Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
Segui la storia  |       
Autore: My Pride    03/08/2012    8 recensioni
Yo, ho, ho at the battle of bones, you sail the seven seas but you’re never getting home, well the sea answered back, “Old boy, where have you been?”
I’ve been waiting for a fight like this since time first began, so prepare yourself and get ready for your death ride, I’ll be taking you down to Davy Jones with your cargo and your pride.

«Temi tu la morte? Temi l'idea dell'oscuro abisso? Ogni tua azione scoperta, ogni tuo peccato punito? Io vi posso offrire una scelta: unitevi alla mia ciurma e proponete il giudizio finale. Cent'anni ancora sopra coperta. Vuoi arruolarti?»
Le leggende sono solo leggende. Leggenda o meno, però, ad attenderli fra le ombre c’era di sicuro qualcosa. Se lo sentiva sin dentro le viscere.
[ New World Arc ~ Spoiler dai capitoli 668 in poi ]
[ Terza classificata al contest «No words: multifandom contest» indetto da Audrey_24th ]
[ Prima classificata al contest «One Sentence» indetto da Reghina-chan e valutato da ZiaConnie ]
[ Prima classificata al contest «Don't be a drag, just be a Queen!» indetto da RoyMustungSeiUnoGnocco ]
Genere: Angst, Avventura, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Mugiwara
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Like Davy Jones_4
SECOND SEASON › CROSSROADS
OLD SEA STORIES, #02
 
    Sanji sbuffò per l’ennesima volta, lanciando una rapida occhiata in direzione di Zoro, che, con un braccio mollemente abbandonato sulle else delle sue katane, avanzava al suo fianco senza dire una parola, quasi fosse immerso nei suoi più disparati pensieri.
    Non che aver trovato lo spadaccino gli dispiacesse davvero come sembrava voler intendere, però, e c’era da dirlo, forse avrebbe preferito di gran lunga trovare Nami-san e Robin-chan - e anche il resto della ciurma, probabilmente - e assicurarsi che stessero bene, così da evitare anche di far pace con i propri pensieri. Era a dir poco snervante ritrovarsi con l’oggetto per il quale aveva quegli stupidi sentimenti che non avrebbe dovuto avere per niente al mondo e, al contempo, essere del tutto ignorato da quest’ultimo come se non esistesse affatto. Non sapeva dire se fosse una cosa positiva o meno, quella, anche perché non sapeva che cosa passasse per la testa di quello stupido marimo. E non aveva intenzione di fare la parte dell’idiota dicendogli qualcosa tipo «Mi piaci» e rimediarci poi una sonora risata in faccia da quel cretino. Era meglio starsene in silenzio, fare finta di niente e lasciare che gli eventi scorressero, in modo che anche quelle strane sensazioni che provava sparissero una volta per tutte e lo lasciassero in pace. In fin dei conti era ancora convinto che fossero a causa dello stress, dunque perché preoccuparsi inutilmente?
    «Ohi, cuoco». Zoro si decise finalmente ad aprire bocca, facendolo quasi trasalire. Fu difatti con sguardo omicida che si voltò verso di lui, vedendolo guardare avanti come se nulla fosse. «Non mi hai ancora detto dove sono Rufy e gli altri».
    «Credi davvero che se lo sapessi me ne starei con un marimo sperduto come te?» rimbeccò con fare sarcastico, per quanto la situazione non fosse per niente divertente. Avevano imparato a proprie spese quanto il Nuovo Mondo fosse irto d’insidie, e restare vigili era la cosa migliore che avrebbero potuto fare.  Persino Rufy stesso, a causa dei poteri del frutto Gas-Gas, aveva quasi rischiato di rimetterci le penne, a Punk Hazard, sebbene avessero faticato non poco a crederci quando gli altri l’avevano raccontato anche a loro. Anche Zoro, alla notizia, aveva abbandonato la solita maschera burbera e scontrosa per lasciar spazio ad un’espressione preoccupata, rendendo fin troppo palese quanto tenesse al proprio Capitano. Volevano tutti bene a Rufy - anche quando faceva l’idiota e si comportava in maniera quasi egoistica, aye -, ma la sua devozione, certe volte, rasentava davvero l’impossibile. E a quei suoi stessi pensieri, Sanji scosse il capo, sbuffando sonoramente come se bastasse a scacciarli. «La sola cosa che possiamo fare», cominciò poi, alzando distrattamente lo sguardo verso le fronde degli alberi, «è cercare di raggiungere la città dall’altra parte dell’isola. Eravamo diretti lì. Ma tu, ovviamente, sei sparito come al solito e non hai quindi idea di che cosa sto parlando...»
