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Autore: sinful_theatre    22/08/2012    1 recensioni
La storia dell'Elfo del sangue Kriystal è tratta dal videogioco mondiale World of Warcraft. Anticipo il 'tratta da' in quanto per renderla romanzesca è stato neccessario modificare alcuni particolari,a partire dalle ambientazioni ai nomi di tecniche e luoghi. Ho cercato comunque di mantenere il più possibile l'immagine e la magia del mondo di Azeroth per trasmetterla a chi World of Warcraft già lo conosce e a chi invece non ne ha mai avuto a che fare.
Kriystal è un'elfo del sangue femmina che insegue il sogno di divenire una paladina,cosa non ammessa dalle fitte leggi della sua terra natale. Si troverà così nel mezzo di una sorprendente avventura fuori programma che l'avvicinerà passo dopo passo al suo obiettivo,nel bene e nel male.
Sarò lento a postare i capitoli,chiedo perdono in anticipo e spero vi piaccia come mio debutto in ambito fantasy e Fanfiction.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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XI
Confessioni e verità 

 
Si svegliò di sobbalzo a causa dei rumori in sottofondo provenienti dal soffitto. Qualunque cosa stesse accadendo sul ponte  Kriystal tentò innanzitutto di capire se si trovasse ancora nel mezzo della notte o se il sole fosse già sorto. Acquisì in fretta lucidità e presto si accorse che Soran e Robil non erano nella camera. 
Non vedendo neppure i loro bagagli intuì facilmente che si sarebbe dovuta affrettare a imitarli. Raccolse tutti i suoi affetti nella borsa e con una logora corda riuscì ad inventarsi un sostegno per portarsi la spada dietro la schiena il più comodamente possibile. Si sciolse i capelli e in preda al desiderio di avventura questa volta ignorò del tutto lo specchio davanti al quale passò di corsa.
Il ponte si presentò come lo aveva immaginato, colmo di avventurieri e marinai pronti all’approdo.
Da subito Kriystal faticò ad abituarsi alla luce del sole; si ritrovò baciata da un’accecante bagliore e da un azzurro cielo limpido macchiato da qualche batuffolo di nuvola bianca.
Non era certo abituata a climi del genere e si prese un istante per godere del calore che accogliente la invitava a dimenticare le fitte nebbie delle terre fantasma e l’insopportabile umidità dei Tirisfal Glades.
Si sporse oltre il parapetto e scoprì di viaggiare su vaste terre secche e desolate, prive di vegetazione e inondate a tutto tondo dalla luce del sole. Sopra di alcune colline rocciose creature animali alzavano lo sguardo verso l’enorme caravella volante che sempre più si abbassava di quota.
Kriystal riconobbe un cucciolo di dinosauro, ma tentò di reprimere un sospiro addolcito per evitare di farsi deridere dalla bolgia di rozzi individui con i quali stava viaggiando; così decise di rimandare l’avanscoperta a più tardi e si immerse nella folla alla ricerca dei suoi compagni, i quali non furono difficili da scovare.
Thehorde, Bithah, Robil, l’amico Soran e Vonch –ancora legato- erano persi in discorsi circa il da farsi una volta giunti al cospetto di Thrall.
“Viaggiato bene, rossiccia?” Vonch era ovviamente ironico, ma Kriystal non gli nascose una risposta più che affermativa. “Tranquillo, se ciò che porterai ad Orgrimmar sarà la pura verità sarà sicuramente fatta giustizia.”
“Se la giustizia fosse così semplice non sarei mai stato spinto a fare ciò che ho dovuto, a rapirti e a trovarmi in questa situazione. Ma a noi Elfi del sangue farà bene abbronzarci un po’, dopotutto”
Kriystal volle dimostrargli la sua solidarietà poggiandogli una mano sulla spalla: “Sarò più che felice di ascoltare la tua storia”.
“Abbiamo qui la dormigliona dell’equipaggio!” Soran si era svegliato di buon umore: “ho preferito non svegliarti e Robil deve cinque ori a Bithah per avere perso la scommessa.”
