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Autore: LindaWinchesterCullen    02/08/2012    10 recensioni
Una gravidanza inaspettata, discorsi volutamente evitati per non soffrire e una paura folle di perdersi.
Edward e Bella sono una giovanissima coppia affiatata, ma come tutte le coppie normali, sono ogni giorno alle prese con le gioie e i problemi delle loro vite.
DAL SESTO CAPITOLO:
Tornai a sdraiarmi stringendo le ginocchia al petto per qualche minuto, fino a quando le braccia di Edward mi avvolsero costringendomi a sedere sulle sue gambe. Cercai di appoggiare la testa sul suo petto ma lui prese il mio viso fra le mani. “Stammi a sentire Bella. Non mi interessa minimamente di quello che penseranno Charlie, mio padre o chiunque altro su questa terra! Perché io ti amo, capito?” Disse serio. Non aspettò una mia risposta e continuò “Non capisco tutta questa paura, non abbiamo quindici anni, siamo adulti e ti avrei sposata comunque incinta o no. ” Sbottò.
Spalancai gli occhi. Avevo forse capito male?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Ci siamo! :')





Epilogo







 

La sveglia suonò senza preavviso e il rumore che produsse fu assordante, quasi cattivo. Aprii gli occhi di scatto e sentii il fiato mancarmi. Quel maledetto aggeggio, mi provocava un infarto ogni mattina ma se non fosse stato per la sua potenza sonora, Edward ed io avremmo continuato a dormire indisturbati.
Feci uscire velocemente un braccio da sotto le coperte e la spensi, pregustando nuovamente il silenzio. L’idea di dover uscire o mettere anche solo un piede, fuori dal letto mi fece rabbrividire. Manhattan d’estate era sempre stata spaventosa. Il caldo ti entrava dentro la pelle, fin sotto le ossa e non potevi fare niente per impedirlo. Potevi scoprirti quanto volevi ma avresti comunque continuato a sentir caldo. Nulla a che vedere con il calore piacevole che amavo.
 
Edward era sveglio. Lo sentii muoversi lentamente e sbuffare alle mie spalle. Feci lo stesso, incredula che un’altra notte fosse passata così velocemente.
Le sue braccia mi avvolsero, mi prese per i fianchi e mi attirò contro il suo petto.
“Buongiorno” sussurrò con voce roca, baciandomi leggermente il collo. Fremetti per quel contatto così abituale, eppure così intimo e completamente nostro.
Sciolsi appena l’abbraccio, il necessario per voltarmi e poterlo guardare in volto.
La poca luce che veniva fuori dalla finestra non rendeva giustizia al suo bellissimo viso. Eppure anche in quel momento, al mattino presto avvertivo il bisogno di sentirlo più vicino. Lo guardai e senza rispondergli, decisi che sentire il sapore delle nostre labbra unite, fosse meglio di qualsiasi insulso e comune buon giorno.
Mi colse alla sprovvista e il semplice primo bacio della giornata si trasformò in qualcosa di più. Quasi mi spaventai quando con un unico slancio, mi portò sopra di lui. Sorrisi e lui sembrò avere più di due mani, perché iniziai a sentirle ovunque. Le nostre labbra così come il resto dei nostri corpi, cominciarono a muoversi all’unisono, come se fossero una cosa sola. La sua bocca arrivò nuovamente al mio collo. Lo baciò, lo morse, lo succhiò, senza fermarsi o riprendere fiato. Il mio respiro, invece, accelerò e malgrado volessi con tutta me stessa continuare cosi per tutta la mattinata, non potevo. Nessuno dei due poteva. Sentii le sue mani sui miei fianchi e quando riuscì a trovare gli estremi della maglietta che indossavo, li sollevò e in un attimo mi ritrovai mezza nuda, sotto il suo sguardo felino.

Mi sforzai di ritrovare ogni briciola di buon senso persa nel corso di quei pochi minuti e lo bloccai, trattenendo entrambe le sue mani tra le mie.
“Edward. Edward, Edward!” lo richiamai in un sussurro deciso “Finiremo per fare tardi”
Mi guardò per poi puntare gli occhi verso la sveglia sistemata dal mio lato del letto. Scosse la testa, ricominciando quello che aveva lasciato “Abbiamo mezz’ora se rinunciamo alla doccia, quaranta minuti se saltiamo la colazione” propose convinto e il suo naso cominciò a sfiorare il mio, delicato.
Cominciò a baciarmi a stampo e l’idea non mi sembrò poi così male, fino a quando la parte seria di me non cominciò a urlarmi nella testa, completamente svuotata dal profumo di mio marito.
Mi allontanai appena “Non possiamo non fare la doccia!” affermai inorridita e lui sorrise, alzando gli occhi al cielo “Non posso andare in ufficio se puzzo …” mormorai ma a lui non sembrò importare più di tanto.
“Ti assicuro che hai un ottimo odore in questo momento” sussurrò e si sporse verso di me, fino a farmi stendere nuovamente sul letto e sdraiarsi sopra di me “Sai di buono, niente doccia …” disse ancora e lo vidi allontanarsi il quanto basta per riuscire a sfilarsi la maglietta.
La vista del suo corpo non mi avrebbe aiutato a dare ascolto alla mia parte razionale. Mi portai una mano al viso e lo sentii ridere. “Elly si sveglierà a momenti” gli ricordai.
“Ma se non si sveglia neanche con le cannonate!” affermò e si sdraiò nuovamente su di me, senza pesarmi addosso. Ci guardammo ed io mi persi nei suoi occhi chiari, cosa che capita ogni volta che li fissavo per più di qualche secondo. Gli passai una mano fra i capelli, decisamente troppo corti per i miei gusti e fui io ad avvicinarmi nuovamente e a baciarlo.
Lasciai che le nostre lingue si assaporassero ancora per poco e poi lo scansai, ancora “No, mi licenziano” mormorai e lui sbuffò rialzandosi.
“Sei riuscita ad ammazzare tutta l’intimità che si era riuscita a creare” si lamentò alzandosi e dirigendosi verso il bagno, annesso alla camera da letto.
Sorrisi indossando la sua maglietta e prima che si chiudesse la porta alle spalle lo chiamai “Edward?”
Si voltò e il semplice sguardo che mi concesse mi immobilizzò. Cavolo, era dannatamente bello a qualunque orario del giorno e della notte. “Buon compleanno, amore”
 
