Fanfic su artisti musicali > Cinema Bizarre
Ricorda la storia  |       
Autore: makeDreamlast    04/09/2012    2 recensioni
[...]Esco dalla mia camera seguita da Bella, per giungere a quella di mio cugino. Busso, ma nessuno mi risponde. Busso ancora, più forte. Busso fino a che non apre la porta.
«Che vuoi?» E’ talmente fatto di chi sa quale strana sostanza che se gli chiedo qualsiasi cosa, non sa nemmeno di cosa parlo. È già successo.
«Ehm…volevo chiederti un favore.»
«Il portafogli è lì, sulla scrivania.» Biascica. Glieli ho già chiesti tantissime altre volte, dato che i suoi genitori non mi contano, che ormai ci è abituato a questi miei favori.
«Quanti posso prenderne?» Lo guardo, collassato sul letto, gli occhi chiusi a due fessure, il loro contorno di un violaceo scuro, i capelli scompigliati, la pelle bianchissima. La stanza è coperta da un nube di fumo.
«Quelli che vuoi.»
Apro il suo portafogli, han ben cinquecento euro tutti in banconote! Mi ero fermata ai duecento, non gliene avevo mai visti così tanti, sicuramente mi sono persa qualche pezzo mentre ero intenta a spiare qualcun altro.
Estraggo due banconote da cento, sicuramente per due ore nella piscina più prestigiosa di tutta Berlino sarebbero bastati. Ringrazio Jörg che mugola un «prego» per tutta risposta e raggiungo Bella ancora in corridoio.[...]
Genere: Fluff, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 1

*
 
«Aspetta, vedo qualcosa!» dico con le mani sulle tempie e gli occhi chiusi.
«Che cosa? Parla!»
Era una lontana primavera di diciassette anni fa quando mi veniva regalata la luce e quando quella di mia mamma veniva spenta.
Mio padre è sempre stato un uomo di fascino, ben conosciuto in paese e per quanto potesse tenerci a me, provava a lasciarmi i miei spazi. Non che questo per lui sia stato facile, io ero molto riservata e cercavo di costruirmi un mio mondo. Lui, però, quando non mi sentiva per più di un’ora si allarmava. Se ero a casa, bussava alla porta della mia piccola cameretta per chiedermi come stavo. Se ero a scuola mi chiamava appena le lezioni erano finite.
E questo andò avanti fino all’età di quattordici anni.
Sembrò fatto apposta. Quella mattina prima che andasse a lavorare presi coraggio chiedendogli di lasciarmi i miei spazi, che stavo crescendo, che da poco ero diventata una signorina e lui capì perfettamente. Un po’ amareggiato, ma capì. Lo salutai con un «Ci vediamo per pranzo, ti voglio bene papà!».
L’ultima immagine che ho di mio padre è lui disteso su un letto di ospedale, con mille tubi che gli uscivano da ogni dove. I suoi occhi erano chiusi e la sua grande mano era stretta tra le mie, molto più piccole. Quegli occhi non si sarebbero più aperti. Quella mano non mi avrebbe più accarezzata quando ne avevo bisogno.
Era l’unica persona che avevo al mio fianco, essendo molto riservata non amavo avere amici, preferivo leggere un libro. E credetemi, in tutti questi anni ne ho letti veramente tanti!
Dopo la perdita di mio padre, gli assistenti sociali decisero di darmi in adozione a mia zia, la sorella di mia mamma.
Ho sempre pensato che famiglia più strana di quella non potesse esistere!
Lei, disoccupata a tempo pieno e fissata con la moda, la manicure, la parrucchiera e tutto il resto, un giorno mi confessò di aver sempre odiato mio padre. Molte volte si domandava come avesse fatto sua sorella a sposarlo. Molte più volte si domandava come avesse fatto a mettere al mondo una ragazzina insulsa come me.
