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Autore: Gertie    10/04/2007    2 recensioni
“Cosa farai quando sarai adulto?”
“… Il cavaliere.”
“E tu?”
“Anche io farò il cavaliere.”
“E massacreremo i sassoni insieme!”

La storia di Elynor, la sorella adottiva di Lancillotto.
Genere: Romantico, Drammatico, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Decimo
Nel quale giungono brutte notizie e si fanno ricerche

Non so come, riuscii ad aprire gli occhi dopo un periodo indefinito di tempo.
“Sono…viva??” mi chiesi, incredula per la mia fortuna.
Ero in una stanza buia, adagiata in un giaciglio di pellicce soffici e calde.
Solo uno spiraglio di luce dorata colorava le pareti di macchie lucenti.
Il raggio illuminava qualcosa in un angolo. La mia daga, appoggiata ad una vecchia seggiola consumata. La lama era insanguinata, e rifletteva la luce tingendola di rosso.
Dunque non era affatto stato un brutto incubo.
Tossii.
Non si sarebbe potuta descrivere la mia gioia quando scoprii che respiravo!
Feci per stiracchiarmi, ma qualcosa me lo impedì. Avevo il braccio sinistro completamente fasciato, e doleva se lo muovevo.
Con un po’ di imbarazzo notai che non avevo niente addosso, tranne le bende che ricoprivano anche il mio torace e il polpaccio destro.
Scostai le coperte e tentai di alzarmi in piedi. Una fitta lancinante mi attraversò il corpo.
Ricaddi sul letto.
Aspettai un attimo, presi un bel respiro e riprovai, appoggiandomi malamente alle pareti.
Mi trascinai fino alla daga, che afferrai e adoperai per stampella di fortuna.
Poi mi infilai alla bell’e meglio una tunica vecchia.
Mi diressi verso il raggio zoppicando.
Veniva da una porta di legno tarlato, che aprii lentamente e con fatica.
L’aria pulita mi investì i polmoni.
Ci misi un poco per abituarmi alla luce, e poi misi a fuoco ciò che mi attorniava.
Tante capanne, col tetto di frasche e il fumo che usciva dalla sommità, serpeggiando e creando disegni grigiastri.
Galline che razzolavano nel fango.
Rumori indistinti di martelli che battevano contro superfici solide.
Risate di bambini.
In lontananza una verde collina, con in cima un boschetto fitto.
Per un attimo mi sembrò di essere ritornata a casa, nel mio villaggio.
Mossi qualche passo incerto.
La daga mi sfuggì di mano e cadde con un rumore metallico. Caracollai tonfando a terra.
Immediatamente, da dietro l’angolo spuntò un viso amico.
Merlino.
Sembrava ancora più vecchio dell’ultima volta che l’avevo visto.
Segnato anche lui dalla battaglia.
“Elynor… Ah! Quale gioia!” esclamò, correndomi incontro.
Mi aiutò a rimettermi in piedi.
Lo abbracciai. Ero contenta che fosse sopravvissuto.
“Dove… Dove siamo?”
Lui sorrise.
“In un villaggio che per fortuna non è stato toccato dai sassoni. Siamo al sicuro.”
“E gli altri?”
“Vieni, ti accompagno da loro.”
Merlino mi prese sottobraccio, e vacillando un po’ insieme raggiungemmo una capanna più grande.
Fuori c’era un recinto di legno.
Dei cavalli pascolavano tranquillamente, tranne uno.
Nero come la pece.
Sbuffando si avvicinò al bordo della staccionata e lanciò un nitrito.
“Oh… Graeth!!” esclamai.
Feci per andare verso di lui, ma persi l’equilibrio.
Merlino mi afferrò prima che potessi toccare il suolo.
“Fa attenzione!!” borbottò.
Con più calma mi accostai al muso scuro del mio caro vecchio amico.
Presi ad accarezzarlo.
Lui mi soffiò tra i capelli con le sue narici morbide.
