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Autore: Douglas    10/09/2012    1 recensioni
Apro una nuova pagina e rimango venti minuti buoni ad osservare il cursore lampeggiante con aria truce poi mi dico che mi sto impegnando troppo per una sciocchezza che non leggerà nessuno e mi invento qualche stronzata poetica:
Noia, la intitolo prima di passare al testo centrale che farà passare la voglia a quella donna di analizzarmi.
“La noia è una delle più grandi malattie dell'uomo. Si attacca sulle spalle e non si scolla più fino a che non fai qualcosa di folle, insensato ma rigenerante. Scrivere su un blog scemenze che non importano a nessuno non lo è. Nella mia vita non succede niente di interessante:la cosa più eccitante che ho fatto in queste 24 ore è giocare a scacchi con un orologio e perdere inesorabilmente.
Ecco come mi sento Ella, tu che mi chiedi sempre come sto, sono annoiato.
Se qualcuno mi capisce, scriva qualcosa...”
Non lo rileggo nemmeno e pubblico il tutto lasciando che la mia psicologa passi il venerdì sera a riflettere sulle molteplici malattie che affliggono la mia povera mente.
( AU! teen Sherlock and John) - fanfic in tre capitoli
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ultimo capitolo come promesso! Ringrazio tutti quelli che hanno inserito la mia storia fra le preferite, le seguite o le ricordate e vorrei che tutti mi lasciassero un commento finale ( anche commenti negativi che sono sempre costruttivi).

La rivincita del tiratore...

 

La trovo velocemente, quella stramaledetta porta, ma è sprangata talmente bene che mi chiedo come possa io essere talmente folle da cominciare a prenderla a calci e spallate nel tentativo di buttarla giù.

-Non essere sciocco, così ti farai solo scoprire dai buttafuori- esclama una voce famigliare alle mie spalle.

Come è che la cosa non mi sorprende?

-Non ho bisogno di una coscienza ma solo di un bel piede di porco, Sherlock!- sbotto voltandomi verso la figura scura apparsa da dietro l'angolo e appoggiata contro il muro con le braccia conserte.

-Non ti ho voglio fermare, sto solo dicendo che conosco un modo più semplice per entrare- replica perentorio battendo i polpastrelli sui tasti illuminati del suo telefono – dobbiamo solo aspettare qualche minuto- conclude riponendo il telefono in tasca.

-Non vuoi fermarmi?- domando stupito mentre lui si discosta dal muro e comincia a vagare in circolo con impazienza – tutto il contrario, voglio aiutarti. Ho appena mandato un messaggio ad una persona che potrà aiutarci a trovare il nostro stupratore. Non è esattamente quello che si può definire un alleato ma ci va molto vicino- dice mantenendo la sua solita aurea di mistero.

Alle nostre spalle, la porta cigola in modo sinistro e una mano smaltata di rosso la apre con uno scatto, rivelando il volto armonioso di una ragazzina apparentemente più piccola di qualche anno: due o tre al massimo.

Guardo un secondo anche Sherlock nella sua interezza e mi accorgo solo ora che deve avere più o meno la sua stessa età, solo che la sua intelligenza e la sua altezza sembrano invecchiarlo parecchio.

Anche lei, con tutto quel trucco e gli abiti succinti, sta cercando di sembrare più grande: il seno prosperoso e il sorriso malizioso, poi, fanno tutto il resto.

-Sherlock! Mi sei mancato, tesoro!- esclama lei con un sorriso mellifluo e un po' predatore poi, lanciandomi un occhiata in tralice lo allarga ancora di più rivelando una fila di denti bianchi– Ho capito, hai trovato altri mezzi con cui intrattenerti- insinua lei apertamente.

Spudorata e pure un po' troia” penso fra me e me cercando le parole adatte con cui controbattere.

- Io non sono...- ma Sherlock mi blocca assestandomi una gomitata tra le costole piuttosto dolorosa. -Senti Irene! Non abbiamo tempo per i tuoi giochetti. Ho bisogno di un favore- si intromette Sherlock prima che le faccia passare la voglia di fare la stronza.

-Vuoi il tuo solito 7%?- domanda diretta tirando fuori dalla giacca una bottiglietta contenente un liquido incolore che pare acqua.

-Non ora- esclama piccato dandomi un occhiata sfuggente come se io avessi qualcosa da rimproverargli.

Voglio diventare dottore quindi conosco gli effetti devastanti delle droghe eppure mi limito a rimanere zitto e non commentare: non so cosa lo porti a farsi volontariamente del male ma deve essere certamente qualcosa di grosso e ingombrante con cui convivere.

Poco dopo, mi lascia indietro di qualche passo, per niente suggestionato dal sorriso sornione di lei.

-Voglio sapere chi tra i sottoposti di Moriarty fa drink spiking in questo locale- bisbiglia come per non farsi sentire: eppure ho un orecchio molto fine e le sue parole non mi sfuggono.

Il modo in cui Irene perde tutto la sua irriverenza mi fa capire che questo Moriarty deve essere un temibile pezzo da novanta, oscuro e intoccabile.

