Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: J O A N    13/09/2012    2 recensioni
Ea Mansit, tradotto dal latino "Ella restò." 
Restare ad osservare, in una notte di luna, il proprio mondo che crolla in frantumi.

“Sei completamente dipendente da me.” Le bisbigliò all’orecchio mentre osservava, quasi disinteressato, in basso, verso le vene del suo collo e le sue clavicole che, alla luce della luna, apparivano più bianche di quanto non fossero. Poi percorse con la punta del dito tutta la lunghezza della sua spalla, in un tocco così lieve che, inutile dirlo, lei non mostrò nemmeno di essersene resa conto. Ma lui ovviamente notò i brividi che solcavano irregolari la sua pelle.
“Illuditi.” Mormorò con una voce più spezzata ed incerta di quanto avesse voluto che fosse, quando le sue dita accarezzarono gentili il lobo dell'orecchio.
Lui rise, inclinando la testa leggermente in avanti. “Non sono illusioni, io ti ho portato via. E tu mi hai seguito di tua volontà.”
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
 
 




La cattedrale delle ombre.
Capitolo primo.







 
 
 
 






 
Gli parlavano in tanti, tutti insieme, come un'unica voce che ripeteva cose diverse.
Era come ricevere una pugnalata dopo l’altra ogni volta in una parte diversa del corpo, senza sapere dove la successiva avrebbe colpito, con quanta forza, la misura del male che gli avrebbe inflitto.
E minuto dopo minuto la sua rabbia aumentava, diventava feroce e cieca. La rabbia gli  scorreva nelle vene, pulsava il sangue, e il battito del suo cuore non era più alimentato dal sistema nervoso e dalla vita stessa, ma dalla rabbia. La rabbia era ciò che lo avrebbe tenuto  in vita e che già lo sorreggeva in piedi, una maledizione, che andava a passo con l’immortaltà .
Lo trascinava sempre più in basso per poter essere riafferrato.
E giurò vendetta sul suo corpo martoriato.                    
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
La Cattedrale era stata predisposta per il funerale.

Era stato chiamato il Vescovo, avevano coperto i quadri con dei drappi neri,  le donne volontarie  avevano posato rose rosse sulle panche e avevano riordinato i libretti dei canti.

Era tutto pronto, la bara nera era stata posizionata sotto l’altare, già chiusa.

Le più giovani tra le suore avevano sentito storie, sulla ragazza che vi giaceva. Si diceva che fosse bellissima, e che stringesse ancora tra le mani la rosa rossa che l’aveva uccisa. Erano le storie che si raccontavano le ragazzine la notte per avere qualcosa di cui parlare e infrangere per un po’ il voto di silenzio, ma dopo che i racconti passavano di bocca in bocca cambiavano particolari e diventavano grottesche e irreali.

Il Vescovo passeggiava nervosamente per la navata centrale con le mani incrociate dietro la schiena, ripetendo a mezza voce i canti che avrebbe recitato di li a poco.

Lanciò uno sguardo alla bara, e si chiese perché le rose rosse.  Ora che guardava attentamente tutta la chiesa era stata allestita con fronzoli ed intersi rossi. I nastri, le candele.

La sola visione lo nauseava. Era il colore del diavolo, il colore del peccato. E quella bara così lucida e nera, del colore di un’ombra in un luogo che doveva essere luce.

Era sbagliato, pensava.

Non sarebbe dovuta trovarsi lì.

Si segnò, e si allontanò il più possibile verso l’altare.

La costruzione risaliva a secoli prima delle rivoluzioni, e forse era anche una delle tante Cattedrali che fungevano da presidii e da torri di vedetta per gli avvistamenti nemici.

Nessuno la visitava, a parte i pochi del villaggio. Sorgeva sul versante ovest  della montagna, e la salita per arrivarci era ardua e solo pochi si cimentavano nell’impresa. Un tempo ce n’erano stati, di uomini e donne che vi si recavano. Era antica, molto antica. E un tempo era considerata un luogo di pace, dove le anime vi si recavano per riposare, dove in seguito a devozione e preghiere le sofferenze della vita erano ricompensate con la pace nella morte.

Ma ora non c’erano più pellegrini, né preghiere, nè ricordi.  Rimaneva avvolta nel manto di foreste e nelle leggende che la circondavano.