“Su, su… Andiamo!” mi richiamò Merlino, piuttosto impaziente.
“A dopo, amico!” salutai Graeth, compagno di sfide e avventure.
Giungemmo alla porta della capanna.
Non seppi perché, ma esitai un momento, prima di spingerla.
Chissà cos avrei trovato dall’altra parte.
Non avevo ancora pensato a quanti ‘altri’ erano rimasti.
I cardini cigolarono.
Nella penombra giacevano delle figure indistinte.
Piano piano riconobbi Artù, seduto in un angolo, con una vistosa cicatrice sul polpaccio destro.
Appoggiato al muro, in piedi, stava Galahad. Aveva una guancia sfregiata, da un colpo di spada.
Galvano a braccia incrociate accanto al tavolo. I suoi biondi capelli erano macchiati di sangue.
Bors si stava spalmando un unguento su una ferita sul collo.
Ginevra, stesa su un giaciglio, sfiorava con la mano destra un profondo squarcio che era stato ricucito, sotto il seno sinistro.
“Ehi Elynor, ti hanno conciata per le feste!” esclamò Galahad.
Sorrisi.
“Ah sì, ma li ho ripagati per bene, te lo assicuro.” risposi.
Si sollevò una debole risata da parte dei presenti.
Ma nessuno era troppo in vena di scherzare. Quella battaglia ci aveva sfiancati, distrutti, devastati nel corpo e nell’anima.
Ma dove si era cacciato Lancillotto??
I miei occhi indagarono per la stanza, ma non videro traccia di lui.
Merlino si accorse della mia evidente preoccupazione.
“Io… Non so come dirtelo, ma…”
Chiusi gli occhi, inspirai e mi preparai al peggio.
“…Ma non abbiamo trovato alcuna traccia di Lancillotto.”
“Cosa??” articolai “E’ scomparso??”
“Così pare.”
“Ma è impossibile!!” esclamai, con quanto fiato avevo in gola.
Disperso chissà dove? No… Non poteva essere vero. Non riuscivo a capacitarmi.
Senza capire quello che stavo facendo, girai i tacchi, uscii dalla capanna e arrivai fino al recinto.
Graeth mi lanciò un’occhiata, con le orecchie in avanti, incuriosito.
“Si torna in scena, amico. Abbiamo una missione.”
Merlino e Artù si erano precipitati dietro di me, probabilmente in un inutile tentativo di fermarmi.
“Che stai facendo?? Sei impazzita?!” esclamò lo sciamano.
“Potrebbero esserci ancora dei sassoni qui in giro, e con quelle ferite non dovresti assolutamente permetterti di cavalcare!” aggiunse Artù.
“Non importa!” gridai, con voce rotta.
Afferrai convulsamente la sella e la gettai sul dorso di Graeth.
Allacciai il sottopancia con mani tremanti.
Infilai il morso, e feci passare le redini fino dietro il collo dell’animale.
Lo condussi accanto alla staccionata, mi issai a fatica su uno dei paletti e riuscii a mettermi seduta in groppa al cavallo, che cominciò a muoversi impaziente.
“Non hai idea di quello che stai facendo!” disse Merlino, e si prese la testa fra le mani.
Con la vista appannata, misi la daga nel fodero.
“Questo non è vero! Io… Troverò Lancillotto, fosse l’ultima cosa che faccio… Non voglio perdere anche lui!”
I miei talloni toccarono i fianchi di Graeth, che partì di scatto verso la collina.
Il sole, rosso fuoco, stava calando lentamente.
Sentivo il rumore cadenzato degli zoccoli che battevano sul terreno.
Il braccio mi doleva, ma cercai di non pensarci. In quel momento era una cosa priva di importanza.
Tornai alla cittadella, al campo di battaglia che era appena stato abbandonato.
Fu uno spettacolo raccapricciante.
Nella luce del tramonto, si profilavano cumuli di corpi orrendamente mutilati e senza vita. Piantati malamente nel terreno, gli stendardi ondeggiavano lievemente nella brezza.