-Sai che posso rischiare la pelle se rivelo delle informazioni così... riservate.- esclama atterrita alternando lo sguardo da Sherlock all'interno del locale, come pentita della sua scelta.

-Farò tutto quello che vorrai, se me le darai- replica Sherlock con tono deciso e Irene sembra dedicargli finalmente tutte le attenzioni che merita.

-Tutto? Vorresti dire anche...- e si avvicina le sue labbra rosso sangue all'orecchio del ragazzo, dietro ad uno dei suoi ciuffi ribelli che fa da schermo a quella che ha tutta l'aria di una proposta indecente visto le dita che sinuose strusciano prima sulle braccia, sul petto e poi sulle gambe del ragazzo.

Imbarazzato, distolgo lo sguardo dalle figure che mi stanno a pochi passi: ecco smentite le voci le voci che insinuavano l'omosessualità di Sherlock Holmes.

Volto ancora per un secondo lo sguardo in loro direzione e l'espressione sul volto dell'altro non è proprio quella che mi aspettavo: è praticamente apatica eccezion fatta per le sopracciglia che si aggrottano verso il centro della fronte.

Se prima ero stupito della sua totale mancanza di tatto nei confronti di una ragazza impacciata come Molly ora mi trovo quasi meravigliato per la sua indifferenza alle avances di una vera e propria predatrice.

Non voglio spiarli ulteriormente in momenti così intimi, così torno a contare i mattoni del muro dell'edificio a lato del Roxy pregando che la finiscano prima che quel bastardo se ne vada:Ottantatré, ottantaquattro, ottantacinque...

-Accetto- esclama lui, alla fine, permettendomi di girarmi senza assistere ad altre scene compromettenti.

-Allora seguitemi, vi mostrerò il vostro uomo- dice lei con voce più alta come per rivolgersi anche a me, dopodiché sparisce lasciandoci soli con il mio imbarazzo che crea una barriera invisibile fra noi due.

-Per la cronaca, non mi ha fatto alcuna proposta indecente, come hai pensato: le ho solo promesso di aiutarla ad uscire dal giro. Provocare le persone che non conosce è uno dei suoi passatempi preferiti.- esclama Sherlock prima di entrare nel Roxy attraverso la via secondaria.

Deve aver intercettato il mio sguardo per questo ci tiene a precisarlo con tanta premura.

-Non mi devi nessuna spiegazione- esclamo subito dopo la sua affermazione, pentito -ognuno fa quello che vuole- lo informo a disagio grattandomi la fronte.

-Queste cose...non fanno per me. Sono futili e fanno lavorare più lentamente il mio cervello- ammette puntando l'indice della mano destra sulla tempia.

Io annuisco con un cenno del capo consapevole di aver trovato la cosa con cui Sherlock è costretto a convivere: il suo intelletto sproporzionato può essere, in certi versi, un arma a doppio taglio.

Avanziamo ancora nel più totale silenzio ma, alla fine mi stanco di fare il prevenuto e decido di cambiare discorso per tentare di metterlo a suo agio – grazie per il tuo aiuto, è stato davvero essenziale- aggiungo.

Le mie parole rimangono un attimo sospese tra noi due, come bolle di sapone appena soffiate che poi si spaccano dopo un rivolo di vento o, in questo caso, un soffio di parole.

-Lo sai come si dice. Conosci un drogato e lui ti porterà dal suo pusher- sussurra Sherlock con lo sguardo perso nel vuoto in chissà quali pensieri.

-Io non intendevo.- esclamo esterrefatto per quel fraintendimento, ma lui lo interrompe tornando a guardarmi con occhi giocosi e irriverenti– lo so John, Irene non è la sola a cui piace provocare- mi dice con il suo solito sorriso sghembo.

Sbuffo e mi fingo offeso accelerando il passo.

Poco dopo mi ritrovo a maledire le sue dannate gambe lunghe che rendono impossibile un mio distacco.

Passiamo quello che sembra un corridoio lungo e stretto dove la musica arriva ovattata alle nostre orecchie e alla fine siamo costretti a svoltare a sinistra, sino ad una monumentale porta d'acciaio.

Prima di entrare, Irene ci ferma mettendo una mano sul torace- il mio compito termina qui. Ho un business da gestire dentro, ma vi farò un fischio se troverò chi cercate- Sherlock non sembra affatto infastidito per la sua totale mancanza di collaborazione: ci rema quasi contro con il suo stupido “business” ma deve pensare che ci occorra qualcuno che si sappia muovere fra la folla.

-Bene, parlaci del nostro uomo morto che cammino- la esorto, impaziente.

É la prima volta che mi sente parlare, a parte quella mezza frase che Sherlock ha troncato di netto, e il suo sguardo è così simile a quello del ragazzo che mi viene spontaneo rabbrividire: non sto parlando del colore, così dissimile da porre quasi un intera scala cromatica fra i due, ma di intensità.

-In gamba, il tuo ragazzo. Un po' sprovveduto, ma in gamba- dice rivolta ad un indifferente Sherlock.

