Adesso
nella mia casa regna il silenzio. Sono le nove e mezza passate e tutta
la mia
famiglia dorme. Tutta la mia città dorme. Sono le nove e
mezza passate e inizia
il mio lavoro.
Esco
di casa, facendo attenzione a non fare rumore, ma senza troppe
precauzioni.
Anni di abitudine mi dicono che nessuno si sveglierà.
Neanche se facessi cadere
un vaso a terra, ma preferisco non farlo per risparmiare domande
inutili. E
perché non potrei usare la storia del ‘sono
entrati ladri in casa’ dato che
ladri non ce ne sono, qui.
Percorro
tutta la città quasi di corsa, arrivata all’albero
x incontro Buck.
-Hey- gli sussurro per salutarlo. –Che faremo oggi?-
-Non lo
so.- mi
risponde Buck scuotendo la testa. –Vieni.-
sposta l’albero dove appare un buco grande quanto
il
perimetro di quest’utimo. Buck mi prende da sotto le ascelle
a mi aiuta ad
entrare. Non ci sono scale. Scivolo lungo la superficie e atterro su
una ventina
di puff, sistemati in quel punto per non farci male.
Mi
alzo e mi sposto, quando do il via a Buck scende anche lui. Camminiamo
sulla
roccia e varchiamo un arco dozzinale, per trovarci nella sala di
ritrovo, per
così dire.
Ci
sono ancora poche persone e Phillips, il capo, non si vede.
Però c’è qualcun
altro che vedo, una persona alta e muscolosa quanto Buck, ma senza il
suo
cipiglio serio.
-Liam!-
urlo.
Qui non ho paura di gridare, di dire esattamente
quello che penso e dire il mio parere, qui posso essere me stessa.
-Leena!-
urla
lui di rimando e viene accanto a me. Mi cinge con un
braccio e mi bacia la fronte. –Nuova
nottata, eh? Chissà che faremo..- dice
pensieroso. Ogni notte c’è qualcosa
di nuovo, non puoi mai sapere in cosa ti andrai a cacciare, ma ormai ci
sono
abituata. Ci siamo abituati quasi tutti, in realtà, a parte
i nuovi.
Il
più ‘vecchio’ è proprio Buck,
che è stato il primo ad entrare. È lui che
sceglie chi entra e chi no. Noi diciamo chi potrebbe essere un valido
candidato, lui lo spia per un po’ e vede se va bene. Se non
va bene per lui non
puoi opporti.
Mi
siedo tra Liam e Buck e aspettiamo. Iniziano a venire tutti e li saluto
con un
cenno del capo man mano che passano. Poi, finalmente, entra Phillips.
E’ un
adulto molto combattivo e nessuno sa guidare una spedizione meglio di
lui.
-Ci
siamo tutti?- tuona,
con la sua voce imperiosa e autoritaria. All’inizio
può far paura e, soprattutto, intimidire. Ma se lo conosci
capisci che è un
tipo apposto. Ovviamente non è di qui, lui viene da Londra,
una grande città.
-Sissignore.-
risponde
Buck prontamente, dopo una veloce occhiata in
giro.
Phillips
inizia a formare dei gruppi. Mi ha messa in quello più
numeroso, ma non bado
molto a questo. Quello che noto è che non sono nel gruppo di
Buck e Liam, e io
sono sempre con loro. Mi accorgo,
inoltre, che nel loro gruppo non ci sono ragazze.
-Gruppo
A – dice
Phillips. – Voi
venite in missione con me.- i ragazzi annuiscono e iniziano
a camminare verso
il varco che gli è stato indicato. –Gruppo
B- continua, riferendosi a noi. –Oggi
allenamento. Sapete dove andare.- con questo dovremmo essere
congedati,
infatti lui si volta per raggiungere i ragazzi. Anche il resto del mio
gruppo
inizia ad andare. Ma io sto un attimo ferma.
Perché
mi hanno diviso da loro? Cosa devono fare oggi? È talmente
pericoloso che
neanche io, che sono una delle migliori che hanno, posso andare? Non mi
va che
vadano da soli. Non che Buck e Liam non sappiano badare a se stessi, o
non
siano bravi, anzi. Ma io devo avere il controllo della situazione e
averli
vicini.
