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Autore: tokiaholic    31/07/2012    1 recensioni
Due vite difficili, segnate da avvenimenti sventurati, due anime in collisione e sei mesi di relazione virtuale. Ecco gli elementi principali per lo scontro di due anime gemelle. Poi, la tragica e misteriosa morte di Devon, che renderà il suo amore per Irene indissolubile. Persino più forte della morte stessa.
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo I – Irene
Incubi

Stephen King ha scritto: “I mostri sono reali, anche i fantasmi sono reali. Vivono dentro di noi, e delle volte, vincono.”
I miei mostri vengono fuori la notte, mentre dormo. Sempre. Sono lì, nascosti in angoli remoti della mia mente durante il giorno, a volte restano ben celati ai miei pensieri per mesi, addirittura anni. E poi, capita che per una stupida ricorrenza come il San Valentino, alcuni di quei mostri decidano di saltare fuori dall’armadio e spaventare la bambina che ancora c’è in me. Mi spaventano – terrorizzano – con incubi che all’occhio di una persona che non sa potrebbero sembrare banalissimi sogni poco piacevoli.
No.
Sono incubi, che torturano l’anima e logorano l’esistenza. Perché restano attaccati lì, aggrappati a quello sputo di memoria che ancora ha spazio per loro, finché non decidono che sia giunto il momento di tornare alla carica. Perché, si sa, per quanto vogliamo fingere di essere abili nel reprimere sentimenti poco graditi, prima o poi la valvola di sicurezza cederà e vomiteremo tutto il dolore e le sofferenze che ci siamo risparmiati fino a quel momento.

Il mio mostro si chiama Guglielmo, siamo cresciuti insieme, essendo stati vicini di casa per anni. Ho sempre avuto una cotta per lui, ma quattro anni fa è diventata una cosa un po’ più seria. La gente lo chiama amore, ma io non sono certa che lo sia. E sono convinta che se non c’è la certezza, allora non lo è. Non sono innamorata di lui, ma potrei esserlo.
Se solo gli parlassi ancora.
Circa tre anni fa si è trasferito dall’altra parte della città, e per quanto stupido possa sembrare, è parsa ad entrambi una distanza insormontabile. Roma, infondo, non è certo un paesino di provincia. O almeno, questo è ciò che ci siamo detti.
E così è finita la mia più grande amicizia che, forse, tanto amicizia non era. Forse era abitudine. Forse era solo l’incontro di due esseri umani costretti a crescere insieme e che, appena hanno potuto, si sono liberati dalle catene di vapore acqueo che li tenevano legati. Forse mi sto solo illudendo che sia così, per soffrire di meno.

* * *

«Stanotte ho sognato Guglielmo. » dico con voce flebile ad Elena, la ragazza che più si avvicinava alla figura di migliore amica.
« È il tredici febbraio, per forza l’hai sognato. San Valentino fa questo effetto a molte persone.» dice lei, più concentrata a scaricare le foto che aveva fatto con la sua Nikon nell’ultimo mese sul suo vecchio portatile, che ad ascoltare me, sdraiata sul suo letto con la mani poggiate alla pancia e lo sguardo perso tra le crepe del soffitto in legno.
« Secondo te sono innamorata? O sono solo suggestionata dalle mille coppiette che nascono in questo periodo? » le chiedo sconsolata, cercando di concentrarmi sul click del mouse, tanto per staccare la spina dai mille pensieri che mi stavano attanagliando la testa.
Altri due click, poi Elena stacca il cavetto USB e si gira verso di me: « Io credo che tu abbia bisogno di darti più possibilità, Irene. Con quanti ragazzi sei uscita ad quando lui se ne è andato? Due? Sono passati quasi tre anni, due fidanzati in due anni non è una bella media per una ragazza come te. »
Si alza e viene a sedersi sul letto, poggiandosi le mie gambe sulle sue. « Due storie, e tutte e due finite in modo disastroso, solo perché non eri abbastanza lucida per toglierti lui dalla testa. Irene, sei una bella ragazza, se ti staccassi un po’ da quel computer e uscissi, socializzassi, sono sicura che incontreresti qualcuno per cui valga la pena dimenticare Guglielmo. Lui non tornerà, se avesse voluto esserti ancora amico, lo avrebbe trovato un modo per contattarti. Devi svegliarti da questa specie di coma in cui sei sprofondata anni fa. »
« Io socializzo, e non sto sempre al computer. »
Era una bugia, e lei lo sapeva bene.  In effetti, avevo più amici su internet che nella vita reale. Ma che potevo farci io se stavo meglio lì che in mezzo alla gente?
« Diciamo che forse hai ragione. Che dovrei fare, io? Non sono brava a fare amicizia, è già un miracolo che io riesca a parlare con te. » aggiungo con tutta la sincerità che ho in corpo. Dal momento che lei è una delle poche persone di cui mi fido, tanto vale essere onesta.
« Ti va se domani sera usciamo? Conosco un locale in centro, è sempre pieno di gente. »
La guardo di sottecchi. « Sai che sono astemia. E non mi piace quando ti ubriachi. »
« Non devi bere, e se vuoi non berrò nemmeno io. Però una birra concedimela. Dai, sarà divertente… » Mi guarda tutta speranzosa, e io non so dire di no a quegli occhioni. Ora che la guardo bene, Elena è proprio una bellissima ragazza. I capelli rossi lunghi fino alle spalle e ben piastrati le incorniciano un viso dai tratti delicati, gli occhi marrone chiaro al centro e verdi verso l’esterno, sempre perfettamente truccati e il piercing al labbro inferiore le danno un’aria innocente e sbarazzina allo stesso tempo.
Poi penso a me, capelli biondo cenere, frangetta tinta di biondo platino, gli occhi nocciola, non una sfumatura a caratterizzarli, mai nemmeno un filo di trucco, nessun piercing… e non mi stupisco poi tanto al pensiero che io abbia avuto solo due ragazzi negli ultimi tre anni.
« Va bene. Ma non aspettarti che mi vesta elegante. » Le sorrido dolcemente e lei ridacchia.
« Non preoccuparti, non oserei mai chiederti così tanto. »