Mi richiudo la porta della nostra stanza alle spalle e per un motivo non preciso ho ancora il sorriso sulle labbra. Negli ultimi quattro anni la nostra vita si era completamente rivoluzionata. Avevo sempre creduto che nostra figlia fosse il più grande cambiamento che potesse investirci ma mi ero fortemente sbagliata.  
Da quando Edward era salito a capo del Volterra, avevamo affrontato parecchie situazioni.
Entrambi sapevamo che non sarebbe stato facile rimettere in piedi qualcosa che era stato completamente distrutto e macchiato dal precedente proprietario. Eppure il peggio era andato ben oltre le nostre previsioni. L’intero edificio era deserto. Tutti l’avevano abbandonato e il progetto di rimetterlo in piedi fu più complicato del previsto. Edward aveva passato mesi tra scartoffie per diventare il nuovo possessore dello studio. Eric voleva che l’avesse lui ma per la legge, del semplice affetto tra amici non bastava. Così dopo una battaglia legale e dopo aver dimostrato che nonostante la sua giovane età, potesse gestire un impero di quelle grandezze, era finalmente riuscito a diventarne il padrone. Il passo successivo fu quello di trovare nuovi avvocati, disposti ad associare la loro faccia con il Volterra e ad aiutarlo a ridargli la reputazione che possedeva prima della bufera mediatica che l’aveva travolto.

Mi guardai intorno e fortunatamente, adesso riuscivo a sorridere al ricordo. La ricerca di dipendenti fu catastrofica per la sua salute mentale. Edward si era impegnato per far sì che tutto potesse funzionare ma nessuno voleva aggregarsi a lui.
“Il Volterra è finito, rassegnati!” continuavano a ripetergli.
“Se Caius dovesse uscire dal carcere prima del previsto, distruggerebbe te e tutte le persone al tuo fianco!” dicevano. Anche i suoi vecchi colleghi erano contrari e scettici, difronte al piano di Edward.
Brian e Jasper avevano già trovato lavoro e non avevano intenzione di lasciarlo per seguire il sogno senza speranze del loro amico.
Ma il mio Edward è testardo, lo è sempre stato e non aveva smesso di credere in quell’idea. Si era, allora, ripiegato sui giovani avvocati, quelli appena laureati. Quelli che come lui, credevano in quel mestiere e non nella forza del denaro che poteva girarci intorno e le cose avevano cominciato a muoversi lentamente.
Intanto Eleonore cresceva, i suoi bisogni crescevano e lui cominciava a non essere più così sicuro. Le cose procedevano a rilento e i profitti erano minimi. Finché non avesse recuperato le spese iniziali, non poteva neanche lontanamente pensare ai guadagni. Non era stato un bel periodo, eppure ci eravamo adeguati, avevamo stretto i denti e avevamo aspettato. Edward mi aveva pregato molte volte di chiedergli di lasciare tutto e smetterla di perdere tempo e denaro in un progetto che non sembrava voler decollare.
“Jasper mi ha detto che il suo studio mi prenderebbe subito. Dimmi di smetterla di sprecare tutto questo tempo e lo faccio.”
Ma non l’ho fatto, perché credevo in lui e nelle sue capacità. La sua bocca diceva una cosa ma i suoi occhi raccontavano tutt’altro. E adesso eccoci qui, nella casa che fino a qualche anno prima non potevamo permetterci. Adesso tutto andava alla grande. Lo studio funzionava alla perfezione ed era meglio di come fosse quattro anni prima. Mio marito ci sapeva fare con gli affari, era nato per comandare e per avere tutto sotto il suo controllo. Tutti avevano sentito parlare del nuovo Volterra e di Edward. Tutti i suoi dipendenti valevano quanto lui e in molti casi gli somigliavano perfino nel carattere. Era un compito impegnativo il suo, ma ci sapeva fare, tutti lo sapevano in città e quando qualcuno si presentava allo studio si sorprendeva per la sua giovane età.
 
Avevo cominciato a venerare Eric quasi come se fosse una divinità. Lui non si rendeva conto di cosa avesse dato a Edward. Si era semplicemente liberato di un peso che non gli andava di portarsi sulle spalle ed io non l’avrei mai ringraziato abbastanza. Molte volte anch’io avevo creduto che quello studio fosse qualcosa di cui sbarazzarsi ma adesso che Edward era felice, appagato e rapito dal suo lavoro, stavo bene. Tutti stavamo bene ed Eleonore era la bambina più speciale di questa terra. Aveva la capacità di risollevarti, con un semplice sorriso. Ti guardava con i suoi occhi, identici a quelli di suo padre e ti sentivi subito meglio. Era dolcissima, generosa con gli altri e bella. Ero sua madre e forse ero di parte ma lei era oggettivamente bellissima. Così piccolina e forte. Aveva lo stesso caratteraccio di Edward ma ne andavo fiera, almeno ero sicura che a scuola nessuno le mettesse i piedi in testa.
 
