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Autore: Sarah Collins    28/08/2012    1 recensioni
Un infermiere ed'una psicologa. Due persone, due sposi.
Nessuno dei due è stata la figura ferma, decisa, di chi sapeva esattamente cosa fare.
Quando lei ritornerà da lui, non avrà il tempo di spiegare. Di non farlo ricadere come gli ultimi anni.
Non c'è più tempo perché lei.. ha perso parzialmente la memoria.
Ha rimosso completamente il loro matrimonio e il suo abbandono.
Infine Diana, la donna sostituta. Potrà mai farsi spazio nel mondo di Declan?
Genere: Malinconico, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Ancora tu.
________

Angelica era seduta su d'una panchina di fronte all'ospedale St. Susan.
Non riusciva a rimanere ferma e si alzò poggiandosi sullo schienale, dando le spalle
all'entrata.
Sapeva di non dover essere lì, almeno non così sfacciatamente, forse nemmeno a Chicago doveva recarsi.
Angelica era una psicologa e sapeva perfettamente che gli uomini non amano vedersi
arrivare una donna di fronte. Ma da destra, da sinistra o da qualsiasi altra parte.
Però lei era proprio di fronte, e non aveva il coraggio di spostarsi e mettersi in un
altro posto.
E nemmeno ne ha avuto il tempo perchè Declan, l'uomo che lei ha scoperto troppo tardi essere quello della sua vita, stava appena uscendo dall'ospedale.
Il bell'infermiere dai capelli color del carbone, aveva ancora la divisa celeste
sotto il lungo spolverino nero. Una valigetta, l'mp3 e delle cuffie erano le uniche
cose che occupavano le sue mani. Camminava a testa bassa convinto che quella fosse una delle tante serate che lo vedevano protagonista dagli ultimi due anni.
Gli ultimi due da quando sua moglie se ne andò senza dire una parola.

Fece una decina di passi e quando alzò lo sguardo, vide una figura familiare
appoggiata alla panchina dove lui si sedeva per bere il caffè la mattina.
Era sera, e quella donna aveva dei capelli troppo lunghi per essere chi pensava chi
fosse.
Eppoi non ci faceva più caso a quelle cose.. per troppo tempo cercò tra la gente il
volto della sua amata. Per strada, in metropolitana, sulle notizie di cronaca nei tg.
Camminò fino a pochi metri da quella donna, e svoltò a sinistra, dritto verso quella
casa che un tempo divideva con lei.
C'era gente, e si sentivano rumori e clacson di auto arroganti. Camminava tra la
leggera folla che occupava quel lato del marciapiede quando si sentì tenere per il
braccio.Sapeva che era quella donna, e pregava che fosse e che non fosse lei allo stesso momento.
"Dè.."
Quella voce lo fece rabbrividire, bastò il suono e il modo in cui venne chiamato per
farlo precipitare.
"Ti prego, voltati."
"I tuoi capelli.."
Angelica sorrise, anche se lui non potè vederla.
"Sono cresciuti, li hai visti? Anche io sono cresciuta.."
"Anch'io. Senza te."
Mentre la gente passava Angelica andò vicino a Declan, non staccando mai la mano  dalla sua giacca. Quasi non avrebbe voluto lasciarlo mai più.
Lei lo guardava negli occhi, ma lui no.
Il suo sguardo era basso, e Angelica sapeva che aveva fatto breccia nei suoi ricordi.
Riaprendo chissà quante ferite.

"Come stai?" iniziò lei.
"Bene. Sei ritornata, perchè?"
"Perchè mi manchi."
"Pensavo ti fossi rifatta una vita."
Lei lo guardava con gli occhi più grandi che abbia mai fatto, e tristi, malinconici e ingenui.
Anche lui la guardava,adesso, ma era stanco.
Per il lavoro, per la situazione e sinceramente anche stanco del suo ritorno.
Del suo desiderare così palesemente il suo perdono.

Declan prese un gran respiro e le rispose:
"Voglio andare a casa."
"Abiti ancora lì?"
"A casa mia, dici?"
"Nostra...?"
"Sì, quella lì."
I due cominciarono a camminare tra stupide domande e risposte scocciate.
Camminarono in silenzio nell'ultimo tratto, nella via, e di fronte il portone della villetta.
Declan stava prendendo le chiavi per aprire e appena la serratura fece quei tre secchi tonfi, la porta si aprì di netto.
Angelica, Angie, ai tempi del matrimonio, si stava chiedendo se le avrebbe mai chiesto di entrare.
L'uomo varcò la soglia gettando con troppa foga le chiavi sul mobile dell'entrata, chiedendosi anche lui la stessa cosa.
"Insomma Declan, sono qui! Posso entrare?"
"Solo perchè è tardi."
Mentre lei entrava e chiudeva la porta, un'altra venne sbattuta e alcune foto caddero dal muro.
Tutto l'arredamento era cambiato, persino il pavimento, e le foto. Anche quelle cadute, non riguardavo lei.
Non c'era più quel suo tocco casalingo, femminile. Notò anche, entrando nel soggiorno, un plasma da cinquanta pollici. E delle consolle, due, tre addirittura.
Giochi originali e dvd vari erano invece sparsi sul tavolino.
Non c'era più nessuna traccia del suo passato in quella casa.
Del futuro poi.. peggio ancora.

Declan Palmer aveva un cognome che agli inizi faceva ridere Angie. Fu il primo sorriso che gli rivolse, e più lui sorrideva, più lei sorrideva. Era un circolo che non finiva mai, il loro innamoramento.
Era bello, e reale, fino al giorno in cui lei se ne andò.
Declan iniziò a tenere un diario chiuso nel cassetto del suo ufficio dove era ora rinchiuso.
Ermetico; che appena Angie si avvicinava alla porta, poteva sentire delle scariche di allerta.
S'era fatta l'ora di cena; lei poteva cucinare solo per se stessa, ma un piatto in più in caso qualcuno avesse avuto fame.. ci sarebbe stato.
Pentolini, neanche poi tanti, non scoraggiarono la donna che preparò delle uova sode, un insalata ed'una macedonia. I rumori che provenivano dalla cucina arrivarono alla porta dell'uffico.
Era ancora chiusa, ma dentro, Declan era appoggiato con la mano sulla maniglia, in preda ad'una crisi. Di panico, di pianto, di qualsiasi altra cosa difficile da sostenere.
Angie sembrava un fantasma del passato; era lì adesso, a far riaffiorare il ricordo
che se ne era andata. Nel modo di cucinare, sì, anche in quello.
Mai sfacciata, mai troppo rumorosa. C'era ma si sentiva a malapena.
Non come la sua assenza, che, invece, era sempre stata presente, e rumorosa e
fastidiosa e maledettamente difficile da sopportare.
Ora che Declan aveva imparato a non pensarla prima di dormire, e subito appena
sveglio, eccola lì, che dal nulla, lo stava uccidendo con la sua presenza distante.

Ho messo via un bel pò di cose,
ma non mi spiego mai il perché,
io non riesca a metter via te…
-Luciano Ligabue, Ho messo via-

  
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