-Phillips-
dico
prima che varchi
-Oh..
in missione.. – risponde evasivo, ma senza
smettere di sorridere. –Perché?-
-Niente.-
ribatto
seccata. –
Ma.. mi chiedevo se potevo essere utile, magari..-
-Leena-
esordisce
lui aumentando l’ampiezza del suo sorriso. –No,
grazie. Oggi non ci servirai.-
-Ma io
sono molto efficiente!- protesto.
-Devo
andare, il treno parte.- dice sempre sorridendo e voltando i
tacchi.
Che
missione devono fare? Ora questa domanda mi martella
Mi
rendo conto distrattamente che non ho ancora mosso un passo, quindi
varco la
soglia e vedo il treno dell’addestramento, contrassegnato da
un’enorme D
arancione davanti a me. Non c’è nessuno dentro.
Gli altri sono già andati,
bene.
Salgo
sul treno e rivolgo un veloce saluto a Cesar, il conducente. Mi lascio
cadere
sul sedile. Tengo il conto. Uno, due, tre, quattro… dodici.
È andato abbastanza
piano, oggi. In dodici secondi siamo in Irlanda, a Mullingar.
Scendo
dal treno ed esco da sottoterra attraverso una piccola scaletta di
legno.
Mentre sono a metà qualcuno, da sopra, mi porge
Sorrido.
–Ciao, Niall.- dico.
È un biondino
perennemente allegro, mio compagno di allenamento e me lo ritrovo
spesso anche
nelle missioni, penso che abbiamo lo stesso grado di preparazione.
L’unica
differenza è che io abito in Ighilterra e lui in Irlanda.
È un biondo tinto
sempre allegro, nonostante il suo lavoro.
-Oggi
anche tu qui, eh? Odio quando
non ci fanno andare, ci perdiamo tutto il divertimento.- commenta lui con un sospiro.
-Già..-
sbuffo
io. Ma la mia mente è altrove.
-Non
gli succederà niente.-
-Mmm?-
-A Buck
e Liam. Tranquilla, non gli
succederà niente.- annuisco. Probabilmente
è vero.
Insomma, finora sono successi ben pochi incidenti gravi, no?
Andiamo
insieme verso il primo esercizio, gli anelli in legno. È un
esercizio
abbastanza faticoso e richiede forza nelle braccia, ma è
anche uno dei miei
‘cavalli di battaglia’.
Ci
sono due colonne lontane e tra queste un lungo filo con degli anelli
attaccati.
Due anelli vicini, per le due mani, poi ad una generosa distanza gli
altri due.
Devi dondolare, saltare, fare quello che puoi per arrivare agli altri.
Se cadi,
sei nel fango.
Percorro
il filo facilmente e lo faccio al contrario, iniziano a farmi male le
braccia
ma non mollo.
-Vai,
Dixon, un altro paio.- mi urla il coach da sotto.
È facile dirlo, per lui. Ma
continuo a farli. Ho fatto tre volte andata e ritorno senza mai
fermarmi quando
mi siedo su una delle colonne. –Dixon!-
tuona
il coach. –Perché ti sei
fermata?!-
-Le
braccia. – ansimo. –Facevano
male.- scuote la testa indignato, ma so di dargli molte
soddisfazioni.
Molte più di tanti altri ragazzi.
Ma
io parto avvantaggiata. Ho iniziato che avevo solo sei anni, quindi mi
alleno
da tutta
Passo
da un esercizio all’altro a seconda dei comandi del coach,
poi, sfinita, mi
siedo per un po’ su una panchina. Mi raggiungono quasi
immediatamente Aaliyah e
Harry, un riccio di qui. Entrambi sono nuovi, ma, mentre Harry sembra
riuscire
perfettamente in tutto, Aaliyah, la mia compagna di tavolo, fa pena.
È brava
solo nel tiro del giavellotto, ma non serve a molto. Siamo evoluti
ormai e devi
saper tenere in mano un fucile almeno quanto sai tenere in mano un
bicchiere
d’acqua.
-Come
sta andando?- chiedo,
più a Harry che ad Aaliyah.