Percorsi il lungo corridoio che mi separa dalla sua camera, passando davanti alle innumerevoli stanze di quel piano della casa.
Aprii lentamente la sua porta, con l’intenzione di non svegliarla ancora, ma solo controllare che tutto fosse tranquillo. Da quando aveva cominciato a dormire in un letto tutto suo, ogni mattina andavo a controllare se stesse bene. L’avevamo trovata un paio di volte troppo vicina ai bordi del letto e la paura che prima o poi cadesse mi tormentava. Ogni tanto mi alzavo anche di notte ma il fatto che non fosse mai successo niente di preoccupante non riusciva comunque a farmi togliere l’abitudine. Così entrai e mi sentii subito meglio, trovandola quasi nella stessa posizione in cui l’avevo lasciata la sera prima.
Era completamente scoperta e la coperta leggera era quasi del tutto per terra ma dormiva placidamente, come solo una bambina della sua età poteva fare. Senza nessun pensiero o preoccupazione a distrarla. Mi avvicinai silenziosamente, anche se nulla avrebbe mai potuto svegliarla. Per nostra fortuna aveva un sonno notevolmente profondo e una volta addormentata, nulla avrebbe potuto svegliarla. Dormiva nell’esatto centro del suo letto, con braccia e gambe divaricate ed io sorrisi, accarezzandole il caschetto rossiccio.
Chi l’avesse vista in quel momento, non avrebbe mai immaginato l’energia che impiegavamo ogni sera per farla andare a letto.  Era una bambina iperattiva e per questo io o Edward, dovevamo trovare il modo di farle venire sonno. Eleonore non odiava dormire ma come ogni bambina di quattro anni, ne odiava semplicemente l’idea. Così le leggevamo qualcosa ogni sera.
Avevamo cominciato con semplici fiabe ma nel giro di pochi mesi, Edward era passato a leggerle il primo libro di Harry Potter. Era così piccola che non credevo riuscisse a seguire il filo del racconto, ma entrambi si erano appassionati e lei adesso non vedeva l’ora di andare a letto.
La ricoprii nuovamente, lasciando che si godesse gli ultimi minuti di sonno.
Mi voltai e quasi inciampai al contatto con uno dei suoi innumerevoli pupazzi sparsi per la stanza. Raccolsi la gigantesca giraffa dal pavimento e la rimisi in una delle mensole in fondo alla stanza, insieme a tutti gli altri animali della giungla. Eleonore amava gli animali selvatici. Adorava passare pomeriggi interi allo zoo o all’acquario. Ci aveva pregato più volte di andare a vivere nella savana perché, secondo lei: “Gli animali sono buoni se noi siamo buoni con loro”
 
Uscii dalla sua stanza, lasciando la porta socchiusa. Feci un lungo sospiro, scesi le scale e mi diressi in cucina per prepararle la colazione e fiumi di caffè per me e Edward. Aprii le tende della finestra e lasciai che la luce del mattino la invadesse.
Mi appoggiai all’ampia isola della cucina, in attesa del caffè sperando che il fragile traffico di Manhattan non risentisse del caldo o sarei arrivata tardi in ufficio.
Da un anno e mezzo, avevo finalmente cominciato a lavorare presso gli uffici dell’USA Today di Manhattan. Carlisle mi aveva fatto avere un colloquio con Aro, il redattore e stranamente mi aveva assunta. Non riuscivo ancora a capire cosa avesse visto in me ma ero felice di essere diventata la sua assistente. Non avevo ancora scritto nessun articolo ma l’essere a contatto con un personaggio così di spicco mi gratificava facendomi dimenticare i due anni che avevo passato a occuparmi esclusivamente di Eleonore. Avevo amato prendermi cura di lei, starle vicino durante i suoi primi anni ma appena ci eravamo resi conto che fosse il momento che cominciasse ad andare a scuola, non ci avevo messo molto a spedire centinaia di curricula.
Vedere Edward andare tutti i giorni in ufficio e prendersi completamente cura di noi, mi infastidiva. Il dover dipendere da lui su tutto, anche solo il dovergli chiedere dei soldi mi mortificava. Non era da me, volevo la mia indipendenza ma lui non lo capiva.
Avevamo litigato spesso su quell’argomento. Per lui andava bene così e insisteva per aspettare che Elly raggiungesse un’età decente per farla andare a scuola senza traumatizzarla. Sapeva essere molto, troppo protettivo nei suoi confronti ma io volevo lavorare e rendere giustizia alla laurea che avevo letteralmente sudato. Nostra figlia non sarebbe stata la prima bambina ad andare all’asilo.
 
Il profumo del caffè mi fece ritornare con i piedi per terra. Riempii con del latte caldo la tazza colorata di Eleonore e tirai fuori i suoi biscotti preferiti.
Andai in soggiorno e le ampie vetrate mi concessero uno spettacolo magnifico. La vista era grandiosa l’intera casa lo era. Il poter finalmente comprala lo aveva reso fortemente orgoglioso di se stesso. L’idea che dopo quattro anni, ci stesse ancora pensando non mi aveva mai sfiorata. Avevamo continuato a vivere nel nostro piccolo appartamento nel West Side eppure non si era mai dimenticato e una volta che il Volterra aveva cominciato a fruttare soldi, prendere la casa era sembrata la decisione più ovvia.
Alzai lo sguardo verso le scale, quando sentii la sua voce “ … e poi ci sarà sicuramente una ruota panoramica altissima, molto meglio di quella dell’ultima volta. Vedrai, passeremo tutta la serata a divertirci. Io, tu e la mamma”
Li guardai scendere lentamente. Eleonore era tra le sue braccia e si strofinava gli occhi assonnati. Annuì leggermente, alle parole di suo padre “Ok …” sussurrò.
“Buongiorno, amore” dissi ed entrambi si voltarono a guardarmi. Quattro fantastici ed identici occhi verdi, puntati su di me.
Entrambi sorrisero “Chi sta salutando dei due?” domandò Edward.
Mi avvicinai ed Eleonore fu subito tra le mie braccia “Lei, naturalmente” risposi “Con te ho già dato abbastanza” mormorai tornando in cucina.
“Ma oggi è il mio compleanno, non dovrei ricevere tutte le attenzioni del mondo?”
Ignorai di proposito le sue parole, per paura di rivelare troppo di quella giornata. Non ero brava a mentire, meglio non dire niente.
“Hai dormito bene, piccola?” domandai e lei scosse la testa, sospirando.
“Posso dormire ancora?” chiese e il suoi occhi furono totalmente nei miei.
Quando mi guardava in quel modo, le avrei detto si a tutto.
“Bene, non vengo neanche considerato. Neanche tu dici niente, coniglietto?”
Eleonore si sedette su una sedia attorno al tavolo e scosse la testa, prima di stiracchiarsi e sbadigliare rumorosamente “No, niente!” rispose.
Ridacchiai, riempiendo una tazza di caffè e sedendomi al suo fianco. Edward incrociò le braccia al petto e assunse un’espressione fintamente imbronciata. “Bella famiglia la mia”
“Papà, non possiamo dire niente!” aggiunse con la bocca piena, prima di provare a versare mezzo pacco di biscotti nella sua tazza. Glielo impedii, sfilandoglielo dalle mani, sperando che Edward non avesse sentito la sua ultima esclamazione.
 “Finisci di mangiare, o faremo tardi” mormorai, tenendo lo sguardo fisso su di lei.
“Che cos’è che non potete dirmi?”
Mi immobilizzai, portando la tazza di caffè bollente alla bocca. Mi bruciai la lingua e quasi lacrimai, quando il calore mi invase la bocca ma resistetti. Tutto, fuorché il suo sguardo indagatore.
Tossii leggermente, schiarendomi la voce “Finisci il tuo latte, Elly” insistetti, appena tentò di rispondergli.
“Edward, tu odi il tuo compleanno. Allora pensavo che non ti andasse di sentirtelo ricordare. Tutto qui...” dissi guardandolo per una frazione di secondo.
Sbuffò “Ma che cosa vi salta in mente! Io non odio il mio compleanno” si avvicinò e solo in quel momento mi resi conto che fosse quasi completamente vestito.
“Quindi, stasera vi porto a cena fuori e poi al Luna Park, al cinema o di nuovo a Broadway a vedere quel musical orrendo con quei gatti che ballano” propose d’un fiato ed Eleonore sorrise, battendo le mani.
“Siiiii, andiamo a vedere Cats!” urlò e Edward la guardò, compiaciuto.
Sorrise “Eccolo, lo spirito giusto! Vogliamo vedere i gatti che ballano? E così sarà. Stasera tutti a teatro”
Eleonore strabuzzò gli occhi, svegliandosi completamente. Sorrise mostrandoci i suoi piccoli denti ma il tutto durò pochi secondi. Il tempo di ricordarsi del nostro piccolo segreto e si rabbuiò.
“Che c’è adesso?!” chiese Edward con un filo d’irritazione nella voce.
Che c’è, cosa?” domandai.
“Che c’è, quello!” rispose indicando il muso lungo di sua figlia.
La guardai velocemente e poi mi voltai verso di lui e scossi le spalle “Non sono neanche le sette e mezza, Edward. È semplicemente stanca” mormorai alzandomi. Poggiai la mia tazza nel lavandino, pregando che non facesse altre domande.
“Ho capito, è meglio che vada a vestirmi” mormorò un attimo prima di sparire dalla cucina.
Poggiai entrambe le mani sull’isola della cucina e sospirai. Cristo, non gli si poteva nascondere proprio niente!

