Bonjour!
Or dunque, inizio subito
col darvi delle spiegazioni.
Per diverse
ragioni…Negli ultimi giorni ho avuto la febbre e lunedì purtroppo non ho potuto
aggiornare; oltretutto, la Sere sta avendo dei problemi tecnici, quindi The
Kitten and Coyote è fermo al betaggio e non so quando la situazione si
sbloccherà.
Volevo darvi almeno una
delle due storie, spero vivamente di non aver fatto confusione! =)
Spiegata la questione
aggiornamenti, passiamo oltre… Innanzitutto, come sempre, devo ringraziare tutti
voi che leggete, seguite, preferite e soprattutto, le mie care recensitrici (?).
Grazie di cuore a: Madez, Ili91, love mojito, cup of tea, bleberry, Athena14 e
Tallutina.
Passando al capitolo,
avverto che c’è ancora un velo di tristezza, ma i nostri “consolatori” si stanno
mettendo all’opera XD
C’è tantaaaa interazione Kurtbastian
(finalmente, direte voi) e un pizzico di Niff.
Spero vi piaccia!
^-^
Come al solito,
suggerimenti, critiche, idee, consigli, etc.etc. sono i benvenuti.
Buona
lettura,
Elle
<3
I should tell
you
Capitolo
settimo:
“I’m paralyzed, without
you”
I guess it's all alright. I got nothing left inside of my chest, but
it's all alright.
(All Alright – Fun)
New York, martedì 23 ottobre
Nick
grugnì, nascondendo la testa sotto il proprio cuscino. Perché il cellulare di
Jeff stava squillando così presto? Chi diavolo era? Quando si accorse che il
fidanzato stava ancora dormendo profondamente, e che quindi non avrebbe
risposto, rotolò su un fianco, avvicinandosi al biondino.
“Jeff,”
sussurrò con voce rauca ed impastata. “Jeff, tesoro, svegliati. Ti sta
squillando il telefono.”
“Gnn.”
Fu l’unica risposta che ricevette dal fidanzato.
“Dai,
Jeff,” insistette Nick, scrollando il braccio scoperto dell’altro. “Rispondi per
favore. Magari è un’emergenza.”
“Che
ore sono?” strascicò con tono lamentoso Jeff.
“Le
sei.” Rispose Nick dopo aver lanciato un’occhiata alla radiosveglia che teneva
sul comodino.
“Merda,
chi mi chiama alle sei di mattina?”
“Non
lo so, ma per favore rispondi. Quell’aggeggio infernale sta squillando
ininterrottamente da secoli, e francamente mi ha stufato. Voglio tornare
a dormire.”
“Va
bene.” Ancora riluttante, Jeff si levò le coperte di dosso e si alzò.
Barcollante, arrivò al comò, dove la sera prima aveva lasciato il suo cellulare.
“Pronto?”
“Buongiorno,
Sterling!” cinguettò allegro Sebastian.
“’Bastian,
sai che ore sono, vero?” Jeff sembrava irritato dal tono sereno e ben sveglio
dell’amico. Solo perché probabilmente ancora non è andato a dormire, non
significa che gli altri debbano perdere le proprie ore di sonno, pensò
Jeff.
“Le
sei.” Rispose Sebastian, con questo tono insolitamente
esaltato.
“Appunto.
Almeno che tu non sia in punto di morte, perché diavolo mi hai chiamato alle sei
di mattina? Probabilmente sei appena tornato da una delle tue serate, ma noi
oggi abbiamo lezione e potevamo goderci almeno un altro paio di ore di sonno.”
Dopo l’ennesimo grugnito di Nick, Jeff si allontanò, andando in corridoio e
chiudendo la porta della camera da letto alle sue spalle, così che non
disturbasse il fidanzato.
“Fidati,
nessuna soirée ieri sera. Anche se non si può dire che non sia stata una serata
interessante.” Jeff, anche se non lo vedeva, poteva sentire il ghigno
furbo dell’amico.
“Sebastian,
sai che sono già lento di mio. Oltretutto sono le sei di mattina. Se devi dirmi
qualcosa, sbrigati.”
“Bè,
ricordi la telefonata di ieri, vero?” domandò Sebastian.
