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Autore: csgiovanna    14/08/2012    1 recensioni
Jane, Lisbon ed il team dovranno indagare su un inquietante omicidio avvenuto all'interno della Coffin Academy, un istituto che pratica una ambigua e singolare terapia anti-suicidio. Chi ha ucciso Samantha Greenwood, avvocato di grido di Sacramento? Perché Jane si comporta in maniera più strana del solito? Cosa sta nascondendo a Lisbon e alla squadra? FF ambientata durante la 4/a stagione, dopo l'episodio 4x22 e prima dell'episodio Red Rover, Red Rover (4x23)
Genere: Angst, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Jane/Lisbon
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Terzo capitoletto: nuovi indizi per capire chi si cela dietro l'omicidio di Samantha Greenwood e qualche particolare in più sullo stato di Jane... Spero vi piaccia. Ringrazio tutti per le recensioni!!




Rigsby diede uno sguardo alla stanza cercando il punto d’origine ed eventuali segni di accelerante. Dopo alcuni minuti, raggiunse la squadra.

«E’ sicuramente doloso.- dichiarò – Ci sono tre punti d’origine diversi. E poi ho trovato questo.» disse allungando una busta con all'interno i resti di una bandana con uno stemma ormai illeggibile.

«Sembra non appartenere a nessuno dell'accademia» aggiunse.

Teresa sospirò. La faccenda si stava complicando.

«Ok vedi di capire a chi appartiene – poi rivolgendosi a uno degli assistenti di Hea Woo Chung - Cosa c’era in questa stanza?»

«La nostra sala tattoo. Tutti i macchinari sono andati distrutti! E ora la signora Chung è all’ospedale. E’ la rovina.» si lamentò il giovane coreano.

«Un cliente insoddisfatto?» commentò ironicamente il consulente dando un’occhiata all’interno.

Era andato tutto bruciato. Di arredi ed attrezzature restava ben poco ormai: le pareti erano nere fino a quasi il soffitto e c’era un odore pungente che penetrava nelle narici e bruciava la gola.

Jane cominciò a tossire, ad ogni colpo di tosse sentiva delle fitte tremende al petto, anche se cercava di trattenersi non riusciva a fermarsi. Teresa si voltò verso il consulente allarmata. Lui si precipitò fuori dalla stanza. Van Pelt e Rigsby si scambiarono uno sguardo preoccupato.

Fuori dall’edificio Jane si appoggiò con la schiena ad una colonna e tentò di respirare lentamente. Gocce di sudore imperlavano la fronte e il labbro superiore. Le fitte continuavano ancora, ma almeno era riuscito a fermare la tosse. Imprecò tra sé, aveva la nausea e la spiacevole sensazione di vertigine, come se stesse per svenire o vomitare. Sentiva le gambe molli, sul punto di cedere. Poggiò la testa all’indietro e prese un respiro lento e profondo.

«Jane…» la voce di Lisbon lo fece trasalire.

Si voltò appena verso di lei.

«Stai bene?»

«Certo. Avevo solo bisogno di un po’ d’aria fresca.» si staccò dalla colonna con disinvoltura, cercando di celare il malessere che ancora lo rendeva instabile sulle gambe.

Lei lo fissò seria, cercando di capire se le stesse raccontando una delle sue solite bugie. Toccò con la mano il suo braccio, come per sorreggerlo. Jane le sorrise, fece per allontanarsi, ma le gambe lo tradirono e si dovette appoggiare su di lei.

«Tutto ok?» chiese allarmata.

«Scherzetto.» la rassicurò facendole l’occhiolino ed allontanandosi di qualche passo.

«Muoviamoci. – sbottò lei poco convinta - Non possiamo fare molto qui, comunque. Andiamo all’ospedale a raccogliere la testimonianza della signora Chung.»

Jane corrugò la fronte, non gli sembrava una buona idea, soprattutto perché non voleva rischiare di incrociare uno dei medici che lo aveva curato poche ore prima.

«Meh…» provò a lamentarsi.

«Cosa?»

«Tempo perso. Dovremmo invece cercare l’amante di Samantha Greenwood.»

«Ancora questa storia? Quale amante? La sorella e i suoi colleghi hanno detto che non aveva nessuna relazione.»

«Se lo avessero saputo che relazione segreta sarebbe?»

«Ok, allora cosa suggerisci di fare?»

