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Autore: csgiovanna    14/09/2012    2 recensioni
Jane, Lisbon ed il team dovranno indagare su un inquietante omicidio avvenuto all'interno della Coffin Academy, un istituto che pratica una ambigua e singolare terapia anti-suicidio. Chi ha ucciso Samantha Greenwood, avvocato di grido di Sacramento? Perché Jane si comporta in maniera più strana del solito? Cosa sta nascondendo a Lisbon e alla squadra? FF ambientata durante la 4/a stagione, dopo l'episodio 4x22 e prima dell'episodio Red Rover, Red Rover (4x23)
Genere: Angst, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Jane/Lisbon
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Siamo alla fine del viaggio... questo è l'ultimo capitolo. Ringrazio di cuore chi ha letto questa FF e, soprattutto, chi ha recensito!! Che altro dire, spero di avervi incuriosito e divertito. 




Christine sedeva in completo silenzio nella sala interrogatori, il braccio sinistro appeso al collo, le gambe accavallate e lo sguardo fisso davanti a sé, fiero e sicuro. Sembrava calma ed imperturbabile, ma un lieve ed incontrollato movimento del piede sotto il tavolo, evidenziava il suo vero stato d'animo. Jane e Teresa erano seduti difronte a lei.

«Sappiamo che dietro a tutto c'è Hea Woo Chung. Se non parli la farà franca e tu ti beccherai come minimo l’ergastolo.» commentò Lisbon chiudendo teatralmente il fascicolo davanti a lei.

La donna sollevò appena un sopracciglio, un sorriso lieve sulle labbra.

«Sappiamo dei vostri ripetuti viaggi in Corea. - esclamò la bruna con decisione – Sappiamo che lo scopo non era studiare nuove tecniche di meditazione, ma capire come produrre una nuova droga. Hea Woo Chung ha una laurea in chimica, un po' insolito per un insegnante di yoga.» commentò poi con tono vagamente sarcastico.

«Samantha si è sempre chiesta come potevi permetterti viaggi in tutto il mondo con il tuo misero stipendio – aggiunse Patrick - Grazie ai suoi agganci con le gang non le è stato difficile scoprirvi.»

«Ha capito che l'Accademia era una copertura per ben altre attività ed è voluta entrare nell’affare. - intervenne Lisbon - La cosa è andata bene per un po’ poi, cos’è successo, è diventata troppo avida?» chiese la bruna con uno sguardo severo.

L'altra non reagì e Lisbon cominciò a sentirsi frustrata. Avevano già provato a interrogare la donna coreana, senza successo. Ora dovevano necessariamente far confessare Christine se volevano chiudere il caso ed arrestare entrambe. Non potevano permettere a Hea Woo Chung di farla franca.

«Abbiamo prove a sufficienza per incriminarti per omicidio ed aggressione a pubblico ufficiale. La droga nella siringa era la stessa usata per uccidere Samantha e ci sono le tue impronte sopra. Capisci cosa significa, Christine? - disse alzando la voce - Davvero vuoi pagare solo tu?»

La giovane la guardò dritta negli occhi con uno sguardo di sfida: non sembrava affatto preoccupata o intimorita dalle parole di Teresa. Jane la studiò con attenzione.

«In tutta la tua vita ti sei sempre sentita disprezzata, incompresa, sola. - le disse Jane, osservando le reazioni della donna alle sue parole - costretta a vivere all'ombra di una sorella più intelligente, più affascinante ed ambiziosa di te.»

Teresa notò un lieve tremito del labbro inferiore della donna, che ora aveva spostato il suo sguardo tagliente sul consulente. Particolare che non sfuggì nemmeno a Patrick.

«Hea, invece, ti ha fatto sentire intelligente, preziosa ed indispensabile. - continuò lui cercando di demolire la corazza di indifferenza dietro cui la giovane si era nascosta - Ha visto chi sei veramente e chi, invece, era Samantha. Ed ha scelto te.»

Christine corrugò la fronte.

«Si.» sussurrò appena.

«Tua madre prima e Samantha, poi, ti hanno sempre giudicata una perdente, un'incapace, un'illusa. Ma non Hea. No, lei ha visto di più in te. Ha capito.»

Christine si lasciò sfuggire un sospiro e abbassò la testa.