“Certo
che si. Oggi io e Nick dobbiamo chiamare Wes,”
“Non
ce ne sarà bisogno, temo,” lo interrupe l’amico. “Ieri sera ho fatto visita ad
Hummel, e potrei aver chiarito un paio di cosucce.”
“Sebastian,
ti ricordo che sono le sei. Vai al punto.” Jeff era veramente
assonnato.
“Va
bene, se è la bomba che vuoi, la bomba sgancerò. Blaine ha lasciato
Kurt.”
“Cosa?”
urlò Jeff, ora perfettamente sveglio.
A
quanto pare l’urlo del biondo non aveva svegliato solo lui, ma anche il
fidanzato, che corse spedito fuori dalla stanza da letto, ancora con un occhio
aperto e l’altro no. “Jeff, stai bene? Che succede?” gli chiese, strofinandosi
gli occhi, irritati dal cambio di luce.
“Salutami
Nicky, Jeff.” Sebastian sembrava sempre più divertito dalla situazione e
sicuramente non stava cercando di mascherarlo.
“Sto
bene, piccolo, ma questa non ti piacerà. Blaine ha lasciato Kurt.”
“Merda.”
Fu l’unico commento di Nick. “È Seb al telefono, vero?” Jeff si limitò ad
annuire. “Bene,” proseguì Nick. “Mettilo in vivavoce.”
“Buongiorno
anche a te, Duval.”
“Oh,
non essere così divertito, Smythe. Voglio i dettagli, tutti.” Nick, sveglio da
appena due minuti, aveva già recuperato tutta la sua risolutezza e il suo
pragmatismo, parlando a Sebastian con un tono secco e deciso, che non ammetteva
repliche.
“Dio,
Nick, rilassati ogni tanto,” Nick e Jeff potevano perfettamente immaginarsi
l’amico alzare gli occhi al cielo. “Comunque, visto che è il motivo per cui ho
chiamato, vi racconterò tutto…”
Iniziò
ad aggiornarli sugli eventi della sera prima: dalle liti con Santana, alla
conoscenza di Lizzie, dai risultati accademici di Kurt, ai problemi con Blaine.
“Insomma,
per concludere, abbiamo spiato la videochiamata. Non è stato un bello
spettacolo sarebbe un eufemismo. Per farla breve, Blaine ha lasciato Kurt
per una sua versione più giovane. Versione sicuramente peggiore, visto che
condivide il pool genetico di Thad Harwood. Tutto questo, tanto per farvi
sentire un po’ in colpa, è iniziato proprio la sera della cena a casa tua,
Nick.”
“Merda,”
mormorò Jeff.
“Già,
merda. Hummel si è chiuso in camera, e su consiglio di Heidi abbiamo
deciso di lasciarlo in pace almeno per la serata. Siamo rimasti d’accordo che ci
avremmo pensato oggi. Io sicuramente non mi candido come dama da compagnia,
quindi ho pensato di chiamarvi. Ieri mi siete sembrati così devoti a Faccia da
Checca da farmi venir voglia di vomitare.”
“Quello
probabilmente era dovuto a tutto l’alcool della sera precedente, Seb.” Ribattè
acidamente Nick.
“Fosse
stata l’unica cosa che ho ingoiato l’altra sera,” commentò suggestivamente
Sebastian.
“Ew,
Seb!” si lagnò uno schifato Jeff.
“Ritornando
in tema, vi invio un SMS con l’indirizzo di Hummel, così potete andare ad
aiutare le Lopez a consolarlo. Non credo sia un’esperta in materia. Un po’
d’aiuto probabilmente le farebbe comodo.”
“C’è
un piccolo problema,” lo interruppe Nick. “Noi oggi abbiamo entrambi lezione. Io
ho un test e Jeff ha una conferenza a cui la presenza è obbligatoria. Non
possiamo passare da Kurt fino a domani.”
“Oltretutto,”
continuò Jeff con voce flebile. “Non credo sia l’idea migliore.” Sospirò mentre,
tenendo il cellulare in mano, si avviava in cucina. Ormai si era rassegnato
all’idea di non dormire più per quella mattina, tanto valeva prepararsi un
caffè. “Dopo l’incidente della granita, Kurt e Blaine hanno tagliato i ponti con
tutti noi. Blaine ha cercato di recuperare qualche rapporto, specie quello che
aveva con Wes e David. Kurt ha sempre cercato di rimanere civile con tutti, ma a
parte qualche saluto, qualche formalità, non l’abbiamo praticamente più sentito.