Si raccontava di avvistamenti di fantasmi, di persone morte intraviste sedute sulle panche a pregare, di vecchie storie che tornavano alla luce per riscattare il loro prezzo.

Ma erano storie dopotutto, chi vi viveva lo sapeva, che era solo una chiesa come un’altra. Anche se a volte la luce delle candele e le ombre che vi stavano attorno davano l’idea che ci fosse qualcosa di sbagliato, di fuori posto, un particolare che non ci sarebbe dovuto essere, e incutevano in chi le guardava un tetro timore, placato subito dopo dalla visione della brillantezza del sole attraverso il rosone.

La gente incominciò ad entrare, e il Vescovo indossò la toga.

Alcune donne piangevano,  i mariti le tenevano per mano.  I bambini toccavano curiosi le rose sulle panchine, alcuni si pungevano e si sporcavano i vestiti di sangue.

C’era molta gente, per essere il funerale di una ragazza di popolo. Di solito erano presenti solo i genitori, il marito, gli eventuali figli.

Invece era come se un paese intero si fosse riunito per quel momento, tanto che qualcuno fu costretto a rimanere in piedi, nelle navate laterali, sotto i drappi rossi e neri.

Quando fu chiaro che quasi tutti furono arrivati, il Vescovo iniziò la messa.


Era la cerimonia d’addio di un fiore d’inverno mai nato, il saluto alla vita ad una rosa tardiva.
E lei ascoltava, e lei sapeva, e lei aspettava, paziente, immortale.
Conosceva i loro destini, di ogni persona che era presente, era lei che li aveva decisi.
Nelle notti d’inverno lui la avvolgeva nelle calde coperte, e lei passava le mani nei suoi capelli.
Si scaldavano a vicenda per non congelare, e ora lei giaceva al freddo, gelida, e sola.
E lui sarebbe morto pur di poterla scaldare ancora.
 

 
Il  Vescovo, mentre recitava i brani della Bibbia, incominciò a provare una strana sensazione, osservando la bara. Una ragazza bellissima vi giaceva, con la pelle dello stesso colore della neve. Così dicevano. Ed era come se la conoscesse, ma non riuscisse ad associarle una faccia. E inoltre aveva una strana sensazione di calore, e dopo un po’ incominciò a emettere qualche colpo di tosse.

Nel bel mezzo della cerimonia, proprio durante la benedizione del pane il portone si spalancò.

Un giovane  uomo con un soprabito nero fece il suo ingresso richiudendosi alle spalle la porta e togliendosi simultaneamente il cappello.

Le vecchie scandalizzate lo guardarono con occhi pieni di odio per aver interrotto la cerimonia, le madri tennero i bambini lontano dal nuovo arrivato e lui, sotto lo sguardo di tutti, incominciò ad attraversare la navata a grandi passi, tenendo lo sguardo a terra.

Non si è segnato. Pensò il prete , osservandolo con un certo disappunto e curiosità.

Quando arrivò ai piedi della bara si chinò a terra e si inginocchiò di fronte ad essa.  Con una mano spostò i capelli biondi e scompigliati dagli occhi e guardò in alto per la prima volta, verso la cupola scura.

Si alzò, si segnò ed andò a sedersi sulla prima fila di panche, tra una madre con un bambino tra le braccia e un vecchio spaccalegna.

Quando fu chiaro che tutto fosse tornato tranquillo, il prete continuò a recitare il Vangelo.

“E allo stesso modo, il Dio padre prese il pane, rese grazie ai discepoli e disse…”

Ma si sentiva strano. Si sentiva osservato. Mentre distribuiva le ostie benedette e assolveva dai peccati la fila di uomini e donne di fronte a lui si guardava in torno cercando ossessivamente qualcosa che poteva percepire su di lui, ma non vedeva.  

 
Un vecchio fantasma che è tornato a riscattare il prezzo pagato ingiustamente
E lo spettro lo esigeva da lui, perché era lui l’aguzzino
Che lo aveva tenuto in vita sapendo il dolore che avrebbe provato.
Che aveva fatto si che lei non potesse scaldarlo, e che lui morisse di freddo.
Si sarebbe ripreso ciò che era stato suo.

 
Quando finalmente la messa fu finita e tutti furono andati, il Vescovo si accorse di quanto gli mancasse il fiato, e di quanto la sensazione sgradevole aumentasse.