«Come credete ci si senta quando la tua famiglia ti disprezza? Quando tua madre non ha occhi che per tua sorella? Quando i tuoi sogni e le tue convinzioni vengono considerati delle sciocchezze? - ringhiò all'improvviso – Per anni è esistita solo e sempre Samantha. Ed io che mi sono presa cura di mia madre per decenni? Ero solo una nullità. Anche quando è morta, Samantha ha ereditato quasi tutto. A me sono rimaste le briciole.» concluse mordendosi il labbro inferiore.

Jane scambiò uno sguardo d'intesa con Teresa.

«E a te le briciole non bastavano più, non è così? - aggiunse Lisbon - Meritavi di più ed Hea ti ha aiutato ad ottenerlo.»

«Non si tratta di soldi! - sbottò scuotendo la testa - Avete idea del significato della parola amicizia? – aggiunse, poi, voce tremante – Avete mai avuto la fortuna di incontrare una persona che vi capisce, che vi apprezza per quello che siete e per la quale fareste qualsiasi cosa?»

Teresa deglutì a vuoto, si sentiva chiamata in causa da quest’ultima affermazione. Sì lei ne aveva una vaga idea. Guardò di nascosto il suo partner, che non sembrava essere particolarmente turbato dalla frase della donna. Lei, invece, sentiva uno strano calore nel petto: per Jane sarebbe stata disposta a tutto, anche a morire probabilmente. Corrugò la fronte.

«Io e Samantha potevamo anche aver avuto gli stessi genitori, ma non eravamo una vera famiglia. Con Hea, invece, ho scoperto finalmente cosa significa avere una sorella. Cosa significa essere amati.»

«E perché avete deciso di uccidere Samantha?» chiese Teresa senza più giri di parole.

Christine non rispose, si limitò a fissare intensamente il tavolo, non più così determinata e sicura di sé.

«Samantha aveva una relazione con Richard.» disse il consulente senza alcuna esitazione.

La bionda lo fissò stupita. Aprì la bocca un paio di volte per replicare senza, però, riuscire a dire nulla.

«Dubito che una donna si tatuerebbe “cagna” sulla spalla, seppur in coreano.» spiegò il biondo con un sorriso ammiccante.

«Credi che Hea non parlerà? Che non scaricherà su di te tutta la colpa?» la incalzò Lisbon con un tono più morbido.

«Non mi interessa. - rispose finalmente con voce tremante - Samantha ha avuto quello che si meritava. Si scopava Richard senza preoccuparsi di nasconderlo. Come se le fosse dovuto. Cagna è il termine più appropriato, non trovate?» sibilò la donna.

Teresa e Patrick si scambiarono uno sguardo, lui sorrise soddisfatto. Dopotutto aveva avuto ragione, la relazione segreta c'era, eccome. Lisbon roteò gli occhi leggermente infastidita.

«E’ per questo che avete progettato di ucciderla. – sussurrò l'agente – Hea ha scoperto la relazione e ha deciso di farla fuori. E poi avete cercato di cancellare le tracce appiccando l'incendio.»

«Tu l'hai aiutata.- affermò Jane – sapevate che la nuova droga era molto potente, ma anche instabile e che se tagliata con il resorcinolo, un banale antisettico, si trasformava in un veleno mortale. - sorrise mentre ricostruiva passo, passo la dinamica dell'omicidio – Così avete pensato ad un piano. Avete sciolto la droga nell’inchiostro che Hea ha usato per il tatuaggio di Samatha, mentre l'antisettico era nei chiodi che hai usato tu quella mattina per chiudere la sua cassa. E' bastato un graffio... Davvero astute. Se avessimo controllato da cima a fondo l'intera sala, non avremmo trovato nulla di compromettente perché bisognava sapere cosa cercare. Peccato, stavate per farla franca.»

«A me sembrano solo elaborate congetture. Se credete che io vi aiuterò ad accusare Hea vi sbagliate di grosso.» disse con tono di sfida.

«Abbiamo il veleno nella siringa e le tue impronte, non è sufficiente per convincerti? - sbottò Lisbon - Ti conviene collaborare se vuoi evitare la pena di morte.»

«Non dirò una parola di più senza il mio avvocato.»

La porta della sala interrogatori si aprì improvvisamente e Rigsby si bloccò all’ingresso, sorpreso di trovare qualcuno all’interno. Dietro di lui Cho stava parlando con Hea Woo Chung.

«Ops, scusate!» farfugliò Wayne fingendo imbarazzo e continuando a tenere la porta aperta in modo che Christine potesse osservare bene la scena alle sue spalle.

Lei corrugò la fronte quando riconobbe la figura femminile dientro all’agente. Le due donne si fissarono in silenzio, ma Hea distolse rapidamente e colpevolmente lo sguardo. Christine deglutì a vuoto.