    «Mi stai dando dell’idiota, cuoco?» sbottò Zoro, ma Sanji si limitò a scrollare le spalle.
    «Sto semplicemente dicendo che hai scelto proprio il momento peggiore per perderti, marimo».
    «Non mi sono perso. Ero dietro Robin e poi voi», e ci tenne ad enfatizzare sull’ultima parola con fare saccente, «siete letteralmente scomparsi».
    Sanji, lì per lì, rimase perplesso, poiché quella era la stessa e identica cosa che era accaduta a lui. Un attimo prima era in testa al gruppo, raccomandando ai suoi compagni di fare attenzione, e un attimo dopo si era ritrovato da solo in mezzo al bosco, senza riuscire a capire cosa fosse successo. Per una volta a quello scemo d’un marimo doveva fargliene atto. Probabilmente non si era davvero perso come al solito. «Diavolo, marimo, allora il tuo senso dell’orientamento sta cominciando a migliorare», lo schernì, tentando anche di sdrammatizzare. Il fatto che si fossero persi di vista gli dava da pensare, giacché era come se fosse stata l’isola stessa a volerli vedere divisi. E se fosse accaduto anche agli altri? E se, nel girare un angolo o nel distrarsi un attimo, anche il resto della ciurma si sarebbe ritrovata nei punti più disparati dell’isola, ognuno abbandonato a se stesso come negli ultimi due anni? Diamine, per il bene delle ragazze sperava proprio di no. Pur sapendo che, nel momento del bisogno, sarebbero state capacissime di cavarsela da sole, il suo sconfinato senso della galanteria le preferiva insieme a quegli idioti, piuttosto che da sole in mezzo a quel fottuto bosco.
    Nemmeno a dirlo, non appena gli alberi cominciarono a farsi più radi e la nebbia a diminuire, si ritrovarono entrambi dinanzi ad uno strapiombo, non riuscendo a capacitarsi di che cosa diavolo fosse successo. Non si trovavano forse in una foresta, pochi attimi prima? Quel posto sembrava cambiare non appena svoltavano l’angolo o distoglievano lo sguardo, e, se non si fossero trovati nel Nuovo Mondo, si sarebbero domandati perché diamine si trovassero sempre in situazioni simili.
    «Beh, almeno abbiamo fatto un passo avanti», provò a sdrammatizzare Sanji con fare sarcastico, guardando comunque con un certo disappunto verso il basso, dove il fiume scorreva impetuoso fino a valle. «Ci troviamo su un dirupo anziché nel bel mezzo di una foresta».
    «Sto facendo i salti di gioia, cuoco», ironizzò lo spadaccino, con l’occhio a sua volta fisso oltre il baratro. Se si fossero trovati più in basso avrebbero potuto facilmente valicare il fiume e passare dall’altra parte, ma l’unica cosa che potevano fare in quel momento era quella di seguire il corso d’acqua finché potevano, con la speranza di uscire una volta per tutte da quella situazione. Peccato, però, che nemmeno quella soluzione fosse facile come appariva in realtà. Merda. Erano con l’acqua alla gola e letteralmente, arrivati a quel punto.
    «Forse ci converrebbe tornare indietro». Sanji diede voce al pensiero comune, e Zoro, pur non volendo, si ritrovò ad incrociare le braccia e ad annuire, convenendo con lui.
    «Questa è la sola cosa sensata che hai detto fino a questo momento, ricciolo», rimbeccò, dando le spalle allo strapiombo per cominciare ad incamminarsi nuovamente verso il bosco sotto lo sguardo sconcertato di Sanji, che non ci pensò due volte a corrergli dietro con un’imprecazione.
    «Dove cazzo vai da solo, tu?» sbottò. «Non mi va di venirti a cercare di nuovo, quindi vedi di starmi vicino e non perderti. Mi hai capito o devo parlarti a monosillabi?» L’occhiataccia che lo fulminò fu una risposta fin troppo esaustiva, e Sanji decise dunque di non aggiungere nient’altro, aumentando il passo per affiancarsi a Zoro.
