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Autore: Why_    10/09/2012    0 recensioni
"< Molto probabilmente mi sono innamorata > dichiarò, in un tono piuttosto nervoso."
Indubbiamente l'amore porta felicità, ma altrettanto dolore. E questo Yeva lo sa fin troppo bene.
Genere: Angst, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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< Ricordo quel giorno come se fosse ieri. "Ho pensato a lungo su quello che mi hai detto. Non sono una grande esperta dell’argomento, ma non credo che i nostri sentimenti siano così diversi" mi disse, evitando timidamente il mio sguardo. Rimasi immobile fino a quando i polmoni cedettero e ritornai a respirare. Senza pensarci mi avvicinai a lei, la strinsi in un vigoroso abbraccio e la tirai su. Mentre la tenevo come si tengono i bambini, lei si avvinghiò a me, nascondendo il viso contro la mia spalla. Di solito lo facevamo per gioco, ma quella volta ebbe un significato completamente diverso. 
Restammo così finché scherzando feci finta di cadere. Cercando di non farci male, ci trovammo di nuovo una sopra l'altra. Mi alzai a quattro zampe per non darle troppo peso, e mi presi qualche momento per guardarla. Era così bella con quel corpo esile e il viso dai tratti quasi infantili, troppo per avere la mia stessa età. Non capivo come gli altri potessero prenderla in giro proprio per quell’aspetto che riusciva a catturare tutta la mia attenzione. Amavo la sua forza di volontà che dimostrava quando ignorava le battute -e anche qualche insulto- che riceveva. Ma più di ogni altra cosa amavo i suoi color ambra, che in quel momento fissavano, come a scrutarmi l'anima. Intuii che stesse lottando contro sé stessa per farlo, perché aveva assunto un colorito molto simile a quello di un pomodoro. Sorrisi al suo imbarazzo, non per scherno, ma perché mi faceva tenerezza. Sembrava davvero una bambina.
Mi avvicinai lentamente al suo viso, facendolo diventare ancora più rosso. Poi ci baciammo, due volte.
La prima durò pochissimo. Appena le nostre labbra si toccarono mi ritrassi, intimorita dal fatto di correre troppo. D'altronde quella era una situazione così nuova per entrambe. Capendo la mia paura, Anja scosse la testa, per quanto la cosa la imbarazzasse non ci vedeva nulla di male. La accarezzai una guancia con dolcezza e le presi la mano, mentre anche il mio viso si imporporava leggermente. E fu in quest'atmosfera che ci scambiammo un altro bacio. Durò così tanto che quando mi allontanai entrambe eravamo senza fiato.
Poi mi buttai sul prato accanto a lei e insieme ridemmo della nostra goffaggine e della nostra vergogna.
Il cielo, spettatore silenzioso della nostra esperienza, era limpido e chiaro, come il mio cuore. Nessuna nuvola minacciava il bel tempo e così il sole splendeva, illuminando tutto intorno a sé.
All'improvviso sentii qualcosa toccarmi la mano. Con timidezza, Anja la prese nella sua,stringendola, come si stringe un oggetto prezioso.
Questo è uno dei ricordi più belli che conservo di lei >
Yeva sospirò e si sistemò meglio sulla sedia. I suoi occhi erano un po' arrossati, ma non c'erano lacrime ad offuscarle la vista. Probabilmente le aveva finite già da tempo.
< La nostra storia durò due anni > ricominciò. < Fu un periodo assolutamente indimenticabile. Cercavamo in ogni modo di mantenere la questione nascosta alla sua famiglia e quel velo di segretezza che ci circondava rendeva tutto più emozionante. Un giorno Anja mi diede una testata, fingendo di giocare, per non far scoprire alla madre che ci stavamo baciando in camera sua. Al pensiero sento ancora male alla fronte > ridacchiò al ricordo la donna, portandosi una mano sul viso.
Poi riprese a parlare, la sua voce si era leggermente indurita.
< Ma fu tutto inutile. Forse per colpa nostra o per merito suo, quella dannata donna ci scoprì. Non avevo mai visto una faccia così furibonda e delusa in vita mia, e ancora adesso non ne ho vista nessuna che possa eguagliarla. "Cosa ho sbagliato con te? Che cosa ho fatto per meritarmi una figlia del genere?" continuava a ripetere, stringendole un braccio. Poi venni più volte insultata,chiamata "mostro" o "sbagliata","invertita". E intanto la mia rabbia saliva e saliva sentendo quelle parole così cariche di odio e fissando quella mano che fasciava troppo forte il braccio della mia compagna. Mi mossi per aiutarla, ma Anja mi pregò di stare ferma. Poi la donna la trascinò via bruscamente, incurante del dolore che poteva arrecarle e questo mi rese ancora più furiosa. Mi sbatté fuori di casa in tempo zero. "Non preoccuparti, andrà tutto bene" cercò di rassicurarmi Anja prima che me ne andassi, sfoggiando un sorriso che mi prese il cuore e lo portò via con sé, senza mai restituirmelo.
Con una scusa la madre si inventò che sarebbe stata assente da scuola per diverso tempo e nessuno le disse nulla. La rividi solo di sfuggita qualche settimana più tardi, notando come la sua pelle pallida fosse cosparsa di lividi e ferite. Allora cercai di parlare con la sua famiglia ma ottenni solo altri insulti, accompagnati da minacce. Non so quanti tranquillanti ingurgitai quel giorno per non perdere la ragione. Sapevo che se avessi fatto qualcosa Anja non me lo avrebbe mai perdonato, anche se non capivo come facesse ad essere legata ancora a quelle persone con tutto ciò che le stavano facendo passare. Poi accadde il peggio.
