Anime & Manga > Card Captor Sakura
Segui la storia  |       
Autore: Angemon_SS    19/08/2012    2 recensioni
Gli anni passano e i protagonisti crescono. Li Shaorang torna a Tokio per lavoro e non può non ripensare a Sakura, a come è cambiata, a cosa dovrebbe dire in caso la incontrasse, a cosa fare, dove andare, ecc. La paura di rinvangare il passato e di riaprirsi è una costante della sua nuova vita nella metropoli, proprio Sakura non migliora la situazione disorientandolo in più momenti e perdendosi a sua volta nei suoi stessi sentimenti e "bisogni". Sguardi, parole e gesti devono essere calcolati al millimetro da entrambi per non rischiare di farsi male a vicenda o di farsene così tanto da cadere in qualcosa di non controllabile, o per lo meno bisogna provare.
[seguito ideale della FF Aruòpule ma non necessita della preventiva lettura di quest'ultima]
Genere: Commedia, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Li Shaoran, Sakura, Sakura Kinomoto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 3

 

Tsubasa wo kudasai

 

 

«Kerochan direbbe che facciamo schifo: pensa che l’accoppiamento degli esseri umani è quanto di più disgustoso esista. Non mi ha mai visto fare cose del genere, ha visto tutto su internet, la sua curiosità era troppa per non sbirciare in un sito porno.» Sorrise tra le mie braccia. «Immaginati l’imbarazzo quando mi ha fatto vedere quel video e chiesto se noi umani ci riproduciamo in quel modo, all’ora sapevo solo in modo generico come funzionasse il tutto, dopotutto l’avevo studiato a scuola, ma quel video era davvero inguardabile.»

«Peggio di ciò che abbiamo fatto questa notte?»

«A confronto, siamo degli angioletti.»

Per la terza settimana consecutiva, Sakura aveva passato il mercoledì notte da me, stava diventando quasi una regola non scritta; si presentava da me all’ora di cena con un film a noleggio ed una cena veloce, non ricordo che film avesse preso perché non abbiamo mai prestato attenzione alla TV, c’era qualcosa di più importante.

«Ho lasciato Ken.» Fu come se si fosse tolta un giubbotto pesante ed un po’ mi sentivo in colpa, non volevo stravolgerle di nuovo la vita, non volevo che lasciasse il suo ragazzo; Si! E’ da egoisti andare a letto con una ragazza dichiaratamente impegnata e non pretendere che lei lasci il ragazzo ufficiale, mi sentivo in colpa non tanto per essere stato con lei, quanto per aver rovinato un rapporto, Tomoyo dice che era un rapporto di solo sesso ma se Sakura non me ne ha mai parlato ci sarà un motivo.

«Quando?»

«Avanti ieri…l’ha presa bene, non si è nemmeno scomposto.» Nascose il viso sul cuscino. «Ti faccio male se piango, solo per qualche minuto?»

Maledizione, certo che mi fai male, ma non te lo posso di certo sbattere in faccia, ancora meno quando sei nuda e tra le mie braccia! Non risposi alla sua domanda, semplicemente la strinsi forte a me e la coccolai nel tentativo di arrestare quelle lacrime. Fu un’impresa titanica, stava lasciando andare due anni di stress e sentimenti, non potevo fare altro che accarezzarla finché non si addormentò sul cuscino fradicio. Inutile dire che era bellissima quando dormiva, ero cotto di lei, non riuscivo a non toccarla, baciarla e anche farle il solletico quando l’avevo vicina, mi dispiaceva che stesse piangendo.

Guardai l’orologio e mi accorsi che erano appena le undici e mezza, si era presentata prima del solito quel giorno, meglio, potevamo dormire qualche ora in più.

Magari!

Il telefonino rosa di Sakura vibrò minaccioso sul comodino: guardai lo schermo, non mi andava di svegliarla se non si trattava di qualcosa di urgente; sull’LCD lampeggiava la foto di una ragazza in divisa da ristorante e il nome era “Momo Lavoro”. Forse c’erano problemi al locale.

Lasciai che, ancora assonnata, Sakura rispondesse alla chiamata e la faccia non fu quella di chi riceve buone notizie; non parlò e si limitò ad ascoltare e annuire, quando chiuse la chiamata si rialzò da letto alla ricerca della propria biancheria.

«Dove le hai lanciate?»

«Ci sono problemi al locale?» Le porsi le mutande.

