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Autore: ladymisteria    04/08/2012    1 recensioni
"Sherlock Holmes se ne stava in piedi in quella stanza della sede governativa dei servizi segreti britannici.
Sembrava perfettamente a suo agio, nonostante fosse scalzo, bagnato come un pulcino e avesse sulla testa una spada di Damocle con impressa a caratteri cubitali un'accusa per alto tradimento."

Seguito di "Rain and Confidences"
Versione riveduta e corretta
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Irene Adler, John Watson, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'After Sherlock's Fall'
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«Sherlock, eccoti! Mi vuoi dire perché sei sparito in quel modo?»

«Non ho più cinque anni, mamma» le rammentò il detective, divertito dal rimprovero della madre.

«Ma continui a comportarti come tale».

«Avevo dimenticato una cosa nel mio appartamento» mentì lui.

La donna lo guardò, scettica.

«E l'hai trovata?»

«Come? Oh, sì».

Estrasse la pistola, posandola con tranquillità sul tavolino accanto alla poltrona.

Celine Holmes la guardò, rassegnata.

«Era davvero così importante, da non poterla lasciare a Baker Street?»

«Non si può mai sapere».

La donna passò delicatamente e con attenzione la mano sull'arma.

«Ero certa che l'avessi tu. Chi altri, se no?».

Anche Sherlock guardò la pistola.

«Una L9A1 Browning in dotazione all'esercito britannico. La pistola di papà» mormorò, più a se stesso che alla madre.

I suoi occhi indugiarono brevemente sulla foto posta sulla mensola del camino.

Suo padre, Richard Holmes, era morto quando lui aveva da poco iniziato l'università.

Se non si teneva conto dell'aspetto marziale, ormai radicato nell'uomo dalla sua carica di generale dell'esercito, era identico a Mycroft.

Stesso sguardo, stessa corporatura e stesse identiche priorità.

Prima la nazione, poi la famiglia.

Sherlock ricordava bene la ferrea educazione imposta a lui e al fratello dal padre.

Richard Holmes era dell'idea che una corretta disciplina militare fosse il modo migliore per affrontare la vita quotidiana.

Spesso Sherlock si era domandato se non fosse a causa del padre, se il suo rapporto di amicizia con John era tanto stretto.

«Così... Mycroft ti ha rivelato ogni piccolo dettaglio, vero? Chissà come mai ci ha messo tanto a farlo. Oh, ma certo! Doveva scegliere il momento adatto in cui farlo. Immagino che, data la situazione attuale, sarai... felice di aver scoperto con che genere di persone...».

Celine guardò il figlio.

«A dire la verità sì, Sherlock. Sono stata felice di sentire che qualcuno ti abbia aiutato a comprendere come anche tu sia dotato di sentimenti che vanno oltre l'amicizia e l'astio. Quello che hai fatto per Irene Adler è stato estremamente stupido, ma altrettanto nobile».

Sherlock si sedette di fronte alla madre, che lo studiò.

«Conosco quell'espressione...» mormorò la donna, piano.

«Quale espressione?»

«Quella che hai appena assunto. Quella che significa che hai qualcosa che ti ronza per quella testolina riccioluta».

Il detective ghignò.

«Servirebbe a qualcosa negare?».

Celine Holmes scosse il capo con un sorriso.

«Qualsiasi cosa sia, sono certa sarà la cosa giusta da fare»

«Dovresti seriamente provare a convincere di questo anche Mycroft».

«Tuo fratello vuole solo proteggerti. Non avercela con lui. Non userà metodi molto convenzionali, ma...»

«Allora dovrò proporgli di iniziare ad usarli, dato che con quelli non convenzionali è riuscito a rovinato la vita, tre anni fa».

*

John Watson suonò al campanello della lussuosa villa immersa nel verde.

Si guardò intorno.

Il laghetto, l’enorme parco…

Sherlock e Mycroft erano stati davvero fortunati a poter crescere in un luogo come quello.

O almeno, questo era quello che sembrava.

Conoscendo il carattere dell’amico, John era convintissimo che per Sherlock quell’angolo di paradiso non fosse altro che un luogo da cui fuggire al più presto.

Il portone si aprì, e John venne condotto in un’ampia anticamera.

«Aspetti qui» disse Doris, sparendo dietro la porta del salotto.

Ne fece ritorno dopo pochi istanti, seguita da Celine Holmes.

L’uomo rimase stupefatto dall’incredibile somiglianza della donna con il figlio minore.

«Piacere di conoscerla, signora. Io sono…»

«John!».

Sherlock uscì anch’egli dal salotto, sorpreso di trovare l’amico lì.

«Così lei è John Watson. E’ un piacere per me poterla incontrare finalmente di persona, dottore. Sono lieta di poter stringere la mano a chi nutre una così profonda amicizia nei confronti di Sherlock».

