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Autore: Ordinaryswan    29/09/2012    8 recensioni
Serena, non è la solita ragazza sfigata, è bella con un autostima sotto le scarpe. Passa i giorni a studiare per non deludere i propri genitori. Non si lascia andare mai. E' all'ultimo anno di liceo, tormentata per non aver mai avuto esperienze con un ragazzo. Beh, prima che non le si presenti alla porta di casa un odioso fratellastro.
-“A casa mia, tranquilla non c'è nessuno” Se ne uscì con il suo sorriso malizioso che mi fece perdere un battito. Non doveva avere quell'effetto su di me. Non poteva. Lui era solo uno stronzo, bello e stronzo come tutti, come tutti quelli, no come tutto il genere maschile. -
Genere: Fluff, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Saalve! Intanto grazie per aver aperto la mia storia :) Premetto che questa storia non è affatto impegnativa, è scritta senza pretese ed è per una lettura di piacere (o almeno spero che lo sia).. Non sono di molte parole, preferisco che la storia parli di sè, più che l'autrice. Buona lettura e fatemi sapere cosa ne pensate perché io non avevo proprio intenzione di pubblicarla e... let's see! ;)


Piangevo. Non smettevo di piangere. Perché essere adolescente era così difficile?

Cazzate su cazzate, per questo piangevo.

Uscii di casa correndo, mentre fuori, fuori aveva appena iniziato a nevicare e io, per la corsa mi ero dimenticata il cappotto. Stavo gelando, tanto che non mi era accorta che era la prima nevicata dell'anno.

Era il 24 dicembre, le strade erano deserte se non per qualche ritardatario che cercava un negozio aperto per comprare i regali, o qualche dolce.

Ero sola, al freddo, e con le lacrime ad offuscarmi la vista.

Cosa poteva esserci di peggio?

Andai a ripararmi in un giardino per bambini, sotto uno scivolo, come facevo da bambina. Quella bambina che non voleva crescere e non voleva accettare la separazione dei suoi genitori. Avevo sempre creduto alla famiglia felice, al quadretto perfetto, e invece avrei passato il primo Natale senza famiglia unita, i miei genitori avevano divorziato da due mesi. Perché nel momento in cui avrei voluto passare un altro momento indimenticabile, assieme alla mia sorellina, a mio padre e mia madre?

Le lacrime calde mi bagnarono nuovamente il viso.

Le mani avevano già raggiunto un colore violaceo, ma non mi interessava. Io non volevo crescere. Non volevo diventare grande, anche se di lì a pochi giorni sarei ufficialmente entrata nel mondo della responsabilità con i miei diciotto anni. Fanculo. Ne volevo massimo sedici. Era assurdo. Era una crisi forse. Era il momento forse. Era quel tutto che mi aveva disturbata in quel fottuto giorno. Niente più compleanni, cene, feste in famiglia. Non era possibile.

Sentii dei passi, qualcuno camminava verso di me. Non avevo paura, che mi stuprassero pure!

“Dovresti uscire più vestita d'inverno, sai il freddo?” Era Mattia. Se prima mi chiedevo se ci fosse qualcosa di peggio, in quel momento lo avevo trovato.

Presente il ragazzo più quotato della scuola? Quello bello e impossibile? Ecco Mattia lo incarnava perfettamente. Io lo odiavo. Ma come si dice, l'odio è un sentimento passionale. Mi diedi della stupida solo per aver pensato una cosa del genere. I suoi occhi blu mi scrutavano, mentre i suoi capelli erano leggermente bagnati a causa della neve.

“Non ho freddo” lui mi posò una giacca sopra con premura e si sedette accanto a me.

“No, stai tremando perché ti stanno per interrogare” Si riferiva ad un episodio successo in classe, e lui continuava a sfottermi per quello, e sì, eravamo compagni di classe.