Lui, prestigioso avvocato divorzista, al contrario della moglie, non sopportava mia madre. Le disse molte volte di lasciarla perdere, che era solo una sprecata, una che non sarebbe andata molto avanti. Non si presentò neanche al suo funerale. Ma per quanto la odiasse, provava una certa compassione per me che mai mi avrebbe dimostrato. Troppo orgoglioso per farlo.
E da questi due individui, c’è anche la creatura che hanno generato. Non ho mai capito come un ragazzo di vent’anni potesse ridursi così. Era perennemente fuori con gli amici, all’insaputa dei suoi genitori si drogava e faceva casini in giro per la città. Quasi fosse un gatto randagio. Ma ovviamente mamma e papà erano troppo occupati con estetisti e uffici per accorgersi che il loro unico, adorato figlio si stava rovinando.
Qui entro in scena io.
Io che me ne sto sempre in disparte, chiusa nella mia piccola cameretta arrangiata in una soffitta di una grande villa a leggere libri su libri. Io che porto a casa i massimi voti da un liceo linguistico alle porte di Berlino e loro nemmeno vogliono vedere. Per quanto i miei professori sappiano in che sciagurata casa sono finita, non possono fare altro che permettermi di non portare alcune giustificazioni firmate o di lasciarmi uscire da sola da scuola in anticipo o farmi entrare in ritardo. Certo, questo in quattro anni è successo veramente pochissime volte! Ma è appunto per questa ragione che, quelle poche volte che capita, posso farlo senza paura di commettere un reato.
Io che, anche se all’apparenza posso sembrare normale, non lo sono per niente.
Se chiudo gli occhi e mi concentro su una determinata persona per almeno venti secondi riesco a vedere cosa sta facendo in quel preciso istante.
Strano che un’adolescente possa fare ciò. È strano anche per me, ma come pensate che abbia fatto a sapere che mia zia odiava mio padre? E altrettanto, come ho fatto a sapere che mio zio odiava mia madre? Come ho fatto a sapere che l’unico cugino che ho è un tossico? Pensavate che me lo avessero detto loro di persona? No, assolutamente no! Troppo codardi per dire certe cose in faccia.
Me ne stavo sdraiata sul mio morbido lettino a pensare. Pensavo a quanta felicità c’era quando papà era ancora con me. A tutti quei bei momenti passati insieme. Erano ricordi intensi, quasi fossero vivi. Li comparai così a ciò che stavo vivendo. La casa, gigante per quanto potessi essere piccola e disabituata io, due genitori inutili e un fratellastro senza speranze. Altri ricordi vivi, soprattutto di Jörg.
Quella sera non era in casa, come tutte le altre sere in cui usciva senza cenare. E quella scena non l’avevo mai vista, come poteva essere davanti ai miei occhi? Lui che con i suoi amici stavano scambiando pastiglie e chi sa quale altra schifezza con chi sa quale strana persona si trovava dietro a tutto questo. Restai concentrata ancora lungo, seguendo i suoi movimenti, conoscendo il vero motivo per cui saltava pranzi e cene, conoscendo il vero motivo per cui era così pallido e trasandato.
Beh, come prima visione non fu il massimo, ma imparai ad ammaestrare questo potere conoscendo tutto ciò che volevo di ogni persona che mi interessava. Potevo concentrarmi su persone vicine, lontane o dall’altra parte del mondo. Purché le conoscessi almeno di vista da riuscire a concentrarmi sui loro volti e vedere cosa stavano facendo. Era un bello spasso, all’inizio, ma andando avanti mi rendevo conto di non poter più pensare intensamente a qualcuno. Nemmeno a lui. Non potevo pensare all’unica persona che da ormai due anni riempiva le mie giornate con la sua voce, solo la sua voce.
Diciamo più che altro che potevo “spiarlo” solo quando ero con lei. L’unica amica che ero riuscita a farmi. Forse perché siamo così tremendamente simili, se non uguali. Gli stessi aggettivi ci descrivono: timide e riservate, gli stessi pregi: buone e gentili con chiunque, gli stessi difetti: gelose e testarde, le stesse paure: non riuscire a fare quello di cui siamo determinate!