Ti ho detto che addirittura non abbiamo nemmeno più il suo numero di telefono.”
La voce di Jeff era incerta, e sicuramente non nascondeva il suo rammarico per
quella faccenda. “Non ho nemmeno avuto l’occasione di scusarmi
decentemente.”
“Non
l’abbiamo avuta,” lo corresse il fidanzato.
“No,
è come se avessimo fatto passare la cosa. Sai quando hai un litigio e fai finta
di nulla? Il tempo passa e a volte quelle ferite vengono sanate, il rapporto
continua. Altre volte ci si perde completamente. Io e Kurt abbiamo avuto un
rapporto molto particolare, Sebastian. Diverso da quello che io abbia mai avuto
con nessuno. Pur conoscendoci poco, siamo stati l’uno la spalla su cui piangere
dell’altro in quei pochi mesi che ha passato alla Dalton. È come se ci fossimo
trovati all’improvviso, aiutati a risollevarci e poi persi. Non so se il nostro
primo incontro dopo mesi che non ci sentiamo debba avvenire in queste
circostanze. Voglio rivederlo e voglio aiutarlo, ma non penso che una mia visita
a sorpresa oggi possa portare nulla di positivo. Anzi,” Jeff lasciò sospesa la
frase, e si mise a preparare la colazione per sé e per Nick, lasciando il
telefono in mano a quest’ultimo. Sebastian rimase in silenzio: era raro sentire
Jeff parlare con così tanta veemenza, tanta passione, e perché no, anche tanto a
lungo. Nick sospirò, decidendo di porre fine a quel silenzio pregno di imbarazzo
che per un attimo li aveva avvolti.
“Sebastian,
perché non vai tu? Magari parli con Santana e insieme trovate una
soluzione.”
“Certo,”
sbuffò Sebastian. “Io e Satana che discutiamo civilmente per consolare il cuore
spezzato di Lady Hummel. Non suona idiota anche a te questa
frase?”
Jeff
si riappropriò del telefono, e implorò l’amico. “Per favore, Sebastian. Per vari
ed ovvi motivi né io né Nick possiamo aiutare Kurt oggi, ma questo non significa
che non voglia che qualcuno lo faccia. Fallo al posto mio, fallo per me. Vai a
casa loro e prova almeno a parlarci.”
“Jeff,
questa cosa è assurda. Ci odiamo. O al massimo ci odiavamo e ora ci sopportiamo
civilmente. Il punto è che credo di essere l’ultima persona al mondo che
vorrebbe vedere oggi, e inoltre: come diavolo posso io, e sottolineo io,
Sebastian Smythe, stronzo di professione, consolare Hummel? Ci conosciamo a
malapena!”
“A
volte, Seb, è più facile aprirsi con degli sconosciuti, specie se sai che sono
degli stronzi ipercritici e veramente sinceri. Oltretutto, per consolarlo, ti
dico io cosa fare.”
Sebastian
sospirò, maledicendosi per ciò che stava per fare: “Va bene, ma mi dovete una
bevuta dopo questa!”
“Si!,”
esultò Jeff. “Tutto l’alcool che vuoi, Seb. Anzi, organizza già una serata ed
invita anche Kurt. Pago io per tutti. Così magari posso anche riavvicinarmi a
lui.”
“Va
bene, glielo proporrò. Adesso, mi spieghi come devo fare perché Hummel non mi
pianga addosso?”
“Oh,
è semplice,” iniziò Jeff. “Ti bastano due cose: Proust e i muffins ai mirtilli.”
[…]
***************************************************************************
Kurt
fissava il soffitto. L’aveva fissato per tutta la notte. Era steso sul letto a
pancia in su, le braccia piegate a sostenere il capo, lo sguardo sgranato ad
osservare il vuoto. Osservava il nulla, quello stesso nulla che lo avvolgeva e
lo riempiva.
Dopo
che aveva bruscamente terminato la videochiamata con Blaine, era fuggito. Non si
era sentito in grado di affrontare gli altri, di vederli, di parlarci. Non aveva
voglia di essere osservato con sguardi pietosi, né di sentire sciocche parole di
consolazione. Così era scoppiato a piangere e si era rifugiato in camera.