“Non ci andiamo a vedere Cats, stasera. Vero?”
Mi voltai ed Eleonore abbassò lo sguardo, dondolandosi su quella sedia troppo alta per lei. Guardai la porta, per accertarmi che Edward fosse realmente al piano di sopra e poi corsi da lei. Mi inginocchiai, per avere la possibilità di guardarla negli occhi.
“Hey, non ne avevamo già parlato, io e te?” sussurrai ma lei non si mosse “Non possiamo andarci, perché dobbiamo fargli una sorpresa. Ricordi?”
Annuì debolmente per poi guardarmi “Ma lui vuole andare a vedere Cats!” sussurrò a sua volta, imitandomi.
Annuii, portandole alcune ciocche di capelli dietro le orecchie “Ma lui non sa niente della bellissima festa che gli abbiamo organizzato. Vedrai, ci divertiremo e sabato andiamo allo spettacolo” proposi e lei sorrise, abbracciandomi.
La sollevai senza sforzo, era ancora abbastanza leggera “Adesso andiamo a vestirci o finiremo per fare tardi”


 

**** *** ****

 
“Perché ogni mattina sembra che sia passato un tornado in questa stanza?”
Edward uscì dalla sua cabina armadio e guardò il suo orologio da polso “Se non esco da questa casa adesso, non esco più. Sono in ritardo per la riunione, cazzo” mormorò velocemente.
Era perfetto, come ogni mattina. Indossava sempre un completo scuro, dal taglio classico e i capelli completamente ordinati. Odiavo il non poter più affondare le dita fra i suoi capelli e sentirne la consistenza.
Guardai il disordine intorno a noi ma non potei che seguirlo e rimandare tutto al pomeriggio.
“Se tu non ti limitassi a fare tutto all’ultimo, la nostra stanza sarebbe uno specchio”
“Si, lo so. Hai ragione …” rispose distratto dal suono del suo cellulare. Ritornammo al piano di sotto, pronti ad uscire.
Recuperai la borsa e lo zainetto di Eleonore, che se ne stava completamente spaparanzata a guardare la tv in soggiorno. Dall’ingresso riuscivamo a sentire la sua risata divertita da chi sa quale cartone animato. Edward alzò gli occhi al cielo e corse a prenderla “Hey coniglietto, dobbiamo andare”
Improvvisamente i rumori cessarono e dopo qualche secondo entrambi apparvero, pronti ad andare.
Elly aveva il suo solito broncio, quello che metteva su ogni mattina quando dovevamo uscire e lei non aveva finito di guardare i cartoni animati. Le accarezzai i capelli, spingendola leggermente verso l’esterno. Edward chiamò l’ascensore, senza distogliere lo sguardo dal suo cellulare. Aveva lo sguardo profondamente concentrato, forse leggeva un email.

Le porte si aprirono e l’ascensore ci portò, giù dove c’erano i garages. Per tutta la discesa ai piani sotterranei Eleonore tenne il viso in alto, intenta a fissare suo padre.
Dio, dalla sua altezza Edward dove sembrarle un gigante.
“Perché mi guardi?” le domandò senza distogliere la sua attenzione da quello che stava facendo.
lei mi guardò per un attimo, prima di riportare lo sguardo su di lui “Quanti anni hai, adesso?” chiese scettica, facendoci sorridere.
Edward, ripose il telefono nella tasca interna della sua giacca e la prese in braccio “Beh, oggi compio ventinove anni” mormorò e lei lo guardò, quasi strabiliata “Non fare quella faccia, non sono poi così tanti” aggiunse.