«Mangiare un boccone, prima di tutto e poi un giro di perlustrazione nel suo ufficio.»

Teresa sospirò rassegnata, mentre il biondo sorrise soddisfatto.

 


 

Lisbon guidava il SUV in direzione degli uffici del R&G Company, Jane era quasi accoccolato sul sedile del passeggero. Il viso appoggiato al vetro, gli occhi chiusi, le braccia avvolte attorno al corpo, sembrava addormentato. Di tanto in tanto Teresa gli lanciava uno sguardo fugace, preoccupata per l’evidente pallore del consulente. A dispetto di quanto aveva detto, Jane aveva a malapena assaggiato le frittelle ed il tè che aveva ordinato. Questo era decisamente allarmante.

«Stai vedendo qualcosa che ti piace?» chiese Jane aprendo un occhio.

Teresa distolse lo sguardo sbuffando.

«Cosa ti fa pensare che la vittima avesse una relazione?» chiese cercando di intavolare una conversazione e sviare il discorso.

«Il profumo ricercato, gli abiti provocanti, il trucco curato e l’acconciatura all’ultima moda.» rispose lui tornando a chiudere gli occhi.

«E questo è sufficiente? Vuoi dire che le donne si curano solo per compiacere gli uomini?» l’apostrofò seccata.

«Non le donne… lei in particolare. Tu ad esempio sei perfetta anche se non hai una relazione.»

«E tu che ne sai?» sbottò, cercando di mascherare con l’aggressività l’imbarazzo per l’osservazione di Jane. Sentiva le guance in fiamme e ringraziò il cielo che non la stesse guardando. Lui fece finta di non aver sentito.

«La sua patente è stata rinnovata circa 5 mesi fa. Nella foto aveva i capelli poco curati, il trucco approssimativo, ergo – spiegò poi – qualcosa deve averle fatto cambiare atteggiamento… Quindi direi che un uomo potrebbe essere la risposta.»

«Oh.»

«Credi che il suo amante l’abbia avvelenata?» chiese Teresa dopo un attimo di silenzio.

«Sai che si dice del veleno?» rispose lui aprendo definitivamente gli occhi e sollevandosi con cautela.

«Che è l’arma preferita dalle donne.»

Jane sorrise. I due si scambiarono uno sguardo d’intesa.

«Il veleno è un’arma discreta, silenziosa che – spiegò il consulente - se usata bene, non lascia traccia, permettendo di far passare la morte della vittima per un fenomeno naturale.»

«Beh, dobbiamo aver a che fare con una dilettante, vista la quantità di veleno usato.» osservò lei.

«O una donna molto arrabbiata.»

Teresa ridacchiò. Jane la guardò di furtivamente: era concentrata sulla strada, gli angoli della bocca piegati in un sorriso ironico.

«Stando a quanto scoperto da Van Pelt negli ultimi mesi la Greenwood aveva difeso alcuni personaggi non molto raccomandabili legati alla MOD Gang, che controlla lo spaccio a nord della città. Forse a qualcuno la cosa non è piaciuta o forse ha scoperto cose che non doveva.» ipotizzò Lisbon.

«Uhm… Se così fosse, semplicemente non avremmo più trovato il corpo.» si limitò a commentare il consulente.

Teresa sospirò rassegnata. Quando Jane aveva una teoria in mente era impossibile discutere con lui.

«Sicuramente no.» disse il biondo dopo un attimo.

«No, cosa?» chiese lei perplessa.

«Tu non cambieresti per compiacere un uomo.»

Lei non rispose e non lo guardò, si limitò a mugugnare qualcosa. Era confusa e leggermente imbarazzata. Jane sorrise tra sé, era deliziosa quando rimaneva senza parole.

«Non userei neanche il veleno se è per questo.» sussurrò dopo qualche attimo di esitazione, cercando di apparire disinvolta.

«Due colpi rapidi e precisi, eh?» chiese lui con sorrisetto ironico indicando un punto tra gli occhi.

«Sai dicono che sono un tipo intenso e particolare.» esclamò citando le identiche parole che Jane aveva usato per descriverla.

 

 


 

 

Van Pelt e Cho entrarono nella saletta del pronto soccorso che ospitava Hea Woo Chung, suo marito era seduto sul bordo del letto e le teneva la mano. Si stavano guardando intensamente in silenzio. Van Pelt li osservò con tenerezza, Cho, invece, non mostrò alcuna emozione. La rossa tossicchiò in modo che i due si accorgessero del loro arrivo. Sullivan li salutò con un cenno.