“Quale scommessa?” fece Kriystal.
“Se fossimo riusciti a lasciarti a bordo o se ti saresti alzata in tempo!” irruppe Bithah con già elmo ed armatura indosso e con un sorriso solare quanto il continente sul quale erano appena arrivati.
Nel frattempo il dirigibile rallentò la velocità e si apprestò a fermarsi alla presenza di una stazione di volo pressoché identica a quella dalla quale erano partiti.
Prima di abbandonare il mezzo Kriystal riuscì a trovare Tha’re intento a sciogliere alcuni nodi di fune.
“Che cosa farai ora?” chiese lei, dispiaciuta nel lasciare un compagno rivelatosi tanto caro.
“Continuo a vivere. Quel despota del mio capo mi ha trasferito per una settimana alle navi del porto di Ratchet. Odio quel posto, hai a che fare con esseri di ogni specie.”
“Allora ti auguro buona fortuna, fratello!”
Tha’re sventolò il braccio finché non vide l’elfa del sangue svanire tra la folla oltre la passerella in legno della stazione di volo.
“Buona fortuna a te”.
 
“Non mi mancava affatto il caldo di questo posto.” Ringhiò tra i denti Thehorde una volta poggiati i piedi sull’ardente suolo del deserto. 
“Per questo motivo non volevi accompagnarmi da Thrall?” lo stuzzicò Vonch: “pensavo fosse solo perché non ti andava di perdere tempo con un fantoccio come me. Sono contento di scoprire che infondo mi rispetti!”
Thehorde lo ignorò e Vonch si poté ritenere soddisfatto.
Kriystal si passò un braccio sulla fronte e scoprì di essere già sudata. L’afa non la divertiva più così tanto. 
“Quanto manca ad Orgrimmar?” domandò a Soran.
“Non temere. È proprio dietro a quell’enorme roccia che ci impedisce la visuale.”
Soran non mentiva. Superato l’ostacolo una colossale montagna rocciosa –come roccioso si era rivelato tutto il deserto- si presentò al numeroso gruppo di persone sbarcate dal dirigibile.
Emersa dalle pietre, un’enorme muraglia delineava la facciata principale della fortezza costruita in sasso e legno, che portò Kriystal ad innamorarsi immediatamente di quella che riconobbe come la famosissima città degli orchi. Orgrimmar appariva stupefacente come le avevano sempre raccontato.
Da due alte torri vedette in legno incastonate nelle mura –ai lati del varco d’ingresso- penzolavano bandiere riportanti lo stemma dell’Orda in dimensioni spropositate. Alcune grossolane orchesse di guardia li osservavano dall’alto, mentre il gruppo di visitatori superava le caratteristiche zanne di elefante piantate nel terreno come passaggio e varcava la soglia d’ingresso spingendosi aldilà dell’arcata.
L’interno della città si manifestò ancor più spettacolare della facciata esterna. Kriystal e la sua compagnia si trovarono avvolti in un vortice di vita quotidiana di ogni tipo di specie appartenente all’orda. Un Tauren tirava un carro pieno di sacchi di sale, mentre un Troll Darkspear si muoveva a passo pesante attraverso la folla diretto in una bottega identica a tutte le abitazioni di quel luogo. Esse non erano altro che capanni in pietra con tetti di pagliericcio. L’intera zona del centro della città vantava di numerose torri di avvistamento e stazioni di volo; Kriystal era affascinata dall’architettura costruita su livelli sfalsati collegati tra loro da ponti in legno un po’ rudimentali, ma allo stesso tempo caratteristici della capitale dell’Orda.
Forse nulla a che vedere con l’eleganza di Silvermoon, ma forse ancor più viva grazie all’alto numero di abitanti e forestieri che ne popolavano le strade.
Un gruppo di cuccioli di orco scorrazzavano tra le gambe delle persone e Kriystal poté giurare di aver sentito l’insensibile sospiro spazientito di Thehorde, ma scelse di lasciar scorrere. Era troppo emozionata per la nuova scoperta, per potersi permettere di discutere.