Guardai la scena divertita fino a quando le porte dell’ascensore si aprirono. Mi diressi velocemente verso la Volvo, lasciandoli chiacchierare per conto loro. Ogni mattina faticavo a ricordare quale fosse il nostro posto auto, lì sotto. Le macchine erano tantissime e finivo sempre per perdermi.
“Mamma è di la!”
Ecco, appunto.
Tornai sui miei passi, dirigendomi dove mi aveva indicato mia figlia di appena quattro anni. Evitai i loro sguardi complici e divertiti e aprii la macchina.
“Saluta papà e andiamo” mormorai avvicinandomi a loro. Eleonore avvolse le sue braccia intorno ad Edward e lo strinse forte, un attimo prima di scoccargli un sonoro bacio sulla guancia.
“Ci vediamo questa sera, coniglietto” mormorò Edward e lei gli sorrise annuendo.
“Non fare tardi!” gli ricordò, come faceva ogni mattina. Ormai mi toglieva le parole di bocca.
“Oh, ma certo. Dobbiamo andare a vedere Cats, non posso fare tardi” rispose, lasciandola andare e lei corse verso la macchina.
“Ciao amore della mia vita” sussurrò poi e per una frazione di secondo, pensai che si stesse riferendo a me.
Sbuffai “È mai possibile che tu debba fare questa scenetta ogni volta che guardi la tua stupida auto” mi lamentai ma lui non mi sentì. Troppo preso dalla sua Aston Martin One 77.

Era carina ma non il mio genere di automobile. Troppo appariscente per i miei gusti, facevo di tutto per evitare anche solo di salirci. Lui l’amava, nel vero senso della parola, quasi quanto amava sua figlia.
Quando l’aveva comprata, l’anno prima, il suo ego è cresciuto a dismisura. Tutti lo invidiavano per possedere un’auto di serie limitata come quella. Alice era tornata da Parigi solo per farci un giro. Quando la mia macchina aveva esalato l’ultimo respiro, non avevamo potuto fare niente. Era morta, andata nel paradiso delle macchine ed io non volevo che lui me ne comprasse una nuova. Volevo farlo da sola ma era impossibile con il mio stipendio. Ci avrei messo degli anni, allora lui mi aveva dato la sua e si era messo in testa di comprarne un’altra per lui. Eppure quella davanti a noi non era una semplice auto nera. Era qualcosa di mostruoso che andava da zero a cento nel giro di niente. Odiavo saperlo in giro con quella cosa!
“Amo anche te, non essere gelosa”
Sobbalzai, distogliendo gli occhi dalla macchina. Edward era al mio fianco, con il sorriso più seducente che potesse rivolgermi.
Alzai gli occhi al cielo “Guida piano, per favore …” sussurrai e lui mi attirò a se, impedendomi di aggiungere altro. Prese il mio viso fra le mani e mi baciò dolcemente. Fu un bacio veloce ma carico di tutti i sentimenti più dolci che provava per me.
“Indossa qualcosa di sexy stasera” mormorò a un millimetro dalle mie labbra ed io annuii senza neanche rendermene conto. Sorrise ancora e strinse un mio fianco “A stasera, signora Cullen” fece per allontanarsi ma io lo bloccai, baciandolo nuovamente. Dio, era perfetto.
“Bastaaaaa!”
Entrambi sussultammo, dalle grida di Eleonore. La guardammo e ridemmo per le smorfie schifate che ci stava rivolgendo. Edward si abbassò, e le lanciò un bacio attraverso il finestrino.
“Ciao, coniglietto. Ti voglio bene, lo sai vero?”
Eleonore annuì con vigore “Lo so ma adesso devo andare a scuola!” rispose irritata e noi ridemmo ancora. Sapeva essere molto impaziente e in quello forse, somigliava anche un po’ a me.
“Ok, ha ragione. Ci vediamo stasera” disse e salì nella sua amatissima auto.
Feci lo stesso e sistemai meglio la bambina sul suo seggiolone. Sentii l’auto di Edward mettersi in moto e dopo qualche secondo, sfrecciare a tutta velocità verso l’uscita. Vi ho già detto che odiavo quella macchina?
Si fermò ad un passo dall’uscita e come suo solito, sporse una mano fuori dal finestrino e ci salutò per la miliardesima volta. Lo faceva sempre e poi senza aspettare una risposta, se ne andava.
Sospirai passandomi una mano fra i capelli. Indossai la cintura di sicurezza e misi in moto.
“Allora, non stiamo dimenticando niente? posiamo andare?” domandai quasi a me stessa.
Eleonore annuì comunque “Si, però domani voglio andare in macchina con papà. Questa è brutta!”


 

**** ** ****


“No, no, aspettate. Che vuol dire che non potete più venire?” bisbigliai e Sarah, l’addetta alle fotocopiatrici, mi fissò, incuriosita.
Tenni il cellulare in equilibrio, tra la spalla e l’orecchio e le diedi i fascicoli da duplicare.
“Quattro copie di questi, per favore” mormorai e lei annuì, annoiata.
Mi guardai intorno, sperando che lei fosse l’unica ad avermi notata al telefono. Sospirai e mi allontanai dalla porta, per non essere vista.
“Oscar, che vuol dire che non potete venire?” chiesi ancora.
Dall’altra parte, un sussurro “Abbiamo avuto l’ordine di occuparci della festa del senatore e per questo tutti i nostri impegni sono stati cancellati”
“Non poi farlo! Ci eravamo accordati per le sei e adesso mi dici che non potete più venire?”
Sentii l’ansia crescere. Se avessi saputo che l’organizzare una festa portasse via tutte queste energie, non l’avrei mai fatto. O forse si, l’avrei fatto lo stesso. Cavolo, volevo solo riuscire a fargli una sorpresa almeno una volta.
“Mi dispiace, Isabella ma davvero, non possiamo. Il senatore …”
Sbuffai “Si, si, il senatore ha bisogno di voi. Ho capito” mormorai e riattaccai.
Vaffanculo.