-Bene.
–
mi risponde appunto lui. –Ma non
sono portato per arrampicarmi, mi sa.-
-Un
po’ di allenamento e ce la
farai.- lo
rassicuro. E ne sono davvero
convinta, perché è un portento. Ci
sarà molto utile, tra qualche mese.
Riprendo
l’allenamento ma, nel bel mezzo della mia corsa ad ostacoli,
vengo interrotta
da una campana, segno che molti di noi se ne devono andare. Non tutti
siamo di
Holmes Chapel. In questo campo sono riuniti Holmes Chapel, Bradford,
Oxford e,
ovviamente, Mullingar. Holmes Chapel, Oxford e Mullingar fanno tutto di
nascosto, Bradford lo fa allo scoperto quindi rimane. Noialtri torniamo
al
treno.
Stavolta
arriviamo alla base in nove secondi, non è andato piano
almeno. Prima, considerando
i soliti orari, era in un ritardo pazzesco, ma tanto c’ero
solo io.
Il
Gruppo A non è ancora tornato. Dove
sono?
Mi
siedo in un angolo da sola, non ho voglia di parlare. Di solito nel
tempo che
rimane tra la fine dell’addestramento o della missione e
l’inizio della nuova
giornata mi scateno, in fatto di parole. Ma bisogna contare che di
solito ci
sono Buck e Liam con me. Ora no e non ho intenzione di proferir parola
finchè
non saranno al mio fianco.
Passa
un’ora. Ne passano due e sono le sei del mattino.
-Perché
non mi hanno mandata con
loro?!- urlo,
non riuscendo più a
trattenermi. Sebbene non mi sono rivolta a nessuno in particolare
né ho fatto
nomi tutti sanno a chi mi riferisco, perché ci conosciamo
tutti.
-Calmati,
ora verranno, vedrai.- mi rassicura, o almeno ci prova,
Dreda, una di quelle
ragazze che porta perennemente le treccine e sorride a tutti.
-Calmarmi?!
Calmarmi, dici?! Come
cavolo faccio se siamo in guerra e forse li hanno mandati in campo
aperto?!
Come posso calmarmi?! Potrebbero essere già morti!!- finita la sfuriata mi accascio di
nuovo a terra e nascondo
il volto tra le mani, senza piangere.
-Sai
com’è Phillips. Non succederà
niente di male a nessuno di loro.-
continua
Dreda dandomi una pacca sulla spalla.
Non me
ne frega niente di Phillips, vorrei dire. Di
sicuro li hanno portati in guerra e a quel punto Phillips diventa un
soldato
come un altro, punto.
Si,
siamo in guerra. Se lo dicessi in paese probabilmente mi
arresterebbero, ma è
la verità: tutto il mondo è in guerra. Tra le
materie prime che sono sempre più
rare e il crollo delle borse era chiaro che sarebbe scoppiata a breve.
Noi,
come Inghilterra, abbiamo qualche alleato (tra cui
l’Irlanda), ma ci sono
paesi, come la Russia, che combattono da soli. In uno stato
d’allarme così
grave c’è bisogno dell’aiuto di tutti i
cittadini per combattere. Ma alcune
città hanno chiuso le porte all’esercito e
preferito avere un diploma di bella
città piuttosto che aiutare la propria patria. Una di
queste, com’è evidente, è
Accetto
la tazza che mi porge Dreda e ne bevo avidamente il contenuto.
È una bevanda
molto più forte ed avanzata del caffè, ma ha
più o meno lo stesso scopo con un
sapore migliore. Ti fa rimanere sveglio tutto il giorno. A meno che non
sia il
tuo cervello ad impartire l’ordine di dormire (nel riposo
pomeridiano, ad
esempio), questa bevanda è in grado di farti stare in forze
per ventiquattro
ore, fino alla prossima. Se non ci fosse, tutto questo programma non si
potrebbe attuare.
Alle
sei e mezza iniziamo ad uscire, perché dobbiamo rientrare
nei nostri letti per
le sette, quando saremo svegliati. Sono un po’ esitante
perché gli altri non
sono ancora tornati, ma dopo cinque minuti mi costringo a salire.