«Chi trova un amico, trova in tesoro, non è così?» aggiunse il consulente sorridendo e facendole l’occhiolino.

La donna abbassò lo sguardo turbata e si lasciò sfuggire un sospiro.

 



Seduto alla sua scrivania Cho, con il suo consueto stoicismo, fingeva di compilare dei documenti mentre, in realtà, rimuginava sul caso. Non era il tipo che si lasciava coinvolgere, ma questa storia, in qualche modo, gli aveva fatto ripendare a Summer e alla loro recente separazione.

Involontariamente e stupidamente, aggiunse, si era sentito in qualche modo vicino a Sullivan e sua moglie. Non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, ma anche lui come Grace aveva provato una sorta di simpatia a compassione per quella coppia. Ora, l'aver scoperto che lei era una spacciatrice ed assassina e il marito un delinquente fedifrago, lo faceva sentire uno stupido.

L'amore aveva un sapore agrodolce, si disse, quindi si domandò se, un giorno, avrebbe rivisto Summer. Ricordò la morbidezza delle sue labbra e il calore del suo corpo con nostalgia e un pizzico di rabbia. Nessuno di questi sentimenti, però, era in qualche modo visibile a chiunque lo avesse osservato in quel momento.

Chiuse il fascicolo con la consueta tranquillità e diede uno sguardo fugace in direzione di Grace. La rossa aveva un'espressione triste. Kimball non faticò ad intuire a cosa stesse pensando, anche per Van Pelt l'epilogo della vicenda aveva avuto delle ripercussioni negative. Accortasi dello sguardo del collega sollevò lo sguardo verso l'asiatico: si fissarono in silenzio per qualche istante. Non c'era bisogno di dire nulla, entrambi conoscevano esattamente i pensieri dell'altro. La rossa si alzò dalla scrivania, passò accanto a Cho e, prima di scomparire nel cucinino, gli diede una lieve stretta alla spalla, a cui Kimball rispose con un imprecettibile sorriso.

Nel cucinino del CBI Rigsby era intento a preparare i pop-corn al microonde, quando Van Pelt fece il suo ingresso: il volto scuro e l'aria assorta. La rossa fece un cenno a Wayne ed afferrò una tazza riempiendola di caffè fino all'orlo.

«Tutto ok?» la interrogò l'agente con un sorriso incerto.

«Si, perché?»

«Non è un po' tardi per il caffè? Sono quasi le sette, non soffri di insonnia se lo bevi dopo le cinque?»

La rossa lo guardò di traverso con un sorriso ironico. A volte dimenticava che erano stati intimi.

«Potrei dire lo stesso di te... Non dovresti mangiare quelle porcherie prima di cena.»

Rigsby ridacchiò.

«Forse hai ragione...» disse.

Il microonde segnalò la fine del tempo stabilito per la preparazione dei pop-corn e Wayne estrasse il sacchettino dal forno.

«Perché sei così turbata?»

Grace sospirò.

«Hea Woo Chung e suo marito sembravano così felici insieme – ammise con tono malinconico - così innamorati l'uno dell'altro, che per un momento ho creduto che l'amore vero e pulito potesse esistere.»

Rigsby tossicchiò imbarazzato.

«In realtà si sono rivelati dei criminali. - abbassò lo sguardo smarrita – L'umanità fa schifo Wayne, non so perché mi stupisco ancora di questo. Qualcosa di puro e bello esiste ancora?»

Rigsby sorrise e le allungò il suo telefono. Sul display Van Pelt vide il volto innocente di Benjamin.

La rossa sorrise teneramente, quindi guardò Wayne con gratitudine e dolcezza.

«Hai ragione. - sussurrò - Quando vedi questi occhi non hai più dubbi. Grazie... Sarah è fortunata ad averti vicino.»

Rigsby sospirò imbarazzato. I due rimasero in silenzio a guardarsi persi nei loro pensieri e ricordi. Grace sentì un brivido lungo la schiena, mentre Wayne rimase immobile: non osava muovere un muscolo, temendo di interrompere l'atmosfera speciale creatasi tra loro. Erano vicini, occhi negli occhi.

Jane fece il suo improvviso ed inaspettato ingresso con un voluminoso sacchetto di carta in mano. I due si allontanarono velocemente, cercando di nascondere l'imbarazzo. Rigsby si concentrò nell'apertura dei pop-corn, che quasi gli esplosero in mano, mentre Van Pelt rifugiò il volto nella sua tazza fumante. Jane fece finta di niente: appoggiò il sacchetto sul bancone e prese un accendino dal primo cassetto.

