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Autore: UncleObli    17/09/2012    1 recensioni
La solitudine è come un veleno. Si infiltra subdola nelle crepe della vita quotidiana. E cosa accade quando la speranza, così irresistibilmente effimera, svanisce in un battito di ciglia? Questo è ciò che è accaduto al protagonista di questa storia.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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La luce era sorta da poco, tingendo di un fresco rosato l’erba pallida e bagnata dalla rugiada del mattino. Dalla finestra circonfusa di luce della mia camera da letto osservai il quieto spettacolo di un nuovo giorno che inizia, domandandomi se e quando avrei potuto ammirare ancora lo stesso paesaggio che ora si stendeva innanzi a me. Sul mio letto tutto era pronto: nel vecchio zaino giacevano stipati gli effetti a cui non ero riuscito a rinunciare, oltre agli immancabili oggetti di prima necessità che mi avrebbero permesso di sopravvivere per i giorni venturi. Dal triste falò sulla spiaggia erano già passati quasi cinque anni, ma ai miei occhi non erano nulla di più che un pallido soffio, un instancabile trascinarsi, il semplice ripetersi di azioni quotidiane che ormai non avevano senso alcuno. Da allora molte cose erano cambiate: Miranda, senza nemmeno lasciar passare il periodo di tempo che la decenza richiede, aveva sposato mio padre. In tutta onestà ciò aveva portato più bene che male,  soprattutto per mia sorella, alla quale la giovane matrigna aveva dedicato cure amorevoli quanto oppressive. Vano sforzo. Sentivamo giorno per giorno la sua coscienza scivolare via, lentamente,  come un piccolo giglio oppresso dalla neve di un inverno improvviso e freddo. Smise di lottare. Poi, poche settimane prima del suo tredicesimo compleanno, scomparve, per mai più ritornare. Fu solo allora che capii. Come si poteva coltivare la vita in un posto infestato dalla raggelante presenza della morte? Era crudele quanto inutile, esattamente come cercare di leggere ad occhi chiusi: una contraddizione in termini. Tracy l’aveva capito, forse già da molto tempo prima della sua fuga repentina, ma credo non potesse andarsene, sia perché le catene della sua vecchia vita la trascinavano sempre più in basso sia perché la vera Tracy, piccola bambina di otto anni, non si era mai veramente allontanata da quella spiaggia, così lontana nello spazio come nel tempo. Più volte mi sono chiesto come abbia fatto a scappare, se veramente la sua situazione era tale, ma non posso fare altro che un’ ipotesi: credo fermamente che per qualche momento la mia sorellina sia tornata in sé, sicuramente sperduta e confusa, ma anche  piena di ferrea determinazione, e che abbia avuto la forza di tranciare ogni legame per costruirsi una vita altrove. Aveva colto l’occasione propizia. Era il mio turno ora: Tracy mi aveva tracciato il percorso, non dovevo fare altro che seguirlo. Tornando in me, mi chinai per allacciarmi le scarpe, poi presi lo zaino. Detti un’ ultima, fugace occhiata alla mia stanza, poi alla casa dov’ero cresciuto e infine uscii all’aria fresca del mattino. Il vento, giocondo, mi solleticava il volto. Sorrisi, vivo come non ero stato da molto tempo poi cominciai a camminare. La mia destinazione era per il momento già decisa, avrei preso un autobus fino al Maine Occidentale, poi da lì avrei iniziato la mia vita da reietto. Ma, nonostante tutto, ero felice. Mi sentivo come doveva essersi sentita anche Tracy, solamente poche settimane prima e questo mi dava uno strano sentimento di orgoglio ed ebbra gioia. Proseguii il mio cammino in linea retta, seguendo la strada che tagliava in due parti quasi perfette il paese, e infine giunsi alla fermata dell’autobus. Il mezzo aveva l’aria di aver visto giorni migliori, da una parte la vernice era scrostata e scolorita, ma in compenso sembrava perfettamente in grado di giungere a destinazione senza problemi. Rilassato mostrai il mio biglietto al conducente, che non lo degnò nemmeno di uno sguardo fugace. Presi posto in una delle ultime file, vicino all’uscita posteriore. Oltre a me c’erano solamente altre sette persone, ma non mi importava granché di avere compagnia. La stanchezza per la notte insonne a preparare i bagagli ebbe quasi il sopravvento, a tal punto che faticavo a tenere gli occhi aperti, ma ciononostante riuscii a rimanere sveglio. Finalmente il conducente accese il motore, che prese vita all’improvviso con un singulto rabbioso, e il viaggio verso la speranza di una vita migliore incominciò. Dopo qualche ora di viaggio in superstrada il conducente ritenne opportuno effettuare una sosta in uno di quei cafè dall’aspetto retrò aperti tutto il giorno che proliferavano in quegli  anni agli angoli delle principali arterie del paese. Scesi di malavoglia dal mezzo, ma accolsi comunque con gioia la possibilità di sgranchire le membra stanche, ed entrai nel cafè. Mi sedetti all’angolo più lontano dal bancone, per cercare di non attirare l’attenzione, e dopo alcuni minuti apparve una delle cameriere più anziane del locale allo scopo di ritirare la mia ordinazione.