Sono scappato un’altra volta, pensò. Dentro la sua stanza, il suo nido
protetto, si era lasciato andare, aveva sfogato ogni briciola di rabbia, di
risentimento, di tristezza, di paura. Aveva pianto per un tempo infinito, non
riusciva nemmeno a ricordarsi quanto lungo. Aveva pianto finché non si era
sentito intorpidito, insensibile, gli arti flaccidi e la testa pesante. Aveva
pianto fino a svuotarsi di qualsiasi emozione, fino a divenire un guscio vuoto,
fino a quando la sensazione di vuoto l’aveva riempito. A quel punto, aveva
deciso di stendersi, ancora così, coi vestiti della giornata addosso, gli occhi
gonfi e doloranti e il viso bagnato.
Così
come si era steso, si era ritrovato la mattina. Aveva ancora gli occhi gonfi, i
vestiti della mattina addosso, i capelli spettinati, la testa pesante e il corpo
insensibile, ma soprattutto, si sentiva ancora vuoto. Kurt, sempre padrone
severo delle proprie emozioni, Regina di Ghiaccio, come lo chiamava
qualcuno, si era lasciato andare e ora si sentiva allucinato, totalmente e
fastidiosamente alienato. Non provava più nulla. Era alla deriva e non vedeva
appigli.
___________________________________________________________________________
Santana,
pur essendo andata a dormire molto presto, anche quella mattina si svegliò in
ritardo. Senza pensarci due volte, iniziò la solita routine collaudata. Corse al
bagno, si lavò, si truccò in maniera leggera e poi andò in camera a vestirsi.
Solo quando stava uscendo dalla sua stanza per dirigersi in cucina a fare
colazione, la realtà dei fatti la colpì in pieno viso, come una sberla. Kurt non
si era ancora alzato. Troppo presa dal suo ritardo, e dalla voglia di non
sentire più i richiami di Herr H, Santana si era dimenticata completamente degli
eventi della sera prima.
Schiaffeggiandosi
mentalmente, cambiò direzione e si avvicinò alla porta chiusa della stanza di
Kurt. Iniziò a bussare con delicatezza. “Kurt?” domandò con tono dolce. “Kurt,
sei lì dentro?” Non ricevette risposta, così provò ad aprire la porta per
entrare a controllare l’amico, scoprendo però che Kurt l’aveva inchiavata da
dentro. “Kurt? Kurt? Sei sveglio? Rispondimi, per favore!” stava iniziando a
perdere la dolcezza della voce, soffocata da preoccupazione e ansia. “Kurt, devo
andare a lavoro, ma non ti posso lasciare così. Per favore, rispondimi oppure
aprimi.” Ormai non stava più bussando, ma picchiando minacciosamente il legno
della porta. “Kurt, per favore!” supplicò, quasi urlando. “Va bene, ascolta,
vado a fare colazione. Tu rimettiti in sesto, ma prima che esca voglio vederti.
Non ti posso lasciare così.” Osservando con sguardo triste ed affranto la porta,
Santana si voltò per andare in cucina, mentre pensava: Merda, questo è
persino peggio che ascoltare Teenage Dream a tutto volume tutto il
giorno!
In
cucina si preparò velocemente un caffè, finendo in due morsi una semplice
barretta ai cereali. Come diavolo avrebbe fatto? Sapeva che Kurt non avrebbe
aperto la porta, lo conosceva troppo bene: lui e il suo orgoglio. Doveva andare
a lavorare, e anche subito, se non voleva essere licenziata ma, in tutta
coscienza, come poteva lasciare Kurt, in quello stato, a casa da solo? Sapeva
che Kurt era una persona forte e tenace, ma un momento di debolezza capita a
tutti. E se avesse fatto una cavolata? Santana non poteva avere un peso del
genere sulla coscienza. Merda, merda, merda. Con la testa piena di
pensieri, Santana poggiò la tazza sporca nel lavello, gettò la confezione della
barretta nel cestino e si lavò le mani.
Tornò
sui suoi passi, e ricominciò a bussare a quella porta chiusa. “Kurt!” gridò
minacciosamente. “So che mi stai ascoltando. Devo andare a lavorare, ma non me
ne andrò finché non ti avrò visto. Quindi apri questa porta, o giuro che la
sfondo. A Lima Heights Adjacent ci insegnano anche questo!” Aveva deciso di
lasciar perdere dolcezza e comprensione, passando direttamente al suo piatto
forte: le minacce. Mentre cercava di ricordare come scassinare una serratura con
una forcina, i suoi pensieri furono interrotti dal campanello che suonava. Ci
mancava solo un’altra visita a sorpresa.