Poggiai la testa contro la parete, senza forze. Josh, il giornalista specializzato nella cronaca sportiva, entrò e mi rivolse un’occhiata preoccupata.
“Qual è il suo problema?” sussurrò a Sarah e lei alzò le spalle, mettendo in ordine la pila di fogli che aveva fra le mani.
“Credo che il catering che aveva assunto per la festa a sorpresa, le abbia dato buca” rispose.
Mi portai una ciocca di capelli dietro l’orecchio e sentii il bisogno di levarmi le scarpe e mettermi a riflettere sul da farsi. Avevo bisogno di trovare un catering o sarebbe stato un disastro.
“Che festa stai organizzando?”
Alzai lo sguardo. Josh era un impiccione e adesso non era il momento giusto per mettersi a chiacchierare. Mi guardò, trepidante “Allora?”
Mi avvicinai, recuperando i fascicoli fotocopiati da Sarah. Li raggruppai “Oggi è il compleanno di Edward e gli stavo organizzando una festa ma adesso non ho più un catering, perché il senatore ha deciso di rovinarmi la vita”
Mi rivolse un’occhiata disorientata “Perché un senatore vorrebbe rovinarti la vita?”
Scossi la testa “Niente, lascia perdere. Devo tornare da Aro, tra dieci minuti ha una riunione con il consiglio”
“Ma tu gli hai detto chi sei?”
Josh mi fermò, ancora, bloccandomi il passaggio. Feci un passo indietro “Cosa?”
Mi guardò divertito, come se avesse trovato la risposta a tutte le mie domande “Loro sanno chi è tuo marito?” chiese paziente.
Alzai un sopracciglio “E questo che cosa centra?”
Cominciò a scuotere la testa e portò entrambe le mani sulle mie spalle “Oh, Isabella. Il Volterra è lo studio legale più influente di questa città. Non offenderti ma nessuno conosce Isabella Swan. Se dicessi che la festa è per l’avvocato Edward Cullen, abbandonerebbero quell’imbroglione del senatore Williams e correrebbero da te”

Feci una smorfia. Conoscevo la fama che aveva lo studio di Edward ma non credevo che fosse una persona così influente in città “Non credo che servirebbe a qualcosa …”
“Dio, sei così ingenua certe volte. Tutta la città conosce tuo marito e tu non te ne sei neanche resa conto. Sbaglio o il mese scorso ha tenuto una lezione di diritto alla Columbia?”
Annuii  “Si ma è stato un suo vecchio professore a chiederglielo”
“Allora perché il mio vecchio professore non mi ha chiesto di fare lo stesso?”
Alzai le spalle “E io che ne so. Perché …”
Sarah si intromise, esausta “Perché lui non è Edward e neanche tu lo sei. Richiama il catering, digli che è per lui e un modo per esserci lo troveranno”
Guardai quelli che erano miei amici da più di un anno e un moto di speranza mi sommerse. Guardai il cellulare che avevo tra le mani e poi loro, ancora. Edward era davvero così influente?


 

**** *** ****


“Dove lo mettiamo questo, signora Cullen?”
Distolsi la mia attenzione dai capelli di Eleonore e mi voltai verso la porta della sua stanza.
“Arrivo!” urlai “Non muoverti, tesoro. Torno subito” le dissi e lei annuì allegra, continuando a mangiare il suo lecca – lecca gigante.
Andai al piano di sotto e Oscar mi si parò davanti, spaventandomi.
Sorrise a trentadue denti ed io ricambiai. Si, Edward era davvero molto influente.
“Il pianoforte” mormorò indicandolo “Vuole che lo spostiamo in terrazza? Farebbe un bell’effetto se lo posizionassimo nell’angolo …”
Agitai una mano, zittendolo “No, lasciamolo lì dov’è. Non credo che qualcuno lo suonerà stasera”
Quando Esme aveva saputo del nostro trasferimento in questa casa, aveva subito deciso di mandarci il pianoforte di Edward. Era magnifico, di un nero lucidissimo e splendente ma lui lo odiava.
Non aveva fatto storie nel prenderlo. Aveva ringraziato sua madre ma non l’aveva mai suonato.
Ricordavo la storia intorno a quello strumento. Edward l’aveva distrutto, durante un momento di rabbia ma a differenza di quanto credeva, Esme non l’aveva per nulla buttato. C’erano voluti anni per rimetterlo in sesto e adesso, vedendolo, sembrava appena uscito da un negozio di musica.
“Va bene, allora venga a vedere quello che abbiamo fatto” aggiunse ed io lo seguii, fino alla terrazza di casa. Le ampie vetrate mi permisero di vedere già tutto, prima di arrivare all’esterno e il mio cuore perse più di un battito.

La terrazza era decorata alla perfezione. Sembrava l’esterno di un locale di lusso. Dai divani bianchi, i tavolini di vimini, dalle lucine intorno alla ringhiera, i fiori, i tavoli del buffet, il bar.
“Oscar, siete stati magnifici. Vi amo tutti” mormorai e lui ridacchiò.
“Sa, avere una terrazza così spaziosa e con questa vista ci ha reso il lavoro facile”
“Grazie” dissi abbracciandolo e lui sussultò, visibilmente in imbarazzo.
“È il nostro lavoro … ” rispose ed entrambi ci voltammo, al suono del campanello.
Lo lasciai al suo lavoro e andai ad aprire. Il campanello suonò ancora, anzi non smise neanche per un attimo. Spalancai la porta. “Perché ci metti sempre così tanto per aprire?”
Un urlo uscì dalle mie labbra e Alice fece lo stesso, prima di buttarmi le braccia al collo.
“Cazzo, mi sei mancata tantissimo” mormorai e lei sciolse l’abbraccio, lasciandosi ammirare.

Non la vedevo da quasi un anno e per noi era troppo. Da quando si era trasferita a Parigi per il suo stage presso una casa di moda, l’avevamo vista pochissimo e adesso era diversissima.
Molto più snella di quanto la ricordassi, i capelli più lunghi e anche più chiari. Somigliava più a Edward adesso. “Sei bellissima” sussurrai e lei mi abbracciò ancora.
“Andiamo, ragazze. Non potete abbracciarvi dentro e non sul pianerottolo?”
Jasper tentò di spingerci in soggiorno e lei alzò gli occhi al cielo. Era facile per lui parlare, andava a Parigi ogni due settimane. Io invece non la vedevo da troppo e nemmeno Edward. Odiava ammetterlo ma gli mancava.

