Pairing: Sebastian/Blaine
Prompt: Addio
Genere:
Sentimentale,
romantico, angst
Rating: Verde
Avvertimenti: One Shot, Slash
Premessa:
Questa
doveva essere per la Sebastian!Sunday ma, per un
motivo e per un altro, non sono riuscita a finirla in tempo. Anzi, l’ho finita
solo perché Robs
non ha fatto altro che dirmi “Non puoi lasciarmi così!” e io mi fido solo di
lei, quindi ringraziatela. Se non fosse per lei, ora Blaine
non sarebbe qui a frignare. u_u
E boh, nulla. Se vi va, fatemi sapere cosa
ne pensate. Io me ne starò qui, a farmi le mie più svariate e solite pippe
mentali. Un bacione a tutti.
Vals
~
Drowned in you
Non si
era reso conto, in tutti quei mesi, di quanto si fosse sentito vuoto senza quel
sorriso sghembo. Non aveva minimamente notato quanto fosse diventato
indifferente a qualsiasi cosa. Solo adesso, entrando al Lima Bean e ricordando
tutte le volte che lo aveva visto seduto a quel tavolo, a sorseggiare il suo
amato caffè corretto, si era reso conto di quanto fosse povero, quel posto,
senza Sebastian.
Non riusciva a rimanere lì dentro più di
due minuti, senza che gli si annodasse lo stomaco.
‹‹Non
cercarmi più.››
Che senso avevano quelle parole, se poi
era lui a non riuscire a dirgli addio?
Lo immaginava continuamente passeggiare
per i corridoi della Dalton e sorridere con quell’ironia particolare che era
solo sua. Lo immaginava così, in ogni suo più banale gesto: si passava una mano
tra i capelli, rideva con quella voce perfetta che gli faceva ruzzolare il
cuore ogni volta, i suoi occhi assumevano quella nota di dolcezza che gli
impediva di parlare, i denti sfioravano appena il labbro inferiore, le dita affusolate
che si aggiustavano con calma il bavero della divisa. Tutte cose banali a
vedersi, ma Sebastian era Sebastian. Lui era capace di trasformare quelle
piccole cose in cicatrici.
Sì, cicatrici.
Ogni ricordo rimaneva impresso in maniera indelebile e dolorosa nella sua mente
e, ogni volta che lui pensava di essersene liberato del tutto, gli bastava
fermarsi a pensare per annegare di nuovo. Annegare nei ricordi e nella bellezza
che rappresentava per lui Sebastian. Bastava un nonnulla, una grafia leggiadra,
all’apparenza identica a quella del ragazzo, una canzone particolare, un
oggetto qualsiasi, a togliergli il fiato, proprio come quando sei sommerso
dall’acqua e non riesci a respirare. Lui era sommerso da tanti pezzi di puzzle,
simili a schegge di vetro conficcate nella pelle. Invisibili, ma dolorose.
Era questo il motivo per cui il Lima Bean
non gli piaceva. Entrare, per lui, significava camminare sui carboni ardenti.
Ma c’era una parte di se stesso che, nonostante il dolore, non voleva
dimenticare e che, nonostante fosse completamente inutile, gli diceva di
aspettare. Aspettare che Sebastian varcasse quella maledetta soglia e
chiedesse, con fare accattivante, un caffè corretto con cognac alla barista.
Magari lo avrebbe fatto sibilando qualche frase in francese, magari la barista
avrebbe sospirato e avrebbe annuito, magari… Magari lui gli avrebbe sorriso
complice, ammiccando, in seguito a quella sceneggiata… E si sarebbero seduti
vicini… E lui avrebbe stretto la mano di Sebastian tra le sue…
‹‹Café lacé avec du
cognac.››
Voce sensuale. Accento impeccabile. Reale
o pura immaginazione?
Lo sguardo di Blaine,
fisso sulla superficie marmorea del tavolo del bar, si sollevò lentamente.
Quasi aveva paura di svegliarsi dall’incanto dei suoi pensieri, di guardare davanti
a sé e non trovare nessuno… nessuno che se ne stesse col gomito poggiato al
bancone del bar, il ghigno sul viso, i lineamenti perfetti, la divisa blu
indosso.
Eppure era lì. O stava sognando, o era
davvero lì… O era impazzito, o stava sognando…
Sogno o realtà?
Sebastian si voltò verso di lui, dopo aver
infilato nel portafogli il resto datogli da una cassiera sospirante. Lo scherno
sul suo volto era già scomparso. Si raddrizzò, tenendo ben stretta in una mano
la sua bevanda, e continuò a sorridere. Sorrideva, non ghignava. Sorrideva
dolcemente, senza maschere.
Blaine serrò
le dita attorno al suo bicchiere, mentre il ragazzo si avvicinava. Il cuore gli
tamburellava dolorosamente nel petto, il nodo alla gola si era accentuato.
Voleva piangere e buttargli le braccia al collo. Mettere da parte se stesso,
essere dannatamente patetico, stringerlo forte.
E invece stette lì a guardarlo, con gli
occhi che gli si facevano più lucidi ad ogni suo passo e il suo nome che
premeva per uscire dalle sue labbra. Ma la gola gli faceva male, stava
trattenendo da troppo tempo quelle lacrime e sapeva che anche un flebile suono,
anche un saluto, lo avrebbe indotto a crollare
definitivamente. Così tacque, lasciò che il tempo scorresse e che
Sebastian si accomodasse di fronte a lui con estrema lentezza, senza smettere
di fissarlo in quel modo, quel modo che lo faceva morire dentro.
«…qui da solo?»