“Che ti importa?” dissi quasi singhiozzando. Ci mancava solo che piangessi davanti a lui

“Non voglio una compagna di banco con il raffreddore” Sembrava sottintendere qualcosa, ma non ci feci caso e feci spallucce come al solito.

“Appunto vattene”

“E tu vieni con me” detto ciò, Mattia si alzò trascinandomi, priva di forza di volontà mi feci portare fino alla macchina. Solo quando fui sul sedile dell'auto con la cintura allacciata mi rinsavii.

“Portami a casa!” Non volevo affatto tornare a casa, ma con lui ovunque era peggio.

“Prima ci andiamo a prendere una cioccolata calda”

“Precisamente dove, visto che è tutto chiuso?”

“A casa mia, tranquilla non c'è nessuno” Se ne uscì con il suo sorriso malizioso che mi fece perdere un battito. Non doveva avere quell'effetto su di me. Non poteva. Lui era solo uno stronzo, bello e stronzo come tutti, come tutti quelli, no come tutto il genere maschile.

 

Entrammo in casa. Il tepore della casa mi fece subito star meglio. Mi misi a sedere sul divano mentre lui in cucina preparava le cioccolate calde.

Tornò con due tazze fumanti e mi si sedette accanto.

“Brucia, attenta” disse, passandomi la tazza. Feci un timido sorriso, non ero abituata a quelle gentilezze. Sentivo, poi, quegli occhi azzurri fissi a studiarmi e a capirmi, ma non c'era niente da capire.

Mi guardai intorno, scontrandomi con il suo riflesso in uno specchio. Erano ben visibili gli occhi arrossati e ancora lucidi, che davano all'iride un colore sul grigio. I capelli raccolti in una coda scomposta e la tuta che usavo per stare in casa, conclusione: orribile.

Cominciai a sorseggiare quel liquido denso, gustandomi la sensazione di calore.

“La giacca è tua” dissi passandogliela.

“Mi vuoi dire che ci facevi da sola, con questo freddo?”

“Io.. sono affari miei” non mi sarei mai aperta.

“Vuoi sapere perché ero lì io?” scossi la testa ma lui continuò a parlare “Ogni anno in questi giorni mi sento male, perché devo rivedere mio padre.. lo sai no? E' in carcere..ed io lo odio e m-mi costringono a vederlo!” era arrabbiato, ma anche triste. Conviveva da 10 anni con quella situazione. “I giardini mi ricordano l'infanzia, e almeno ho per la testa altri ricordi” confessò a fatica. Gli era costato molto dire ciò, eppure non riuscivo a fare il contrario, pensavo sempre che non sarei stata capita, e che potessi risolvere tutto da sola. Non sapevo cosa dire, non ci eravamo mai parlati se non per offenderci, o per chiederci cosa avesse detto il professore.

“Mi dispiace...e grazie, ma forse è meglio che rientri a casa” il pensiero di tornare in quell'appartamento mi fece deglutire a vuoto. Avrei trovato solo mia madre.

“Ti accompagno o morirai di freddo” lo ringraziai di nuovo e mi feci portare a casa. Mi lasciò un bacio sulla guancia e se ne andò.

 

È il Natale che rende tutto più dolce, e tutti più buoni. Sì, era l'unica spiegazione che mi davo a quella piccola gentilezza.

Ero tornata a casa quel giorno, mio padre era via, si trovava già in un altro appartamento, mentre mia madre era tranquilla in cucina a preparare la cena. La separazione era stata tranquilla -niente amore e quindi ci lasciamo- da entrambe le parti e tutti e due sembravano così sollevati da questa situazione. Tutti tranne me ovviamente.

Mi chiusi in camera fino alla mattina del giorno dopo. Anche mia madre sapeva che doveva lasciarmi in pace in quei momenti. Ero fatta così, ci dovevo dormire sopra per capire, per ragionare oggettivamente. Avevo telefonato a mio padre e avevo parlato con mia madre. Passai così un Natale diverso.

  
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