Entrammo in casa e lei mi porse un pacco di legno. “Che cos’è questo?” chiesi.
“È per mio fratello. Château Lafite Rothschild 1956, è un vino buonissimo. Sarà il regalo migliore che riceverà stasera, quando l’assaggerà avrà un orgasmo”
Feci una smorfia, allibita “Alice, per favore …”
“Zia Aliceeeee”
Eleonore scese gli ultimi gradini di corsa e in un attimo saltò su di lei, lasciandosi andare in un abbraccio emozionato. Alice la fece roteare e poi la dispose per terra. Le accarezzò i capelli, esaminandola minuziosamente “Lasciati guardare, amore” mormorò e poi guardò Jasper.
“Dio, l’hai vista?” domandò e per un attimo sperai che non si mettesse a piangere.
“Sei uno splendore e i capelli non ti stanno poi così male” sussurrò.
“AH! Ti stai rimangiando tutti le cattiverie che mi hai detto?” urlai e lei alzò gli occhi al cielo.
“Aveva dei capelli così lunghi prima e quando l’ho vista con il caschetto sono impazzita. Skype non le rendeva giustizia e lo ammetto, questo taglio le sta un incanto. Sei bellissima, ranocchietto”
Eleonore fece una smorfia “Io non sono un ranocchio” affermò convinta.
“Non è così che la chiama Edward?” chiese Alice voltandosi verso di me.
Mi coprii il viso con una mano. Quando Elly aveva cominciato a crescere i primi denti che le erano spuntati, erano stati i due incisivi centrali e per questo lui aveva cominciato a chiamarla coniglietto e non aveva mai smesso. Ridacchiai “No, la chiama coniglietto”
“Scusami tanto, non volevo offenderti” si giustificò.
Alcuni camerieri uscirono dalla cucina e Jasper li guardò raggiungere la terrazza.
Sorrise “Sei sicura che Edward non sospetti niente?”
Sospirai “Spero di no e per questo che ho deciso di organizzargli una festa quest’anno. Se avesse compiuto trent’anni avrebbe avuto qualche sospetto …”
“Andrà fuori di testa, lui odia  questo genere di attenzioni”
Grazie tante Jasper. Vaffanculo!
 

**** *** ****

“Hanno appena consegnato la torta”
Alice entrò nella mia stanza e mi sorrise, sorpresa “Wow. Dov’è l’Isabella Swan che odiava mettersi le gonne e i tacchi alti?”
Mi guardai allo specchio “È ancora qui da qualche parte, te lo assicuro”
Avevo indossato un abitino nero, corto e con un bellissimo scollo a cuore. Era un regalo di Edward, che non avevo mai avuto il coraggio di indossare ma oggi era il suo compleanno e sperai di farlo felice.
“Sei uno schianto, a mio fratello verrà un attacco di cuore”
Mi voltai per esaminare il retro del vestito ed Eleonore entrò, saltellando. La guardai attraverso lo specchio “Che cos’hai addosso?” domandai e lei fece un giro su se stessa mostrandomi il suo nuovo vestito blu.
“Alice …” mi lamentai e lei scrollò le spalle.
“Che c’è, le ho soltanto comprato qualche vestito nuovo. Sono sua zia”
“Non ti piace, mamma?” Eleonore mi guardò titubante ed io scossi la testa.
“Si, amore sei bellissima come sempre” mormorai e lei mi sorrise prima di correre via.
Facemmo lo stesso e una volta raggiunto il soggiorno potei notare la miriade di gente che era arrivata. Guardai l’orologio: 7:45 pm
Edward sarebbe arrivato nel giro di qualche minuto. Salutai un po’ di gente e poi mi diressi in cucina per controllare le ultime cose. La torta era davvero carina e semplice. Alcuni cuochi la stavano sistemando. “Vuole che cominciamo a mettere le candeline?” domandò uno di loro.
Ci pensai su qualche secondo “D’accordo. Devono essere ventinove, per favore non sbagliate”
Mi sfregai le mani, compiaciuta del mio lavoro. Stava andando tutto secondo i piani.
 
“Bella, Edward è arrivato”
Mi voltai di scatto e Jasper mi lanciò uno sguardo quasi spaventato “Qui fuori c’è il portiere e ha detto che lui è arrivato” aggiunse ed io mi precipitai alla porta.
“Signora Cullen, so che gli state organizzando una festa allora ho pensato di avvisarla” Ted, il nostro portiere, parlò con affanno come se avesse fatto i venti piani a piedi.
Scossi la testa “No, la torta non è ancora pronta” mormorai e l’ansia cominciò a distruggere tutti i miei sogni su quella fasta “Bloccalo. Inventati qualcosa, guadagna qualche minuto”
Alzò un sopracciglio “Che cosa vuole che gli dica?!”
Sospirai e mi voltai verso di Jasper “Occupatevi della torta io vado a guadagnare qualche minuto” mormorai e lui annuì sparendo in cucina.
Chiusi la porta alle mie spalle e mi precipitai in ascensore. Edward era sempre stato un ritardatario, perché aveva scelto proprio oggi per arrivare in anticipo?