    Ebbero appena il tempo di superare un paio d’alberi, però, prima che lo scalpiccio di piedi sui sassi richiamasse la loro attenzione, e fu con uno scatto che si voltarono entrambi, vedendo quelli che sembravano avere tutta l’aria di essere degli Uomini Pesce avanzare verso di loro, acquattati sul terreno come se volessero quasi fondersi con esso. Un paio di loro strisciavano sui sassi provocando uno stridio assordante a causa della pietra che sfregava contro il carapace color ruggine; le restanti creature si sorreggevano sulle nocche e sulle punte dei piedi, più a simili a gorilla che a veri e propri crostacei, per quanto il loro aspetto ricordasse vagamente quello di un granchio a causa delle chele che spuntavano sulle loro braccia. Sembrava che a caratterizzarli fosse l’odore salmastro che si portavano dietro come una nuvola di profumo, nonché le chiazze di muffa ed erba marina che ricoprivano gran parte dei loro avambracci e del busto, ma oltre ciò non c’era nient’altro che potesse in qualche modo farli appartenere alla stessa razza.
    «A quanto pare sono tornati all’attacco», costatò Zoro, ricevendo una vaga occhiata divertita da Sanji.
    «Oh, hai avuto anche tu il piacere di conoscere questi gentili signori, marimo?» rimbeccò con tono sarcastico, riuscendo a strappare allo spadaccino una mezza risata mentre, con la solita grazia di chi ripeteva lo stesso gesto ogni singolo momento di ogni singola ora, sfiorava con calma disarmante le else di due delle sue spade.
    «Uno o due, nulla di che», ironizzò, afferrando saldamente l’elsa delle katane senza sfoderarle, incassando la testa nelle spalle prima di flettere i muscoli delle gambe; al contempo Sanji spiccò un balzo e, calando sull’avversario che aveva dinanzi, gli assestò un potente calcio al collo; riuscì a scaraventarlo dall’altro lato della radura e lo vide sparire nella foresta con un sibilo, fino a che non sentì il tonfo sordo del suo corpo schiantatosi contro uno dei tronchi della moltitudine di alberi presenti. Non poté distrarsi nemmeno un attimo che subito ne arrivarono altri, ed imprecò a denti stretti nel guardarsi intorno.
    «Ma quanti diavolo sono?!» sbottò, avendo appena il tempo di indietreggiare per evitare che un artiglio gli squarciasse lo stomaco; poggiò in terra entrambe le mani e, facendo leva sulle braccia, sollevò l’intero peso del suo corpo, roteando su se stesso per calciare quanti più Uomini Pesce possibile.
    Merda. Non erano gli stessi Uomini Pesce che aveva incontrato prima di trovare quello scemo di Zoro. Sembravano più selvaggi, meno propensi a riflettere sulle proprie azioni e più che intenzionati a ricorrere a tutta la loro forza per ammazzarli. Che fossero quelli i mostri di cui aveva parlato loro il vecchio? In effetti, a ben pensarci, all’inizio gli era sembrato strano che gli esseri senzienti contro cui si era scontrato c’entrassero qualcosa con quelle creature, ma adesso, nel tentare di allontanare da sé a suon di calci quella specie di crostaceo mal cresciuto, aveva capito fin troppo bene di essersi dannatamente sbagliato.
    Dovette indietreggiare più volte per evitare che le grosse chele di cui erano muniti un paio di quei mostri gli staccassero la testa dal collo, e volse di poco lo sguardo in direzione dello spadaccino per vedere come se la stava cavando, sentendolo imprecare a denti stretti ogni qual volta i fendenti che menava sembravano non scalfire per niente gli avversari che aveva davanti a sé. E proprio in quel momento vide uno di loro arrivare alle spalle del Vice Capitano e sollevare le grosse mani palmate, pronto ad afferrarlo per il collo. «Zoro! Dietro di te!» esclamò, e lo spadaccino, con un movimento rotatorio del polso, utilizzò il piatto della katana per colpire quell’Uomo Pesce dritto allo stomaco, calciando quelli che aveva dinanzi prima di allontanarsi il più possibile e raggiungere il cuoco, schiena contro schiena. Fecero per gettarsi entrambi contro gli avversari con un attacco combinato quando, raccogliendo tutta la forza di cui disponeva, un Uomo Pesce dalle fattezze di un grosso squalo tigre colpì la pavimentazione che aveva dinanzi, crepando il limitare del dirupo.
