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Autore: taemotional    08/09/2012    0 recensioni
{2Min} + accenni JongKey
"Di solito non frequentava posti del genere, ma quel giorno la sua mente aveva deciso di impelagarsi con vecchi ricordi e il corpo aveva agito di conseguenza, portandolo in quel luogo. Nel suo caso, una risposta così repentina da parte del corpo non era una novità. Da sempre era abituato a pensare, a riflettere e a concentrarsi. Altrimenti bastava una svista, un calcolo sbagliato e il corpo sarebbe finito contro la sbarra orizzontale - posta a quasi due metri d’altezza - facendogli perdere la gara. Ogni fibra, muscolo o tendine del corpo doveva obbedire alla mente, non c’erano possibili alternative."
Genere: Angst, Comico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Minho, Quasi tutti, Taemin
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Commento: Dato che nella community l'ho finita di postare, mi è venuta voglia di concluderla pure su efp... ^^ Quindi ecco un altro capitolo! Spero vi piaccia ^.^

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Minho sprofondò nel sonno, il mento scivolò dal palmo della mano e la fronte sbatté sordamente sul banco. Si ritirò su di colpo, con gli occhi sgranati e un evidente segno rosso in testa.

Ad alcuni compagni di classe sfuggì una risatina, mentre il professore - impegnato nella spiegazione di un complicato calcolo logaritmico - non si era reso conto di niente. Ovviamente nessuno osò dire nulla, e in breve ognuno tornò a spremersi le meningi per seguire lo svolgimento del problema.

Minho sbuffò, stropicciandosi gli occhi - decisamente gonfi - e ignorando il dolore alla fronte. Ma che diavolo, non era mai successo che si addormentasse nel bel mezzo di una lezione universitaria. Aritmetica poi! Che era la sua materia preferita sin dal liceo. Tutto grazie al piano diabolico di quell’impulsivo di Kibum. Lo cercò un po’ con lo sguardo, perlustrando invano l’intera aula. Non si era presentato a lezione, ma la cosa non lo stupiva molto. La sera prima, dopo essere usciti traballando dal locale, lo aveva riaccompagnato a casa e Kibum aveva costretto l’altro a restare fino a tardi.

“Forse ho fatto una cazzata...” gli aveva detto piagnucolando. Poi si era lasciato andare sul divano del salotto. “Scusami”

“Devi scusarti con quel ragazzo” aveva risposto lui con un sospiro, “Io non c’entro nulla”

“Ma sei arrabbiato con me...”

“Certo!”

“Ecco, vedi?”

Minho aveva soffiato forte l’aria fuori dai polmoni, e gli si era seduto di fianco.

“Non dovrei esserlo, comunque... è una cosa che succede spesso tra giovani, no?”

Kibum lo aveva guardato attraverso la fessura degli occhi socchiusi.

“Sembra proprio che tu non abbia venti anni”

“Certe volte me lo domando pure io, quanti anni abbia” aveva mormorato stancamente, “Kibum, sto sprecando la mia vita?”

 

A pranzo, mentre Minho mordeva con poca voglia il solito panino fatto in casa, Kibum apparve raggiante in mensa. Scorse velocemente l’interno e, dopo aver trovato il suo obbiettivo, prese fiato. Sembrava proprio che stesse per - come si dice - aprir bocca e dargli fiato, quando Minho lo bloccò ficcandogli il resto del panino in bocca e lo trascinò fuori.

“Non devi dire niente riguardo quel ragazzo, intesi!?” lo minacciò con sguardo truce. Era colpa sua se Kibum l’aveva scoperto, e non voleva affatto essere il responsabile se per quello ci fosse stata una qualche conseguenza spiacevole. Lo sguardo sconvolto che quel ragazzino aveva rivolto a Kibum vedendolo aveva mosso dentro di sé un certo istinto paterno. Quella stessa sensazione che era venuta fuori il giorno in cui aveva scoperto che lei aspettava sua figlia.

Kibum ingoiò il pezzo di panino rischiando di strozzarsi. “Ma che diavolo fai!?”

“Ti impedisco di agire d’istinto, per la seconda volta”

“Senti...” sbuffò Kibum che sembrava essere tornato quello di sempre - ogni nota di risentimento della notte prima scomparsa chissà dove - “Passi che non posso prenderlo a testate, anche perché mi sono fatto un male boia pure io...”