La sua respirazione diveniva irregolare, appoggiò entrambe le mani alla bara per reggersi in piedi, quando la sua mente ripercorse ciò che era accaduto durante la messa,  incominciò ad intuire una parte di verità, che a poco a poco si trasformava in una tetra sorpresa.

Ripensò al giovane entrato a metà cerimonia, e a quando aveva alzato lo sguardo verso la cupola. Aveva fatto in tempo a notare i suoi occhi, dello stesso azzurro del cielo, ma con un’ombra che li aveva attraversati per un secondo, come un ondata di rabbia che passa e non lascia superstiti.

E si rese conto di averli già visti,  quegli occhi, e quel giovane, e improvvisamente si rese conto di chi fosse la bellissima ragazza che giaceva nella bara.

“Oh dio, che cos’ho fatto…”  Mormorò, togliendo delicatamente le mani dalla bara e allontanandosi da essa camminando all’indietro, tremando come una foglia.

Prese dei respiri profondi, e si accasciò su una panca.

“Sei tu dunque.”  Disse, sicuro di essere ascoltato. “E sei qui per uccidermi.”

Nell’ombra si mosse qualcosa. Qualcosa intorno ai lumi di candela ne spostò la fiamma. Poi lo sentì avvicinarsi, e una crescente paura si insinuò in lui.

State già morendo. Ho avvelenato il vino.”

La voce che gli rispose dall’ombra era molto giovane, ma dura, severa, incuteva timore. Poi il Vescovo udì dei passi, e il giovane uscì dall’ombra, stringendo tra le mani una bottiglietta di veleno.

Il vescovo deglutì. Le sue mani tremavano così tanto che riuscì a malapena a stringere tra esse una  rosa rossa che aveva trovato sulla panca a fianco a lui.

Ora cosa farai? La riporterai indietro, certo. Non avevo capito subito chi fossi, quando sei entrato, prima.”  Ebbe un attacco di tosse e si fermò,  appoggiandosi con le mani alla panca di fronte. “Ma il modo in cui ti sei inginocchiato di fronte alla sua bara, e in cui hai posato una rosa bianca su di essa, senza che nessuno ti notasse… Non mi sorprendi più ormai. Sapevo che sarebbe giunto questo giorno, non credevo così presto.” Continuò, rigirando il fiore tra le mani.

“In questo vi  ho sorpreso allora.” Osservò l’altro, rimanendo in piedi.

“Si. Devo dire di si.” Disse, con la voce ridotta ad un sussurro disperato tra i colpi di tosse, osservando nel vuoto. “Quando si sveglierà, le dirai ciò che deve sapere, vero?”

L’uomo incominciò a tossire più violentamente, e l’incarnato si fece di un colore tra il bianchiccio e il vedre. Le mani diventarono rigide e la rosa cadde a terra, gli occhi vitrei.

Il giovane raccolse il cappello e si incamminò lentamente verso il portone.

Uscì, ma non prima di bisbigliare qualcosa in direzione della bara nera alla fine della navata.

Il cielo si fece grigio e la pioggia incominciò a scendere, dal rosone quel giorno non entrarono più fasci di luce.







***




 
Joanie’s Corner.

Ciao a tutti! Dopo un’estate calda, troppo calda, un debito di latino (superato, oh yes babe.), e altre millemila cose, sono tornata! Non so come, ma sono riuscita a continuare questa storia. La trama, quando ho scritto il prologo, era solo una specie di abbozzo mentale tutto disordinato, però nell’ultima settimana mi sono messa a pensare ad un possibile sviluppo della faccenda, e si, ora ho in mente la storia nella mia testa. Questo capitolo è da considerarsi come un secondo prologo, visto che in pratica non si capisce molto della storia, ma dovevo metterlo per forza perché era piuttosto indispensabile e perché beh, avevo voglia di scriverlo. Comunque dal prossimo si incomincia con la narrazione della storia vera a propria.
Spero proprio che vi sia piaciuto, come al solito sono affamata di recensioni, mi farebbe piacere sapere che cosa ne pensate. (:
E questo capitolo è per Hells, Pipe, Claire, le mie efp dipendenti. Vi voglio tanto bene. <3
 
Alla prossima,
Joan;
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: J O A N