Su insegne in legno scheggiato appese alle porte delle varie botteghe erano incisi i nomi delle rispettive attività. Attività delle quali Kriystal si fece mentalmente una lista per poterle visitare tutte in un secondo momento. C’erano aste, una banca centrale, un fabbro e spazi riservati alle diverse classi.
Tra sé si chiese dove fosse la zona dei paladini. 
Le guardie erano certo meno eleganti di quelle statuarie di Silvermoon. Rozzi orchi di stazze spropositate dalle verde pelle e dai gialli occhi sanguinari restavano impassibili alle porte dei diversi ingressi e dei diversi edifici.
Il fattore affascinante degli orchi di Orgrimmar e di tutti gli orchi ora facenti parte dell’Orda era senza ombra di dubbio la spiccata intelligenza coltivata grazie alla collaborazione spirituale della popolazione dei Tauren del Kalimdor.
I Tauren erano un’altra razza profondamente interessante: simili a minotauri nell’aspetto, ma profondi anche più degli esseri umani nel cuore.
C’era molto da imparare dalle diverse sfaccettature delle razze che costituivano il corpo dell’Orda e ciò rendeva Kriystal orgogliosa di farne parte.
Thehorde guidò la sua parte di gruppo su una strada che sembrava portare all’interno del canyon retrostante la città. Questa è un’ottima tecnica contro ipotetici invasori, pensò Kriystal. 
Anteriormente Orgrimmar era difesa dall’enorme muraglia all’ingresso, mentre il resto della struttura era ben protetta da naturali catene rocciose.
Quello in cui nel frattempo si stavano addentrando era un vero e proprio intreccio di enormi grotte illuminate da numerose lanterne costruite nel cuore del canyon stesso. Un secondo centro della città prendeva vita nell’entro terra delle rocce di Durotar. 
Lungo il cunicolo che stavano attraversando sfilavano su piani rialzati e collegati tra loro da cigolanti ponticelli in legno altri negozietti dalle più svariate funzioni.
“Egli è tornato, voi non capite! Egli è tornato!” due guardie portavano via con forza un vecchio Gnomo in catene che sputando qua e là predicava la sua visione contorta del mondo.
“Come ogni capitale che si rispetti Orgrimmar ospita il più vasto miscuglio di razze al suo interno ed il più efficace corpo dell’esercito dell’Orda” spiegò generosamente Bithah: “sai perché si chiama Orgrimmar?”
Kriystal si fece trovare più preparata del previsto: “Come tributo a Orgrimm Doomhammer, mentore e grande amico dello stesso Thrall. La città è stata fondata dal signore della guerra in persona dopo che era riuscito a liberare questa enorme parte di canyon di Durotar dalla popolazione dei centauri. Anche Durotar stessa è stata battezzata da Thrall, il nome è in memoria di suo padre. Il territorio non si era presentato come uno dei più abitabili –e ce ne siamo accorti- ma con la costruzione di questa fortezza il signore della guerra è riuscito a fare di queste terre aride e in buona parte prive di vegetazione la propria casa. Divenne immediatamente una storia esemplare.”
Bithah sorrise: “Ci credo che non muori dalla voglia di conoscere Thrall. Sembra che tu gli abbia dedicato tutta la tua infanzia!”
“Da che io abbia memoria è sempre stata con il naso sui libri dell’accademia!” intervenne Soran, spettinando amichevolmente i capelli dell’elfa.
“Non farmi passare per una sacerdotessa!” 
“Credo che qui sia ben chiaro a tutti chi vuoi diventare!” la rincuorò l’amico. Kriystal era contenta di avere un amico come Soran con sé in un momento così movimentato della sua vita. Pensò un istante a suo padre e le parve di rivedere il suo volto sconvolto e pietrificato nel vederla fuggire di casa.
Ora però Kriystal era in grado di scegliere di cancellare quell’immagine dalla testa, e così fece.