Oramai
praticamente fumando, Santana andò a rispondere al citofono. “Chi è?” ringhiò
ben poco educatamente. “Satana, aprimi.”
“Smythe?”
domandò Santana, dopo aver riconosciuto la voce.
“Si,
l’unico e il solo.” Santana sbuffò, ma decise di aprirgli
comunque.
Sebastian
salì le scale velocemente ed arrivò davanti al portone di casa Hummel – Lopez,
dove Santana lo stava aspettando a braccia conserte.
“Bando
alle ciance, che ci fai qui?” domandò schietta Santana, senza tanti
convenevoli.
“Buongiorno
anche a te, Lopez.” Rispose sarcasticamente Sebastian.
“Si,
si, quello che è. Ho fretta e voglio delle risposte.”
“Ieri
sera Heidi aveva proposto di rimandare ad oggi qualsiasi intervento. Ho chiamato
Nick e Jeff, come avevo detto, ma purtroppo oggi sono occupati. Jeff mi ha
praticamente implorato di venire al posto suo, così, eccomi qua!” Sorrise
ironicamente, aprendo le braccia per mostrarsi.
“Si,
ti vedo. Cos’hai in mano?” chiese Santana, indicando col capo gli oggetti che
Sebastian aveva con sé.
“Secondo
Jeff, la miracolosa cura alla depressione di Hummel.”
Santana
rimase un attimo in silenzio, poi si avvicinò minacciosamente a Sebastian. “Ti
lascio qui solo perché sono in ritardo per il lavoro e non so come altro fare.
Kurt si è chiuso in camera e non esce. Non posso lasciarlo a casa da solo,
quindi ti faccio entrare. Ti avverto, però, se torno a casa e Kurt o
l’appartamento non sono nello stesso stato in cui li ho lasciati, giuro che ti
strappo i testicoli a morsi e poi te li faccio ingoiare. Mi hai capito?” chiese
Santana, sibilando, mentre col dito spingeva contro il petto di
Sebastian.
“Santana,
calmati, vengo in pace. Sono qui solo per fare un favore ad un amico.” rispose
con tranquillità Sebastian. “Giuro che ti faccio ritrovare casa tutta intera e
Hummel spero persino meglio di come lo lasci adesso.”
“Non
mi fido, ma come ho già detto, ho fretta. Non starò qui a chiederti perché non
vai mai all’università, perché ti sei immischiato in questa faccenda, perché sei
qui per aiutare una persona che detesti. Non lo so e al momento non lo voglio
sapere; ci sarà tempo stasera per riparlarne. Per adesso ti basti sapere che la
stanza di Kurt è la porta sulla destra, il bagno quella centrale, quella a
sinistra è la mia stanza e per te è off limits, e che in cucina ci sono acqua e
birra e anche qualche snack. Li trovi nascosti nello scaffale più in alto; Kurt
non vuole che mangi schifezze, ma ogni tanto ne ho veramente bisogno.”
Santana
rientrò velocemente in casa, corse in camera e recuperò giacca e borsa. Senza
salutare nessuno, volò fuori e si chiuse la porta alle spalle, lasciando
Sebastian ancora sull’uscio, divertito e imbarazzato allo stesso
tempo.
Il
ragazzo si guardò intorno, osservandosi intorno curioso. Era ancora incerto sul
da farsi. Kurt si era chiuso in stanza, chiuso in se stesso. Come poteva
riuscire a parlarci, a comunicarci? Decise di non farsi troppe
domande, e mettere subito in pratica i consigli di Jeff. Lasciò la propria
giacca sul divano e prese con sé il gli oggetti che aveva portato. Seguì le
istruzioni di Santana e si avvicinò alla prima porta a destra. Dall’altra parte
sembrava non venire nessun rumore.