La frase gli arrivò a metà, incompleta,
priva di qualsiasi senso. Continuò a osservarlo col cuore che gli batteva a
mille, mentre il sorriso di Sebastian si spegneva pian piano, attendendo una
risposta che non arrivava.
«Blaine…?»
Sobbalzò. Il suo nome, pronunciato da
quella voce, era un suono troppo bello per essere vero. Voleva risentirlo, gli
dava la forza che gli serviva, lo riportava alla vita…
«Sebastian…»
Una lacrima gli solcò la guancia…
stupidamente.
Sebastian sgranò leggermente gli occhi.
«Ehi… Non…»
Allungò una mano, cercando di raggiungere
la sua, ma Blaine la ritirò, portandola ad asciugarsi
gli occhi, e quella di Sebastian rimase lì, a metà strada, così vicina, ma
comunque lontana.
«Perché sei qui da solo?» domandò
nuovamente, abbassando appena lo sguardo.
Blaine
scosse la testa singhiozzando, entrambe le mani strette a pugno davanti agli
occhi, e allora Sebastian comprese il perché era lì. Sospirò. Si alzò dalla
sedia e si accostò a lui. Gli scostò la mano dal viso, stringendola nella sua,
e lo tirò leggermente.
‹‹Vieni con me.››
Intrecciò automaticamente le dita alle sue
e si lasciò guidare fuori dal locale, completamente dimentico del bicchiere
ancora pieno lì sul tavolo. Si lasciò guidare come un bambino che ha perso la
strada.
Perso…
Questo era, senza Sebastian.
Poteva dimenticare il suo volto e la sua
voce, ma le carezze gli rimanevano impresse sulla pelle, quelle carezze
nascoste dal mondo e quei baci… Dolcezza e amarezza, insieme.
‹‹Non è
giusto.››
‹‹Dobbiamo
smetterla.››
‹‹Non
cercarmi più.››
La porta del locale gli si chiuse alle
spalle e Sebastian si fermò, costringendo anche Blaine
a fare lo stesso. Avevano entrambi lo stomaco annodato. Quella promessa
infranta faceva male. Stare lontani non era così facile e tre parole non
bastavano per concretizzare il tutto. Entrambi erano di nuovo lì, l’uno ad aspettare
l’altro.
Iridi caramellate alla ricerca di sprazzi
di verde luccicante in una distesa color nocciola.
Attendere.
E poi cozzare contro la realtà, vedendolo
lì, per davvero, non più soltanto frutto di un sogno.
Era davanti a lui e gli stringeva la mano…
e gli sorrideva.
‹‹Pensavo non saresti più tornato qui.››
sussurrò a voce bassissima Sebastian, quasi convenendo di riservare quelle
parole esclusivamente a Blaine, quasi stesse
mormorando un piccolo segreto.
‹‹Anch’io…››
Voce tremante, vista oscurata dalle
lacrime, dita serrate attorno alle sue… paura di vederlo sparire.
‹‹Perché sei tornato…? Ti avevo detto…››
‹‹Il caffè di questo posto è inimitabile.››
Sebastian lo guardò tranquillo, i
lineamenti dolci e il pollice che gli sfiorava delicatamente il dorso della
mano. Ma nel suo sguardo c’era molto altro.
‹‹Dio,
quanto mi sei mancato.›› diceva il suo sguardo e il cuore di Blaine aveva stipulato un tacito accordo con esso. Lo
osservava e quello batteva forte, così forte che forse anche l’altro riusciva a
sentirne i guizzi. E magari, era questo il motivo per cui Sebastian, in maniera
inconsapevole e immediata, si era ritrovato più vicino a lui.
‹‹Pensavi davvero che un ammasso di parole
mi avrebbe indotto a non cercarti?››
Non volevano lasciarsi andare, i loro
occhi, erano stati lontani fin troppo e, ad ogni frase, si divoravano tra loro
con fare frenetico. La dolcezza spariva, persino il dolore spariva, lasciando
il posto alla voglia di sentirsi più vicini, sentire un paio di braccia
stringersi attorno al proprio corpo, sentire un profumo, un bisbiglio all’orecchio.
Ma restavano separati, a un passo di distanza, l’uno temendo la fuga dell’altro,
e cercavano di scorgere, nelle loro espressioni, un barlume di speranza.
‹‹Perché…?›› chiese Blaine,
a mezza voce, pur non conoscendo il vero significato di quella domanda che
aveva lasciato le sue labbra. Lottava ancora contro il sogno, si chiedeva
ancora se, da un momento all’altro, i suoi occhi si sarebbero spalancati e avrebbe
contemplato il nulla. Aveva ancora paura di svegliarsi solo.
Eppure le parole che disse Sebastian in
risposta erano troppo vere. Il venticello di fine Marzo era vero, il rumore
delle auto, il chiacchiericcio, il profumo di muffin… e le sue braccia, il suo
calore, il suo respiro a pochi centimetri dal viso…
‹‹Perché ti amo…››
E le labbra, che sfioravano dolcemente le
sue. Quelle erano indubbiamente vere. Non esisteva sogno che fosse così reale,
non esisteva sogno che potesse compensare l’assenza di Sebastian. E con quella
consapevolezza, era tutto più semplice.
‹‹Ti amo anche io…›› inframezzò Blaine, sulla sua bocca, senza lasciarla andare
completamente.
Non gli importava più del resto del mondo.
Improvvisamente non voleva più lasciarlo e abbandonare quella sensazione di
felicità. Erano solo loro due, sul viale principale di Lima, e si amavano.
Non c’era altro che potesse contare di
più.
Fine.