Il gruppo arrivò in una piazzetta nel cuore delle grotte delimitata da un gruppo di capanne degli stessi materiali applicati a tutta l’edilizia della città. Fu semplice intuire quale fosse quella dove erano diretti.
La struttura ed i materiali con i quali era stato costruito un edificio che spiccava in particolare tra tutti gli altri dichiarava apertamente l’importanza di chi vi avrebbero trovato all’interno.
La fitta presenza di guardie della città indicava l’autorità del luogo nel quale si erano inoltrati.
Una sottile fessura nella roccia sul soffitto permetteva ad un raggio di sole di filtrare, inondando di luce soffusa l’intero piazzale.
Una figura decisa uscì a passi autoritari dall’ingresso del capannone e per pochi istanti Kriystal rischiò di scambiarla per una guardia di Silvermoon. A distinguerlo dalla sua città natale, l’elfo del sangue che si era appena presentato al gruppo di Thehorde portava un’armatura scura e pesantissima  -tipica dei soldati di Orgrimmar- e brandiva un’arma che Kriystal non aveva mai avuto occasione in passato di vedere di persona. Una spada, la quale lama era assiduamente divorata da fiamme colte dai crateri vulcanici della penisola infernale.
I capelli di un biondo quasi bianco e lunghi fino alla schiena luccicavano sotto alla luce filtrata nella rientranza.
Thehorde gli si avvicinò e i due aprirono un dialogo a distanza troppo poco ravvicinata perché Kriystal potesse cogliere cosa stessero dicendo. La guardia annuì alle parole di Thehorde senza rispondere, poi senza rivolgere uno sguardo al resto dei presenti girò i tacchi e tornò all’interno dell’edificio.
Era ormai chiaro anche a Kriystal come quello fosse il palazzo reale di Thrall, ma odiava non poter comprendere affondo tutta la burocrazia  necessaria per poter ricevere un’udienza.
Nel lasso di pochi secondi la guardia dalla presenza importante ricomparve e si fermò sulla soglia di ingresso per poter rivolgere l’attenzione a tutti i presenti: “Il signore della guerra ha accettato di ricevervi. Vi prego di seguirmi in maniera ordinata e diligente.”
Kriystal sentì bruciare la coda di paglia e si chiese se con ordinata e diligente la guardia alludesse a lei. Già ad altre persone era figurata al primo apparire come una fanciulla viziata, ma si promise di non destare lo stesso sospetto al signore della guerra.
Thehorde guidò i cinque compagni sui gradini in legno e oltre la guardia che li aveva così freddamente ospitati. Quello era uno di quei momenti nei quali Kriystal seguiva molto volentieri una figura più esperta di lei, e in quel luogo sconosciuto scelse quella del Warlock rosso. 
L’impatto con l’interno del palazzo era del tutto differente da quello degli ambienti visitati sino ad ora.
Non c’erano corridoi secondari o cunicoli angusti, ma solo un ampio salone congiunto da un altare in pietra sopra al quale –avvolto come da un abbraccio di smisurate zanne di mammuth - presenziava il famoso trono in ossa del signore della guerra e dell’Orda. Le pareti illuminate dalle torce riportavano in vita arazzi e stendardi della casata; l’intero salone era abitato da guardie di ogni razza e classe, compreso il biondo elfo del sangue che aveva accolto gli ospiti. 
Trattenendo a lungo il respiro Kriystal poté osservare per la prima volta e da vicino la famigerata e massiccia figura di Thrall seduto sul suo seggio. Apparve come Ermelaid lo aveva sempre descritto e come le carte accademiche delle guerre contro i centauri e contro l’alleanza lo avevano sempre ritratto: di stazza colossale e ingigantito dai possenti spallacci borchiati, Thrall impugnava alla sua sinistra l’arma preceduta dalla propria fama: il Doomhammer. Un martello d’acciaio e d’ottone fungente da catalizzatore per il mana di chi lo maneggia. Molti crani avevano ceduto rumorosamente sotto la pesantezza e la forza di quel martello.
