Anime & Manga > Captain Tsubasa
Segui la storia  |       
Autore: Kourin    01/10/2012    3 recensioni
Misaki era riverso a terra. Quando Hikaru era corso verso di lui, le gambe si erano mosse senza bisogno del pensiero. Il braccio destro si era proteso in avanti per afferrarlo, come se all'interno del campo si fosse aperta una voragine che avrebbe potuto inghiottire per sempre la persona che aveva conosciuto come Taro Misaki.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hikaru Matsuyama/Philip Callaghan, Taro Misaki/Tom
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

3. Neve

 


Io e il papà abitiamo nella pensione Yukimura. Il nostro appartamento è al terzo piano. A Furano ci sono pochi lampioni e intorno di sera è sempre tutto buio, però in inverno c'è la neve e allora intorno è tutto bianco. Mi piace guardare fuori dalla finestra, la valle è come nei libri di illustrazioni che avevo quando ero piccolo. Ieri sera nevicava proprio forte: c'era una bufera.

Purtroppo mi sono ammalato e ho una brutta bronchite. Il dottore ha detto che non devo uscire. Allora leggo dei manga e faccio dei disegni, però mi annoio presto. In realtà c'è un amico che è sempre con me: è il pallone. Anche lui vorrebbe giocare nella neve ma sa che non possiamo. E' faticoso, ma ci divertiamo lo stesso.

A Furano ho davvero tanti amici. Venerdì scorso dopo l'allenamento siamo andati tutti quanti a mangiare i ramen dai genitori di Wakamatsu. Erano bollenti ma abbiamo divorato due porzioni a testa. Ieri invece il papà mi ha preparato il riso bianco e la zuppa di miso. Io ero nel futon perché faceva freddo. Di sera la stufa accesa al massimo non basta (ci sono gli spifferi) e bisogna coprirsi bene.

Ad un certo punto ho sentito il vetro della finestra che sbatteva. Una palla di neve è rimasta attaccata per un attimo e poi è scivolata via. Mi sono alzato anche se mi girava un po' la testa e ho appoggiato le mani sulla finestra (che era gelida) e ho guardato giù. C'era la mia squadra. Hanno giubbotti di colori diversi e li ho riconosciuti tutti. Davanti c'era Matsuyama che muoveva le braccia più che poteva per salutarmi.

Hanno urlato fortissimo tutti in coro perché la bufera voleva portarsi via anche le voci: “Forza Misaki! Forza Misaki!” Io li ho salutati, poi è arrivato il papà. Mi ha chiesto: “Che c'è, Taro?”

Gli ho risposto: “Sono venuti i miei amici,” però quando il papà ha guardato fuori loro erano già andati via. C'erano ancora le impronte ma la neve le stava coprendo.

Ho detto: “La neve cancella tutto subito!”

Dev'essere proprio la neve che li fa diventare così. Quei bambini non si danno mai per vinti.”

Io come diventerò?”

Un po' così anche tu. Mi sembra di capire che tu abbia fatto amicizia con la neve, oltre che con loro.”

Il papà mi ha appoggiato la mano sulla fronte e ha detto: “Scotti ancora, rimettiti a letto. Tra un po' ti porto la cena.”

Ho ubbidito e ho spento la luce per vedere meglio la neve. I fiocchi erano grossi ma leggeri, ogni tanto si fermavano davanti a me. Forse anche loro volevano invitarmi a giocare.

 

“Ehi, sveglia.”

Una mano gli aveva afferrato saldamente il braccio e lo stava scuotendo con gentilezza. Taro impiegò un po' per realizzare che si trovava a Nakano e che la persona che gli era accanto era proprio Hikaru Matsuyama. Doveva essere ancora notte perché, oltre all'alone di una piccola lampada accesa, non vi era alcuna traccia di luce.

“Rispondimi,” ordinò il suo amico d'infanzia. “Come ti chiami?”

La sola operazione di mettere in funzione le corde vocali risvegliò il dolore alla testa. “Sono Taro Misaki,” rispose a fatica, la bocca ancora impastata. Si era proprio addormentato pesantemente.

