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Autore: Gufo_Di_Inchiostro    12/09/2012    1 recensioni
Storia che riprende dal finale del nostro amato Queer As Folk.
Una raccolta di sensazioni, situazioni che riporteranno alla vita i nostri personaggi preferiti tra la Pittsburgh della serie e la Grande Mela. Ritroverete il solito Justin sognatore, o il solito Brian tra discoteche e sballi di una sera insieme a Emmett, Ted, Michael, Ben e Debbie? Scopritelo solo leggendo.
Un viaggio continuo nei pensieri e nella vita di questi personaggi che ci hanno fatto sognare, piangere e ridere, lasciando il segno in un modo o nell'altro, ognuno diverso e unico nel nostro cuore.
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian Kinney, Emmett Honeycutt, Justin Taylor, Michael Charles Novotny-Bruckner, Un po' tutti
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Everything from a window

 

 

Le labbra sottili s’increspano appena, scontrandosi con le dita affusolate per regalare alla notte una flebile luce che timida si fa strada nella penombra: quella di una sigaretta, che s’infiamma lenta sulla punta di un rosso acceso, mentre dalle narici esce veloce un fiotto di fumo ,ad un passo dalla grande finestra che mostrava quella Pittsburgh notturna che conosceva anche fin troppo bene. Il profilo appena accennato del petto nudo si alza ed abbassa ad un ritmo calmo ma intenso,carezzato da quell’inconsistente fumo che , risaltando biancastro in quella penombra notturna, arriva ai pettorali chiari per poi scontrarsi sulla pelle nuda del collo e del mento sporgente, ispido per quell’ombra di barba, scura ,come i suoi capelli che ricadono scomposti a ciocche scure su quegli occhi così taglienti ma stanchi,quasi inconsistenti.

 In quel silenzio notturno così forte da bucare i timpani si era ritrovato lì, alla finestra, sguardo incatenato su uno di quei taxi gialli con la carrozzeria ammaccata che, tra tutto quel traffico, sembrava illuminare quella notte ora così lenta, così calma. Occhi su quei fari, su quella targa, su quei finestrini chiusi scuri chiusi che scappavano da quella via, forse da quella zona, forse da quella Pittsburgh chi poteva saperlo.

 Eccolo, il clacson: aveva fretta, poteva quasi immaginare il passeggero, con lo stretto indispensabile sul sedile a fianco , che si mangiava le unghie incapace di stare fermo al suo posto, magari gettando un’ultima occhiata a quella strada...sarebbe partito per New York, una nuova scoperta dell’arte, un nuovo pittore, un nuovo Justin; chi poteva saperlo...

Era un anno, un anno che tutto era finito; un anno che che era stato trascinato nei suoi vecchi panni, in quel vecchio loft che ormai odorava troppo di lui, incredibilmente troppo di Justin. Quell’odore, invadente, fastidioso che non voleva saperne di andarsene ,come aveva fatto lui.

 E’ solo tempo, è solo tempo si erano detti l’ultima volta; nessuna colpa, nessun rimpianto: aveva fatto la scelta giusta e Justin assecondandolo gli aveva dimostrato che era cresciuto bene, ma ogni notte quasi lo rivedeva negli angoli scuri della stanza, in quella penombra che lasciava troppo spazio all’immaginazione. Una condanna che stava scontando giorno giorno ma sembrava voler durare in eterno; possibile, proprio tu, Mr Kinney?

 

Quel paesaggio davanti a lui, la Pittsburgh di Kinney gli sembra solo una flebile fiammella in confronto a quella degli anni prima; solo un cumulo di macerie che cercava di tirare  avanti alla meglio, proprio come il Babylon o forse proprio come lui. Poteva vederlo dalla finestra, quell’edificio: una grande scritta saettava tra i mattoni nuovi,  al posto di quella verticale al neon del Babylon, il vecchio Babylon. Era andato, era tutto andato e senza neppure tante riverenze. Ora si cercavano posti diversi, persone diverse; l’unico che era rimasto lì, tra le macerie della catastorofe del Babylon era ancora lui; bloccato in una parentesi che Pittsburgh aveva cancellato, che quei pezzi di merda non avevano esitato a far saltare in aria. Sembrava ancora impossibile da credere.