«Ciao.» li salutò il biondo.

«Ehi, Jane – rispose la rossa osservandolo incuriosita – che hai lì?»

Il consulente le sorrise maliziosamente.

«Benessere ed allegria.» rispose uscendo rapidamente dalla stanza.

Grace guardò dapprima Rigsby alla ricerca di una qualsiasi risposta, quindi corrugò la fronte, fece spallucce ed uscì dalla saletta, seguita a ruota da un Wayne altrettanto perplesso e smarrito.

 



Finalmente, dopo aver fatto confessare Christine e Hea Woo Chung, arrestato il marito per spaccio di stupefacenti e consegnato il rapporto a Wainwright, Teresa rientrò nel suo ufficio. Era stanca, ma soddisfatta: un altro caso era stato chiuso in tempo di record. Ora avrebbe bevuto la sua immancabile tazza di caffè serale e se ne sarebbe tornata a casa, non prima, però, di aver fatto quelle famose quattro chiacchiere con Jane.

Entrò nel suo ufficio e rimase a bocca aperta. L'intera stanza era illuminata da una serie di piccole candele arancioni che creavano una piacevole ed accogliente atmosfera. Nell'aria c'era profumo di agrumi e cannella. Teresa si guardò intorno sorpresa, un lieve sorriso sulle labbra. Aveva una vaga idea di chi poteva essere l'artefice di tutto questo. Sorrise. Si avvicinò alla scrivania e vide un cartoncino bianco in bella mostra. Lo prese delicatamente con la destra e l'aprì, su un lato c'era una scritta in coreano e nell'altro l'inconfondibile calligrafia del suo consulente.

«Si pronuncia “chingu” e significa “amico”. - lesse tra sé - L'amicizia è una presenza che non ti evita di sentirti solo, ma rende il viaggio più leggero. Patrick.»

Lisbon lesse la frase più volte: era confusa. Rimase in piedi nella stanza con un sorriso imbarazzato per un po', rigirando il cartoncino tra le dita, indecisa sul da farsi. Un leggero rossore iniziava a colorarle le guance. Jane aveva capito che era rimasta particolarmente turbata dal discorso di Christine. A volte era davvero un libro aperto per lui. Si mordicchiò il labbro inferiore, quindi uscì dall'ufficio dirigendosi verso il cucinino alla ricerca del suo consulente. Il bullpen era ormai deserto, il resto della squadra, infatti, era già tornato a casa. Jane era intento a prepararsi una tazza di té. Era ancora molto pallido e aveva gli occhi leggermente arrossati, oltre ai capelli in completo disordine. Lui la vide entrare e le sorrise. Teresa rispose al sorriso, ma non riuscì a guardarlo negli occhi.

«Jane... ehm... Grazie per... uhm... cosa significa?» balbettò indicando il suo ufficio.

«Cromoterapia.» spiegò, come se ne non avessero parlato d'altro.

Lei lo guardò confusa.

«L'arancione aumenta l'allegria e l’ottimismo ed è ideale per combattere lo stress o i dolori di tipo cervicale... - spiegò - Secondo la cromoterapia, rigenera e ricarica chi è stanco.»

«Ti sembro particolarmente stanca?» chiese quasi indispettita.

Lui la guardò con un sorrisetto malizioso, ma non rispose.

«Da quando sei diventato un esperto in medicine tradizionali?» commentò lei appoggiandosi al frigorifero.

«Sono un uomo dalle mille risorse.»

La bruna scosse la testa con un sorriso beffardo.

«Già…Feng-shui, coreano e adesso cromoterapia...Tutto meno che la boxe, eh?» lo provocò poi.

«Nessuno è perfetto.»

«Ma non mi dire. - Teresa non riuscì a trattenere una risata. - Pare che questa volta ti sia andata bene, comunque. La denuncia contro di te è stata ritirata.»

«Qualcuno deve aver fatto cambiare idea a Doyle e Smith.» disse con un sorriso.

«Non ho idea di cosa tu stia parlando.»

Il consulente ridacchiò, ma non aggiunse altro.

«Dovremmo andare all’ospedale.» aggiunse dopo un po'.

«Stai male?» chiese lui guardandola con aria innocente.

Teresa sbuffò.

«Jane…»

«Una tazza di té, una dormita e sarò come nuovo!» affermò facendole il migliore dei suoi sorrisi e dondolandosi sui talloni.

