche settimana prima. Con la piccola differenza che avevano appena finito di discutere e Boromir si sentiva decisamente più a disagio nell'averla così vicina. Non che provasse fastidio, certo; del resto, quello strano formicolio di piacere che stava iniziando a solleticargli la pelle non era tanto male.

Boromir si maledì mentalmente. Certo che lo era, il male! Si trattava di Brethil, la sua ancora di salvezza, la donna che combatteva come un uomo, l'amica migliore che potesse desiderare. Non aveva certo il portamento né l'aspetto di una dama di corte, che neanche si sarebbe dovuta trovare in quel luogo insanguinato ed infestato dalla morte. A ben pensarci Brethil era tutto fuorché una donna appetibile, almeno a prima vista; e non solo per le brutte cicatrici che le deturpavano quello che un tempo era stato sicuramente un bel viso. Era una guerriera indomita come il vento, che aveva passato più tempo a brandire una spada piuttosto che a ricamare - e ciò era ben visibile non solo dai suoi modi di fare, ma anche dalle mani più callose delle sue.

Allora per quale assurdo motivo Boromir ne era attratto come una falena verso la luce di una candela? Perché non poteva negarlo, Brethil lo attraeva. Se fosse per amicizia o altro non voleva saperlo. Lui, che non aveva mai provato alcun tipo di interesse per alcuna donna, se non in giovane età, quando ancora aveva voglia di divertirsi e la guerra era un pensiero lontano; lui, che avrebbe saputo spiegare qualsiasi tattica di guerra anche al soldato più ottuso, ma non sapeva come maneggiare il carattere di una femmina né i sentimenti che provava per lei; lui che era il Sovrintendente di Gondor ed era quasi ovvio che la sua possibile compagna dovesse essere alla sua altezza, bella ed elegante. Eppure, perché non riusciva ad immaginare una figura più diversa da lei che potesse essere di suo gradimento?

Ora più che mai rimpiangeva l'assenza del fratello, a cui avrebbe potuto chiedere consiglio per far chiarezza in tutta quella confusione che gli albergava in mente, e magari lavare quelle stupide idee che lo stavano facendo sentire un perfetto idiota. La possibilità di rimpiazzare Faramir con Aragorn neppure gli passò davanti agli occhi: in qualche modo, trovava imbarazzante parlare di Brethil all'uomo che l'aveva vista crescere. Anche se in realtà trovava più imbarazzante parlare di una donna, in generale - che fosse con il fratello o il migliore amico non faceva differenza.

«Boromir.»

L'Uomo si ridestò dai suoi pensieri, concentrandosi su di lei e ringraziò la provvidenziale presenza della pesante armatura, che almeno gli evitava di saggiare il calore di quella schiena contro il suo petto.

«Se sei ancora adirato per la mia fuga, ti consiglio caldamente di metterci una pietra sopra e di smettere di parlottare. Abbiamo ancora molta strada da fare, prima di poterci fermare. Se continui ti disarciono da cavallo e ci raggiungerai a piedi.»

«Mi pare di averti avvertita, tempo addietro, di non osare darmi ordini.»

Brethil alzò gli occhi al cielo. «Scusami, tendo a scordare quanto poco serva per ferire il tuo orgoglio.»

«Se tu fossi rimasta a Minas Tirith non avremmo mai avuto questa discussione.» tagliò corto lui, stringendo involontariamente le mano contro i fianchi di lei. «Saresti potuta morire, oggi...»

«Sì, se non vi avessi seguito sarei rimasta in vita sicuramente; ma mi sarei sentita anche un animale in gabbia, Boromir. Perché non lo capisci?»

L'Uomo poggiò stancamente la fronte contro la spalla di lei, sospirando. «È così sfiancante farti ragionare.»

«Potrei dire lo stesso.» Brethil gli lanciò un'occhiata sbieca, voltandosi un poco per guardarlo. «Non provare mai più, mai più, a lasciarmi indietro, Boromir. Ho un orgoglio da difendere anche io, se non te ne fossi accorto.»

«Oh, lo avevo notato, amica mia.» borbottò lui, ora più rilassato. «Mi auguro che i nostri attriti finiscano qui, ora. Per quanto mi diverta battibeccare con te, mi mette anche incredibilmente a disagio. Sei una fanciulla, dopotutto.»