Sebastian,
così, si lasciò scivolare contro quella porta chiusa, sedendosi a terra, le
ginocchia rannicchiate al petto. Prese in mano il libro che aveva portato con
sé, cercò la pagina che aveva segnato come quella giusta e, schiarendosi la
voce, iniziò a leggere:
*
(nda) “M’andò a prendere uno di quei dolci corti e paffuti, chiamati
Maddalene, che sembrano lo stampo della valva scanalata di una conchiglia di San
Giacomo. E poco dopo, sentendomi triste per la giornata cupa e la prospettiva di
un domani doloroso, portai macchinalmente alle labbra un cucchiaino del tè nel
quale avevo lasciato inzuppare un pezzetto della maddalena. Ma appena la sorsata
mescolata alle briciole del pasticcino toccò il mio palato, trasalii, attento al
fenomeno straordinario che si svolgeva in me. Una deliziosa voluttà mi
aveva invaso, staccata da qualsiasi nozione della sua causa. Di colpo aveva reso
indifferenti le vicissitudini della vita, inoffensivi i suoi disastri, illusoria
la sua brevità, agendo nello stesso modo dell’amore, colmandomi di un’essenza
preziosa: o meglio, quell’essenza non era dentro di me, IO ero quell’essenza.
Avevo smesso di sentirmi mediocre, contingente, mortale. Da dove era potuta
giungermi una gioia così potente? Sentivo che era legata al sapore del tè e del
dolce, ma lo superava infinitamente, non doveva condividerne la natura. Da dove
veniva?” La voce di Sebastian, mentre leggeva quel pezzetto, quella
briciola di testo, era melodiosa e dolce, lenta e ponderata. Il
ragazzo si fermò un attimo; dalla stanza sembrava non arrivare risposta, ma
Sebastian aveva percepito un fruscio, un movimento, ed era certo che Kurt lo
stesse ascoltando. Riprese così fiato e ricominciò a
leggere.
“Sentivo
che era connessa col gusto del tè e della maddalena. Ma lo superava
infinitamente, non doveva essere della stessa natura. Da dove veniva ? Che senso
aveva ? […] E’ chiaro che la verità che cerco non è in essa, ma in me. […]
Depongo la tazza e mi volgo al mio spirito. Tocca a lui trovare la verità. […]
All’improvviso il ricordo è davanti a me. Il gusto era quello del pezzetto di
Maddalena che a Combray, la domenica mattina, quando andavo a darle il
buongiorno in camera sua, zia Leonia mi offriva dopo averlo inzuppato nel suo
infuso di tè o di tiglio…."
Sebastian sentì il rumore di una serratura che girava, così chiuse
il libro e agilmente si mise in piedi. La porta si aprì, facendolo ritrovare
faccia a faccia con Kurt. Per un momento si osservarono. L’azzurro inumidito da
lacrime non piante degli occhi di Kurt penetrò intensamente quelle gemme dure,
ma brillanti che erano gli occhi di Sebastian. Il primo stava cercando di
capirlo, di giudicarlo, di comprendere le sue azioni. Sebastian sostenne il suo
sguardo con fierezza e, dopo quelli che sembravano giorni più che secondi,
sorrise. Si abbassò e raccolse il sacchetto che aveva portato con sé.
“Muffins
ai mirtilli.” disse con semplicità, allungando all’altro la
confezione.
Kurt
afferrò quel sacchetto, quell’offerta di pace, con riluttanza. Lo aprì e
chiudendo gli occhi, inspirò il delizioso profumo che ne veniva fuori. Per Kurt
il tempo si fermò, facendolo sentire di nuovo avvolto in un abbraccio caloroso,
la sensazione d’affetto e amore incondizionato a riempirgli il cuore. Sebastian
lo osservava con occhi curiosi e sinceri, spettatore di qualcosa di
magico.
“Come
facevi a saperlo?” sussurrò Kurt, il cui naso era ancora seppellito in quel
semplice sacchetto di carta.
“Jeff.
E in realtà sono ammirato, Hummel. Come diavolo sei riuscito a spiegare Proust a
Sterling? Io, e sottolineo io, ho speso mesi cercando di aiutarlo in letteratura
francese e il massimo che sono riuscito ad ottenere è stata una C. Mi stupisci.”
Il suo tono di voce sembrava genuino, per una volta non sferzante o cattivo, ma
verace.