“E io chi sono?”

“Sei Hikaru Matsuyama. Sei più giovane di me di un mese, sei di Furano e ti piace lo shio-ramen.”

“Direi che sei pienamente cosciente,” sentenziò Matsuyama con un tono di voce che si faceva più gentile. “Scusami se ti ho svegliato così bruscamente. Ti lascio in pace, buonanotte.”

“Buonanotte” rispose Taro, ma nonostante la profonda stanchezza non riuscì più a riaddormentarsi. Si rigirò di continuo nel futon senza individuare una posizione in cui non gli facesse male il capo e, ad un certo punto, decise di alzarsi.

Passò davanti a Matsuyama, che invece dormiva profondamente rannicchiato sul divano. Taro si scostò in modo che la luce che filtrava attraverso la porta scorrevole potesse illuminare meglio la sua figura, poi si accucciò per osservare da vicino la sua espressione serena: era diventata talmente insolita che Taro sentiva il bisogno di soffermarvisi.

Matsuyama aveva lineamenti regolari che nell'insieme disegnavano un bel viso. Gli occhi, di taglio allungato, avevano iridi scurissime che ormai poco lasciavano trapelare dei sentimenti: non aveva sbagliato del tutto chi l'aveva paragonato ad un'aquila. Ma ora che quegli occhi erano chiusi, coperti da palpebre che terminavano con lunghe ciglia, Taro poteva ancora trovare in quel volto frammenti d'infanzia in cui specchiarsi.

Erano passati dodici anni da quando lui e suo padre, alla fine di un viaggio interminabile, erano giunti nel cuore incontaminato di Hokkaido. Era lì che Taro aveva stretto amicizia con quella creatura forte e libera che sembrava quasi Son Goku nato dalla roccia. Non era arrogante come il Goku della leggenda, ma quando guardava le stelle non rinunciava mai a trattarle come sue pari. Taro ne era subito stato attratto: aveva amato stare in sua compagnia finché il sole non tramontava, gli era venuto il batticuore quando aveva potuto condividere con lui attimi di notte.

Lasciarlo gli era stato particolarmente penoso, come se avesse dovuto abbandonare a Furano non tanto il cuore, ma la stessa libertà. Taro aveva viaggiato ancora, si era fatto altri amici, ma sempre con la sensazione che gli mancasse qualcosa, finché aveva incontrato Tsubasa. Tsubasa, che gli aveva fatto provare i brividi di volare sul tetto del mondo. Tsubasa, dal punto di vista umano il suo migliore amico. Tsubasa, dal punto di vista calcistico la sua rovina.

Dopo l'infortunio alla gamba Taro stava vivendo una realtà dura, intessuta di insinuazioni che avevano come argomento la sua dipendenza da lui.

In televisione si diceva: Taro Misaki nella J-League sarà anche bravo, ma a livello internazionale non vale così tanto. Non può sostituire Tsubasa Oozora alla guida della nazionale. O ancora: Taro Misaki non ha il carattere per condurre da solo una squadra alla vittoria.

Aveva imparato che nella vita le insinuazioni andavano smentite con i fatti, ma come poteva smentirle se dopo l'infortunio la strada del calcio internazionale gli era stata preclusa?

Matsuyama si mosse impercettibilmente. Forse Taro stava disturbando i suoi sogni. Sapeva che anche il suo amico d'infanzia desiderava fortemente fare esperienza in Europa, ma l'occasione non si era ancora presentata: chissà se ne stava soffrendo. In quel momento Taro aveva una gran voglia di prenderlo per mano per affrontare insieme il salto verso il cielo. Peccato che la prova generale della sera prima gli avesse procurato solo una tremenda botta in testa e che Matsuyama, anziché essere aiutato, era divenuto il suo soccorritore. A pensarci bene era una fissazione che aveva avuto fin da piccolo, quella di volerlo proteggere. Era dura ammettere che, a distanza di tanti anni, le vicende stessero dando ragione a quell'atteggiamento cocciuto. Ma poteva forse criticare un amico per il fatto di volergli ancora bene?