Brethil respirò a fondo prima di parlare. «Farò finta di non aver udito il modo in cui mi hai chiamata, soldatino.» Lui, d'altra parte, scoppiò a ridere.

Cavalcarono per il resto della giornata, parlando di quando in quando, ma preferendo godersi i canti di gioia e le risate dell'esercito sopravvissuto che tornava verso Gondor; alcuni di loro erano invece rimasti indietro per dare degna sepoltura ai caduti. Boromir avrebbe voluto tanto avere il suo corno al fianco, per suonarlo in risposta ai numerosi che festeggiavano durante il loro viaggio; ma ormai era andato distrutto settimane addietro e avrebbe dovuto mettersi l'animo in pace.

Si fermarono per la notte ai margini di una delle tante foreste di betulle del Nord dell'Ithilien, laddove Gandalf aveva portato i due Hobbit. Lo avrebbero raggiunto entro il pomeriggio successivo, tranne Aragorn e Pipino, che avevano proseguito la loro cavalcata come se avessero i Nazgûl alle calcagna. Il futuro Re, infatti, non sapeva in che condizioni di salute fossero Frodo e Sam e la sua rinomata arte curativa doveva raggiungerli il più presto possibile.

Mentre Elegost accendeva un fuoco per il gruppo di Raminghi, Brethil si avvicinò silenziosamente, sedendosi accanto ad Elladan, che le sorrise. «Finalmente tutti insieme, ancora una volta.»

Lei annuì, abbassando il cappuccio sulla schiena e poggiando il capo contro il tronco di un albero. «Mi sembrano trascorse Ere dall'ultima volta in cui ci siamo riuniti intorno ad un falò nel mezzo di una foresta.»

«Non è cambiato poi molto da allora.» fece Elegost, prendendo posto accanto a lei. «Eccetto che ad alcuni di noi sia cresciuta la barba nel frattempo.»

«E abbiamo perso qualcuno per strada.» mormorò Brethil, avvinghiandosi le gambe al petto ed abbassando lo sguardo. Il silenzio regnò sovrano per qualche istante e lei si affrettò a porre rimedio. «Scusatemi, non volevo rabbuiare questo giorno di festa.»

«No, non devi scusarti, Brethil.» Elrohir, in piedi accanto al fuoco, alzò lo sguardo al cielo stellato, verso il lontano Ovest. «È un nostro dovere e diritto ricordare il nome di Halbarad. Un amico e compagno degno del nostro più profondo rispetto e amore. Avrebbe dovuto festeggiare con noi, oggi, ma Mandos ha voluto richiamarlo a sé prima che potesse vedere l'alba di una nuova speranza. Namaarie, voronwer Halbarad, Taurohtar ar mellonamin, tennaento lye omenta.

«Tennaento lye omenta.» ripeté Brethil, con una mano sul cuore e gli occhi lucidi; e così gli altri Dúnedain.

Boromir era indeciso se unirsi al gruppo o starne fuori. Osservò la donna, che pareva essere persa in profondi pensieri, come il resto dei Raminghi, e optò per la seconda possibilità. Non voleva essere l'intruso di Gondor in un cerchio di esiliati, sebbene vi fossero profonda stima e rispetto tra loro. Così si avvicinò ai due membri della Compagnia che ancora lo accompagnavano e che ora discorrevano allegramente con Éomer.

«Beh, è ovvio che l'Orecchie a Punta qui presente non sappia contare.» stava dicendo Gimli, accarezzando con affetto la lama della sua ascia. «Avrà anche abbattuto un Troll, ma le gambe gliele ho falciate io.»

«Il colpo di grazia era mio, però.» ribatté con calma l'Elfo. «Ed equivale almeno a dieci Uruk-hai.»

«Ah! Dieci Uruk-hai!» esclamò il Nano, quasi scoppiando a ridere. «È facile prendersi il merito tutto da solo, quando altre venti persone hanno contribuito ad indebolirlo.» Gimli scosse il capo, profondamente offeso da quella dichiarazione inaudita e andò avanti per qualche minuto ripetendo e borbottando tra sé e sé "Dieci Uruk-hai, ah!".

Éomer scambiò un'occhiata divertita con l'altro Uomo, che gli si sedette accanto con pesantezza.