* * *

Infilo le chiavi nella serratura di casa, e il mio cane mi salta addosso non appena metto un piede oltre la soglia.
« Ciao, bello. » Gli dico affettuosa. La casa è deserta, significa che dovrò aspettare che i miei tornino a casa per cenare. Meglio.
Poso la borsa sul mobile dietro al divano e mi dirigo subito in camera. Il computer, perennemente acceso, è lì che mi aspetta. Ripenso alle parole di Elena: “Se ti staccassi un po’ da quel computer e uscissi, socializzassi, sono sicura che incontreresti qualcuno per cui valga la pena dimenticare Guglielmo” . Sì, probabilmente ha ragione. Ma infondo, da domani inizia la mia nuova vita, no? Oggi c’è ancora tempo per il mio mondo virtuale. “Sei malata” mi dice con cattiveria la mia coscienza. Scaccio quel pensiero e apro Twitter. Scorro svogliata la home, leggendo qualche tweet. Poi ripenso alla notizia che avevo letto ore prima, secondo cui Nicki Minaj era stanca di essere paragonata a Lady GaGa, e apro la finestra per scrivere un nuovo tweet: “Se Nicki Minaj è tanto stanca di essere paragonata a Lady GaGa, forse dovrebbe smettere di copiarla.” Clicco su “Invia” e quasi immediatamente ricevo una menzione: “Sei cattiva XD ma sono d’accordo” è scritto in inglese, ed è stato inviato da un certo Devon Williams. Mi ricordo vagamente di aver visto il suo nome tra i nuovi followers, settimane fa. Ricordo che mi fece piacere vedere che mi seguiva, perché è americano. E io, per gli americani, ho sempre avuto un debole. Gli rispondo, in inglese: “Felice che tu sia d’accordo.” Invio, e aspetto una risposta. Due minuti dopo, eccola lì.

Due minuti dop:
“Comunque non è proprio il mio genere. Non mi piacciono né lei, né Gaga.”

Un minuto dopo:
“Sono gusti, tu che genere ascolti?”

Cinque minuti dopo:
“Un po’ di tutto, soprattutto rock. Ti ho seguita tempo fa perché abbiamo una band in comune, i Nearly Deads.”

Già… mi ricordo di loro. Gli piace il rock, quindi. Buono a sapersi.

Cinque minuti dopo:
“Ah già. Loro sono fantastici.”

Dieci minuti dopo:
“Hai Facebook? Lì è più semplice parlare, Twitter non mi piace. Se vuoi aggiungimi, il link lo trovi nella mia biografia”

Non sono convinta di volerlo aggiungere, ma qualcosa in lui mi attira, non so cosa. E poi ripenso alle parole di Elena, ancora una volta: “Io credo che tu abbia bisogno di darti più possibilità, Irene.”
Bene, allora fingerò che questa sia la prima possibilità che mi darò. Devon Williams. Bel nome.

Entro su Facebook, lo aggiungo, ma prima che possa vedere se mi ha accettato sento la serratura della porta scattare e il cane grattare contro la porta d’ingresso. I miei sono tornati a casa.
« Ciao! » Mi urla mio fratello, entrando in casa.
Mi alzo e vado a salutarli tutti. Hanno le buste del McDonald in mano. Oggi si mangia sano, insomma.
Apparecchiamo, e ricomincia la solita recita: sorridi, fai finta d’aver voglia di mangiare, sforzati di essere interessata.
Ma tutto quello a cui riuscivo a pensare era quel nome. Devon Williams. William è la traduzione inglese di Guglielmo.
Che sia un segno?
Che sia l’inizio di un nuovo incubo?
   
 
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