«Durante la cena si è staccato un pezzo del controsoffitto ed è caduto su un tavolo.»

«Beh, sono cose che succedono, si è fatto male qualcuno?»

«C’è mancato poco ma la cosa peggiore è che insieme al controsoffitto sono caduti due topi enormi, ed ora stanno gironzolando per la sala.»

«Vai ad aiutarli nella cattura?»

«Peggio: alcuni clienti, di quelli ricchi sfondati e con la puzza sotto il naso, invece che accettare la cena gratis e lasciarci sistemare hanno chiamato la polizia, che ovviamente si è portata appresso un ispettore sanitario, questo ha trovato altri topi nel controsoffitto e vuole chiudere il ristorante.»

«Ma com’è possibile!?» Inutile dire che ero sorpreso.

«Non chiederlo a me, io sono un maître, non manutentore.»

Con mio rammarico si rivestì in pochi secondi e, dopo avermi baciato, corse fuori dall’appartamento in cerca di un taxi. La lasciai andare via senza battere ciglio, dopotutto stava per perdere il lavoro e un altro impiego non lo trovi di certo per strada; ricaddi sul letto e mi addormentai quasi all’istante e quasi all’istante mi risvegliai la mattina dopo, mi sembrava di non aver nemmeno preso sonno. Zittii la sveglia e mi diressi al lavoro dove mi attendevano Yuko ed un buon caffè rinvigorente.

Come ogni mattina svuotai la tazzina come se fosse acqua e dopo aver acceso il computer uscii per fumare. Speravo che Sakura fosse riuscita a calmare l’ispettore sanitario, magari non era uno di quelli rigidi ed avrebbe chiuso un occhio se avessero sistemato il controsoffitto in pochi giorni. Subito dopo pranzo suonò il telefonino con il responso: il messaggio era il suo e mi avvisava di essere diventata disoccupata.

 

Si ripresentò a casa mia per l’ora di cena con Tomoyo, le accolsi e scongelai qualcosa, se non ricordo male erano bastoncini di pesce ed una confezione di lasagne, di quelle per quattro.

Aveva le guance rigate dalle lacrime e non smetteva di singhiozzare. In quel periodo il resto del mondo aveva superato in poco tempo la crisi mondiale grazie alle conoscenze maturate con quella del 2010, per il Giappone però era arrivata tardi e perdere il lavoro equivaleva a morire. Sakura aveva qualche risparmio da parte e sarebbe potuta andare avanti per quattro o cinque mesi al massimo, stringendo la cinghia, ma senza uno stipendio rischiava di finire sulla strada. Non lo avrei mai permesso e l’avrei ospitata volentieri, stesso discorso aveva fatto Tomoyo ma Sakura non smetteva di piangere. Si calmò solo quando cominciammo a mangiare.

«Sono stati dei bastardi!» Tomoyo posò la forchetta di plastica. «E’ sicuramente gente che non ha mai lavorato in vita sua, non puoi danneggiare un’impresa in questo modo, lasciare senza stipendio decine di famiglie, è normale che ci siano topi a Tokio e che siano attirati dal cibo delle cucine, una svista può capitare ma basta farlo notare al proprietario invece di chiamare subito la polizia.»

«Teoricamente hanno fatto la cosa più giusta.» Fu la prima frase che pronunciò Sakura da quando entrò in casa.

«Sono stati comunque degli stronzi!» Era la prima volta che sentivo Tomoyo parlare in quel modo e non riuscii a nascondere un sorriso. «Li, dammene una, sono incazzata nera.»

Le porsi una sigaretta e l’accompagnai al terrazzo per lasciarla fumare, dovetti combattere la voglia di raggiungerla per poter restare in casa e non lasciare Sakura da sola.

«C’è possibilità che il locale riapra?»

«Non lo so, il proprietario è piuttosto anziano e voleva lasciare la gestione al figlio, questo purtroppo non è interessato, è il tipico figlio di papà viziato, abituato ad avere tutto già pronto.»

«E lasciarlo in gestione a terzi?»

«Chi si accollerebbe, con questa crisi, il carico di un macigno del genere? Io non di certo.»

Il ragionamento di Sakura filava, con uno slancio di generosità mi sarei potuto proporre io ma non avrei avuto i mezzi, e tantomeno le conoscenze, per gestire un ristorante. Mi limitai ad abbracciarla e stringerla forte, era l’unica cosa sensata da fare, seppur inutile.