Questa volta termino con successo e senza interruzioni la frase con cui intendo sottolineare la mia eterossessualità ma l'effetto non è quello desiderato: ridacchia allegramente come se la mia convinzione la divertisse.

Per la seconda volta, rinuncio a farle cambiare idea.

-Si chiama Sebastian Moran ed è praticamente il braccio destro di Moriarty. Potrete riconoscerlo perché ha una cicatrice sulla guancia destra: è un po' il suo stendardo della sua esperienza nell'esercito quindi non la nasconde e vi sarà facile individuarlo. Niente medaglia al valore per lui, è stato congedato con disonore solo dopo due mesi. Pare che facesse circolare un po' della sua roba per rendere più reattivi gli altri soldati- spiega lei facendo fluire la voce soave in quell'oscurità deforme.

Deglutisco amaramente quelle informazioni: mio padre ci aveva rimesso la vita in guerra mentre quel tipo l'aveva sfruttata per soldi.

Sherlock non condivide il mio disappunto e sembra più interessato sul dettaglio della cicatrice che al passato militare di Moran – consiglio un sopralluogo presso al bar, da quello che ho capito osserva le abitudini delle vittime prima di agire- dice sintetico e professionale come mai l'avevo sentito.

- Occhi aperti allora!- ribadisco prima che Irene si tuffi fra la folla e le luci stroboscopiche.

Quando richiude la porta alle spalle, ritorniamo a sentire il rumore dei nostri respiri accelerati per l'eccitazione.

- E meglio dividerci. Non credo ti sarà difficile individuare un tizio con una cicatrice sulla faccia.- dichiara appoggiando una mano sulla maniglia per entrare.

-Sherlock!- lo chiamo prima di seguirlo all'interno di quella bolgia infernale dall'olezzo di alcol e sudore – Chi è questo Moriarty?- domando troppo stupito dalla frequenza con cui questo nome appare per non fare domande.

-Onestamente? Non lo so. Moriarty può essere tutti e nessuno. Quando mi facevo di coca, quel nome era la chiave per arrivare ad ogni pusher di Londra e oserei dire dell'intera l'Inghilterra. Purtroppo non l'ho mai incontrato di persona - ed è la prima volta che Sherlock ammette di non sapere qualcosa.

Sono stupito della maschera di perfezione che Londra si è costruita: sopra a tutta quell'emozione per un avvenimento importante come le Olimpiadi si nasconde un marciume che incrosta i meandri della città e la pervade completamente come farebbe l'erba cattiva in un aiuola ben curata.

Mi sento quasi ingenuo quando ammetto di sapere già da tempo che in ogni città esiste un mondo losco e corrotto ben impiantato al suo interno.

Forse la cosa che mi fa più impressione è che ora vedo la realtà nuda e cruda, senza filtri ne censure e c'è voluta un' unica sera con Sherlock Holmes per scoprirlo.

Entrambi abbiamo esaurito domande o informazioni da scambiarci, così ci avventuriamo per nostro conto in quella giungla di corpi ammassati che si dimenano come forsennati seguendo il ritmo serrato della musica.

Anche le luci si danno il loro bel d'affare per stordire la miriade di giovani che si accalcano nel locale stretto e opprimente: tutti si spintonano l'un l'altro formando un unica marea di strass e gocce di sudore che ornano rispettivamente i seni e le fronti.

Sherlock è partito in picchiata in direzione del bar, districandosi faticosamente fra la massa di mani e corpi ingarbugliati che ostruiscono ogni passaggio: lo vedo spintonare indistintamente ragazzi e ragazze, senza alcun ritegno, finché la strada che aveva formato dietro di se si richiude velocemente.

Sapendo l'ottimo sorveglianza che farà al bar, preferisco aggirarmi per i tavoli allettato dall'idea che , se è davvero il braccio destro di un pezzo grosso, forse sarebbe stato comodamente seduto a rappresentare il suo capo tra altre losche figure.

L'idea si rivela essere abbastanza azzardata poiché molti degli occupanti sono semplicemente comitive di amici qualunque che si godono il sabato sera: una ragazza festeggia i suoi diciotto anni circondata da una ventina di amici e amiche che se la ridono chiassosamente scolandosi bicchieri di champagne in un sol sorso.

Passo circa una mezz'ora a studiare i visi e le guance di qualsiasi ragazzo che mi passa a fianco, beccandomi per lo più occhiatacce rabbiose: sono tutti per lo più sbarbati, eccezion fatta per un tizio con tanto di codino da rockettaro che sembra essere stato trascinato lì di peso, e nessuno ha una cicatrice in faccia che esporrebbe come un trofeo.

Seccato, mi faccio strada verso il bar come farebbe una guida nella foresta amazzonica e mi domando se le ricerche di Sherlock abbiano dato buon frutto.

Dopo aver abilmente schivato una coppietta che si limona con una strana foga, lo vedo da lontano appoggiato al bancone con un bicchierino pieno di liquido fluorescente.

Lo lascia qualche secondo in più appoggiato alle labbra senza sorseggiarlo mentre osserva le miriadi di volti che sbucano di qua e di là in compagnia solo dei suoi pensieri che di certo fanno più casino che quell'orribile ammasso di suoni discordanti che fuoriescono dalle casse.