“Perché non sei capace...”

“Dicevo!” riprese Kibum ignorandolo, “Passi questo, ma non posso nemmeno attaccarlo con le parole?”

“Vuoi che sia lui a dartele, questa volta? Kibum, che ne dici di lasciar perdere? Eh?”

“La fai facile tu...” mormorò Kibum sconsolato.

Certe volte Minho aveva l’impressione che l’altro ingigantisse all’inverosimile i propri problemi o sentimenti. Va bene provare emozioni - negative o positive che siano - per un certo evento, ma almeno una persona deve saperle soppesare e, in seguito, esprimerle con la giusta intensità. Che poi Minho era un tipo quasi privo di emozioni è un altro discorso.

“Certo...” continuò Kibum dopo qualche secondo, come se esprimesse il continuo di un suo pensiero, “...il tipo che ieri sera è venuto in soccorso di quella carota... era ben piazzato... non ti pare? Non vorrei mettermi a fare a testate con uno del genere...”

Minho lo lasciò perdere e iniziò a rimpiangere il fatto che un quarto del proprio panino se lo fosse mangiato Kibum. Poco male, avrebbe azzittito lo stomaco con una sigaretta, non aveva certo soldi da buttare in quella mensa.

“Era figo, vero? Vero?” continuava a saltellare Kibum, aspettando il responso dell’altro.

“Ma chi?”

“Quel tipo che è venuto ieri sera! Non l’ho visto bene che avevo uno stormo di lucciole davanti alla faccia... ma era figo, no?”

“Il figlio del direttore del locale? Jonghyun?”

“Quello che sia... non ne ho idea... però era figo, e se lo dico io significa che è vero”

“Era un bel ragazzo... oggettivamente” si affrettò ad aggiungere dopo che Kibum gli aveva lanciato un’occhiata di traverso. “E ora, mentre tu continui a fantasticarci sopra, io vado a farmi una sigaretta... ci vediamo domani!”

“Non vieni a fisica?”

“Posso permettermi di saltarla. Firmerai per me?”

 

Minho si distese sul solito pianerottolo delle scale di emergenza e tirò fuori l’accendino.

In quel luogo di silenzio si sentiva davvero in pace con se stesso, e i soliti interrogativi che gli arrovellavano la mente scomparivano di colpo. Anche se continuava a domandarsi chi pulisse un posto simile... Comunque, su quel pianerottolo, disteso tra i gradini che collegavano il terzo al secondo piano, c’erano solo lui e la sua sigaretta. E quella pace sarebbe durata in eterno, se non fosse stato che qualcuno aprì la porta d’emergenza catapultandosi con foga sul pianerottolo, e per poco non gli pestò la faccia.

“Ti ho trovato... allora sei proprio tu!”

Minho schiuse un occhio e, oltre il velo di fumo che si era creato sopra di lui, scorse il famoso ragazzino dai capelli rossi che lo additava poco cortesemente.

“Mi cercavi?” domandò Minho alzando la schiena da terra e rimettendosi seduto.

“Sì. Il tuo amico mi deve delle scuse” sentenziò sicuro indicandosi il sopracciglio coperto da un cerotto attaccato malamente. Minho lo guardò inclinando un po’ il capo.

“Io credo che la cosa debba essere reciproca...”

“Come scusa?!”

“Anche tu devi comportarti con educazione, se vuoi un responso simile dall’altra parte”

Il ragazzo dai capelli rossi lo guardò sbigottito.

“Per esempio...” continuò Minho spegnendo la cicca sotto ad una scarpa e lanciandola nel cestino del pianerottolo, “...sei arrivato, mi hai puntato il dito contro e non ti sei nemmeno presentato”

“Ci conosciamo!”

“Io non ti conosco”

“Sono Lee Taemin! Devi conoscermi, sono famoso!”

Minho sbuffò voltandosi di lato. “Pure tu con questa storia...?” borbottò tirandosi su. Si pulì i pantaloni e prese a guardare fuori, oltre il muretto delle scale. Quell’atteggiamento di superiorità che entrambi avevano gli dava fastidio, non c’erano dubbi. E forse un po’ c’entrava anche l’invidia. Perché loro erano in quella scuola grazie ai soldi dei loro genitori, mentre lui, abbandonato il salto in alto, doveva tirare avanti con solo la misera attività della madre e qualche lavoro estivo mal pagato.