La bruna corrugò la fronte poco convinta. Patrick sollevò la tazza alle labbra e bevve un lungo sorso, sopirando, poi, soddisfatto.

«Un po’ di tè?» chiese, poi accennando al bollitore.

Lei non rispose. Jane ne studiò il volto serio.

«Dobbiamo parlare, prima.» commentò lei.

«Non c’è molto da dire… Non hai già tutte le informazioni che ti servono?»

«Jane, voglio solo sapere da te perché ti sei fatto coinvolgere in una rissa! Doyle è un idiota, ma non è certo il primo che ti provoca! Cosa ti è preso?» chiese esasperata.

L’uomo sollevò gli occhi al cielo e si lasciò sfuggire un sospiro.

«Non avevo scelta. Lui ha... - fece una pausa cercando di gestire le sue emozioni - Ha detto delle cose sulla mia famiglia... su di te... Non potevo lasciar perdere. - inspirò rumorosamente – Semplicemente non potevo permettergli di parlare di te e di Angela in quel modo.»

Teresa lo fissò con comprensione. Ripensò a quello che Smith le aveva riferito quella mattina, in merito a cosa si erano detti Doyle e Jane prima di venire alle mani e sentì un fremito nello stomaco. Doyle aveva provocato Jane a lungo prima che lui passasse dalle parole ai fatti: prima chiamandolo ciarlatano, accusandolo di rovinare la reputazione del CBI a causa delle sue pagliacciate. Aveva parlato di Red John, della morte della moglie e della figlia di Jane, dell’omicidio di Carter per cui, secondo l'agente, era stato ingiustamente assolto. Quindi aveva denigrato il team definendoli le sue marionette ed infine si era accanito su di lei, chiamandola la sua puttana. Dopo che Doyle gli aveva chiesto com’era a letto, cosa le piaceva fare e se era meglio di sua moglie, lui l’aveva colpito. Il resto era storia.

Lei lo fissò in silenzio, lui guardava un punto poco al di sopra della sua spalla: la maschera un po’ meno salda del solito. Teresa sentì un nodo di emozione chiuderle la gola.

«Ok.» sussurrò con un filo di voce.

I due si guardarono in silenzio per qualche istante. Sguardi e silenzio erano carichi di mille emozioni inespresse.

«Tè?» chiese Jane per alleggerire l’atmosfera.

Teresa sorrise. «Volentieri.»

Lui si girò, aprì uno stipetto e si allungò per prendere una tazza, lei stava per avvicinarsi per aiutarlo quando notò una strana macchia sul pavimento, si chinò per toccare con la mano la sostanza vischiosa. Guardò le dita rosse di sangue a bocca aperta, quindi alzò lo sguardo verso il suo consulente che si era improvvisamente appoggiato al bancone, tremante ed incerto.

«Dannazione… Jane!» lo chiamò.

Lo vide battere più volte le palpebre nel tentativo di mettere a fuoco, quindi voltarsi verso di lei con uno sguardo vitreo e scivolare a terra in pochi secondi.

«Jane!» gridò Teresa afferrandolo appena in tempo, impedendogli di sbattere violentemente la testa.

Lui era sul pavimento semi-cosciente: il volto esangue e sudato, il respiro corto e rapido. Lisbon prese la testa del consulente e l'appoggiò sulle sue ginocchia, quindi iniziò ad allargare i bottoni prima del panciotto, poi della camicia per aiutarlo a respirare. In qualche modo riuscì a fargli togliere la giacca e notò che la manica sinistra della camicia era impregnata di sangue fino al gomito.

«Che diavolo…Chiamo un'ambulanza!» esclamò con voce tremante prendendo il cellulare dalla tasca.

«No! Teresa... per favore. - balbettò l'uomo cercando di mettersi a sedere, lei lo bloccò a terra – Ho solo bisogno di... Nessun ospedale, per favore.» le strinse la mano per convincerla.

Lei lo fissò preoccupata, quindi annuì con riluttanza.

«Appoggiati qui – gli disse aiutandolo a sedersi contro lo stipite della cucina - vado a prendere la cassetta del pronto soccorso. Ma se la ferita è grave andiamo in ospedale, non voglio storie, ok?»

Lui annuì appena.