“Jeff
non è poi così stupido come sembri pensare, Smythe. È una persona molto
sensibile, e allo stesso tempo molto semplice. Non puoi spiegargli un’opera così
complessa con parole da erudita o frasi da Accademia della Crusca.” Kurt scrollò le
spalle, richiudendo il sacchetto che teneva ancora in mano. “Io non ho cercato
di fargli una lezione, gli ho mostrato concretamente il significato delle parole
di Proust.”
Kurt
si mosse, facendo segno a Sebastian di seguirlo. Entrarono in cucina, e mentre
Kurt iniziava a preparare del caffè, dopo aver poggiato i muffins su un vassoio,
Sebastian si accomodò al piccolo tavolo di quella stanza. Lo stesso tavolo su
cui era ancora poggiato il computer di Santana, lì dalla sera prima, dopo essere
stato il capro espiatorio della rabbia di Kurt. Sebastian, pensando non fosse
legato a ricordi piacevoli, lo spostò, appoggiandolo sulla sedia accanto a lui e
accostando poi quest’ultima sotto il tavolo, così che potesse nasconderlo. Kurt
si accorse di cosa stava facendo Sebastian e tentò di sorridergli,
riconoscente.
“Sai,”
iniziò con tono nostalgico Kurt. “Io e mamma avevamo una
tradizione.”
“Avevamo?”
chiese Sebastian, interrompendolo.
Kurt
abbassò per un secondo lo sguardo, prima di rialzarlo. “Mia madre è morta,
Sebastian. È morta quando avevo otto anni,”
Sebastian
trasalì, e il suo sguardo si ammorbidì. Non disse nulla, però. Sapeva che era
inutile sentirsi dire ‘Mi dispiace’ o ‘Condoglianze’ o qualsiasi
tipo di frase fatta e convenzionale. Lo sapeva fin troppo bene. Così, si limitò
a tacere, lasciando continuare Kurt.
Quest’ultimo
sembrava grato di non essere stato interrotto. “Ogni domenica,
quando eravamo tutti e tre a casa, mi veniva a svegliare prestissimo, mentre
papà ancora dormiva. Scendevamo le scale, ridendo, e cercavamo di fare piano, la
maggior parte delle volte invano.” Kurt sembrò allontanarsi da quella cucina,
perso in ricordi lontani. Un mite e tenero sorriso gli incurvava le labbra
piene. In quel momento, alla luce soffusa della mattina che stava iniziando,
l’espressione del volto pacifica, gli occhi chiusi - Sebastian pensò che Kurt
assomigliasse ad un angelo. Pensiero per il quale si sarebbe pentito in seguito;
al momento voleva ascoltare quella storia, quel racconto così personale, ma così
importante, da regalare a Kurt un’espressione serena anche durante la
tristezza.
“Entravamo
in cucina ed iniziavamo a preparare la colazione. Era così casalingo, così
abitudinario, così rilassante – cantavamo insieme, mentre cucinavamo. Negli anni
abbiamo provato tantissime ricette, ogni settimana sperimentavamo qualcosa di
nuovo. Era il nostro momento speciale; solo noi due a condividerlo.” Kurt,
scrollando le spalle, sorrise mestamente e si asciugò una lacrima che gli era
sfuggita. Si voltò verso il bancone, dando le spalle a Sebastian, mentre finiva
di preparare il caffé. Armeggiava con tazze e cucchiaini, ma continuava a
parlare. “Durante l’inverno dei miei otto anni, mamma si ammalò. Leucemia. La
forma acuta è rarissima negli adulti, l’incidenza ancor meno alta nelle donne.
Eppure,”
Si
avvicinò al tavolo con due tazze di caffé in mano, sedendosi di fronte a
Sebastian. “Eppure fu così. Non abbiamo riconosciuto subito i sintomi,
scambiandoli all’inizio per qualcosa di più banale. Quando ha iniziato la
chemio, i medici ci avevano avvertiti che forse non sarebbe stata abbastanza.