«Se solo avessimo un boccale di birra per festeggiare.» fece il Re di Rohan, addentando la sua cena con un morso famelico - una misera coscia di lepre del giorno prima. Era affamato, come tutto il resto della compagnia, e dopo aver trascorso un giorno intero tra combattimenti e cavalcate avrebbe mangiato volentieri un Olifante. E non era sicuro che neanche tutta quella carne lo avrebbe sfamato a sufficienza.

«Ringrazia di non averne.» fece Gimli, lisciandosi la folta barba. «Rischieresti di non trovarne neanche una goccia perché la berrei tutta.»

Legolas rise. «Oh, ne troverebbe anche più d'una, amico mio. Ma forse eri troppo ubriaco per ricordare quanti pochi boccali bevesti prima di addormentarti, solo qualche settimana fa, a Meduseld.»

«Ah! Ricordo solo che tu iniziasti a sentire strani formicolii alle dita, ben prima di me!» ribatté acido il l'altro. «E vai a capire come vi ubriacate, voi Elfi. Mai sentito di intorpidimenti per una sbornia!»

Éomer si voltò verso Boromir, che non capiva di cosa stessero parlando. «Tu eri già partito verso Minas Tirith quando questo accadde. Festeggiavamo la vittoria del Fosso di Helm e il Nano ebbe l'idea di sfidare l'Elfo ad una gara di bevute. Fu esilarante, credimi.»

«Devo essermi perso uno spettacolo, dunque. Che peccato!» Boromir sorrise, dando una pacca sulla spalla di Gimli. «Spero mi concederai un bis, amico mio. Farò il tifo per te.»

«E faresti bene! I Nani sono duri come le rocce che scavano, te lo posso assicurare!»

Legolas alzò gli occhi al cielo e scosse mestamente il capo. «Duri anche di boria, a ben vedere.»

I quattro continuarono a chiacchierare finché il Nano non iniziò a russare e anche Éomer diede segni di spossatezza. Boromir, invece, tardò ad appisolarsi. Ma non perché non avesse sonno, bensì perché troppi pensieri gli impedivano di rilassarsi. Ora che era tutto finito e le angosce sarebbero dovute sparire dal suo animo tormentato, si ritrovava ancora una volta in balia di nuove preoccupazioni. Una, più di tutte, si stava insinuando nella sua mente, terrorizzandolo.

Frodo.

Sapeva che l'avrebbe rincontrato, presto o tardi - si stavano dirigendo proprio verso di lui - ma non aveva ancora pensato a come affrontare la situazione. E soprattutto, come affrontarlo. Il loro ultimo commiato non era stato dei migliori e Boromir continuava a vergognarsi profondamente di se stesso e del suo comportamento. Aragorn e gli altri lo avevano capito e perdonato, ma Frodo sarebbe stato in grado di mettere una pietra sopra l'accaduto? Era uno Hobbit, ed in quanto tale saggio e comprensivo. Ma ciò che era successo sulle colline di Amon Hen andava ben oltre la tolleranza. Lo aveva aggredito e lo avrebbe persino colpito se non fosse svanito alla sua vista grazie al potere dell'Anello. Continuava a figurarsi quelle immagini come se fossero accadute solo poche ore prima, le riviveva con angoscia e non riusciva a trovare le parole più adatte da mettere insieme per chiedere il perdono di Frodo e riavere la sua fiducia.

«Dovresti riposare anche tu, Boromir. Rimarrò io di guardia, per qualche ora.» gli disse Legolas, risvegliandolo dai suoi pensieri. «Hai combattuto valorosamente anche oggi, sarai stanco.»

«Lo sono, ma non troverò riposo questa notte.»

L'Elfo lo scrutò per qualche istante, in totale silenzio, e Boromir si ritrovò costretto ad abbassare lo sguardo, a disagio. Per quanto fosse abituato, ormai, alla presenza di quelle strane e belle creature, non riusciva a non provare imbarazzo sotto quegli occhi penetranti che sembravano leggergli gli angoli più segreti della sua mente.