Quella notte dormì da me, insieme a Tomoyo, nel mio letto.

Mi dovetti accontentare del divano, di nuovo!

Fortunatamente in soggiorno faceva fresco e dopo aver guardato un po’ di televisione riuscii lentamente a prendere sonno.

Mi risvegliai molto presto, mi sembrava che l’ora fosse simile a quando mi svegliò Sakura la prima volta, la seconda volta però il viso era quello ancora assonnato di Tomoyo.

«Scusa se ti sveglio, avresti del caffè?»

Mi rialzai più rincoglionito che mai e scoprii che erano le cinque meno un quarto del mattino. Lanciai decine e decine di maledizioni silenziose finché non accesi la luce della cucina e cominciai a mugugnare per la luce troppo forte.

Trovai il barattolo con il caffè e rimasi un po’ disorientato quando notai che Tomoyo indossava una delle mie magliette, solo quella. Sakura aveva fatto gli onori di casa, non mi dispiaceva ma Tomoyo poteva coprirsi un po’, la maglietta era corta ed io sono pur sempre un uomo.

«Scusa, Sakura mi ha assicurato che non ti saresti arrabbiato.» Si era accorta di come l’avevo squadrata.

«Oh…tranquilla, come mai la voglia di caffè a quest’ora?»

«Alle nove devo prendere l’aereo per un viaggio di lavoro e devo ancora andare a casa per fare la valigia. Meglio prendersi più tempo possibile, inoltre, Sakura sta russando come un trattore. Tu ne vuoi un po’?»

Annuii con la testa ciondolante e mi diressi al bagno sbadigliando come un ippopotamo. Dopo due o tre risciacqui facciali con acqua fredda, e dopo la cacca mattutina, tornai alla cucina dove mi accolse l’aroma del caffè che lentamente risaliva su per la caffettiera.

«Sakura dorme ancora?»

«A proposito di Sakura.» Versò del caffè nella tazzina e mi porse dei biscotti che doveva aver trovato in fondo alla credenza. «Mi sembra superfluo chiederti di starle il più vicino possibile. Hai una casa così grande e bella, potresti ospitarla così risparmia i soldi dell’affitto mentre cerca un’altra occupazione, ovviamente concorrerebbe alle spese.»

Era una possibilità che avevo già preso in considerazione e non mi importava se avesse contribuito o meno alle spese di luce e acqua, l’importate era che restasse con me. Annuii mentre svuotavo la tazzina, non sarebbe bastato di certo quel poco a risvegliarmi, allungai la mano per versarmene altro ma Tomoyo mi precedette e le nostre mani si toccarono. Forse eravamo ancora entrambi rimbambiti per il poco sonno ma ricordo che abbiamo nascosto la mano contemporaneamente. Passarono molto secondi prima che mi decisi a versare un’altra tazzina ad entrambi. Era una situazione strana e non riuscii mai a decifrarla, nemmeno a distanza di molti anni.

«Grazie del caffè.» Fu la prima a riprendersi e corse a cambiarsi in camera.

Restai seduto al tavolo finché non riapparve finalmente rivestita. L’accompagnai alla porta e mi salutò con un semplice gesto della mano poco prima di sparire dietro le porte dell’ascensore.

Maledizione, non riuscivo a capire che diavolo fosse successo. Ora che ci penso non ricordo di aver mai capito se Tomoyo fosse impegnata, se lo fosse mai stata, se fosse innamorata di qualcuno, per me era un mistero al pari della costruzione delle piramidi. In realtà avevo sempre intuito che provasse qualcosa di più profondo verso la cugina, qualcosa che andava certamente oltre l’affetto tra amiche, cominciai a temere che potesse odiarmi o che fosse gelosa di Sakura. Meglio averla vicina da amica che da folle omicida in preda alla gelosia. Fortunatamente mi scrollai di dosso quei pensieri quasi subito e tornai a dormire nel mio letto, accanto a colei che amavo. Si, era un po’ prematuro da dire ma non riuscivo a non provare tutto quello. Mi accovacciai sul letto e senza accorgermene la svegliai, fortunatamente non si arrabbiò e mi strinse forse per conciliarsi il sonno.

 

«Penso che dovremo lasciarci.» Fu come se mi sgozzassero. «Vado in Italia da papà.»