John strinse educatamente la mano che gli veniva porta.

«Spero di non aver interrotto una conversazione importante; ma dovevo assolutamente parlare con Sherlock».

«Non si preoccupi, dottore».

Sherlock alzò gli occhi al cielo, impaziente.

«Non stavamo facendo nulla di realmente importante» disse, sbrigativo.

«Nulla che non possa essere rimandato a un momento più opportuno» si corresse, udendo il sospiro rassegnato della madre.

Celine Holmes annuì pazientemente.

«Suppongo dobbiate parlare in privato. Con il vostro permesso…».

Si allontanò, lasciando i due uomini soli e liberi finalmente di parlare.

«Che è successo?»

«Tuo fratello si è messo personalmente a dare la caccia alla Donna. Tu sei certo che si trovi in un luogo sicuro, vero?»

«Nessun luogo è davvero sicuro, se Mycroft decide di mettersi d’impegno nelle ricerche» replicò Sherlock, corrucciato.

«Vuoi dirmi come spiegherai la cancellazione delle prove?»

«Ancora non lo so, troverò qualcosa per risolvere l’intera faccenda. Il problema è che devo farlo in fretta, ora che mio fratello ha deciso di giocare personalmente a questa partita».

John sospirò.

«Ad ogni modo, ho avuto modo di dare un’occhiata, qui. E’ davvero un posto enorme e meraviglioso»

«Come? Oh, sì. Una vera oasi paradisiaca» disse il detective distrattamente, troppo concentrato per ascoltare veramente quanto l’amico aveva da dire.

«Ovviamente immagino che per te abbia rappresentato solo una prigione. Una gabbia dorata dove potevi fare ciò che volevi, ma limitato al suo interno».

Sherlock sgranò gli occhi.

«Una gabbia dorata! Come ho fatto a non pensarci! John, sei un genio!»

«Come?».

John non era ancora abituato ai complimenti dell’amico.

Anche perché solitamente non lo erano mai davvero.

«Ero così concentrato da non vedere che avevo la soluzione sotto gli occhi. Che razza di idiota!» esclamò il detective.

Sembrava eccitato, come un bambino davanti al giocattolo nuovo.

«Mi rendi partecipe?»

«Non ora, John. Ho una cosa da fare al più presto».

Raggiunse rapidamente la porta, la spalancò e attraversò di corsa il parco.

Nel giro di qualche secondo era sparito nuovamente.

«Sherlock!» esclamò John.

Inutile.

Era andato.

«Che succede?».

L’uomo si voltò, scoprendo Celine Holmes al suo fianco.

«Io… E’ semplicemente…».

Si sentì un idiota.

Diamine, aveva combattuto una guerra e non riusciva a spiegarsi con un’anziana signora aristocratica?

«Non sono riuscito a fermarlo» disse.

Celine scosse il capo, ridendo.

«Oh, non si preoccupi. Dubito ci sarebbe riuscito. Sherlock è fatto così. Credo che neppure sedandolo si riuscirebbe a tenerlo tranquillo per più di dieci minuti. Se si mette in testa una cosa è inarrestabile. Non trova pace finché non l’ha ottenuta».

«Sì, ho avuto modo di notarlo; qualche centinaio di volte».

Celine Holmes sorrise bonaria.

«Ma io sono una pessima ospite. Prego, venga. Spero non mi negherà una tazza di thè in sua compagnia. Sono davvero curiosa di sapere come riesce a convivere con Sherlock senza provare il desiderio di tramortirlo»

«Devo ammettere, signora, di averci pensato spesso».

*

La porta dell’ufficio di Mycroft Holmes venne spalancata, strappando un’esclamazione di disappunto all’uomo seduto alla scrivania.

Mycroft fulminò il fratello con lo sguardo, mentre Sir Hawking - seduto di fronte all’amico - fissava con un misto di divertimento e di shock il minore dei fratelli Holmes.

«La buona educazione imporrebbe di bussare, prima di irrompere in un tale modo barbaro in una stanza, Sherlock»

«Al diavolo la buona educazione. Ho risolto finalmente la spiacevole situazione che mi vedeva protagonista».

Mycroft Holmes e Sir Hawking si scambiarono un’occhiata.

«Ebbene?» domandò cauto l’uomo alla scrivania, alzandosi.

«Prima di metterti al corrente di ciò che ho in mente, vorrei scambiare due chiacchiere in privato con Sir Hawking, se non ti spiace» disse Sherlock.

Mycroft lo guardò diffidente, ma annuì.

«Molto bene. Sarò qui fuori, quando avrete finito».

Uscì, con il morale decisamente più sollevato.

Finalmente Sherlock sembrava usare il cervello nel modo giusto.

   
 
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