Chissa quante storie avrebbe da raccontarmi su di loro se avessimo tempo per parlare?

Quanti bugiardi, traditori e doppiogiochisti saprebbe smascherare: è una compagnia troppo unica ed eccezionale per non approfittarne almeno un po'.

Quelle parole mi avrebbero aiutato a capire come pensava: sarebbe stato come entrare nel suo cervello e scoprirne un intera caotica città fatta interamente di nozioni e formule.

Mi fermo di botto qualche passo dietro a lui quando un tizio bassettino e bruno stringe il proprio braccio intorno alla sua vita, dondolando in modo mal fermo sulle gambe.

Allora erano vere quelle voci?” Mi viene spontaneo pensare ma la sua riluttanza verso ogni sentimento mi fa desistere dal continuare a pensarlo.

La conferma arriva quando Sherlock lo allontana con una poderosa spallata senza però muoversi dalla sua postazione di osservazione.

Mi accosto al suo fianco, rimanendo nel silenzio più totale e aspettando che quel tizio se ne vada per parlare.

Non ha proprio voglia mollare la presa.

Si sporge verso di lui impiantando saldamente i gomiti sul tavolo e le mani sotto il mento guardandolo con una ridicola espressione sognante.

-Sai dolcezza, non hai bisogno di quegli sguardi per attirare la mia attenzione.- biascica avvicinandosi all'orecchio in modo che gli deve sembrare seducente.

-Togliti!- borbotta infastidito spingendolo indietro verso la pista da ballo.

L'altro ondeggia un secondo su se stesso e poi porge i palmi in direzione di Sherlock in segno di resa – Ehi, non c'è bisogno che ti scaldi. Non sei l'unico bel ragazzo di questa discoteca: come questo qua...- esclama vacillando verso di me e aggrappandosi alla fine al braccio.

Io sono obbligato ha sostenerlo per non farlo finire faccia a terra ma lui ne approfitta per avvicinare le labbra al mio collo e alitarmi addosso un odoraccio di birra.

- Ti rivelo un segreto, bel biondino: le sue deduzioni non sono infallibili- mi sussurra con voce melliflua – non ha ancora capito chi sono in realtà- aggiunge estasiato.

-Vattene, ho detto!- gli ringhia addosso Sherlock scoprendo le gengive come un cane rabbioso. Prendendolo per una spalla, gli do uno spintone che lo fa staccare dal mio braccio ed indietreggiare tra la folla andando addosso a due ragazze dai tacchi alti che versano a terra i contenuti dei loro cocktail.

Lui ci guarda un secondo, frastornato, poi comincia a ridere a crepapelle come se gli avessimo raccontato una barzelletta invece di minacciarlo e infine sparisce barcollando.

-Lo conoscevi?- domando una volta che anche io ho ordinato da bere.

Una semplice birra, cura per ogni male, che sorseggio lentamente gustandone il sapore corposo – Strano, pensavo che fossi tu l'esperto di abbordaggi tra noi due e che non avessi bisogno di spiegazioni su questi rituale- mi sfotte Sherlock mollando la sua bibita intatta sul bancone.

-Non è quello che intendevo- borbotto contrariato ma lui ha già smesso da un bel pezzo di dare retta alle mie parole e fa scorrere così velocemente lo sguardo fra la folla che mi viene spontaneo chiedermi quanto possano essere dolorose le sue emicrania – Ci siamo! John, allontaniamoci da qui. La trappola è pronta, manca solo il topo. - sussurra euforicamente.

Non si cura affatto che io lo segua o no, forse consapevole della mia totale dipendenza ai suoi piani astuti e si fa largo fra la gente con la stessa noncuranza di prima.

Credo di aver capito cosa abbia intenzione di fare e il suo piano mi risulta un po' campato per aria: se Moran studia le vittime prima di agire, perché dovrebbe drogare il bicchiere di un ragazzo?

Quando gli pongo questa domanda, siamo entrambi appostati poco lontano dal bancone, nella zona dei bagni per la precisione, praticamente a due passi dal nostro bicchiere che vedo brillare di luce riflessa.

l'illuminazione dei bagni è perfetta per consentirci una massima prospettiva di veduta.

-Ti avevo detto che il nostro uomo studiava le vittime prima di agire, giusto? Però non abbiamo constatato che le vittime siano obbligatoriamente ragazze. Moran non agisce per interesse personale ma segue le direttive degli uomini che comprano il suo servizio. Harriet è innegabilmente lesbica e non si sarà fatta problemi a dimostrarlo pubblicamente, anche il nostro uomo l'ha notato ma si è limitato a eseguire gli ordini di qualcun'altro, un mandante probabilmente di matrice omofoba che non tollerava le effusioni pubbliche di tua sorella. Se ci fosse stato un vero e proprio interesse sessuale dietro non sarebbe uscita dalla discoteca con le proprie gambe e sarebbe stata portata via in un attimo, approfittando della confusione. Impossibile stanare i mandanti, probabilmente se la sono già andate a gambe mentre Moran si crede troppo astuto per farsi arrestare: se ne andrà un attimo prima che la polizia arrivi- spiega Sherlock tenendo lo sguardo fisso sul nostro bicchiere mentre ombre lunghe e intermittenti gli danzano attorno in modo funesto.