Poi Legolas annuì e sorrise. «Monteremo la guardia insieme, allora. E se ciò potesse alleggerirti il peso di troppi pensieri, potrai parlarmi apertamente.» L'Elfo evitò di aggiungere che sapeva bene che avrebbe preferito un altro interlocutore al suo posto, qualcuno più basso e minuto di lui, con quattro graffi sul viso; ma Boromir era un uomo così complesso e fragile che doveva stare ben attento a ponderare ogni singola parola, ed era certo che quell'azzardo lo avrebbe infastidito.

«Ti ringrazio, Legolas. Ma non voglio ottenebrare questa bella giornata con le mie preoccupazioni. Quando sarà il momento le affronterò da solo.»

Boromir capì di non essere credibile nel momento stesso in cui finì di pronunciare quella frase.

 

 

26 Marzo 3019 T. E., al calare del Sole

 

Pipino parve piuttosto preoccupato. Credeva e sperava di trovare il buon vecchio Frodo e il caro Sam svegli, seppur stanchi, e invece non accennavano a muovere un muscolo. Dovevano essere davvero esausti, questo lo capiva alla perfezione. Ricordava di quanto avesse dormito, dopo la fuga dagli Uruk-hai nella foresta di Fangorn. Sarebbe entrato volentieri in letargo! Ma lui non aveva certo attraversato l'inferno di Mordor, né aveva dovuto trascinarsi dietro un fardello come quello che il suo amico aveva portato al collo. E inoltre, pensò guardandosi le mani, aveva ancora tutte e dieci le dita al loro posto, il che non era qualcosa da sottovalutare.

Quindi si calmò un poco appena Gandalf gli posò una mano sulla testa e lo tranquillizzò con un sorriso. Lo Hobbit ricambiò e l'allegria per cui andava famoso si fece più acuta nel momento in cui udì lo scalpitio degli zoccoli di decine di cavalli, di ritorno dal Morannon. I suoi amici erano finalmente giunti!

Riconobbe per primo il cavallo bianco su cui sedeva comodamente la più stramba coppia di amici che la Terra di Mezzo avesse mai conosciuto. Accanto a Gimli e Legolas c'era Éomer, fiero e serio come sempre. Ma furono i due sul possente Nerian a fargli crescere il sorriso; era incredibile l'affetto che provava per loro. Più si soffermava a pensarci e più si sentiva scoppiare il cuore di felicità. Boromir fu il primo a smontare da cavallo e ricambiò volentieri l'abbraccio che lo Hobbit gli riservò. Alzò uno sguardo preoccupato verso Aragorn, ma quest'ultimo gli sorrise, per tranquillizzarlo. Frodo e Sam erano vivi, e ciò bastò a calmarlo un poco.

Brethil sussurrò qualche parola elfica a Nerian, che sembrò capirla come sempre e si allontanò per la foresta, forse per cercare qualcosa da mangiare. Accolse Pipino con un sorriso sincero, accarezzandogli i capelli indiavolati, e lo Hobbit si sentì così felice nel vederla serena per la prima volta dal loro incontro, tanto da iniziare a saltare e cantare tra i Raminghi e il resto dei soldati.

Legolas e Gimli si avviarono verso i giacigli su cui riposavano Frodo e Sam, e così fecero anche gli altri tre. Per Éomer e Brethil quella era la prima volta che vedevano gli Hobbit che avevano salvato le sorti della Terra di Mezzo, e pur non potendo parlare con loro provarono un profondo rispetto, soprattutto nel rendersi conto delle numerose ferite che entrambi riportavano; nonostante Pipino avesse ripulito con cura i loro corpi sporchi di fuliggine e sangue, sarebbero dovute passare intere settimane prima che quei visi smunti potessero riacquistare un colorito sano.

Brethil spostò lo sguardo dagli Hobbit all'Uomo accanto ad Éomer. Boromir era immobile come una statua, preoccupato per le sorti dei due Mezzuomini, talmente pallidi e sfiniti che a mala pena respiravano. Gandalf li aveva soccorsi per primo e Aragorn aveva fatto il resto al suo arrivo. Entrambi erano più che capaci e consapevoli di poterli salvare e, nonostante tutto, erano ottimisti.

Hanno solo bisogno di qualche tempo per riprendersi, aveva detto Gandalf con un sorriso rassicurante. Il che potrebbe richiedere anche dei giorni interi.