    Zoro e Sanji ebbero appena il tempo di lanciarsi una rapida occhiata prima che la terra sotto i loro piedi si sbriciolasse, facendoli precipitare verso il fiume con un grido sorpreso. Sanji socchiuse gli occhi all’impatto con l’acqua gelida, sentendo il fiato mancargli nei polmoni; dovette ricorrere a tutta la potenza che aveva nelle gambe per riuscire a lottare contro la corrente, nuotando verso l’alto per prendere un bel respiro prima che venisse risucchiato nuovamente di sotto, cercando inutilmente con lo sguardo la sagoma dello spadaccino; lo trovò ad una certa distanza da sé e provò a nuotare in fretta verso di lui, afferrandolo per la casacca prima di muovere qualche bracciata, tentando in tutti i modi di raggiungere la riva. L’impresa fu più ardua di quanto non avesse creduto, sia a causa del peso del Vice Capitano sia a causa della forte corrente che rischiava ad ogni metro di trascinarli via, ma poté rilassarsi solo quando una delle sue mani affondò sulla terra, artigliandola con le dita come se non volesse lasciarla andare, issando entrambi con una certa fatica.
    Tossendo e annaspando, riversò sul terreno umido l’acqua e la fanghiglia che aveva ingoiato nel fiume, puntellandosi sui palmi delle mani prima di mettersi in ginocchio e tentare di riprendere fiato mentre tremava da capo a piedi, sentendo l’umidità sin dentro le ossa. Dannazione. C’era mancato poco. Maledettamente poco. Se non fosse stato un ottimo nuotatore e non avesse sfruttato la velocità che aveva acquisito nell’inferno di Kamabakka, probabilmente la corrente sarebbe riuscita a trascinare via sia lui sia quello stupido spadaccino che, in quel momento, tentava a sua volta di riportare il fiato nei polmoni, inzuppato da capo a piedi. Forse non avrebbe digerito il fatto di essere stato tratto in salvo da lui, ma, cazzo, per una volta avrebbe anche potuto starsene zitto e ringraziare il fatto di essere ancora vivo.
    «Merda», rantolò Zoro, lasciandosi sfuggire un altro colpo di tosse. Si era alzato in piedi e aveva cominciato a strizzare il limitare della casacca verde e a ripulirla alla bell’e meglio, per quanto fosse del tutto inutile. Tra fango, melma e terriccio, era già un miracolo che si distinguesse ancora il suo colore originale. «Rimetterci le penne in questo modo sarebbe stato... vergognoso».
    Sanji abbozzò un sorriso sarcastico, levandosi la giacca per scrollarla malamente a sua volta, dato che non avrebbe potuto di certo fare miracoli, ora come ora. Era combinato esattamente come Zoro, se non addirittura peggio. Sentiva la sporcizia persino fra i capelli, nelle scarpe e dentro i pantaloni, ma era l’ultimo dei suoi problemi, quello. «Puoi dirlo... forte, marimo», ansimò, rivestendosi prima di rimettersi in piedi. E nel farlo sgranò gli occhi e imprecò, sentendo una fitta percorrere tutta la sua gamba sinistra nel momento in cui il proprio peso gravò sulla caviglia. Dovette lasciarsi cadere nuovamente seduto, massaggiandosi il punto leso con un gemito. «Cazzo», bofonchiò poi, e Zoro gli scoccò un’occhiata, sistemandosi le katane alla cintola e stringendosi la fascia alla vita prima di avvicinarsi.
    «Che hai, cuoco?» domandò, ricevendo appena un’occhiata da Sanji.
    «La caviglia. Credo sia slogata», rispose lui senza mezzi termini, e, prima ancora che potesse aggiungere altro o rendersi conto di ciò che stava succedendo, si sentì afferrare per un braccio dalla grossa mano dello spadaccino, che sorresse contro di sé tutto il suo peso. Pur cercando di evitarlo, Sanji si sentì andare le guance in fiamme. Ma che cazzo...? «O-Ohi! Che diavolo fai?» balbettò, rimediandosi semplicemente una scollata di spalle da parte del Vice Capitano.
    «Ti do una mano, ora zitto e muoviti».
    «Nessuno te l’ha chiesto, stupido marimo», sbottò, cercando di reggersi solo sulla gamba buona, nel vano tentativo di non sforzare troppo la caviglia. Non avrebbe nemmeno voluto aggrapparsi a Zoro, in verità, ma per muoversi come si conveniva non aveva altra scelta se non quella. E di sicuro non si sarebbe fatto prendere in braccio o anche semplicemente caricare in spalle da quell’idiota, visto che non era per niente una damigella in pericolo in attesa che il principe venisse a salvarla.
    «Piantala di dire cazzate e cammina, cuoco». L’espressione sul viso dello spadaccino era tutt’altro che rassicurante, per quanto avesse pronunciato quelle parole in tono estremamente pacato. «Se non avessi agito di testa tua, adesso non ci troveremmo in questo pasticcio».