L’aquila, insegna romana di guerra, scrutava ciò che rimaneva dello scontro, con le ali aperte e il becco puntato in alto, in un’espressione orgogliosa. Ma era abbandonata lì, e macchiata di sangue.
Nessun movimento. Nessun suono al di fuori del lento crepitare dei fuochi che si stavano spegnendo.
Stormi di corvi svolazzavano bassi, e si adagiavano sui cadaveri, che emanavano un insopportabile puzzo mortifero.
Fui pervasa dall’orrore, ma spinsi Graeth ad avanzare.
Cercai qualche segno che mi indicasse Lancillotto. Sperai con tutto il cuore che fosse ancora vivo.
Colonne di fumo nero si innalzavano nel cielo, formando strane figure inquietanti.
Ad un tratto individuai per terra qualcosa che mi mozzò il respiro.
Conficcata in un cadavere c’era una delle spade di Lancillotto.
Il vederla senza la compagna mi addolorò. Lancillotto si prendeva molta cura delle sue armi, e non le avrebbe mai abbandonate.
Smontai da cavallo.
Raccolsi la spada e me la strinsi al petto.
Almeno era un suo segno.
Doveva essere lì attorno.
I miei occhi notarono una traccia di sangue.
Era fresco.
Tante macchie rossastre, una dopo l’altra, mostravano una specie di macabro percorso da seguire.
Le seguii, tenendo per le redini Graeth, che mi seguiva docilmente.
La scia conduceva ad un fiumiciattolo che scorreva poco lontano.
Scrutai attentamente le sponde, in cerca di qualche segno di vita.
Fu allora che lo notai.
Un tenue bagliore.
Era il luccicare di un’armatura.
Proveniva da dietro un tronco caduto, coperto dal muschio.
Mi precipitai a controllare.
E mi sfuggì un urlo.
Era proprio lì, Lancillotto.
I riccioli neri bagnati e lucenti, il volto pallido e insanguinato.
I suoi bellissimi occhi neri erano chiusi.
L’armatura era ammaccata in più punti.
Mi sentii svenire, e vacillai.
Mi inginocchiai accanto al cavaliere.
Non osavo sfiorarlo.
“No, non può essere… Non deve essere…” non riuscivo neanche a pronunciare quella parola.
Cercai di inspirare profondamente, ma mi mancò l’aria, annaspai e attaccai a tossire.
Pian piano la tosse si tramutò in singhiozzi.
Mi accasciai su un fianco, tramortita come una pietra.
“Come è potuto accadere… No… Non… Non lui!” le parole mi uscivano di bocca, senza che fossero legate da un filo logico. Non riuscivo a capacitarmi di niente.
Rimanevo lì, distesa e piangente, con Graeth che mi tirava colpetti col muso sulla spalla in un vago tentativo di conforto.
Dopo un po’ che le pacche si fecero insistenti, alzai la testa.
“Graeth, smettila per fav…” ammutolii.
Non era il muso del cavallo che mi stava tirando un lembo del mantello.
Era una mano.
Era lui! Lì, insanguinato, ferito, stremato, debole… Ma vivo!
“Lancillotto!!” esclamai, con voce rotta.


Anf... Anf... Allora, che ve ne pare?
Non mi sembra vero, questo è già il capitolo numero dieci... Sembra ieri che cominciavo a pensare al soggetto e a preparare una piccola bozza del racconto... Come vola il tempo!
Okay, basta sdolcinate nostalgie!
Ho scoperto con gioia che c'è un'altra persona che legge la mia fanfic. e che ringrazio con tutto il cuore per l'incoraggiamento e i complimenti :
monalisasmile!
Dunque dunque dunque... Cosa anticipare sul prossimo capitolo? Ah, sì!
Finalmente, dopo crude descrizioni di battaglie... Si avrà una bella scena romantica! Ma non vi dico più niente se no vi rovino tutta la sorpresa... Eheheh...
A prestissimo!

Gertie
  
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