Era più o meno un mese e più che non la vedevo quando un titolo di giornale mi saltò all'occhio. "Tragedia familiare: morta diciannovenne" recitava. Presa dalla curiosità lo lessi tutto quanto, senza fiatare. Ben presto la curiosità si trasformò in orrore.
La mia Anja era morta. Morta per colpa di quella lurida donna che la picchiava. Ed era proprio quando cercava di scappare dall'ennesima sfuriata che inciampò, cadendo per le scale.
Non ero mai stata così arrabbiata, ma neanche così disperata. Strappai il giornale e gridai così forte che l'urlo risuonò per tutta la casa. In quel momento con me c'era un infermiere che spesso veniva a controllarmi e in quel momento stava chiacchierando con mia madre. Entrambi accorsero in soggiorno e mi trovarono riversa a terra, con la testa vicina al pavimento, gli occhi gonfi di lacrime e le mani che tiravano i capelli. Venni sedata all'istante e portata in camera mia, mentre la dottoressa che mi aveva in cura veniva avvertita.
Nei giorni seguenti, provai più volte a recarmi da quei farabutti di genitori, ma mi fu impedito di uscire di casa. Dicevano che non sarei stata in grado di mantenere la calma e avrei potuto far loro del male. Oh, l'avrei voluto in verità. Di certo non era per un'amorevole chiacchierata che volevo incontrarli.
Quando ci fu il funerale mi venne concessa un'uscita, a patto che almeno un infermiere mi accompagnasse. Lì, in chiesa, scoprii che sia la madre che il padre erano stati arrestati e che quindi non avrebbero potuto partecipare alla cerimonia. Mi avvicinai alla bara, posta davanti all'altare. Sul coperchio era poggiata una foto di Anja. Pensavo che non sarei più riuscita a vederla, ma eccola là, ferma ed immobile ad aspettarmi. Sembrava una bambolina con quel vestito bianco latte. Mi aveva sempre detto che odiava quell'abito e che non se lo sarebbe mai messo, preferendo i pantaloni ad una roba del genere. Eppure una volta riuscii a farglielo indossare, dopo non so quante suppliche.
"Contenta adesso?" mi aveva ringhiato, dopo essere uscita dal bagno. Era arrossita fino all'inverosimile e cercava in tutti i modi di evitare il mio sguardo. Sorrisi a quella vista ma lei si offese, pensando che la stessi prendendo in giro. Un attimo dopo mi buttai su di lei e le feci il solletico finché non smise di tenere il broncio. Poi non so quanti complimenti le feci, ma per me non erano mai abbastanza. Mi aveva concesso di scattarle una solo foto, che però avrebbe tenuto lei. E adesso eccola lì, quella foto che doveva rimanere solo un segreto, ma che invece potevano vedere tutti.
Ricordando tutto ciò, sentii gli occhi riempirsi di lacrime. Quei giorni erano finiti e non sarebbero più ritornati, insieme al mio cuore e a quella poca sanità mentale che mi era rimasta. La guardai ancora per qualche secondo, poi mi allontanai. Cercai di trattenere i singhiozzi almeno fino alla panca dove era il mio accompagnatore, ma mi ritrovare a piangere prima di sedermi. Iniziai a sentire il fiato corto e le palpitazioni aumentare, finché non mi venne consigliato di uscire. L’infermiere mi portò fuori, ma non me la sentii di rientrare. Tanto niente di quello che avrei potuto fare me l’avrebbe riportata indietro. Così ritornai a casa prima dell'inizio della funzione, senza smettere di singhiozzare >.
Yeva si concesse una breve pausa e bevve un po' dell'acqua sul suo comodino. Il suo viso aveva perso qualsiasi espressione, quasi avesse messo una maschera.
< Da quel momento, non ci fu più niente, solo indifferenza. Smisi di studiare e non fui ammessa all’esame finale. Solo sotto preghiera di mia madre, riuscii a passare l'anno dopo, più per misericordia che per altro.
Provai a togliermi la vita diverse volte, perché tanto per me non c'era futuro. Nessuno mi avrebbe preso a lavorare nelle condizioni in cui stavo e quindi sarei stata solo un peso per mia madre. Non che adesso la situazione sia diversa, se potessi non ci penserei due volte a farla finita >.
Il dottore ascoltava attentamente le parole della donna, pensando a quanto fosse convinta di quello che stava dicendo. Ma per lei, quell'uomo che le stava davanti non era altro che l'ennesimo individuo chiamato dai suoi aguzzini per visitarla. In otto anni le cose non erano mai cambiate. 
ripeté, come se quello fosse il fulcro di tutta la faccenda. Poi continuò con un tono più freddo, quasi come se fosse estranea alla vicenda.
< E, infine, mi è arrivata voce che è spirata anche mia madre, qualche tempo fa. Pace all'anima sua >.
Si girò a guardare la finestra del muro alla sua destra e seguitò, dialogando più con sé stessa che con il dottore.
< Adesso posso dire di essere rimasta sola. Sola e vuota. Ormai non mi importa più di nulla. Penso che se morissi domani, non mi cambierebbe niente, anzi, ne sarei quanto meno felice.
D'altronde che importanza ha una vita inutile e monotona come la mia? Passo la maggior parte del mio tempo in questa stanza, guardando fra le sbarre della finestra, domandandomi come sarebbe essere come le persone che camminano per strada. Chissà quanto sarebbe diverso dallo stare rinchiusa qui, a nutrirsi di ricordi e di pasticche >. 
 
 
 
 
 
 
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Ed ecco pure il secondo capitolo.
Mi scuso ancora se la cosa sembra un po’ campata per l’aria, spero di non aver infastidito nessuno.
Non smetterò mai di ringraziare chi legge.


 
Saluti,
Why_
  
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