«Desidera qualcosa, signore? »mi chiese gentilmente.
 «Si grazie, vorrei un cappuccino e anche un pancake se l’avete. »Per ordinare adottai un tono di voce leggero, quasi musicale.
«Naturalmente, il pancake lo preferisce con le fragole o lo yoghurt? »
«Alle fragole, grazie». La signora mi indicò con affettazione il cartellino appuntato vistosamente sul grembiule da lavoro. Feci una smorfia.
«Alle fragole…Rose»Sorrisi. Soddisfatta, la signora, o meglio Rose prese dalla tasca le posate e mi portò velocemente un bicchiere. Sbadigliai vistosamente poi tornai a concentrarmi sull’immediato futuro. Come prima cosa, una volta arrivato, mi sarei dovuto trovare un alloggio adeguato alle mie modeste finanze e un lavoro. Naturalmente, data la giovane età, non sarei riuscito a trovare un lavoro sufficientemente remunerativo, ma un impiego part-time senza troppe pretese mi bastava. Per il momento. Come seconda cosa avrei dovuto sbarazzarmi dei vestiti che indossavo, mio padre in quel preciso momento poteva star comunicando le mie generalità alla polizia, con tanto di descrizione, e di lì a pochi giorni non sarebbe stato difficile rintracciare l’autobus sulla quale stavo viaggiando. Ergo, dovevo diminuire le possibilità che mi riconoscessero, e cambiare aspetto era solo il primo passo. Mentre ero immerso in elucubrazioni di tal genere si sedette al mio stesso tavolo una ragazza. Era molto alta, e di una magrezza tale da fare apparire ancora maggiore la sua reale altezza, ma ciononostante non aveva affatto un’aria malata o sofferente, anzi. Il suo viso, un ovale perfetto, non avrebbe potuto esprimere altro sentimento fuorché la gioia, mi parve, tanto era splendido e quieto. Sul volto, incorniciato da una confusa massa di lisci capelli ramati spiccava un lieve sorriso, gli occhi scintillavano di conseguenza, come piccole stelle imprigionate da qualche divinità benevola . Era vestita sobriamente, ma in maniera pulita e a suo modo quasi elegante; mi fissò a lungo in volto, e io per contro cercai di esibire un indifferenza al limite della maleducazione.
«Fammi indovinare, non sei un tipo molto socievole vero? »mi disse, gaia.
«Scusa, ci conosciamo? »ribattei, un po’ stizzito.
«ah scusa, non mi sono presentata, io mi chiamo Sally, e tu? »
Devo dire che al momento ero molto stupito, quasi scioccato in verità, di tutto avevo pensato, tranne che in un cafè a 200 miglia da casa mia un’emerita  sconosciuta si sarebbe seduta al mio tavolo a interrompere i miei progetti  futuri. Non so perché, ma fin dal primo istante capii istintivamente che di lei mi sarei potuto fidare e perciò non usai uno dei nomi falsi che mi ero preparato in precedenza.