Percorro
nuovamente la città insieme agli altri e li saluto man mano
che si fermano
davanti le loro case, poi entro nella mia e mi sistemo nelle coperte.
Ho
due minuti per dormire. Ovviamente non ci riesco e alle sette in punto
precise
vengo richiamata dalla campana. Mi lavo, mi vesto e faccio colazione
con una
semplice tazza di latte.
Quando
arrivo a scuola la prima cosa che faccio è guardarmi intorno
in cerca di Buck o
Liam. Quest’ultimo è più difficile da
trovare, in genere, ma Buck è nella mia
stessa classe quindi entro pazientemente nell’aula.
Mi
siedo al mio posto e quando lui entra ansimante sorrido mostrando tutti
i
denti, e lui fa lo stesso. Poi alzo le sopracciglia e lui mi fa cenno
per dirmi
che non è il momento di parlare. Stanotte. Si,
se non ti portano di nuovo via, penso. Ma ha ragione, non
possiamo parlare
qui.
A
mensa Zayn non mi toglie gli occhi di dosso e capisco dal suo sguardo
che c’è
qualcosa che non va, sta pensando a qualcosa che non può
dire e che riguarda
me. Nei dodici minuti in cui possiamo parlare non mi rivolge la parola
ma
continua a studiare il mio comportamento, ignorando le ripetute
proposte di
Louis ad accennare una conversazione.
Io
nel frattempo cerco di ignorare lui, perché non voglio avere
problemi di nessun
genere. Soprattutto con lui che, a mio parere, nasconde tanti segreti
dietro i
suoi sguardi inquisitori.
Eseguo
tutto il mio programma alla perfezione, dalla dormita ai compiti, ma
poi non so
cosa fare quindi vado in cerca di Liam, che non ho visto a scuola.
Fuori
casa però mi aspetta una sorpresa: Zayn. Un po’ me
lo aspettavo in realtà, ma
speravo di sbagliarmi.
Non mi dice niente, non mi saluta né mi sorride. Inizia a
camminare e so che si
aspetta che io lo segua.
Invece
entro velocemente in casa e mi richiudo la porta alle spalle. Spio
dalla
finestra, senza farmi vedere, cosa sta facendo. È parecchio
confuso e anche un
po’ arrabbiato, poi un lampo di comprensione gli attraversa
gli occhi e se ne
va soddisfatto.
Quando
sono sicura che è abbastanza lontano, esco di casa. Non so
precisamente perché
lo evito. Ma per qualche motivo non voglio parlare con lui, non me la
raccontano giusta, i suoi occhi. Perché è da
molto che ho imparato a leggere
gli occhi della gente e i suoi mi dicono solo mistero
mistero mistero. E questo non mi piace.
Cammino
cautamente verso casa di Liam, ma purtroppo devo passare anche davanti
quella
di Zayn. Prima controllo che non sia sulla strada, poi che non sia alle
finestre o balconi, infine passo di corsa.
Continuo
a camminare fino ad arrivare al limitare della città, dove
sta casa di Liam, ma
prima di poter bussare qualcuno mi ferma. E stavolta non mi invita
silenziosamente a seguirlo, ma mi spinge verso un albero.
-Che
hai fatto ieri notte?- sussurra Zayn per non farsi
sentire, ma con tono
accusatorio.
-Ho
dormito. Come te. Ora se
permetti devo andare da Liam.- lo
liquido.
-No,
non hai dormito. E neanch’io.
Non riuscivo a chiudere occhio e ho passato tutta la notte a guardare
il
panorama fuori dalla finestra, non che fosse un granchè. Non
è successo niente
di strano, a parte due volte. Prima sei passata, per venire verso
questo lato.
Poi sei tornata. Cos’hai fatto?- dice,
sussurrando tutto arrabbiato.
-Una
passeggiata.- rispondo
liberandomi dalla sua presa. –Ciao,
Zayn.-
-Lo
scoprirò, sai? Sono bravo in
queste cose. Se non me lo dici tu lo saprò da me.-
Non
gli rispondo e vado dritta a casa di Liam mentre lui mi passa davanti
per
andare via. Non lo scoprirai, Zayn.
E’
una cosa più grande di te, lascia perdere.