«Signora Chung avremo qualche domanda riguardo all’incendio.» disse Grace sorridendole.

La donna coreana guardò i due agenti ed annuì. Aveva il braccio destro fasciato e qualche escoriazione sul viso, ma sembrava non aver subito grandi danni.

«Ci può dire cosa è successo?» domandò la rossa.

«Kim era appena uscito e stavo per lasciare l’accademia anch’io, quando ho sentito un rumore provenire dalla sala tatuaggi. Ho pensato di dare un’occhiata e ho aperto la porta. Le fiamme avevano invaso completamente la stanza … Ho provato a spegnerle, ma era troppo tardi.»

Una lacrima le rigò il volto. Il marito le strinse la mano e le accarezzò la guancia. Van Pelt sorrise a quel gesto. Cho non batté ciglio.

«Perché sta accadendo tutto questo? Prima Samantha, ora l'incendio…» si lamentò la donna.

«Ssssh…» le sussurrò il marito accarezzandole i capelli scuri e baciandole la testa.

«Ha visto qualcuno?» chiese Cho.

«Quando ho aperto la porta un uomo è saltato dalla finestra. Ma era di spalle ed aveva un cappuccio sulla testa… non l’ho visto in faccia. Sembrava indossare una felpa, dei jeans scuri…» rispose vaga.

Grace annuì con simpatia.

«C’era qualcosa di valore in quella sala?» chiese poi l’asiatico prima di andare.

Richard ed Hea si guardarono stringendosi nelle spalle.

«No. Era una semplice sala tattoo. Macchinari, inchiostri… Per noi era un’ottima fonte di guadagno, ma no… non c’era niente di valore.» disse lei mentre era sul punto di scoppiare in lacrime.

«Forse volevano bruciare tutta l’accademia.» ipotizzò Sullivan.

Cho annuì, li ringraziò quindi, lui e Van Pelt uscirono dalla stanza.

«Che tristezza.» esclamò Grace dopo un po’.

Stavano camminando verso l’auto in silenzio. L’agente la guardò senza tradire nessuna turbamento.

«Sembra che il destino se la sia presa con questi due. – sospirò – Sono così teneri insieme, ti fanno sperare che il vero amore esista davvero, aldilà di tutto.»

Kimball la fissò scettico. Un'ombra di tristezza attraversò rapida il suo viso. Grace notò il disagio del collega, ma non osò chiedere nulla. Cho distolse lo sguardo ed aprì la portiera dell'auto. Spinse il ricordo dell'addio a Summer in un angolino del suo cervello e riacquistò la sua aria imperturbabile.

«Già. Andiamo.» si limitò a dire.

 

 


 

 

L’ufficio di Samantha Greenwood era ospitato in un prestigioso e modernissimo palazzo nel centro di Sacramento, al loro arrivo fu Greg Gordon, il socio fondatore dello studio legale, ad accogliere Lisbon e Jane. Era un uomo sulla settantina, elegantemente vestito, con i capelli quasi bianchi, un paio di piccoli occhiali dorati ed un pizzetto brizzolato che gli conferiva quell’aria severa ed affidabile, tipica di un avvocato di successo. Aldilà dell’elegante completo gessato, indossava anche un’espressione falsamente cordiale.

«Teresa Lisbon CBI, lui è Patrick Jane, consulente.» si presentò la bruna senza troppi convenevoli, stringendo la mano dell’uomo. Jane salutò con un rapido cenno.

«Greg Gordon – disse poi rivolgendosi a Teresa con fare autoritario guidandoli tra i corridoi dell’edificio - ci sono novità sulla morte di Samantha?».

«Non siamo soliti diffondere informazioni su un caso in corso, Signore.» rispose lei sulla difensiva.

«Capisco. – commentò squadrando Teresa - Qualsiasi cosa di cui abbiate bisogno potete contare sulla nostra collaborazione. Samantha era un avvocato incredibilmente capace, una donna come poche. Era da poco diventata nostro associato. Per noi è una grande perdita.»

Jane fece una smorfia, Teresa lo fissò preoccupata, già consapevole che la pila di denunce sulla sua scrivania si sarebbe allungata. Ringhiò qualche avvertimento al suo consulente.