“Che vuoi dire?” domandò l’altro pungente.

“Anche Kibum... siete così pieni di voi stessi... ma non importa...”

Taemin aggrottò le sopracciglia.

“Mi stai paragonando a quella checca?”

La frase arrivò come un ago alle orecchie di Minho, che non ci vide più. Pensò che non doveva permettersi... che non poteva... ma nemmeno la mente sapeva cosa pensare. E se la mente di Minho si scollega, il corpo potrebbe agire senza controllo.

Taemin venne di colpo sbattuto contro la porta di servizio, la maniglia conficcata nel fianco. Gli sfuggì un gemito di dolore. Provò a spostarsi, ma Minho lo teneva così stretto per la camicia dell’uniforme che non riusciva a muovere un muscolo, il viso a pochi millimetri di distanza da quello dell’altro. Avvertiva il suo fiato sulla bocca, e la paura salirgli in gola.

Ma passarono solo pochi secondi, e quella morsa si sciolse in un attimo, insieme alle gambe di Taemin, che cedettero. Si afflosciò al suolo con la mano premuta su un fianco.

Minho tornò in sé di colpo e gli occhi guizzarono spaventati sul corpo dell’altro. Indietreggiò lentamente. Taemin lo guardava con sguardo attonito.

“Scusami...” mormorò Minho portandosi una mano tra i capelli, e si lasciò andare anche lui.

Si ritrovarono seduti, l’uno di fronte all’altro. In silenzio.

Minho allungò il collo all’indietro, poggiando la nuca sul muretto alle proprie spalle. Non capiva perché gli succedeva tutto questo. Perché quando stava vicino a quel ragazzino si sentiva un altro? Qualcuno di incontrollabile, che non era se stesso. Si sentiva... un ventenne? E ciò gli faceva paura. Chiuse gli occhi. Aveva lavorato così tanto al proprio interno per maturare, crescere interiormente più degli altri, ed essere così un buon padre. Ed ora arrivava questa persona e gli mandava in frantumi tutto il lavoro che aveva faticosamente perfezionato in due anni. Dov’era finito quel boomerang piatto ma rassicurante?

Tornò con la mente alla sera prima, a quando si era rivolto a Kibum in quel modo... e aveva visto nei suoi occhi il riflesso di una persona che non era lui. Io non sono così impulsivo. Io sono una persona razionale, che ha sviluppato la mente con la matematica e il corpo con lo sport. Una combinazione perfetta di concentrazione e precisione, indistruttibile. Un castello di vetro che lui credeva di acciaio.

Osò riaprire gli occhi e guardare l’altro. Taemin era rimasto immobile.

Minho decise che doveva ignorare quello che era appena successo, ed andare avanti. O quell’evento si sarebbe aggiunto ai tanti che odiava, e che aveva vissuto. Si trascinò fino a sedersi vicino a lui. Taemin gli bloccò il polso, mentre Minho aveva allungato una mano verso il suo viso.

“Voglio solo sistemarti il cerotto...”

“Non ce n’è bisogno”

Ma Minho non ritirava la mano, insistette ancora un po’ e alla fine Taemin mollò la presa. Abbassò gli occhi mentre l’altro staccava lentamente il cerotto e lo riposizionava coprendo la ferita.

“Ecco...” disse Minho, e tornò ad appoggiarsi con la schiena al muro.

“Se volevi farti perdonare non ci sei riuscito... Mi hai infilato la maniglia della porta sul fianco! Mi resterà il livido”

Minho si voltò di colpo. “Cavolo...!” esclamò poggiandogli una mano sulle coste, “Dove? Fa vedere!”

Taemin si ritrasse di colpo. “Non mi spoglio mica!”

Minho sbatté un paio di volte le ciglia.

“Che problema c’è... comunque vuoi andare in infermeria? Ti accompagno, è stata colpa mia”

“Sì, è stata colpa tua. E no, non mi accompagni. Possibile che quando ci sei tu finisco col farmi male?”

Minho chinò un po’ il capo.

“Scusami...”

Taemin lo guardò di sottecchi. Sembrava davvero dispiaciuto.

“Allora...!” esclamò battendogli una mano sulla spalla, “...Se vuoi che ti perdoni devi farmi un favore”

“Dipende...”

“Hanno chiesto a mio padre un aiuto per fare una pubblicità di un orologio parecchio costoso... la gioielleria è quella che sta nel centro commerciale XX, hai presente? E hanno bisogno di un modello per le foto...” e qui Minho mise le mani avanti.