Maria Isabella è la prima persona che ho conosciuto entrando nel liceo. Lei odia questo nome, dice che è troppo da Medioevo, così ci obbliga a chiamarla Mary o Bella. Io sono l’unica a chiamarla Bella. Nonostante sia un nome originale e che credo nessuno abbia, la chiamo così anche perché lei è veramente bella. Bionda, occhi azzurri e un fisico mozzafiato. Mi sono sempre chiesta come mai avesse scelto di passare le giornate con me invece di trovarsi un fidanzato, ne avrà sicuramente avuti a palate dietro! Il problema è proprio che è troppo timida per poterlo avere. Confidandoci però, a noi va bene anche così.
È stata anche la prima ed unica persona a conoscere il mio dono di veggente. Perché è così che posso definirmi. All’inizio, come chiunque penso, ne è rimasta sbalordita. Con il tempo anche lei ci ha preso l’abitudine, così posso raccontarle tutti gli scoop che vuole, posso andare a spiare tutte le persone che vuole senza nessun permesso da parte di qualcuno.
Mi basta un luogo silenzioso, senza distrazioni e una figura ben nitida.
«Dai dimmi cosa stai vedendo!!»
Cerco di non perdere la concentrazione «Allora…Sono qui a Berlino per un’intervista su quel concorso di moda che avevano fatto.»
«Si, quello a cui, ti ricordo, dovevamo vincere!» mi dice amareggiata.
«Non è stata colpa mia!! Ma non ho mai visto quel sito, di conseguenza non lo sapevo! Non mi distrarre!!» ancora concentrata sulla loro immagine «Adesso stanno parlando, cioè stanno facendo l’intervista!»
«Ma non sai cosa faranno dopo??» non le rispondo «Alice!! Io devo vederlo e anche tu vuoi vederlo!»
Riapro gli occhi ormai disabituati alla luce «Si, Bella, voglio vederlo anche io ma sono una veggente! Non una sensitiva o una premonitrice! Vedo il presente delle altre persone, non il futuro o il passato! Diciamo che…ci sto lavorando!»
«Oddio ma come fai? Voglio saperlo fare anche io!»
«Non lo so, te l’ho raccontato come è iniziato tutto. Ho pensato intensamente a mio padre e poi ho visto mio cugino che si drogava e credimi, non è stato nulla di spettacolare! Niente è spettacolare in questo lato di vita.»
«Deve essere proprio brutto non poter pensare alla persona che ami.»
«Lo è. Ma è più brutto pensarla intensamente, vederla, vedere cosa fa e non poter essere lì.»
Sbuffiamo in attesa che l’intervista sia terminata.
Forse se lo penso ad occhi aperti non succede niente. Penso alla prima volta che l’ho visto, eravamo io e Bella al parco e lui con i suoi amici bizzarri stavano entrando in casa. Si può dire che fu amore a prima vista. Da quel giorno ho iniziato ad andarlo a trovare con il pensiero, guardavo quello che faceva. Come dormiva, come si svegliava, come mangiava, come si vestiva. Mi fermavo solo quando vedevo che si avvicinava alla porta del bagno. Insomma un po’ di privacy! Spiandolo in questo modo scoprii che cantava in un gruppo glam rock assieme ai quattro ragazzi. Potevo seguirlo durante i concerti che facevano in tutta Europa, riuscii a seguirlo anche quando erano in America. Lo seguivo quando ero a casa, nel pomeriggio, e a scuola chiedevo ai professori di andare in bagno quando sentivo che mi mancava. Quando mi mancava terribilmente. Percepivo che in quel momento stava per succedere qualcosa che assolutamente non dovevo perdere, solo con lui avevo questa percezione. Ero ormai talmente abituata a guardarlo che forse non mi interessava più di spiare gli altri. Stavo male quando vedevo cose che non avrei dovuto vedere, stavo bene quando lo vedevo ridere e scherzare con gli amici.
 
*
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Cinema Bizarre / Vai alla pagina dell'autore: makeDreamlast