    Sanji lo fissò con tanto d’occhi, indignato. «Che cazzo fai, provi a farmi la predica?!» berciò. «Sei tu il primo che si lancia nella mischia senza riflettere o pensare alle conseguenze, quindi vedi di non farmi la paternale!»
    «Il casino stavolta l’hai combinato tu, non io», lo schernì Zoro con calma glaciale, sistemandosi lui stesso il braccio che il cuoco gli aveva poggiato dietro alle spalle. Quando fece per cingergli i fianchi con il proprio braccio per sorreggerlo meglio, però, Sanji sussultò e si allontanò da lui con uno scatto, rovinando rumorosamente con il sedere per terra sotto il suo sguardo confuso. «Che cosa diavolo ti prende?» domandò scettico, ricambiando l’occhiata spaesata che gli venne lanciata da quest’ultimo. E proprio lui, essendosi probabilmente reso realmente conto di quel suo gesto, scosse la testa e tentò di rimettersi in piedi con un’imprecazione soffocata, voltando il capo per ostinarsi a non guardare lo spadaccino nemmeno per sbaglio.
    «Niente», rantolo poi. «Non mi prende proprio un accidenti di niente, quindi vedi di non rompere, okay? Mi mantengo perfettamente in piedi da solo».
    Per quanto ai suoi occhi quel comportamento apparisse sempre più strano ogni secondo di più, il Vice Capitano di non fare domande e si limitò a scrollare brevemente le spalle, lasciando che fosse il cuoco stesso a sistemarsi come aveva già fatto in precedenza per riprendere il cammino. Prima sarebbero riusciti a ritornare dagli altri, meglio sarebbe stato. Il problema, però, era che non aveva idea di quanto li avesse trascinati via la corrente e di dove si trovassero in quel momento, dunque la situazione era doppiamente catastrofica. Se contava anche il suo pessimo senso dell’orientamento, poi, diveniva praticamente impensabile arrivare ad una soluzione in tempi relativamente brevi. Doveva quindi limitarsi a seguire il proprio istinto e sperare che, seguendo il fiume da quella direzione, arrivassero al mare o nei suoi pressi, altrimenti lui e quello scemo d’un cuoco avrebbero dovuto arrangiarsi in qualche modo.
    Anche se, e detestava ammetterlo, era comunque certo che quella si sarebbe rivelata un’impresa più ardua di quel che sembrava.
 
 
    Erano ormai ore che camminavano, e, per quanto tutto fosse dannatamente tranquillo, entrambi avevano i nervi a fior di pelle, come se dal bel mezzo della vegetazione potesse spuntare tutto d’un tratto un altro di quegli strani mostri che avevano incontrato sul loro cammino. Cominciavano ad essere stanchi e lo stomaco brontolava apertamente, però, senza selvaggina e senza nemmeno uno scorcio di fiume in cui tentare di pescare la cena, potevano semplicemente stringere i denti e andare avanti come potevano. Erano entrambi forti e nel pieno delle loro energie, per il momento, e di certo non potevano lasciarsi sconfiggere dai morsi della fame, per quanto Sanji sapesse perfettamente che cosa significasse ritrovarsi senza cibo né acqua per giorni interi.
    Il cuoco sospirò e, ignorando la rapida occhiata che gli venne lanciata da Zoro, scostò il capo di lato per evitare un ramo e si ritrovò ad imprecare contro se stesso. Perché accidenti aveva lasciato nelle mani di Usopp il proprio zaino? A quest’ora, almeno, avrebbero potuto avere qualcosa da mangiare e non sarebbe stato costretto a sentire il borbottio che di tanto in tanto si levava dallo stomaco di entrambi. Era stato un vero e proprio idiota.
    Mano a mano che avanzavano, gli alberi cominciavano a diventare più fitti e gli arbusti che fino a quel momento erano a malapena arrivati alle loro caviglie avevano cominciato a crescere e a sfiorar loro le ginocchia, dando l’impressione che tutto, lì, apparisse molto più grande di quanto non avrebbe dovuto essere. Sanji iniziò a guardarsi intorno, controllando con estrema attenzione i dintorni e le chiome degli alberi, che creavano una sorta di soffitto naturale sopra le loro teste, data la fitta cappa di fogliame in cui i rami sembravano intrecciati. Non erano neanche troppo esposti, giacché da dove si trovavano avrebbero potuto tranquillamente tener d’occhio la zona ed essere pronti ad eventuali attacchi da parte di quella strana razza di Uomini Pesce. «Per adesso conviene fermarsi qui», dichiarò infine, allontanandosi a passi malfermi dallo spadaccino, poggiando una mano contro il tronco di un albero per sorreggere senza problemi il proprio peso anche sulla caviglia slogata. «Continuare a girovagare a vuoto non ha alcun senso».