- perché qualcuno dovrebbe drogare proprio il tuo bicchiere, allora?- domando confuso dalla sua totale sicurezza e Sherlock inarca gli angoli della bocca in un sorriso inquietante.

-Mi sono fatto abbastanza nemici fra i pusher da quando aiuto la polizia con qualche occasionale caso. Alcuni meditano una pacata vendetta, mentre i più spietati muoiono dalla voglia di mandarmi al Creatore una volta per tutte. Avrei l'imbarazzo della scelta.- precisa gioiosamente facendo una piroetta su se stesso.

Rimaniamo un secondo in silenzio, troppo intenti ad osservare per farci venire in mente delle parole sensate con cui fare conversazione, poi mi ricordo che Sherlock ha bloccato il mio discorso a metà qualche attimo prima e mi sembra un occasione d'oro per farglielo presente.

-Quel ragazzo, ti conosceva.- esclamo puntando l'indice in sua direzione come se mi fossi appena ricordato qualcosa di estremamente importante - Mi ha detto che le tue deduzioni non sono infallibili perché non avevi capito chi era in realtà- lo informo mentre lui si irrigidisce sul posto.

Boccheggia per qualche secondo come se avesse appena esaurito l'aria nei polmoni poi comincia a balbettare come farebbe un paziente in piena crisi epilettica.

-Impossibile.- riesco solo a distinguere fra i suoi borbotti: non ho mai visto nessuno così sconvolto ed eccitato nello stesso momento.

-Sherlock, chi era quel tipo?- lo sveglio dandogli un pizzicotto sul gomito che rallenta appena lo stridio frenetico delle sue meningi.

-Credo che fosse Moriarty. Ho sempre pensato che fosse un professore universitario, non un ragazzo.- esclama sbigottito da un errore così banale compiuto dalla persona di cui si fida di più: se stesso.

-Devo trovarlo, ho troppo questioni in sospeso con lui. Mi raccomando, tieni gli occhi sul bicchiere. Moran arriverà a minuti, prima che venga portato via- esclama indicandolo mentre sconforto, impazienza e inadeguatezza cominciano a fare a pugni per prevalere l'uno sull'altro.

-Sherlock dove diavolo...- gli urlo dietro mentre dribbla un gruppo di massicci ragazzotti – vai?- termino la frase sottovoce ormai consapevole che lui è troppo lontano sia fisicamente sia mentalmente per ascoltarmi.

Risentito, sono quasi intenzionato ad abbandonare il suo stupido piano per tornare alle mie intenzioni originali, peccato che il mio metodo sia troppo lungo e banale per avere successo.

L'arrivo della polizia sarà imminente se si scopre cosa ha provocato lo svenimento di Harriet.

Così, braccia incrociate e sguardo concentrato, aspetto che quel bastardo si faccia avanti: non mi importa se è uno stupratore o un semplice mandante, l'impulso di mettergli le mani addosso è troppo forte per poterlo frenare.

Sebastian Moran non si fa aspettare: scopro che è un tizio grosso e muscoloso che si muove agilmente quanto un ladro.

Il taglio che gli corre sulla guancia destra gli da un aria truce e selvaggia allo stesso momento.

I suoi movimenti sono talmente rapidi che riesco a mal appena ad intravedere il liquido che cade nel drink: invisibile come acqua ma letale come veleno.

Quando si allontana, getto il bicchiere nella spazzatura prima che qualcuno abbia la brillante idea di scambiarlo con il proprio poi lo seguo fulmineo, rimanendo qualche passo dietro di lui.

Lo raggiungo di soppiatto proprio al centro della sala e gli picchietto sulla spalla richiamando la sua attenzione.

Lui si volta e mi fissa con sguardo guardingo e mani affondate nelle tasche: ora che mi sta più vicino mi accorgo che deve all'incirca venticinque anni anche se l'accenno di barba lo fa sembrare ancora più vecchio.

L'aria arcigna che si ritrova da l'idea di uomo sopravvissuto agli orrori della guerra.

Il mio pugno scatta in avanti prima che qualsiasi pensiero si possa formare nella mia mente e sotto la pelle le mie falangi scricchiolano in modo sinistro: il colpo librato va a colpire la mascella pronunciata.

-Ma che cazzo...?- domando lui frastornato ma non gli do nemmeno tempo di far entrare aria nei polmoni che gliela ricaccio indietro con una poderosa ginocchiata.

Lui, da buon soldato, non si fa intimorire da un semplice calcio in pancia, così non riesco proprio a prevedere il gancio sinistro che mi arriva sul naso, facendolo cigolare in modo sconfortante.

Quello che succede dopo rimane un mistero: mi ricordo solo di essermi gettato addosso a lui con tutta la rabbia accumulata in questi dodici mesi e di avergli persino attribuito la colpa della morte di mio padre in quei momenti di furia.