Ma la donna sapeva che quell'ombra di inquietudine negli occhi di Boromir non era dovuta solo per la precaria situazione di salute di Frodo e Sam. Aveva imparato a conoscerlo così bene, in quel lasso di tempo trascorso dal loro primo incontro, che poteva quasi anticipare i suoi cattivi pensieri. Ed infatti eccola lì, quell'occhiata tormentata che aveva visto spesso, mentre lasciava il capezzale degli Hobbit e si allontanava nervosamente verso una meta sconosciuta. Forse Boromir sperava che allontanandosi dalla fonte delle sue preoccupazioni queste sarebbero svanite con loro.

Brethil lo seguì silenziosamente e lui non diede segno di accorgersi di lei se non quando si sentì afferrare delicatamente la mano. Si voltò, quasi stralunato per essere stato strappato dalle sue riflessioni, ma si rilassò un poco appena si accorse di chi si trattasse.

Boromir si passò la mano libera sul viso stanco, inspirando profondamente l'aria della foresta. «Mi odierà, vero?»

«Certo che no.» gli disse lei, prontamente, aumentando la stretta, per fargli capire che lei era lì, al suo fianco, e ci sarebbe stata in ogni momento. «Lui per primo sa che potere potesse esercitare l'Anello, sull'animo di chiunque. Capirà che non eri in te, quel maledetto giorno. E se conosco bene gli Hobbit, l'avrà già capito da tempo.»

Il soldato di Gondor si sedette contro un albero, scuotendo il capo. «Avresti dovuto vedere i suoi occhi, Brethil. Erano spalancati dall'orrore. Di fronte a lui c'era un mostro, non un Uomo.»

La donna gli si chinò di fronte, poggiandosi sulle ginocchia di lui per non perdere l'equilibrio - ma forse più per stargli vicino e confortarlo con la sua presenza. «Abbiamo avuto questo discorso tempo addietro, lo hai già dimenticato?»

«No, certo che no. Ma...»

«Allora non c'è alcun bisogno di ripeterci, Boromir.» lo interruppe con decisione. Gli sorrise, accarezzandogli distrattamente le ginocchia con i pollici. «Quell'Ombra che ti controllò quel giorno è svanita per sempre. Non sei più quel mostro, amico mio. Sei semplicemente Boromir figlio di Denethor, Sovrintendente di Gondor, Capitano della Torre Bianca e fidato amico. Troverai il coraggio e le parole per affrontare Frodo, così come hai combattuto valorosamente durante queste settimane.»

Boromir la osservò per qualche tempo, incerto. «Starai al mio fianco?»

«Sarò sempre al tuo fianco.» gli confessò, con un sorriso e le guance leggermente arrossate. «Ma quando arriverà il momento dovrai camminare da solo, tu e lo Hobbit.»

L'uomo deglutì a fatica, con la gola secca. Ma annuì e trovò la forza di sorridere. «Grazie, Brethil. Davvero. Appena torneremo a Minas Tirith organizzerò una festa in tuo onore, e chiederò ad Aragorn di celebrare ogni anno il giorno del nostro incontro. Perché quel pomeriggio la mia vita è cambiata in meglio, ed è avvenuto solo grazie a te.»

La donna non trovò le parole per rispondere e nascose il suo imbarazzo chinando il capo. Gli si sedette accanto e poggiò una tempia sulla sua spalla, per celare il viso alla vista. Poi sorrise, tentando di spezzare il disagio. «Boromir, non credo che una ricorrenza del genere sia adatta a me. Non sono egocentrica come l'attuale Sovrintendente di Gondor.»

L'Uomo, d'altro canto, rise, abbracciandola e baciandola tra i capelli. E per la prima volta, dopo tanto tempo, Boromir si sentì quasi in pace con se stesso. E presto o tardi l'occasione e il tempo per completare quel suo stato di grazia sarebbero giunti, ormai ne era sicuro.

 

 

 

 

*

 

Come per il capitolo precedente, ecco la traduzione della frase in Elfico - siano ringraziati i frasari già pronti!

*Addio, leale Halbarad, Ramingo e amico mio, fino a che non ci rivedremo di nuovo.

Ci leggiamo presto con il nuovo - e immagino ultimo - capitolo.

Grazie per il supporto, davvero.

Marta.

 

 

   
 
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