«Uhm… noto un sentimento ambivalente nei confronti della vittima. Pensa veramente che fosse un grande avvocato, ma non le mancherà affatto.»

L’uomo perse il sorriso amichevole e lo fissò gelido.

«Cosa intende dire?» chiese con tono aggressivo facendo un passo verso di lui.

«Si sentiva minacciato da Samantha, in qualche modo la vittima aveva il controllo su di lei... Non voleva farla entrare nello studio come associato, però l’ha fatto. C’è da chiedersi il perché. Aveva una relazione con Samantha Greenwood?» continuò il biondo con un sorriso impertinente.

«Cosa?!?» l’uomo scattò verso Jane afferrandolo per il bavero della giacca. Jane si lasciò sfuggire un gemito. Teresa intervenne separandoli immediatamente.

«Potrei arrestarla per aggressione a pubblico ufficiale!» urlò allontanandolo da Jane.

L’uomo si ricompose subito, guardò torvo in direzione del biondo che stava riprendendo fiato appoggiato ad una scrivania.

«Questo è l’ufficio di Samantha.» disse poi, indicando la porta davanti a loro – e la risposta è no. Non avevo una relazione con lei. C’erano scelte che non condividevo, come questa sua ultima passione per quell’accademia assurda… Ma quando voleva qualcosa sapeva sempre come ottenerla. Ed ora, vogliate scusarmi.»

Detto questo si allontanò lasciando i due davanti alla porta. Teresa si voltò verso Jane che nel frattempo si era ripreso.

«Non imparerai mai, eh?»

Lui fece spallucce.

«Lo sai anche tu che ci ha mentito.»

Lei sospirò e lui aprì la porta invitandola ad entrare con un cenno.

«Ci servono prove… niente prove, nessun arresto.» spiegò per l’ennesima volta.

«Quelle servono a te e ai tribunali. Quell’uomo temeva Samantha Greenwood, e noi scopriremo il perché.»

Entrarono nell’ufficio della vittima: era arredato con mobili di design bianchi vivacizzati da tessuti, soprammobili ed opere d’arte in colori vivaci. Jane e Lisbon si misero subito a controllare la scrivania, i cassetti ed il computer. Non trovarono nulla. Di fronte a loro si trovava solo una grande libreria.

«Che ne pensi?» chiese Teresa guardandosi intorno.

«Feng shui.»

Lei lo fissò perplessa. Lui si girò attorno e accompagnò il movimento con il braccio destro.

«Pochi mobili e oggetti sistemati con cura meticolosa, una pianta sulla scrivania e grande attenzione per la luce e i colori…» spiegò.

«E questo a cosa ci porta?» sospirò Teresa sedendosi di peso sul divano in pelle bianca.

«Devi avere pazienza donna!»

Lei roteò gli occhi, appoggiò la testa sulla mano sinistra. Jane iniziò ad esaminare la libreria e, dopo alcuni minuti, si bloccò: un ampio sorriso sulle labbra.

«Ecco qua… cosa noti?» chiese il biondo indicando la libreria.

«Libri? Amava leggere? – chiese imbronciandosi – l’amante è un bibliotecario?» concluse con una punta di sarcasmo nella voce.

Lui fece una smorfia, poi indicò la libreria. Teresa si alzò dal divano e si avvicinò. Patrick le mise le mani sulle spalle come per guidarla e Lisbon rabbrividì al contatto. Sospirò, quindi osservò la libreria: c’erano una serie di libri sistemati in ordine di grandezza e raggruppati per colore. I titoli nella parte più bassa erano per lo più di carattere legale, più in alto c’era una sezione di classici della letteratura, poi alcune raccolte d’arte moderna e infine, ecco quello a cui Jane si riferiva: un unico piccolo libro con una copertina variopinta, dedicato all’arte coreana ed inserito all’interno della sezione legale. Era quasi invisibile tanto era sottile. Teresa lo prese e lo sfogliò. In realtà non era un libro, ma un’agenda: l’agenda personale di Samantha Greenwood. Lei fece un’espressione soddisfatta, quindi si voltò verso il consulente che la stava osservando sorridente.

«찾았다. (chaj-assda)*» esclamò Jane in perfetto coreano, con un sorriso sornione.

 

*Gotcha/Trovato.

   
 
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