“Io? No, no... non mi ci vedo proprio in posa come una statua davanti a un obbiettivo! Scusami...”

“Guarda che non ti perdono, eh!” gridò Taemin cercando di afferrarlo mente l’altro si alzava di colpo e si allontanava.

“È tardi!” lo liquidò Minho imboccando la porta di servizio, “Ciao!” e corse giù per le scale.

 

Quando Minho mise piede nel salotto della madre, Ai lo fissò coi grandi occhi spalancati e un sorriso le si allargò sul viso.

“Papà è tornato presto oggi!” esclamò Minho avvicinandosi al divano - dove era seduta la figlia con le sue bambole - e lei allungò subito le piccole mani in alto. Minho la prese in braccio e gli baciò la fronte. “Allora, che hai fatto oggi?”

La bambina si sporse all’indietro ed indicò il divano, quindi mormorò qualcosa che somigliava alla parola bambole, ma che chiunque al di fuori di Minho non avrebbe saputo decifrare.

“Hai giocato con Soojung e Jinri?” chiese con un sorriso, “Se ti piacciono dovremo comprarne un’altra per il tuo compleanno!”

La bambina annuì timidamente e Minho prese a guardarsi intorno. “Dov’è la nonna?”

“Minho!” sentì la donna chiamarlo dalla cucina, “Sei tornato?”

Si avviò nell’altra stanza.

“Vuoi mangiare qualcosa?” domandò la madre vedendolo.

“Sto bene” rispose Minho, “Ai ha fatto merenda?”

“Non ancora...” rispose la donna finendo di preparare alcuni ingredienti sul tavolo.

Minho guardò Ai, “Hai fame?”

La bambina annuì di nuovo.

“Andiamo a casa allora!” esclamò Minho dirigendosi verso le scale interne che collegavano l’appartamento della madre con il proprio. “Oggi non dovrebbero esserci molti clienti al ristorante...” commentò poi, rivolto alla madre, “Chiudi presto e va a riposarti... non hai un bell’aspetto”

La madre annuì sorridendo.

“Non preoccuparti per me, tu piuttosto... questa sera esci?”

Minho guardò sua figlia, “Oggi no...”

“Allora anche tu non fare tardi!” disse la donna impostando il timer del forno “Buona notte per dopo!”

Minho annuì ricambiando la buona notte. Tornò in sala per recuperare le due bambole, quindi prese a salire le scale.

 

Mentre Minho era intento a tagliare una mela - e si stava impegnando molto, dato che intagliarla a forma di coniglietto non gli riusciva ancora bene - squillò il cellulare.

Ai guardò curiosa quell’ordigno poggiato sopra il tavolo - che si illuminava agitato - e continuò a scrutarlo, almeno finché Minho non lo afferrò per rispondere. Delusa, tornò alle sue bambole.

“Pronto? Kibum?”

-Minho! Ci hai messo un secolo a rispondere!-

“Scusa, avevo le mani occupate. Com’è andata la lezione?”

-Mah... il professore sembra sempre più matto... oggi si è messo a fare strane similitudini per farci capire come funzionava una legge fisica... non mi ricordo nemmeno quale fosse...-

“Interessante allora!” esclamò ironico Minho, cercando di incastrare il cellulare tra la spalla e l’orecchio, e poter tornare alle mele, “Hai preso appunti?”

-Ovvio, domani te li porto...-

“Grazie!”

-E di che... comunque non sei l’unico che oggi salta le lezioni!-

“Cioè...? Ah! Kibum, aspetta un attimo! Ai, non metterle in bocca...! Sono sporche...”

Kibum restò in attesa qualche secondo, poi la voce di Minho tornò udibile.

“Eccomi...”

-Ai decide di darsi al cannibalismo?-

Minho rise leggermente. “Quelle bambole profumano di cioccolata... e sai che ne va matta. Altro che questa frutta insapore!”

-Come biasimarla...-

“Comunque, dicevi?”

-Non mi ricordo... ah, sì! Parlavo di quello lì... quel Lee Taemin! Ha saltato pure lui le lezioni del pomeriggio.-

“Ah, quindi?”

-Quindi niente, non ha fatto altro che girare per la facoltà cercandoti... ma questa volta io non gli ho detto nulla che tu eri tornato a casa!-

Minho aggrottò le sopracciglia. Non demorde, ma io non lo farò mai quel servizio.