“Ce la faremo, vedrai,” sussurrò appena prima di tornare a coricarsi. Appoggiò con cautela la testa sul cuscino e spense la luce.

Niente da fare, nella sua mente continuavano ad agitarsi mille pensieri. Si rendeva conto che quel giorno aveva alternato momenti di lucidità a momenti di smarrimento che non erano certo indice di maturità, specie considerato il ruolo che ricopriva in squadra.

Ochado lo aveva provocato e, nonostante la freddezza con cui aveva cercato di reagire, tutta la sua prestazione ne era stata influenzata. Da quando in qua provava tanta invidia? Invidia per Ochado, invidia per Tsubasa, invidia per Kojiro. Ma poi era davvero invidia o era solo frustrazione mascherata? A causa dell'incidente alla gamba era rimasto indietro rispetto a loro e non sapeva darsi pace. Aprì gli occhi come se anche i pensieri fossero un incubo da cui risvegliarsi, ma non servì a niente.

Cercò un appiglio per rasserenarsi, e così finì per concentrarsi di nuovo su Matsuyama. Il suo capitano quando aveva nove anni. Il suo capitano ora che di anni ne aveva venti. Chissà come sarebbero andate le cose se fosse rimasto a vivere nel remoto centro di Hokkaido. Certamente sarebbe arrivato al torneo di Yomiuri Land insieme con i ragazzi di Furano, ma poi? Ce l'avrebbero fatta a sconfiggere Tsubasa e Kojiro? A pensarci, comunque fossero andate le cose, Taro ci avrebbe guadagnato: Tsubasa sarebbe divenuto da subito il suo rivale e conseguentemente Taro non sarebbe mai divenuto la sua ombra.

E poi al diavolo l'esperienza in Francia. A che cosa era servita? Il colpo tremendo dell'incidente l'aveva vanificata. Continuando a giocare in coppia con Matsuyama, la sua vita si sarebbe trovata nello stesso identico punto, ma con un pizzico di soddisfazione in più. Il fatto di averlo di nuovo a fianco a centrocampo nella nazionale olimpica poteva essere un evento scritto nel destino da sempre. Taro per arrivare fin lì aveva seguito una strada tortuosa, Matsuyama aveva percorso una linea retta. Taro era insoddisfatto e pieno di dubbi, lui era realizzato e determinato a proseguire. In definitiva Taro era fragile, lui era forte.

Ecco, aveva cambiato l'oggetto dei suoi pensieri ma aveva finito comunque per provare invidia nei confronti degli altri. Sospirò. Stava diventando davvero una persona meschina.

Quando tornò per controllarlo, Matsuyama lo trovò seduto a fissare il vuoto.

“Non dormi più?” chiese.

“Non ci riesco.”

“Allora possiamo alzarci entrambi, sono quasi le sette. Come ti senti?”

“Non so che dire,” rispose Taro in tutta onestà. “Se non appoggio la testa sul cuscino, il male è sopportabile. Però mi sento ancora nervoso.”

Matsuyama allora gli accarezzò con gentilezza la tempia che non era ricoperta dalla fasciatura. Taro lo lasciò fare. Le sue mani erano calde, i suoi occhi fermi e concentrati, come se il fatto di accarezzargli i capelli fosse un gesto importante. Una volta che le ciocche furono ricadute al loro posto fece per alzarsi. “Vado a prendere qualcosa per la colazione,”disse. Taro gli toccò il braccio. “Resta qui ancora un po', se vuoi.” Le sopracciglia di Matsuyama si inarcarono con aria interrogativa, ma poi si sedette a gambe incrociate sul tatami e rimase in silenzio a tenergli compagnia.

Un raggio di luce iniziò ad illuminare il quadro che stava di fronte a loro. Era uno dei tanti paesaggi che suo padre aveva amato dipingere. Si distingueva dagli altri per i colori chiari e ritraeva una valle innevata rischiarata dalla luce dell'alba.

“Sono le Alpi Giapponesi,” spiegò Taro.

“E' molto bello, ti assomiglia.”

“Davvero?” chiese Taro, stupito dall'affermazione.