 “Sarai sempre giovane,, sarai sempre perfetto, sei Brian Kinney cazzo!” gli aveva detto tra le rovine del Babylon proprio Micheal e un sorriso amaro si disegna appena sulle sue labbra al ricordarsi di quella sera, prendendo un’altra boccata di fumo che veloce si disperde nella stanza, celando un po’ il suo riflesso alla finestra.

D’un tratto un sorriso: chi l’avrebbe detto; Brian Kinney, il playboy di Gaypolis, che invece di guardare i grattacieli scintillanti fissava il riflesso del suo appartamento svuotato;non era da lui, non era fottutamente da lui.

Non aveva detto nulla quella stessa sera di un anno prima, su quel rialzo del Babylon insieme a Mickey; ricordava solo quel silenzio che echeggiava in tutte le direzioni tranne che nella loro, mentre lenti,ad occhi chiusi, ondeggiavano e ballavano a ritmo di quel la musica senza nessuno, perchè lì di nessun altro c’era bisogno: solo lui e il suo migliore amico, che non aveva bisogno di spiegazioni, che non aveva bisogno di scuse, che non aveva bisogno di nulla per capire cose stesse succedendo, cosa stesse pensando...

 

 

Uno sguardo appena dietro di se per vedere un corpo abbandonato sul letto, scomposto tra quelle lenzuola scure che s’intrecciavano intorno a gambe pallide e sottili. Girato da un lato, intravedeva appena un naso all’insù e una bocca semiaperta,coperta da qualche ciocca di capelli scura che ricadeva sulle guance morbida. Scomposto sul letto, gli da appena un’occhiata per poi voltarsi nuovamente e passare una mano su quegli occhi stanchi. Un letto caldo, ma una notte senza stelle; senza luce, come tante altre, tra spinte, gemiti di due voci mai incontrate prima, di due sguardi che si erano appena incrociati da Woody’s, di due bocche che avevano preferito, toccarsi, assaporarsi che parlare. Se n’era andato via presto quella sera dal Woody’s, ma Brian ancora aveva stampata in testa l’espressione di Mickey al pub: tra quei boccali di birra e bicchieri da cocktails, aveva occhi solo per lui; uno sguardo indeciso, titubante come lo era stato il suo poco tempo prima, quando aveva visto andar via un futuro che vedeva già scritto , segnato, da percorrere. Ma tutti possono sbagliare, perfino Brian Kinney.

“Va tutto ok?” gli aveva detto a bassa voce quella stessa notte Michael, fermandolo per un braccio proprio mentre Brian si sistemava la giacca nera incamminandosi verso l’uscita del bar pieno zeppo quella sera

“Qualcosa che non dovrebbe andare?”” aveva replicato Brian , alzando il mento in direzione di quel ragazzo che sviando tra la folla del pub si dirigeva verso di lui sorridente

“E’ che...” non riuscì ad aggiungere altro; solo quello sguardo era bastato a Brian per fargli serrare automaticamente la mascella seppur per un instante. Uno sguardo confuso, caritatevole; quello stesso tipo di sguardo che Brian non ha mai sopportato su di se. Tirando un pugno al bancone vicino a Michael, serrando gli occhi Brian si limita soltanto a dire “Cosa c’è adesso? Hai provato a farmi uscire almeno una ventina di volte all’inizio di quest’anno e ora che sono tornato non sei soddisfatto, papà? Volevi ancora darmi la mano e accompagnarmi ogni fottutissima sera? Sono cresciuto, ormai è passato e non devi” ma la frase si blocca di botto quando Michael lo abbraccia, di botto. Quella notte era un anno preciso, lo sapeva bene Michael come Brian; non c’era bisogno di ripeterlo ad alta voce, si sentiva nell’aria che qualcosa non andava, che qualcosa mancava . Brain circonda Michael con le sue braccia piegando appena la testa nell’incavo del collo per poi far schioccare lento le labbra sulle sue e uscire dalla porta del pub in compagnia di quello sconosciuto,scontrandosi con il freddo notturno di quella Pittsburgh... diversa

.