“Questa volta...?” chiese poi iniziando ad imboccare Ai, che non aveva alcuna intenzione di mangiare pezzi di mela informe.

-Ehm... ecco... sono stato io a dirgli dove ti trovavi oggi dopo pranzo... perdonami!-

Minho sbuffò e Ai, pensando che il padre fosse arrabbiato per quel suo capriccio, aprì la bocca e diede un piccolo morso alla mela.

“Kibum... lo sai che quel posto è off limits, no?”

-Scusami ti ho detto! Ma quello lì insisteva così tanto! Io gli ho detto: Perché lo cerchi così tanto? E lui dice:Deve assolutamente fare qualcosa che solo lui può fare qui dentro. Allora io gli faccio: Ti dico dov’è solo se tu te ne stai al tuo posto. E lui non capiva! Cioè! Nemmeno si era reso conto di nulla quello lì! Alla fine ha accettato, anche perché se tu gli dicevi di sì lui non sarebbe più venuto a scuola. Gli hai detto di sì, vero?-

Minho cercò di sistemare nella mente quello che Kibum gli stava dicendo.

“Io non posso accettare”

-Eh!? Ma di che si tratta? Qualcosa sullo sport?-

“No, no, non c’entra nulla... vuole che io posi per un servizio fotografico”

Kibum si lasciò sfuggire un grido.

“Non perforarmi le orecchie se ce la fai!” esclamò Minho, mentre l’udito tornava normale. Intanto Ai aveva finito la sua merenda ed era tornata ad occuparsi di Jinri. Minho prese a sparecchiare.

-Un servizio fotografico!?- gridò Kibum, -Accetta! Sai che figata!-

“Kibum, va contro ogni mia etica, lo sai! E poi sono padre, ti immagini che potrebbe pensare Ai se vedesse il mio faccione su un cartellone pubblicitario?”

-Penserebbe: Ho un papà davvero mitico!! O almeno io lo penserei!-

“Ma poi quello è un centro commerciale davvero grande... no, no... non si può...”

-Anche se sarebbe meglio che ci fossi io lì sopra...- continuò Kibum ignorandolo, -Ma perché solo tu puoi farlo? Anche io sono bello!-

Minho fece spallucce, e intanto infilava il piatto lavato nella credenza. “Glielo chiedo se puoi farlo te”

-Per carità! Ne andrebbe del mio orgoglio... ah, Minho! Ora ti saluto che è arrivato l’autobus! Ci vediamo domani pomeriggio? Facciamo un giro?-

“Pensavo di uscire con Ai domani! Rimandiamo?”

-Okay, okay! Ci vediamo dopodomani a lezione!-

“Ciao!”

Minho chiuse il cellulare e lo rimise in tasca. Davvero quel ragazzino lo avrebbe perseguitato finché non avesse accettato? Sospirò e si lasciò andare su una sedia.

Mentre guardava Ai giocare con le sue bambole iniziò a pensare a come potesse essere il proprio volto raffigurato su un cartellone pubblicitario del genere, e paragonava quell’immagine mentale alle fotografie del proprio passato. Gli venne in mente l’ultima volta che aveva posato davanti ad una macchinetta fotografica. Era passato così tanto tempo che ormai il ricordo visivo era scomparso. Restavano ormai solo le sensazioni positive che vi aveva legato col tempo. Ripensò alle raccomandazioni di lei, la sua voce che gli diceva come mettersi per far risaltare gli occhi e il fisico risuonava limpida. Gli diceva sempre che i capelli doveva tenerli un po’ lunghetti sui lati, per coprire le orecchie leggermente a sventola. Sorrise toccandosi i lobi. Da quel momento li aveva sempre tenuti in quel modo, come gli aveva suggerito.

Il fatto che lei fosse la fotografa che aveva scattato le foto del primo servizio fotografico della sua carriera di sportivo in ascesa era una informazione che si era tenuto da sempre per sé. Nemmeno la madre lo sapeva. In quel momento, mentre guardava Ai ridere così spensieratamente, pensò che sarebbe stato bello avere delle sue foto scattate da lei.

“Ai” la chiamò Minho improvvisamente, e lei alzo il viso, “Domani andiamo a comprare una nuova bambola?”

La bambina annuì sorridente.

   
 
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