Quando pronunciò quelle due frasi stavamo facendo la doccia mattutina. Niente di sconcio, ma svegliarci in quel modo, con un sorriso, ci allietava la giornata. Quel giorno non fu tanto piacevole, Sakura restò per tutto il tempo in un angolo del box e pronunciò quella frase dandomi le spalle. A causa dell’acqua non capito se stesse lacrimando e non si lasciò baciare, nemmeno quando l’abbracciai nel tentativo di farle cambiare idea.

«Papà dice che hanno aperto un nuovo ristorante giapponese vicino all’Università, stanno cercando un maître che sia di origini nipponiche. Potrei risolvere il problema nel quale sono incappata.»

Io non fiatai, il karma si stava vendicando per le volte che ero andato via senza farmi vivo per anni interi. Me lo meritavo, dopotutto. Mi sentivo uno straccio buttato via, non capivo se in quel mese potevamo considerarci impegnati o che cosa, erano poco più di tre settimane ma quel piccolo paradiso stava lentamente crollando, come spazzato via da quell’acqua che sgorgava nella doccia.

«Hai già deciso?»

«Non ancora, ma ci sto pensando seriamente.» Vidi un barlume di speranza. «Non odiarmi.»

Odiarla? I più sadici avrebbero di certo suggerito di farlo. Io però, non ne sarei mai stato capace, l’avevo accolta nel mio letto, nella mia casa e di nuovo nella mia vita, era entrata quasi prepotentemente ed ero felice che lo avesse fatto, poteva anche piantarmi una forchetta in un occhio, non sarei mai stato capace di odiarla: avrei fasciato la ferita, pulito la faccia ed atteso che si addormentasse beata prima di andare al pronto soccorso, era inutile chiedermi di non odiarla, non lo avrei mai fatto.

L’abbracciai di nuovo.

 

Durante la mattinata al lavoro, restai tutto il tempo con la porta chiusa, non feci entrare nemmeno Yuko con il caffè. Non mi sarei dovuto arrabbiare ma alla fine sopraggiunse, fu un miracolo che non rivoltai l’ufficio; l’unica cosa buona che mi fosse capitata da quando ero a Tokio stava andando via, scappando in cerca di una vita migliore, la cosa che da fastidio in questi casi è che la colpa non è di nessuno dei due, quindi ti senti impotente e sembra che tu non possa fare proprio nulla, diciamo che non si può fare proprio niente.

Al ritorno a casa mi accolse un profumo che mette fame all’istante, i fornelli erano accesi e qualcosa di buono stava ribollendo nelle pentole, non me l’aspettavo, così come non mi aspettavo di trovare una valigia in soggiorno. Venni sopraffatto da un enorme senso di smarrimento e di paura, se ne stava già andando e quella era la cena dell’addio!

«Bentornato! Ho cucinato qualcosa di buono, spero di aver usato gli ingredienti giusti. Se non ti dispiace oggi sono passata a casa ed ho preso due cambi, inoltre ti ho lavato tutti i tuoi calzini arretrati, zozzone!»

«Nessun problema, voglio che questa sia anche casa tua!»

Sorrise e venne incontro per baciarmi. Mi sentivo completo quel giorno, la collera della mattina prima era già andata via, sciolta da quel caldo abbraccio, non stava andando via e il cuore ricominciò a battere normalmente.

«Ma, in realtà questa casa non è di tua proprietà.»

«Dettagli…allora, cos’hai preparato di buono? Ho una fame di quelle paurose.»

«Non cambiare argomento: stai cercando di dirmi che vuoi convivere con me?»

Divenni rosso all’istante, non mi succedeva così platealmente dal tempo delle elementari. Annuii semplicemente, cercando di tornare al colorito normale.

«Sei uno stupido!» Mi diede una testata sul petto. «Stiamo correndo troppo, inoltre ti ho già detto che vado in Italia.»

«Questo non significa che non possa godermi la tua presenza.»

«Mi verrebbe da dirti “peggio per te”.»

«Affronterò il dolore.»

Si intristì ed abbassò le braccia: «Lasciamo perdere, teniamo tutto così com’è.» Venni scortato in cucina dove mi venne servita una porzione enorme di ramen fatto in casa. Doveva aver passato tutto il pomeriggio a cucinare ed il risultato era da cinque stelle. Purtroppo la cuoca passò il restò della serata in silenzio, lavai i piatti e la cucina mentre se ne stava inerte sul divano a guardare la televisione.

«Ti va di uscire?»

Fece segno di no con la testa.