Gli occhi gialli di Thrall studiavano in silenzio i presenti. Kriystal vide prima Thehorde, poi tutti gli altri suoi compagni inchinarsi al cospetto del loro re e non aspettò un secondo prima di imitarli.
Inginocchiandosi notò come il pavimento era coperto da una morbida Moquet di pelli animali. Alzò di poco il viso per osservare bene il suo signore. Egli aveva la fisionomia tipica dell’orco, due minacciose zanne si innalzavano dal ponte di denti inferiore mentre più in basso il fermo mento quadrato era sfumato da una lunga barba bruna. La pelle verdastra impallidiva sotto la luce fioca dell’ambiente e i neri capelli tirati all’indietro terminavano in lunghe trecce che sinuosamente gli cadevano lungo le spalle.
Thrall fece il segno di rialzarsi e il gruppo obbedì all’istante.
“Lieto di rivederti, caro amico!”
Kriystal faticò inizialmente a capire con chi il signore della guerra si rivolgesse con cotanta confidenza, ma una volta compreso faticò ad accettarlo: “Thehorde! Quanto tempo!”
La voce di Thrall roca e profonda riecheggio in tutta la sala mentre Thehorde già in piedi accennò ad un secondo inchino: “Vostra signoria. È un onore rincontrarvi dopo così tanti anni.”
Kriystal assorbì tutta la smielata ma chiaramente sincera umiltà e gentilezza del Warlock.
Per la felicità Thrall colpì con il palmo della mano il poggia braccia del trono e il terreno parve vibrare: “Per mille nani brufolosi! Saranno quanti? Trent’anni che non mi onoravate della vostra presenza?” 
Mai l’elfa del sangue si sarebbe aspettata simili parole lusinghiere e informali da parte del signore della guerra.
“Pressappoco dal declino della legione infuocata, credo. Durante gli anni del flagello voi mi trasferiste a Silvermoon per restare vicino alla capitale, se ricordo bene.”
“Si, si! Come dimenticarlo. Ho perso molto con la tua partenza. Che gioia, che gioia!”
Poi lo sguardo di Thrall cadde su una figura ancora inginocchiata con il viso abbassato verso il suolo e la sua espressione cambiò immediatamente: “E voi? Chi siete?”
Vonch alzò lo sguardo ma non si alzò: “Vostra signoria, il mio nome è Vonchjaih di Acramand, figlio di Lorbton di Acramand. Mi trovo al vostro cospetto quest’oggi per raccontare la mia storia.
Mi vedete ammanettato, poiché mi trovo accusato di crimini che io non ho commesso.”
Kriystal era tutta orecchie. Portò l’attenzione al viso di Thehorde che anche se del tutto privo di fiducia nei confronti di Vonch restò rispettosamente in silenzio e in attesa.
“Mio padre mi parlò più volte di voi, prima di..”
Thrall non si aspettava che Vonch finisse la frase, ma sembrò cogliere nelle parole del prigioniero qualcosa di famigliare, qualcosa che parve sconvolgerlo: “Siete il figlio del rimpianto Lorbton? Il vecchio e carissimo Lorbton?”
Vonch annuì e un sottile singhiozzo parlò al suo posto.
“Perché si trova legato!?” Thrall sembrò su tutte le furie e cercava una spiegazione da Thehorde.
“l’imputato è stato accusato di alto tradimento, signore, e di sterminio di massa. Ha raso al suolo la sua terra natale che fino a pochi soli fa sorgeva semi nascosta ai piedi dei pini di Silverspine.”
Vonch aveva perso tutta l’ironia e il fare provocatorio che lo avevano contraddistinto sino a quel punto. Kriystal restò in ascolto.
“So che in passato il rapporto che legava vostra signoria a mio padre era molto forte. So che avete combattuto fianco a fianco e che mio padre le ha cucito con ago e filo più ferite di quante un prete non avesse potuto curare con mille incantesimi.”