    Pur non sembrando d’accordo, dato il grugnito che si lasciò sfuggire, Zoro annuì. «Domattina ci rimetteremo in viaggio, chiaro?» parve ordinare, e Sanji gli gettò una rapida occhiata, osservandolo con un sopracciglio inarcato.
    «Se riesci a capire quando sarà domani, marimo, fammi un fischio», lo prese in giro, poiché con il persistente cielo plumbeo e la nebbiolina che calava di tanto in tanto nella zona, era già un miracolo riuscire a capire che ore fossero.
    «Davvero divertente, cuoco», replicò senza ironia, sollevando appena lo sguardo al cielo prima di avvicinarsi ad uno degli alberi, strappando i rami più bassi per cominciare poi a ripulirli sotto lo sguardo di Sanji, che per una volta decise di non fare domande. Si limitò semplicemente a lasciarsi cadere seduto sul terreno umido, poggiando la schiena contro il tronco e rabbrividendo appena per il gelo che corse in tutto il suo corpo; distese la gamba e sospirò di sollievo quando il dolore alla caviglia si attenuò un po’, sollevando il capo per tornare ad osservare lo spadaccino, che aveva ammassato una catasta di rami e un mucchietto di foglie che aveva tolto proprio da essi, spingendo il tutto nella sua direzione.
    «Cos’è, un falò improvvisato?» chiese Sanji con uno sbuffo alquanto divertito, rimediandoci un’occhiataccia da parte di Zoro.
    «Se sai fare di meglio, cuoco, alza il culo e cavatela da solo», sbottò, allungando una mano verso di lui. «Dammi l’accendino, piuttosto».
    «Vedi di non consumare tutto il gas solo per un misero fuocherello, marimo», raccomandò, gettandogli l’acciarino; Zoro lo afferrò a volo con la sinistra, sentendo la fredda consistenza del metallo sul palmo, e aprì poi il coperchietto con uno scatto secco, sfregando il pollice sulla rotella fino a che non vide scaturire una fiamma. Diede poi fuoco alle foglie che aveva gettato in precedenza sulla catasta di legno e sperò che, nonostante si trattasse di rami freschi, attecchisse in fretta, così da poter avere una fonte di calore e tenere al contempo lontane possibili bestie feroci. E se quegli Uomini Pesce avessero visto la loro posizione, beh, tanto meglio: ne avrebbero fatti fuori altri e avrebbero dimezzato il problema a Rufy e compagni.
    Rilanciando l’accendino al cuoco, Zoro si accomodò a gambe conserte dinanzi al falò, e, dopo aver riposto ordinatamente al suo fianco le sue fedeli katane, cominciò ad alimentare le fiamme con un bastone. Se c’era una cosa che aveva imparato a fare bene, prima di entrare a far parte di quella sgangherata ciurma, era proprio quella di riuscire a cavarsela anche nelle situazioni più assurde e disparate, dunque quella gli sembrava semplicemente una tranquilla passeggiata in un bosco. Se non contava le strane creature che cercavano di accopparli, ovviamente.
    «Uno di noi dovrebbe riposarsi un po’ e l’altro controllare la zona», disse di punto in bianco Sanji, riscuotendo Zoro dai suoi pensieri. Quest’ultimo alzò difatti lo sguardo su di lui e sbatté la palpebra, facendo poi spallucce.
    «Resto di guardia io, tu vattene pure a dormire».
    «Cosa? Non ci penso nemmeno, idiota. Va’ a dormire tu, piuttosto».
    Zoro aggrottò la fronte, a quel dire. «Non rompere e fa’ come ti ho detto, stupido cuoco che non sei altro».
    «Se la metti così, spadaccino, vorrà dire che nessuno dei due chiuderà occhio».
    «Mi stai sfidando?»
    «Esattamente».