«Vuoi guardare un film?»

Altro no.

«Vuoi dormire?»

No.

«Vuoi andare a casa?»

No.

«Vuoi fare l’amore?»

Ci mise un po’ a dire “no” ma la presi in braccio lo stesso e la portai in camera dove si mise subito comoda sul letto. Rimase in silenzio ma sembrava volersi assopire.

«Parto questa domenica.» Fu la sua sentenza, e il giorno che lo disse era mercoledì.

 

Quegli ultimi giorni furono strazianti. Non ci baciammo, non ci sfiorammo nemmeno, agli occhi di chiunque sembravamo due zombie. Non riuscimmo nemmeno a fare l’amore, la paura era che lei potesse cambiare idea o piangere. Ed anche io. L’altra nota dolente fu quella che il tempo corse come non mai, alla fatidica domenica arrivammo come uno schioppo.

Quella mattina riuscimmo a fare fuori due caffettiere da cinque, una a testa, eppure continuavamo ad essere in dormiveglia. Quando arrivò il taxi per andare alla stazione pregavo ogni dio che mi svegliasse in quel momento, ma non accadde e mi ritrovai in pochi secondi (per me) davanti al terminal partenze di Narita, non mi accorsi nemmeno di aver preso il treno.

Facemmo una seconda straziante colazione in aeroporto e la vidi piangere mentre addentava il suo croissant, dovetti combattere con tutto me stesso per non seguire il suo esempio.

Merda, merda, merda! Il controllo sicurezza si faceva sempre più vicino.

«Vattene!» Si mise in fila dicendo quella unica parola, ovviamente non ubbidii.

«Non funziona il ragionamento del lasciarsi “con il litigio”, se credi che lasciandosi in quel modo serva a qualcosa ti sbagli di grosso, te ne pentiresti.»

«Conosci altri modi per lasciarsi andare?»

«Con un bacio.»

«Ancora peggio!»

Venne il turno di Sakura e passò il controllo sicurezza senza che ci potessimo sfiorare. Sentivo il cuore sanguinare e lo stomaco sciogliersi. La seguii oltre i vetri mentre si dirigeva la proprio gate d’imbarco. Non potevamo sentirci oltre quel muro di vetro e non riuscivamo a distogliere lo sguardo l’uno dall’altra.

Alla fine dovette andare e sparì.

Sembrò sparire anche la mia vita, in quel momento restai sordo. Presi posto nel terminal in una poltroncina di fronte allo schermo con i voli in partenza. Restai con lo sguardo fisso finché non comparve la scritta “Decollato” accanto alla dicitura “Roma-Fiumicino”.

“Fanculo. E’ davvero finita.” Mi dissi. “Non ne combino mai una giusta e di conseguenza non me ne capita mai una.”

Decisi di restare seduto per qualche altro minuto. Tanto non avevo niente da fare e nessuno che mi attendesse a casa. Era così bello avere qualcuno che ti aspetta, o qualcuno da accompagnare a fare compere, se poi quel qualcuno lo ami, ancora di più. Sai che sarà li, sai che tornerà a casa con te e che passerai con quella persona del bel tempo, non sarà mai tempo buttato.

 

Due braccia mia cinsero il collo proprio quando decisi di tornare a casa.

Non mi voltai, chiusi e riaprii gli occhi più e più volte cercando di capire se mi stessi immaginando tutto.

«Ti amo

«Come?» Lo disse sottovoce e con la testa nascosta sulle mie spalle.

«Ti amo

«Scusa ma non…»

«CAZZO! Ho detto che TI AMO!»

Nascose di nuovo la testa e la sentii piangere. Sakura mi stava abbracciando, non era passata per il gate ed era tornata indietro per cercarmi, sentiva che non sarei andato via finché non avessi visto il suo aereo decollare.

«Hai infranto la nostra promessa.»

«Chi se ne frega di quella stupida promessa, stai zitto, dovevo dirlo e basta.»

Restammo in silenzio per alcuni secondi, sembrò come se si fosse zittito anche l’intero aeroporto; riuscivo a sentire il suo cuore che batteva veloce e le sue lacrime cadermi sul collo.

«Senti Shaorang.» Ci fu un’altra pausa. «E’ ancora valida la proposta di usare quella casa insieme?»

«Naturalmente.»

 

 

Fine

Grazie a tutti per la lettura

 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Card Captor Sakura / Vai alla pagina dell'autore: Angemon_SS