“Lorbton era un esemplare cacciatore. Un eroe, per  la nostra famiglia.” Thrall osservò pochi secondi di silenzio: “con le accuse che voi portate sulle spalle non posso concedermi il lusso di credervi sulla parola quando mi dite che siete il suo primo genito di cui Lorbton ha sempre parlato fiero e orgoglioso. Per tanto, con la coerenza delle leggi grazie alla quale è stato costruito tutto ciò che è ora l’impero dell’orda e in assenza delle prove del tuo legame famigliare con Lorbton di Acramand, il tuo viaggio rischia d’essersi rivelato inutile.”
“Ho tutte le prove di cui necessito.”
Kriystal emanò dentro sé un sospiro di sollievo. Nel profondo credeva nell’innocenza dell’amico.
“Paladino” Vonch si rivolse a Bithah: “ti prego di aprire la mia borsa ed estrarvi il sacchetto in pelle”.
Bithah guardò esitante Thrall il quale con l’inclinazione del viso acconsentì alla richiesta. Il paladino rovistò nel logoro bagaglio di stoffa e senza troppo da fare esibì come fosse un pesce appena pescato con successo una piccola sacca nera in pelle. 
Con rumori meccanici dovuti all’imponente corazza Thrall si alzò in piedi abbandonandosi il trono alle spalle. Tutti i presenti si inginocchiarono all’istante sorpresi da tale azione.
“Ebbene paladino, scoprite il contenuto dell’involucro.”
“Sissignore!” Bithah slegò la sottile cordicella che teneva sigillato il sacchetto e con un’espressione disgustata estrasse quello che a prima vista protetto dal pugno del paladino pareva un grosso uovo.
 “Apri la mano..” ordinò il signore della guerra.
Al riconoscimento di ciò che Bithah teneva in mano si formò tra i presenti un coro di sdegno.
Un occhio viscido, marcio e di grosse dimensioni dondolava a vuoto sul palmo del paladino. 
“L’occhio di Luzran” fece Thrall, per nulla sorpreso: “era un codice segreto ideato da Lorbton in persona. Dopo l’ultima guerra mi mandò una lettera ove scrisse che presto o tardi gli sarebbe accaduto qualcosa di terribile e che la persona che mi avrebbe portato la vista del guardiano del fosso della morte avrebbe posseduto la verità sulla sua fine.”
Vonch sorrise. Kriystal non riusciva a crederci. Per tutto questo tempo il Warlock biondo aveva portato con sé l’occhio di quel mostro con lo scopo di mostrarlo al vecchio compagno di battaglie del padre, niente poco di meno che il signore della guerra.
“Era tutto calcolato?” fece lei, sussurrando.
“Qual è dunque la verità?” continuò Thrall.
“Vi dirò la verità, nient’altro che essa, allo scopo di non lasciare infangata l’identità di mio padre” rispose Vonch: “ero presente la notte della strage, ma non sono il carnefice.”
“Ora ci verrai a dire che sono stati gli alleati?” domandò arrogantemente Thehorde. 
“Silenzio, amico mio!” lo zittì cordialmente Thrall.
 Vonch inchinò il viso e poi continuò: “Acramand è da sempre una piccola colonia di elfi del sangue. Resistette alla legione infuocata, resistette all’ondata del Flagello. Ma non resistette alla furia del drago.”
“Un drago!?” la guardia bionda che li aveva accolti intervenne con fare ancor più scontroso di quello del Warlock rosso: “non ci sono draghi nei Trisfal Glades!” un coro di risate degli altri soldati riecheggiò nella sala.
“Silenzio!” infuriò Thrall: “Com’era, il drago?”
“Ancora stento a crederlo, ma non a ricordarlo” Vonch cominciò a tremare e Kriystal poté leggere per la prima volta il suo viso come fosse un libro aperto: “Un drago bianco. Un drago bianco e informe si schiantò violentemente sulle nostre case. Pensammo fosse un’attacco dell’alleanza, ma quando vedemmo scendere dalla vallata i Non morti fu come tornare indietro di qualche anno fa.”