Perchè lui ce l’aveva fatta ad uscire da quella città: doveva, doveva provarci. L’importante era non avere rimpianti, glielo aveva detto quando aveva messo via gli anelli del matrimonio...ancora in quel cassetto, mai toccati con almeno un dito di polvere sopra. Troppo importanti per buttarli ma inutili da riprendere da quell’ultimo cassetto chiuso , serrato a lato della scrivania. Avrebbe potuto sentirlo, sarebbe potuto andare a trovarlo, ma non era disposto a legarlo ancora a quella città che seppur lo aveva fatto nascere come artista, ora lo avrebbe tenuto solo in catene. LA vita di entrambi sarebbe andata come era giusto che doveva andare: lui sarebbe diventato un pittore di fama mondiale, facendo mostre su mostre e lui sarebbe andato avanti con la sua vita, come aveva sempre fatto;al vecchio modo, sopravvivendo alla maniera Brian Kinney che tutti conoscevano. Era giusto così, per lui era giusto che andasse così, eppure c'era ogni notte quel tremendo fastidio, quella rabbia, quell'impotenza che solo a Michael era riuscito a non nascondere.

Un respiro lungo, lento, in contemporanea al ragazzo senza nome tra le lenzuola. 

Le quattro di notte ed era ancora lì a fissare tutto e niente. 

Le quattro di notte e la cenere della sigaretta cade sul pavimento lucido, vicino i suoi piedi nudi. 

Le quattro di notte e il telefono rompe il silenzio con il suo trillo acuto, che inonda tutta la stanza risuonando più volte. 

Lo sguardo s’inchioda fulmineo al piccolo display: numero sconosciuto. Un paio di passi sul pavimento freddo per prendere il telfono. 

Alza la cornetta senza dire nulla, in una strana attesa, occhi quasi socchiusi mentre si poggia appena sul bracciolo del divano bianco. Sente qualche respiro agitato che lo sconosciuto all’altro capo del telefono tenta di nascondere senza buoni risultati e per un paio di minuti rimangono entrambi in silenzio, in attesa di qualcosa che nessuno dei pronuncia; solo respiri da un telefono all’altro. 

Sguardo sulla città che pian piano si svegliava , Brian passa una mano lenta sui capelli scuri, proprio mentre lo sconosciuto, davanti alla finestra,calpesta a piedi nudi pennelli sporchi di pittura.Gli occhi scuri, taglienti, di Brian vanno posarsi nuovamente sulla città come quelli dello sconosciuto a chilometri di distanza, cerulei e grandi, coperti da qualche ciocca bionda : due sguardi stanchi, due sguardi spenti per la stessa fiamma che ormai sembrava morta, due vite appese ancora allo stesso filo, dopo tutto questo tempo.

Un sorriso da parte di Brian quando sente quella telefonata chiudersi titubante. Il suono che segnava il telefono libero echeggia nel suo orecchio sinistro prima di attaccarlo nuovamente alla base.

 

Chiuse gli occhi inspirando il fumo serrando la mascella: è solo tempo; troppo distanti per ritrovarsi ma ancora troppo vicini per dividersi.

 

 

-----------

Secondo capitolo eccolo pronto pronto! Che dire, spero sia piaciuto e di non aver deluso qualche fan! Devo dire che calarmi nei panni di un Brian dalla corazza dure ma distrutto non è stato per nulla facile: ho corretto e ricorretto questo capitolo, cercando di figurarmi la scena  in mente proprio come in un episodio e beh, lascio a voi i commenti!

Grazie per aver letto!

  
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