Dopo qualche minuto Jane era seduto sul divano nell'ufficio di Lisbon a petto nudo. I lumini erano ancora accesi tutto intorno ed il loro profumo gli solleticava il naso. La camicia insanguinata era abbandonata a terra. Il consulente sedeva in silenzio imbarazzato con una t-shirt sgualcita, recuperata in un armadietto del CBI, appoggiata sulle ginocchia e lo sguardo concentrato sulle mani di Teresa, intenta a medicare il braccio ferito.

«I tagli si stavano infettando ecco perché sanguinava tanto... Per questo sei quasi svenuto - gli spiegò la bruna a voce bassa proseguendo nell'operazione di bendatura – dovresti far controllare le costole da un medico – aggiunse poi indicando il livido bluastro sul costato sinistro. - potrebbero essersi definitivamente rotte per colpa dell'aggressione di Christine.»

«Meh…- ripose lui con un lieve sorriso sulle labbra – perché disturbare un medico quando si può contare su un'infermiera così brava... ed affascinante.»

Lei lo gelò con uno sguardo.

«Qualche livido in più non credo si noterebbe.- lo minacciò lei – Possibile che tu sia così irresponsabile e testardo?»

I due si studiarono in silenzio per qualche istante. Teresa fu la prima a distogliere lo sguardo. Jane sorrise con tenerezza, quindi le prese una mano. Lei trasalì, ma non si mosse.

«Non è colpa tua.»

«Certo che non è colpa mia! Sei tu che sei un asino!» sbottò la donna seccata.

Era arrabbiata con lui perché non le aveva detto subito la verità e l’aveva tagliata fuori. Era arrabbiata con lui soprattutto perché aveva messo a rischio la sua salute. Davvero aveva così poca cura di sé, non pensava che lei si sarebbe preoccupata? Non sapeva, ormai, che teneva a lui e che erano una famiglia?

«Non volevo che ti preoccupassi.»

«Certo, come no. Infatti adesso non sono preoccupata, vero? - esclamò irritata porgendogli un bicchiere e degli antibiotici – Prendi questo... E adesso girati, devo metterti un po' di pomata.»

Lui inghiottì le pillole, quindi ruotò il busto per permetterle di intervenire più agevolmente. Appoggiò la testa sul divano sospirando.

Teresa iniziò a spalmare la crema sul costato con delicatezza cercando di non fargli male, Jane rabbrividì al contatto delle dita sulla pelle. L'atmosfera tra loro si stava facendo particolarmente tesa. Ad un tratto Lisbon si rese conto dell'ambiguità della situazione. Erano chiusi nel suo ufficio illuminato solo dalle piccole candele profumate, lui a torso nudo seduto sul divano, mentre lei gli accarezzava il torace. Solo ora, inoltre, notava che, sotto panciotto e camicia, era nascosto un fisico niente male. Cercò di non guardarlo negli occhi per evitare che lui potesse leggere cosa le stava passando per la testa. Sentiva un insolito calore salirle dallo stomaco fino a colorarle le guance.

«Ecco fatto.» disse dopo aver terminato la medicazione e sistemato la garza.

Jane non rispose. Teresa sollevò lo sguardo verso il biondo e si accorse che si era appisolato. Il respiro finalmente regolare e il volto disteso. Sorrise. Prese una coperta ed un cuscino, mise una mano sulla spalla di Patrick spingendolo con delicatezza in modo che si distendesse sul divano. Lui si lamentò un po', ma non oppose resistenza. Lisbon si guardò intorno, raccolse la camicia di Jane da terra, la piegò e l'appoggiò su una sedia.

«Buonanotte chingu.» sussurrò lei coprendolo con il plaid.

La bruna spense le candele sulla sua scrivania, quindi afferrò la sua borsa, diede un'ultima occhiata al consulente per assicurarsi che stesse bene prima di uscire e tornare a casa.

«난 널 사랑해 (Nan neol salanghae)*.» le disse, senza aprire gli occhi, prima che la donna uscisse.

«Come?» lei si bloccò sulla porta.

«Grazie, Teresa.»

«Forse volevi dire고맙습니다 (Komapseumnida)**» disse lei con un enigmatico sorriso.

Lui la guardò con un espressione stupita. Lisbon esultò tra sé, soprendere Jane non era cosa da tutti in giorni. Decise di godersi questo momento.

«Ti ricordo che conosco Cho da più tempo di te.» aggiunse, quindi uscì salutandolo con la mano.

Jane sorrise, la seguì con lo sguardo finché non sparì dalla sua vista, quindi spense con un soffio l'ultima candela rimasta accesa accanto al divano e si riappisolò.
 


* ti voglio bene

** grazie

   
 
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