“Non morti?” lo interruppe nuovamente la guardia: “ma è pieno di non morti in quelle pianure nebbiose, mai hanno aggredito noi fratelli!”
“I Non morti di Sylvanas non lo hanno mai fatto” sottolineò attentamente Thrall: “ma forse il nostro giovane amico ci sta parlando di altre creature. Di freddi presagi.”
“Freddo.. proprio così” Vonch cadde in uno stato di trance, come se dentro sé stesse rivivendo quei momenti: “calò un improvviso freddo e davanti ai miei occhi la mia gente cominciò a crollare come ramoscelli sotto gli attacchi glaciali del drago e sotto le incantate armi dei dannati.”
“Sei sicuro di ciò che stai raccontando?” domandò Thehorde, suscettibile: “ti rendi conto che potresti scatenare una guerra contro l’alleanza?”
“Non era l’alleanza!!” urlò Vonch, portando il silenzio in tutta l’area circostante.
“Continua, figlio di Lorbton” con ammirevole calma Thrall appoggiò ancora una volta Vonch. Kriystal conosceva per fama la generosità e il gran cuore dell’orchesco sciamano, ma ora che vedeva il volto dell’amico improvvisamente invaso da silenziose lacrime avrebbe voluto credere prima alle sue parole.
“Non si sentivano altro che urla, schianti e esplosioni. Io e la mia famiglia combattemmo fianco a fianco, sino a che non perdemmo di vista la mia cara madre. Non ho solo ucciso i Non morti arrivati con il drago, ma anche..”
La pausa sembrò eterna.
“Signore, i guerrieri caduti si rialzavano in stato di non morte. Ho.. ucciso la femmina che mi a messo al mondo. L’ho uccisa con le mie stesse mani. L’ultima cosa che ricordo è mio padre faccia a faccia con la diabolica creatura alata venuta dai ghiacci. Non ho memorizzato altri particolari, perché il luogo era pervaso dai fumi della battaglia.
Ho fatto solo in tempo a vedere mio padre svanire sotto alla ferocia del dragone.”
L’aria sembrò essersi ghiacciata come se anche il salone di Thrall fosse stato raso al suolo dall’orda di Non morti.
“E tu come sei sopravvissuto?” domandò Robil.
“Sono scappato, lasciando mio padre agonizzante tra le fauci del mostro.”
La risposta fu sufficiente abbastanza da zittire gli ascoltatori.
Solo il tonfo dei passi di Thrall, pesanti e decisi, riecheggiava nello scendere i gradini dell’altare e dirigendosi verso gli ospiti. Rimasero tutti inchinati, onorati e allo stesso tempo intimiditi da tale vicinanza.
“Ma qual è la verità?” domandò: “cosa centrano le carte che hai rubato a Silvermoon?”
“La verità, signore..” Vonch incrociò i suoi occhi azzurri e lucidi con quelli gialli e profondi dell’orco: “.. è che c’è del marcio a Silvermoon”.
Un coro di borbottii e di imprecazioni si elevò tra i presenti compresi i componenti della compagnia imperiale di Silvermoon: “Queste sono ingiurie!” urlò Robil.
“Tu menti!” partecipò la guardia bionda.
“Fate silenzio!” ordinò Thehorde, lasciando tutti quanti di stucco.
Kriystal nel frattempo non aveva abbandonato gli occhi impassibili di Thrall, come se da un momento all’altro lo sciamano decidesse di spaccare il cranio di Vonch sotto al peso del Doomhammer. Invece il signore della guerra si era limitato a restare in contatto con lo sguardo comunicativo del Warlock biondo, finché  non decise di inchinarsi alla sua stessa altezza per appoggiargli su una spalla la sua grossa e verde mano.
“Non hai rubato tu quelle carte.”
Vonch restò in silenzio e Thrall lo prese come un sì.
“Qualcuno le ha fatte sparire” continuò l’orco: “qualcuno di potente. Qualcuno di Silvermoon”.
Kriystal si sentì sprofondare. Uno dei sette signori? nella sua mente non poté che prender forma la viscida espressione compiaciuta di Chidril.