“Il colore di quel cielo è così particolare...” Matsuyama si bloccò. “Scusami, sto dicendo delle stupidaggini!”

“No, affatto,” lo rassicurò Taro ma l'altro si era avvicinato come per accertarsi di non essere preso in giro.

Stavolta fu Taro a toccare i suoi capelli, sfiorandogli lo zigomo con il pollice come in un tentativo di carezza. Poteva davvero permettersi tanto? Matsuyama arrossì, Taro lo baciò sulle labbra. Era un bacio timido, al quale Matsuyama rispose con intensità maggiore. Che si trovassero a Hokkaido o a Parigi, nel passato o nel futuro, finché i loro occhi erano chiusi sarebbe stato sempre e ovunque come in un sogno. Ma gli occhi neri di Matsuyama si spalancarono, all'improvviso.

Spinse via Taro, quasi con violenza ed esclamò: “Non dovresti! Hai la fasciatura, e poi sei in osservazione!”

“Sto bene,” replicò Taro un po' risentito: per la sua incolumità quella spinta era stata molto più pericolosa di un'effusione.

“Sei sotto la mia responsabilità”, affermò Matsuyama afferrandogli saldamente le spalle. Taro spinse via le braccia che lo stavano stringendo. Sapeva che Matsuyama non sarebbe arretrato di un solo millimetro. Non c'era alcuna sfumatura nelle sue iridi scurissime. Come in partita, non restava che attaccare. Oppure soccombere.

“Sono consapevole delle mie scelte. Avanti, fammi qualche domanda per sapere se sono capace di intendere e di volere,” disse con freddezza. “Oppure pensi che la botta in testa mi abbia fatto impazzire?”

“Non intendevo questo.”

“Chiudi gli occhi.” Matsuyama lo guardò allibito. “Chiudi quegli occhi e non fare nulla,” ordinò per la seconda volta Taro. “Per favore,” aggiunse.

Matsuyama non fu in grado di dirgli di no. Permise che Taro lo spingesse sulle lenzuola, gli baciasse il collo, gli toccasse l'addome e il torace sollevandogli la maglietta. Quando erano bambini Matsuyama era più alto di lui; crescendo Taro lo aveva quasi raggiunto ma il fisico dell'amico era rimasto più robusto, plasmato da anni di allenamenti in mezzo ad una natura splendida ma inclemente. Era giusto arrogarsi di pensare che il destino lo avesse riservato a lui? Se solo non ci fosse stato Tsubasa! La mano di Matsuyama gli toccò la spalla, lui la afferrò e la bloccò sul futon intrecciando le dita alle sue.

Tsubasa, Tsubasa... Quel nome iniziò a ripetersi con insistenza nella mente. Fu allora che Taro cercò di nuovo le labbra del suo primo capitano, forse ricominciando daccapo...

“Ora basta, smettila!” L'urlo di Matsuyama squarciò ogni pensiero, strappando via indistintamente brandelli di affetto e di desiderio. Quando Taro si riprese, poté vederlo in piedi, furente, i pugni stretti fino a tremare.

“E' per il tuo bene. E per il mio,” aggiunse in un tono più calmo. Negli occhi visibilmente appannati dal piacere si combattevano rabbia e sofferenza.

Taro rimase in terra annichilito, incapace di proferire parola. Possibile che avesse inflitto una ferita a Matsuyama, il ragazzo che tanto si stava prodigando per lui?

Taro restò imbambolato anche quando lui si diresse verso il bagno, quasi barcollante. Poi trovò la forza di raccogliere la testa tra le mani. Quanto gli faceva male! Ma quel dolore era decisamente meritato, non aveva il diritto di lamentarsi.

Iniziò a sentire freddo. Si infilò nuovamente nel futon, ignorando i rumori del quartiere che si stava risvegliando. Si rese conto che sua mente si era svuotata all'improvviso da pensieri e ricordi e che il presente era costituito solo da uno spoglio soffitto attraversato da flebili ombre. Sarebbe bastato scostare la tenda per infliggere loro il colpo di grazia.

 


  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Captain Tsubasa / Vai alla pagina dell'autore: Kourin