Pugni, schiaffi, calci, gomitate, morsi: non mi sono proprio risparmiato.

La gente tenta di staccarci ma si fa fregare dalla furia omicida con cui ci squadriamo l'un l'altro e dai gesti frenetici con cui cerchiamo di divincolarci.

Qualcuno deve avere chiamato i buttafuori perché veniamo prima divisi da quattro enormi braccia e poi trascinati di peso verso l'uscita, mentre urla e minacce spaccano i timpani di entrambi.

Sul maglione grigio cola inesorabilmente un liquido rossastro che mi accorgo essere il sangue del mio naso mentre il dolore delle botte si spande sotto la pelle come un fuoco sottocutaneo.

Senza troppa gentilezza, veniamo sbattuti fuori, direttamente sull'asfalto ancora umido di pioggia, mentre una voce alle nostre spalle ci minaccia di sparire prima che la polizia arrivi.

Nessuno dei due gli da peso e la lotta continua.

Entrambi respiriamo faticosamente dalla bocca, con i nasi ormai definitivamente partiti, e giriamo in tondo come fossimo due lupi pronti ad attaccare.

-Che cazzo vuoi da me, mezzasega?- sbraita l'altro prima di assestare un pugno che finisce a vuoto. Sono troppo infuriato per poter rispondere così mi fiondo addosso a lui e gli assesto una scarica di pugni in pancia e un micidiale destro in faccia che gli fa voltare la faccia dall'altra parte.

Cade a terra come una marionetta a cui sono stati tagliati i fili e non si muove più per diversi secondi poi ha un lieve spasmo muscolare che lo fa contorcere curiosamente su di se.

Con molta fatica, mi reggo al muro con una spalla e, tenendomi il braccio destro con la mano, apro gli occhi gonfi per i pugni ricevuti per mettere a fuoco la figura che rimane stesa a terra.

Mi inginocchio ai suoi piedi e premo due dita alla base del collo e dei polsi: a causa dello svenimento il battito corporeo è diminuito.

Non sono così micidiale da mandarlo in paradiso con qualche pugno o calcio che sia, però ora che lo guardo da quella angolazione, sento solo un orribile senso di colpa che mi sconquassa l'intestino.

-Cristo, che ho fatto!- impreco mentre tento di risistemargli il setto nasale con un solo deciso colpo. – non lo farei se fossi in te, rischieresti solo di peggiorare la situazione- mi critica qualcuno con la mania di apparire alle spalle.

Noto solo ora che Sherlock è comparso dallo stesso angolo in cui era arrivato prima di entrare nel Roxy però ,questa volta, il suo viso è contratto in una smorfia di insoddisfazione.

-Moriarty?- domando poco curioso e piuttosto sicuro della risposta che avrei ricevuto – non l'ho trovato, deve essere scappato approfittando del caos provocato dalla rissa.- risponde funereo assestandomi un'occhiata di rimprovero che sembra fare più male dei pugni ricevuti.

-Cazzo, l'ho steso. La polizia arriverà a momenti- ammetto stupito della mia impulsività – non pentirtene, lui avrebbe fatto altrettanto. Saranno clementi se gli mostrerai le pillole di Ghb che tiene nella tasca dei pantaloni e il bicchierino con cui ha drogato tua sorella- esclama prendendolo dalla tasca dei pantaloni.

Come prima la sua mano è protetta dal guanto in lattice che fa si che le sue impronte digitali non rimangano sul vetro mentre non si può dire altrettanto per quelle di Moran.

Appoggio tutta la schiena contro il muro mentre l'ansia mi pervade da capo a piedi:so che non sono abbastanza come attenuanti di una aggressione.

Una nota negativa potrebbe andare a intaccare il mio sudato curriculum scolastico ed, essendo la facoltà di medicina a numero chiuso, sarò uno tra i primi a essere scartati durante la selezione.

-Sono un idiota, mi sono giocato il mio futuro per niente- esclamo inspirando sonoramente come per tentare di strappare via dal cuore quel malessere che lo intacca.

-è vero, sei un idiota- esclama Sherlock prima che mi volti ad incenerirlo con lo sguardo – ed è per questo che dovresti andartene il prima possibile. In prigione saresti un pezzo di carne nella gabbia dei leoni- ci scherza lui, serafico, mentre in lontananza il rumore delle sirene della polizia si espandono veloci fino alle nostre orecchi.

Merda è un concetto troppo semplice per esprimere tutta la mia frustrazione.

-Non c'è nulla su cui scherzare. Mi sono appena giocato la scuola dei miei sogni. Senza contare dell'ansia che proverà mia madre nell'avere una figlia all'ospedale e un' altro alla centrale di polizia- lo rimprovero mettendomi una mano sulla fronte imperlata da gocce trasparenti di sudore.

Il silenzio in cui sprofondiamo dopo mi fa quasi sanguinare le orecchie: sarà per l'eco della musica che fa fischiare le orecchie o per le luci che mi hanno reso semi cieco ma mi sento proprio da buttare via.