Cominciai a pensare a una scusa per trattenerlo un po’ ma le porte dell’ascensore si aprirono e me lo ritrovai davanti, in tutta la sua bellezza.
“Ciao piccola” mormorò sorpreso e poi mi guardò dalla testa ai piedi “Cristo, vuoi che muoia il giorno del mio compleanno?”
La classica lampadina luminosa si accese proprio sopra la mia testa. Un modo per trattenerlo forse lo conoscevo. Uscii a passi veloci dall’ascensore e mi fiondai sulle sue labbra. Edward rimase sorpreso ma poi si lasciò andare e mi sbatté contro il muro. Mi baciò ancora con forza ed io lo attirai a me, il più possibile. Mi accarezzò il viso ma improvvisamente si staccò da me e mi guardò preoccupato.
“Dov’è Eleonore?”
Strabuzzai gli occhi. Come avevo fatto a non pensarci?
“È con Jasper a prendere un gelato” mentii e quella fu la bugia più assurda che potessi inventarmi.
“Jasper?”
Annuii “Era venuto a farti gli auguri ma tu non c’eri e allora hanno deciso di andare a prendere un gelato”
Edward guardò il suo orologio “Ma ho prenotato un tavolo per le otto, così non avrà più fame. Da quando lasci che Eleonore mangi quello che vuole, quando vuole?”
“Non sono andati lontano, sono sicura che tra due minuti ritornano”
Richiamò l’ascensore ed io non seppi più cosa inventarmi. Entrammo al suo interno e lui cominciò a fissarmi, irritato. Distolsi lo sguardo e pregai che tutto fosse pronto. Mi morsi il labbro inferiore, completamente in ansia e lui mi afferrò per un braccio, avvicinandomi a se.
“Questo vestito sembra essere stato fatto appositamente per il tuo corpo, sei un sogno” mormorò e passammo gli ultimi secondi nuovamente incollati, poi le porte si aprirono e ci ritrovammo davanti alla nostra porta.
Estrasse le sue chiavi dall’interno della sua valigetta e fece per aprire ma poi ritrasse la mano e mi guardò. Assottigliò lo sguardo e dopo qualche secondo, si voltò completamente verso di me “In quanti sono?” domandò.
“Di che parli?” chiesi agitata e lui sorrise, complice.
Indicò la porta “Andiamo, hai capito. Quante persone hai invitato?”
Ringhiai e lo colpii il più forte possibile con un pugno sul braccio “Come l’hai scoperto?”
Alzò le spalle e si passò una mano fra i capelli “Non lo so, forse perché eri pronta a fare sesso con me in garage fino a cinque minuti fa e poi tu che lasci che Elly mangi un gelato alle otto di sera …”
Alzai gli occhi al cielo “Fingiti sorpreso” sussurrai.
“È stato un pensiero carino, grazie” aggiunse ed io sorrisi, baciandogli una guancia.
Edward aprì la porta e trovammo le luci del soggiorno completamente abbassate. Le vetrate che davano alla terrazza erano spalancate e appena voltammo l’angolo tutti cominciarono a cantare la classica canzoncina.
Era tutto come programmato e la torta non le candeline accese era al centro, circondata da tutti gli invitati. Edward si fermò e guardò tutti con stupore “Credevo avessi invitato i miei genitori, non tutte le persone che conosco” sussurrò.

Scossi la testa, lo presi per mano e lo trascinai vicino alla torta.
Eleonore ci venne incontro e lui l’afferrò subito. “Buon compleanno, papà” sussurrò.
“Grazie, coniglietto. Sei bellissima stasera, lo sai?” chiese e le baciò una guancia.
Annuì “Devi soffiare sulle candeline, però” disse indicando la torta e lui fece come richiesto.
Si mise dietro di essa e cominciò a guardarsi attorno “Porca miseria, non mi aspettavo di avere così tanti amici” sussurrò e tutti risero “Grazie, comunque è stato un bel pensiero”.
Mi prese per mano e mi avvicinò a se “Mi raccomando, non ti scordare di esprimere un desiderio” sussurrai e lui chiuse gli occhi.
Che tutto rimanga sempre, così. La mia vita è perfetta, non mi serve niente” sussurrò e con l’aiuto di Eleonore si abbassò e spense tutte le candeline.













Wow … non so da dove cominciare.
Allora, non avrei mai pensato di poter cominciare una fan fiction. Ho sempre amato leggerne e quando ho postato il primo capitolo ho subito pensato : 
“Dio, che ho fatto?!”
“Perché cominciare una cosa che non finirò mai!”
“Dove lo prendo il tempo!?”
“Non la so neanche scrivere una FF”
E tantissime altre cose poco carine che adesso neanche ricordo. Perché, cavolo, sono passati quasi due anni! Il primo capitolo l’ho postato il 20 novembre del lontano 2010 °-°
Ho amato questa storia dal primo momento, eppure molti capitoli mi hanno portata all’esaurimento più totale. Vi assicuro che tante volte ho pensato di cancellarla e di smetterla di scrivere, poi dopo tre minuti pensavo a tutte voi che mi seguivate e mi davo della scema! xD
Questi Edward&Bella così complicati e contorti continuavano a scriversi da soli e non volevano saperne di mettere in ordine le loro vite.
Ma! Li ho adorati e li adoro in ogni sfaccettatura. Bella per essere così forte senza neanche rendersene conto e poi lui, il mio Edward. Mi mancherà un casino, con la sua impulsività e il suo caratteraccio che non sono altro che una maschera di fragilità e insicurezza.
Come avete notato (o forse no) ho deciso di non parlare più di Charlie. Inizialmente ho pensato di fargli fare pace con Edward ma l’immagine di loro che si tengono per mano e vanno verso un arcobaleno, non mi convince. Quindi ho lasciato perdere, perché nella vita comune non tutto sempre si sistema e loro sono felici anche senza il suo appoggio quindi u.u
Sono così imperfetti singolarmente ma insieme sono completi e indistruttibili. *-* E mi mancherà scrivere di loro, ne sono sicura. Mi è venuto un groppo in gola quando dopo 39 capitoli, ho dovuto premere sul tasto completa. T.T
Ok, adesso basta, altrimenti cado in una depressione post – fan fiction (?)
Un GRAZIE di cuore a tutte le persone che mi hanno seguita. Senza di voi non sarei mai arrivata fino a qui  :’)
GRAZIE per gli incoraggiamenti, i consigli e per ogni singola recensione.
GRAZIE a chi mi ha aggiunta tra i preferiti\le seguite\ quelle da ricordare.
GRAZIE a chi mi ha aggiunta tra gli autori preferiti.
GRAZIE infinite a Vanderbilt e Celly Chelly. Dio, senza voi due questa storia non sarebbe mai finita! <3
GRAZIE a Fede13 che ha chiesto all’amministrazione d’inserire la storia fra le scelte. Quella mattina avevo gli occhi fuori dalle orbite! xD
Vorrei nominarvi tutte, davvero, GRAZIE. Ogni capitolo e dedicato a voi e all’interesse che avete dimostrato per questa “storia”.
Vi abbraccio forte e spero che l’epilogo non vi abbia deluse.
Adesso sento una specie di vuoto, simile a quello provato dopo la maturità.
Ahahah, cavolo devo smettere di scrivere o questi saluti diventeranno più lunghi dell’epilogo.
Ok, basta. Vi adoro e … una cosa che ancora non vi ho detto:  GRAZIE.


 

   
 
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