    Si guardarono in viso per un lungo attimo, le palpebre assottigliate e le labbra ridotte ad una linea sottile. Sbuffarono e sbottarono, «Bene!» nello stesso istante, incrociando le braccia al petto prima di guardare da tutt’altra parte come due mocciosi che avevano appena litigato. Non che per loro fosse una novità, a ben pensarci, ma in quella situazione, almeno, faceva sì che tutto apparisse assolutamente normale, come se non si trovassero divisi dal gruppo e ignari di come stessero. Se avessero cominciato a preoccuparsi per loro avrebbero soltanto complicato le cose, e poi potevano stare tranquilli: in quei due anni erano diventati tutti più forti, persino Usopp e Nami, dunque non avevano nulla da temere. E poi con loro c’era Rufy. Per quanto certe volte si comportasse come un idiota irresponsabile ed egoista, per lui la sua ciurma era tutto, ed era sempre stato pronto a difenderla con le unghie e con i denti senza esitazioni.
    Nessuno dei due compagni riuscì a capire con esattezza quanto tempo fosse trascorso da quando si erano concessi quella silenziosa tregua, ma la quiete che era calata sulla foresta era così assordante che Sanji stava cominciando a dare di matto, in particolar modo se pensava che a pochi centimetri da lui c’era proprio la causa del comportamento bizzarro che aveva tenuto negli ultimi tempi. Maledizione. Non avrebbe potuto perdersi e ritrovare poi Nami o Robin? Di sicuro passare tutto quel tempo con una delle sue muse - o con entrambe, non gli sarebbe affatto dispiaciuto - sarebbe stata un’ottima terapia e l’avrebbe aiutato non poco a riprendersi, forse persino più di quanto lui stesso immaginava. Già aveva ben chiara la scena: la sua bella Nami che, tremante dal freddo, gli chiedeva di scaldarla, e lui, cavaliere e suo schiavo d’amore, le si avvicinava amorevolmente e la stringeva a sé, scivolando accidentalmente con due dita sulla sua spalla e poi più giù, verso il bel solco dei seni sodi, fra i quali avrebbe affondato il viso e...
    «Ohi, cuoco, ti sanguina il naso». La voce di Zoro lo distolse dalle sue depravazioni e lo richiamò a fatica alla realtà, tanto che ci mise un po’ a realizzare realmente cosa avesse detto lo spadaccino e a sfregarsi in fretta una manica sotto la narice, ripulendosi alla bell’e meglio. Accidenti, avrebbe dovuto approfittarne molto di più quando aveva avuto a sua completa disposizione il bellissimo corpo di Nami. «Stavi pensando a qualche porcheria come tuo solito, eh?» lo schernì ancora il Vice Capitano, e stavolta Sanji non si risparmiò dal rifilargli un’occhiata di fuoco.
    «Sono un uomo, dannazione», sbottò, afferrando il pacchetto di sigarette dal taschino interno della camicia per portarsene una alle labbra e mantenerla con i denti mentre afferrava l’accendino; bruciò l’estremità e inspirò a fondo, posando tutto al proprio posto prima di continuare, «È normale che mi ritrovi a fantasticare, anziché riflettere sul fatto che sono da solo in culo al mondo con un armadio a quattro ante come te».
    «Non lamentarti, nemmeno io faccio i salti di gioia nello stare con un damerino del tuo calibro», replicò schietto Zoro, lasciando a Sanji una sgradevole sensazione di viscido dietro la schiena con solo quelle poche parole. Diamine. Che freddezza, quello spadaccino di merda. Eppure, prima di quella separazione, non ricordava che le cose fossero così... gelide, fra loro. Solo con Rufy non sembrava essere cambiato per niente, e la cosa, stranamente, fece ribollire a Sanji il sangue nelle vene. Era geloso, perfetto. Ci mancava soltanto questa, cazzo.
    «Mettiamoci una pietra sopra», si affrettò a dire, forse anche nel tentativo di scacciare la bizzarra sensazione che lo aveva attraversato così all’improvviso. «Piuttosto, hai mai sentito parlare dello scrigno di Davy Jones?» chiese, e Zoro si limitò ad osservarlo con una sorta di strana curiosità.
    «Che cos’è, un tesoro?»
    Sanji scosse brevemente la testa. «È il luogo in cui riposano i marinai annegati. In passato era un eufemismo per indicare il fondo dell’oceano».
    «Perché mi dici tutto questo?»
    «Perché Davy Jones, secondo la leggenda, era un pirata dannato che era stato condannato da Calipso a vagare nell’oceano e a raccogliere le anime dei marinai che perdevano la loro vita in mare, potendo far ritorno sulla terra ferma un solo giorno ogni dieci anni», si guardò intorno con fare distratto, sbuffando una nuvola di fumo. «La sua comparsa veniva anticipata da nebbia fitta e dall’odore della salsedine, prima che il malcapitato riuscisse a scorgere le vele malridotte del suo veliero e venisse trascinato nella sua tomba in fondo al mare».