-Il mio non era uno scherzo. Voglio consegnare personalmente Moran alla polizia- viene fuori alla fine Sherlock con un espressione fredda e imperturbabile.

Per un primo momento non capisco a cosa si riferisca poi quando lo vedo avvicinarsi al corpo e assestargli un calcio nelle costole che scricchiolano sinistramente, ho l'illuminazione.

-Non lascerò che ti prenda la colpa al posto mio, non sono un codardo- gli dico guardandolo come se mi avesse appena mandato a quel paese: se lo avesse fatto, sarebbe stato certamente più gentile.

-Voi soldati, sempre con il vostro orgoglio! Il mio non è un atto di amicizia. Ho un padre che lavora negli alti ranghi del Governo e nel tempo libero faccio favori alla polizia risolvendo i loro casi, molti dei quali coinvolgono Sebastian Moran: non credi che sia più sensato che portino via me, la loro unica via di uscita dai casi più intricati, che il vendicativo fratello della ragazza drogata?- spiega infastidito dalla mia testardaggine.

-Potrebbero accusarti di aggressione- lo esorto cercando di farlo ragionare – la mia fedina penale non è immacolata. Un punto in più sulla lista non mi darà nessun fastidio: l'espressione di puro disgusto sulla faccia di mio fratello sarà impagabile. - ridacchia lui come divertito dalla delusione di quel suo altisonante famigliare.

-Non posso. Sono stato io ha mandarlo al tappeto, non tu!- urlo spaventando un piccione spelacchiato che si è posato sul bidone dell'immondizia in cerca di cibo.

Quando spicca il volo, lascia dietro di sé una piuma grigia che danza nel cielo come il fumo della sigaretta di Sherlock durante l'ora di educazione fisica: mi sembra che sia passato un secolo da quando l'ho visto per la prima volta ma questa strana attrazione mentale me lo fa sentire sempre più vicino.

- Non ti lascerò l'onore di far arrestare uno dei pusher più ricercati di tutta Londra! Grazie al suo arresto potrei essere preso più in considerazione dagli yarder- mi spiega mentre nei suoi occhi compare un fuoco ardente di convinzione.

Sherlock Holmes è indiscutibilmente pazzo: adora i cadaveri, non prova sentimenti per qualsiasi essere viventi e guarda il mondo attraverso una fitta rete di cinismo e logica che filtra le informazioni facendo diventare utile ciò che per il resto del mondo non lo è.

Ma, come qualsiasi altra cosa esistente a questo mondo, sotto uno strato o una maschera pesante da portare si cela un tesoro di inestimabile valore: come sotto ad una pianta ci sono le radici, sotto ad una donna troppo truccata ci può essere una bambina e al di là di un orizzonte c'è un continente ancora tutto da scoprire al di là della mentalità ferrea vedo una grande passione per ciò che fa.

-Non vuoi correre all'ospedale da tua sorella? Se tu non te ne andrai ora, dovrai seguirmi alla centrale e seguire delle procedure standard che potranno durare ore mentre io sarei fuori in meno di due.- domanda imperturbabile, consapevole di aver fatto centro.

Tentenno per qualche secondo sul posto poi, quando le luce bluastra delle sirene illumina le ottantacinque mattonelle che ero riuscito a contare, mi allontano da lui di qualche passo.

-Lo prendo per un sì- esclama Sherlock dando un altro poderoso calcio al malcapitato che guarisce come un cane in agonia – ora puoi andare ci penso io a procurarmi qualche ematoma- esclama torturando la spalla dell'altro con la punta della scarpa vernice nera.

La gratitudine che provo per lui è troppo profonda e sento la necessità di farne partecipe con lui.

-Tu mi avevi chiesto cosa pensassi di te. La verità? Sei il più cinico, arrogante e bastardo amico che io abbia mai avuto- gli dico mentre lui distoglie l'attenzione dal suo anti-stress agonizzante.

-Mi dispiace, John. Non ho bisogno di amici ma un coinquilino mi farebbe più che comodo tra qualche anno. Se senti proprio la necessità di sdebitarti, questo sarebbe il modo più adatto- esclama evitando di guardarmi.

Fa il duro ma in realtà l'espressione “amico” deve averlo colpito in qualche modo: o è solo una mia impressione?

-Mi sembra abbastanza equo- aggiungo alla fine, convinto.

Convivere con Sherlock Holmes sarebbe come vivere ogni giorno in un poliziesco con assassini alla porta e omicidi ad ogni angolo.

Io adoro i film gialli figuriamoci vivere un intera vita in quel modo.

-Non ho fretta. Prendilo come un contratto a lungo termine- conclude lui sbrigativo dopo aver sentito le portiere di una volante sbattere.

-Corri!- esclama con un brusco gesto del capo in direzione dell'altro capo del vicolo.

Lo prendo in parola e comincio ad azionare le gambe ormai stabili quanto quelle di un corridore: ecco un altro dei benefici che avrei potuto approfittare standogli accanto.

Mi fermo improvvisamente al centro del vicolo perché ho ancora qualcosa da aggiungere prima di andarmene:

-grazie di tutto- gli urlo prima di scapparmene a gambe levate verso la direzione indicata.