“Ho motivo di credere che parte delle alte cariche di Silvermoon siano fortemente collegate all’attacco subito dalla mia gente..” confessò Vonch.
“E come saresti venuto a conoscenza di tali documenti?” lo interrogò Thehorde, che però non mostrava più alcun segno di arroganza o sfiducia.
Vonch rispose senza pensarci troppo: “Pur essendo un cacciatore, mio padre non dava la caccia solo ad animali. Per decenni ha studiato i diversi governi che hanno costituito nella storia le istituzioni di Orda e Alleanza. Tale studio ha portato a scoprire diverse ombre nere dietro alle facciate lucide e dorate che volevano mostrarci. Mio padre è andato vicinissimo allo scoprire un segreto che presto o tardi sconvolgerà l’intera Azeroth..”
“Un complotto?” provò a completare i tasselli mancanti Bithah.
“..temo qualcosa di ancor più grande.”
Kriystal aveva visto quell’aria devastata già una volta negli occhi azzurri di Vonch. Ricordava alla perfezione quando poco tempo prima il Warlock aveva dato in escandescenze in sua presenza, e ora cominciava a farsi una ragione dei motivi che lo avevano spinto.
“le ondate di Non morti, le resurrezioni, il male.. lo abbiamo già incontrato in passato.”
“Ciò al quale stai alludendo potrà essere altamente gravoso al futuro delle nostre vite.” Lo avvisò Thehorde.
“Lascio a voi le ipotesi sul burattinaio che muove i fili dell’intera Azeroth. Ciò che è importante sapere e che posso affermare con certezza, è che tra le carte sparite dagli archivi di Silvermoon vi è una lista di nomi.”
“Nomi coinvolti in tutta questa ambigua storia?” chiese Robil.
“Penso proprio di si. Deve essere una sorta di patto ufficiale sotto al quale brillano le firme di chi probabilmente ha contribuito a quello che a mio parere non sarà l’ultimo attacco.”
Thrall nel frattempo era ancora inginocchiato di fronte a Vonch: “Ti ringrazio per la tua storia. Sono molto riconoscente a te e al tuo caro padre. Sai bene come io possa comprendere alla perfezione la perdita dei propri affetti e l’ingiustificata prigionia. Ma non temere, da questo momento ti dichiaro Elfo libero.”
Kriystal avrebbe voluto correre ad abbracciare il signore della guerra, ma la promessa che si era fatta prima di entrare glielo impedì. Vonch sorrise tra le lacrime non ancora asciutte e Bithah -con una nascosta soddisfazione- lo liberò dalle funi. 
“E ora?” domandò Thehorde direttamente al signore della guerra: “adesso cosa dovremmo fare? Qual è la prossima mossa?”
Thrall si alzò in piedi e fu immediatamente imitato da tutti gli altri: “Adesso ho bisogno che voi sei partiate per un viaggio.”
Kriystal temette per un istante che il cuore le balzasse fuori dal petto, mentre Thehorde e il resto della compagnia sembrarono ancor più sbigottiti dalle parole del loro superiore.
“Un viaggio, signore?” domandò Vonch.
“Un viaggio, esatto. Come prima cosa vi recherete a Thunderbluff, dai miei cari compagni Tauren. Lì probabilmente vi sta già attendendo una mia vecchia amica, la quale vi dirà esattamente come comportarvi e dove andare.”
“Ma qual è la missione nello specifico, signore?” domandò Thehorde, confuso.
“La missione signori è evitare una guerra che potrebbe cambiare definitivamente le sorti di Azeroth.”
“Ma da chi ci stiamo difendendo?” osservò Robil.
“Speriamo di non scoprirlo troppo tardi.” Rispose l’orco.
“Ma perché Thunderbluff? E perché ci stanno aspettando?” Domandò Vonch.
Thrall si risedette sul trono ed esibì un giallastro sorriso paterno: “Perché è lì che ho portato la salma di tuo padre”.
  
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