«Noah. »
Sally rimase in attesa, aspettando palesemente che allungassi la mano per stringere la sua, che nel frattempo aveva allungato verso di me con un sorriso gentile. Quando il silenzio divenne quasi imbarazzante la strinsi, benché di malavoglia. L’inizio di conversazione men che tiepido non parve affatto scalfire l’umore giulivo della mia interlocutrice, che iniziò a parlare a ruota libera, imbastendo una sorta di monologo a cui io partecipavo solamente con grugniti o sporadici monosillabi. Appresi quindi che aveva 19 anni, anche se ne dimostrava tranquillamente 3 di meno, nonostante l’altezza, e che stava tornando a Portland, dove viveva. Anche se all’inizio cercai di mostrarmi indifferente al suo discorso, senza che me ne rendessi conto pendevo dalle sue labbra, e aspettavo impaziente che continuasse a parlare. Fortunatamente per me, dopo alcuni minuti giunse Rose, la cameriera, con il mio pancake. Pur servendomi con un sorriso, non potei fare a meno di notare che lanciava bieche occhiate alla ragazza seduta davanti a me, quindi sorrisi: era gelosa.
«Rose, potresti portare anche una lattina di una qualche bibita per la mia amica? Ha l’aria assetata. ». Ed effettivamente avendo parlato così tanto Sally doveva avere davvero sete, e poi era divertente dare conferma agli istintivi sospetti della cameriera.
Spiacente tesoro, sei un po’ passatella per me.
Come se avesse perfettamente indovinato i miei pensieri la ragazza sorrise, divertita. Mentre mangiavo lentamente il mio pancake (l ’autobus non sarebbe ripartito prima di mezz’ora) notai che l’atmosfera si era notevolmente raffreddata, e solo allora mi accorsi che Sally aveva smesso di parlare, e mi osservava attentamente.
«Che lavoro fai, mi dicevi? »Dissi, interessato per la prima volta a quella strana ragazza.
«Non l’ho detto ma…be ecco, in realtà faccio…ehm, la prostituta, si insomma, sono una Escort. »
Mi andò di traverso l’acqua che stavo bevendo, poi una volta ripreso la fissai con tanto d’occhi. Era assolutamente seria, e mi sarei sentito imbarazzato, più di quanto non lo fossi in quel momento, a farle domande a riguardo, e quindi annuii. A quel punto lei scoppiò sonoramente a ridere, tanto forte da far voltare verso di noi una buona metà degli avventori del locale.
«Ma che, ci credi? »
«Mah, forse, mi sembrava indelicato fare domande a riguardo»
Lei rise di nuovo, questa volta più piano, quindi mi guardò con simpatia:
«Però, abbiamo fra noi un vero cavaliere! Comunque non scherzo, sai, sul mio lavoro. Se ti interessa per te posso applicare la tariffa ridotta! »
Arrossii vistosamente, cercando un modo gentile di declinare la sua offerta, se così potevo chiamarla.
«Ehi dai, ti stavo solo prendendo in giro, certo che sei suscettibile sai? »disse ridendo, e nel contempo mi fece l’occhiolino.
«Di un po’, come reagiresti se una perfetta sconosciuta ti piombasse fra capo e collo asserendo di fare l’Escort e nel frattempo ti proponesse la “tariffa ridotta”?! »sbottai, ma stavo ridendo anch’io, sollevato. Poi mi bloccai di colpo, smisi persino di respirare.
Da quant’è che non ridevo?  mi domandai. Poi mi risposi: dalla morte di mia madre. Mi sentii insultato, come se dimenticando il mio lutto avessi infangato in maniera irreparabile la memoria di mia madre. Poi il momento passò. Compresi che la morte resta sempre la morte, ma noi dobbiamo vivere. Può sembrare banale, ma ciò nondimeno vero. Credo sia questo che mia sorella in fondo non avesse capito.
«Tutto bene? Sei pallido…»mi disse. Sentii sincera preoccupazione nella sua voce, e ciò mi rinfrancò notevolmente.
«Si, tutto bene, solo un capogiro, ma adesso è passato. »Sorrisi sincero e questo la calmò.
«Ottimo, finisci il tuo pancake così poi possiamo tornare all’autobus . »disse Sally. Finii in pochi morsi quel che restava della mia colazione, poi mi alzai.
«Ehi dove stai andando? »mi disse, dato che non accennavo a dirigermi verso l’uscita del locale.
«Devo andare in bagno, se non ti dispiace. »Dissi, sbuffando.
«Oh certo che no, io allora torno in pullman, a dopo!>>
Che strana ragazza pensai, poi andai alla toilette. Uscendo, notai che la maggior parte dei miei compagni di viaggio erano già tornati all’autobus, quindi mi apprestai ad uscire.  Accolsi con gioia l’aria frizzante del mattino, quindi abbracciai con lo sguardo il cielo azzurro. Ero tornato.
  
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