- Va via!- mi urla arrabbiato come se fosse geloso di condividere con lui quel sensazionale arresto.

Mi volto indietro un unica volta prima di sparire fra la folla di passanti che affollano che caotiche strade londinese e vedo la sua figura alta muoversi avanti e indietro impaziente, come se si stesse preparando per un discorso alla Casa Bianca.

É pazzo questo Sherlock Holmes.

Eppure sono così tante le volte che questo matto dimostra di essere più intelligente degli altri da farmi dubitare della sua follia.

Forse i pazzi siamo noi che riusciamo solo a proteggere le nostre menti sottosviluppate etichettando tutto ciò che non comprendiamo con aggettivi malvagi.

Quando Sherlock mi ha chiamato normodotato non l'ha fatto con l'intenzione di offendere ma per porre una netta distinzione tra i nostri due mondi: il mio è quello cinico e disonesto che ha sempre disprezzato il suo.

Mi viene quasi spontaneo interrogarmi sulla labilità del confine fra pazzia e normalità sotto le luci quasi invisibili delle stelle.

 

 

 

È mattino inoltrato e il sole brilla alto nel cielo quando mi sveglio.

Una pesante coltre nuvolosa abbraccia il cielo di Londra come una coperta nel periodo invernale attorno alle spalle delle persone infreddolite.

Ieri sera, di ritorno dall'ospedale ero talmente stanco che mi sono addirittura addormentato sul taxi di ritorno: Harry ha subito ben due lavande gastriche e io non ho avuto il coraggio di chiudere gli occhi davanti a quello scempio.

Nessuno ha rivelato alla mamma la verità dell'accaduto però, in fondo, capisco che non è poi così ingenua: le macchie di sangue sui miei sui vestiti e i lividi che mi ornano il viso sono segnali troppo chiari per essere ignorati.

É quasi svenuta quando mi sono presentato in ospedale in quello stato così avevo dovuto rivelargli la verità.

Mi aveva dato dell'idiota perché avevo preferito fare l'eroe piuttosto che accompagnare mia sorella in ambulanza e avvisarla personalmente invece che farlo da parte di una ragazza sconosciuta.

Mi aveva cacciato a casa, ordinandomi di farmi una doccia e schiacciare un sonnellino.

La sua delusione si stagliava chiaramente sul suo viso tanto simile al mio e, per il resto della mia permanenza, smise di parlarmi restando da sola con il proprio dolore.

All'ospedale mi ero fatto vedere il meno possibile dai dottori che dal canto loro non mi notavano nemmeno troppo presi dalla critica situazione della ragazza per accorgersi del fratello.

L'ospedale era stato obbligato ad avvertire la polizia quando si era venuto a sapere cosa aveva ingerito grazie ai test tossicologici così, per evitare ulteriori sospetti, avevo seguito l'ordine di mia madre ed ero tornato a casa non prima di essermi fatto promettere da lei di mandarmi un messaggio appena di avrebbe saputo qualcosa.

Da quanto aveva capito, i dottori erano speranzosi perché la quantità ingerita era stata davvero bassa e non avrebbe dovuto avere conseguenze sul fisico.

Avevano anche consigliato anche delle visite dallo psicologo e la frequentazione delle sedute degli alcolisti anonimi.

Questo mi è bastato per convincermi a lasciare mia madre da sola: forse quella situazione le avrebbe aperto gli occhi sulla dipendenza dall'alcol di Harriet.

L'ansia mi sta letteralmente logorando così decido di accendere il computer e navigare un po' in rete per distrarmi: in questo momento avrei bisogno di un profilo di facebook.

Le cazzate esistenziale dei miei coetanei mi avrebbero messo di buon umore.

Decido di lasciare per ultimo il mio blog, digitando invece più volte il nome di Sherlock Holmes.

Il sito che trovo mi fa capire che l'autore è la stessa persona dalla logica ferrea che ho incontrato: chi intitolerebbe il proprio sito, la scienza della deduzione e richiederebbe solo casi di conveniente complessità?

Dopo aver letto l'interessante articolo di prima pagina sull' uso del metodo logico per risolvere i casi, mi perdo qualche attimo tra le proposte piuttosto scontate e sulla sequela di insulti di qualcuno che smentisce le sue doti.

Evidentemente non ha ancora avuto il tempo per cancellare quelle insulsaggini... Chissà se è veramente riuscito a sbrigarsela in un paio d'ore come aveva predetto?

Mi pento della mia decisione perché mi viene da pensare alla sera precedente così preferisco farmi due risate sul chilometrico commento che Ella mi avrà sicuramente lasciato sul blog.

Il suo commento ovviamente c'è, e sono convinto che sia infarcito di consigli sulla mia situazione ed esortazioni a venire alla sua seduta con delle domande personali da porle, ma c'è qualcos'altro che attirato la mia attenzione.

Un cortissimo commento, fatto da qualcuno rinominato the marksman ( il tiratore scelto):

Anche io. Se vuoi la rivincita vieni al 221 di Baker Street.

  
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