    Zoro non poté fare a meno di sollevare un sopracciglio con fare scettico, a quel dire. E adesso cosa diavolo stava blaterando, quell’idiota di un cuoco? «E con ciò?» sbuffò. «Mi stai forse dicendo che potremmo trovarci davanti a questo Davy Jones, ricciolo?» soggiunse ironico, ma nell’osservare il compagno di sottecchi e nel costatare che la sua espressione era divenuta ancor più seria di quanto non fosse stata quando aveva cominciato quel discorso, lo spadaccino si ritrovò ad accigliarsi, forse persino confuso. «Andiamo, cuoco, non dirmi che credi a cazzate del genere», rimbeccò, e Sanji gli scoccò un’occhiataccia.
    «Forse per te potrà essere semplicemente qualche diceria marinara, ma mi è stato insegnato a tenere sempre gli occhi aperti, quando si tratta del mare. È un amante infido e pericoloso», replicò, ricordando fin troppo bene ciò che gli era sempre stato detto sull’oceano. Bisognava stare in guardia in continuazione e non prenderlo mai alla leggera, e aveva ormai fatto sua quella filosofia di vita. Che quell’idiota d’un marimo pensasse ciò che voleva; lui non aveva intenzione di cadere vittima degli avvenimenti solo perché non era stato attento come gli era sempre stato raccomandato. «Ti conviene non sottovalutarlo, marimo. Poi fa’ come vuoi, non sono la tua balia».
    «Non stiamo parlando del mare, cuoco», gli tenne presente lo spadaccino con uno sbuffo, senza smettere di far vagare lo sguardo nei dintorni. Probabilmente stava calando la notte, giacché le ombre si erano infittite, ma quella nebbia non voleva saperne di diradarsi. «Tu credi davvero che in questo fottuto posto possa esserci quel tipo, Davy Jones? L’hai detto tu stesso che si tratta soltanto di una leggenda».
    «Se tanto mi da tanto, marimo, non sarebbe poi così strano», replicò semplicemente. «Ci stavo riflettendo già da un po’... si narra che anche la ciurma sia stata maledetta, quindi mi chiedevo se quei tipi che abbiamo incontrato non abbiano qualcosa a che fare con lui. In fin dei conti questo è il Nuovo Mondo», soggiunse, quasi a volerglielo ricordare.
    «Le leggende sono leggende, cuoco», tagliò corto il Vice Capitano, sdraiandosi sul terreno umido con le braccia incrociate dietro alla testa. «Quelli non sono i primi Uomini Pesce che incontriamo, quindi piantala di fantasticare su idiozie simili».
    Sanji lo osservò per un lungo istante con le sopracciglia aggrottate, sbuffando qualche attimo dopo prima di poggiarsi con il capo contro il tronco dell’albero dietro di sé. «A volte ammiro questa tua miscredenza, marimo, davvero», disse in un soffio, e Zoro faticò a capire se il cuoco l’avesse detto con ironia o se lo pensasse sul serio. Non vi diede peso più di tanto, però, osservando soltanto lo scorcio di cielo grigio che si intravedeva fra le fronde.
    Leggenda o meno, ad attenderli fra le ombre c’era di sicuro qualcosa. Se lo sentiva sin dentro le viscere.









_Note conclusive (E inconcludenti) dell'autrice
Ci ho messo praticamente una vita per farlo, però alla fine sono riuscita ad aggiornare anche questa storia con il quarto capitolo. La storia giungerà presto a conclusione, quindi tenetevi forte :3
Comunque sia, in questo capitolo vediamo Zoro e Sanji alle prese con Uomini Pesce ben più diversi di quelli contro cui si sono scontrati finora e, come se non bastasse, il nostro caro cuoco si è slogato una caviglia... un gran bel guaio, per uno che combatte solo con i calci. Okay, ammetto che è stata una bastardata... però ammetto anche che volevo inserire un pizzico di scena ZoSan velatissima e praticamente inesistente, e quella mi sembrava una buona idea x)
Per il resto, la leggenda di Davy Jones è fin troppo conosciuta e persino Sanji stesso ha accennato a qualcosa, dunque non credo sia necessario inserire qualche nota. In caso foste interessati, però, ponete le vostre domande e io vi risponderò :3
Al prossimo capitolo. ♥




Messaggio No Profit
Dona l'8% del tuo tempo alla causa pro-recensioni.
Farai felice milioni di scrittori.
  
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio! / Vai alla pagina dell'autore: My Pride