Mamma, da brava Hummel quale era, quando ha visto che i risultati non c’erano,
ha chiesto di interrompere le terapie e di poter stare a casa. Tutti hanno
provato a dissuaderla, ma lei era così tenace, così testarda; e sinceramente non
la posso biasimare per la scelta che ha preso. L’ultima domenica che abbiamo
cucinato insieme era talmente debole che ero solo io a cantare. Sapeva che
probabilmente non avremmo avuto un altro momento così, quindi mi lesse quello
stesso brano che mi hai letto tu. Mi spiegò Proust, così come si può spiegare ad
un bambino, e mi disse di ricordarmi di quei muffins ai mirtilli che avevamo
preparato insieme. Sarebbero stati il ricordo eterno delle nostre domeniche
mattina, delle nostre colazioni. Di lei.” Kurt ormai stava piangendo, lacrime
miti che gli rigavano il volto. “Il martedì mattina non si svegliò. La settimana
dopo la sua morte, ogni santissima mattina, mi alzavo ore prima di dover andare
a scuola e cucinavo. Ho preparato qualsiasi tipo di dolce, ma mai i muffins ai
mirtilli. Con il passare del tempo credo di aver imparato a scendere a patti con
la realtà. Così, quando avevo sua nostalgia, preparavo i muffins. Pian piano,
ogni volta che mi sentivo triste, o abbattuto, o nostalgico, tornavo a
cucinarli. Ogni volta che avrei avuto bisogno di mamma, del suo abbraccio, delle
sue parole, della sua presenza, preparavo muffins. Anche Rachel mi ha raccontato
di qualcosa di simile. Associa la tristezza alla sete, perché da piccola, quando
era triste, i suoi papà usavano portarle un bicchiere d’acqua. Non è proprio la
stessa cosa, ma comunque,” Kurt terminò asciugandosi le lacrime dalle gote e
iniziando a bere il suo caffé.
Sebastian
era ammutolito. Durante tutto il racconto dell’altro era rimasto in religioso
silenzio, e sembrava che non riuscisse a romperlo. Quanto aveva sottovalutato
questo ragazzo l’anno precedente. I suoi stessi pensieri lo stavano
spaventando, lo lasciavano dubbioso, in un limbo grigio. Pur di non mostrarsi
vulnerabile, pur di non mostrare le sue stesse cicatrici, i suoi ricordi, si
obbligò a scrollarsi di dosso quella montagna di confusione che lo opprimeva. Il
racconto di Kurt, per poco tempo, l’aveva riportato nello stesso luogo, nello
stesso stato mentale da cui gli ci erano voluti anni per scappare. Non poteva
permetterlo. Ricomponendosi, si obbligò a sorridere brevemente e in maniera
imbarazzata e imbarazzante all’altro, prima di affondare il proprio naso nella
tazza di caffè, nascondendo così l’espressione contrita del suo
viso.
Kurt
si limitò ad alzare un sopracciglio, osservando l’arcobaleno di emozioni che il
viso di Sebastian aveva dipinto. Non disse nulla, mentre continuava a
sorseggiare il suo caffè.
Dopo
qualche minuto di silenzio, Kurt decise di romperlo, ponendo a Sebastian la
domanda che lo tormentava dalla sera prima. Senza pensarci due volte, sputò il
rospo. “Perché sei qui, Sebastian?”
Sebastian
mise giù la tazza, e osservò per un momento Kurt. Tentò di sorridergli e con
tono incerto gli rispose: “Perché me l’ha chiesto Jeff?”
Kurt
scosse il capo. “Il vero motivo.”
Sebastian
sospirò, allungandosi indietro sulla sedia. “Sinceramente non lo so. O meglio,
lo so, ma non lo capisco.”
Kurt
aggrottò le sopracciglia, confuso, ma non spinse oltre, aspettando che l’altro
continuasse a parlare.
“Sai,
l’anno scorso, dopo che Dave ha tentato di suicidarsi, ero serio nelle mie
scuse. Non dicevo tanto per dire, come sono sicuro abbiate creduto voi. Ero
arrivato veramente ad un punto di rottura, ad un punto in cui lo scherzo non mi
faceva più ridere. Nulla mi faceva più ridere.” Sebastian chiuse gli occhi,
cercando le parole giuste per spiegare i propri pensieri e le proprie emozioni,
senza rivelare troppo. “Il suicidio di Dave ha toccato un nervo scoperto.
Sentivo veramente il bisogno di cambiare. Sono sempre rimasto acido, sarcastico
e stronzo, ma non più gratuitamente, e soprattutto, non più con cattiveria. Ieri
mattina, quando ci siamo scontrati al bar, la tua reazione mi ha realmente
confuso e incuriosito. Non era da te. Volevo veramente capire cosa c’era dietro.
Dammi pure dell’impiccione, del pettegolo, tutto ciò che vuoi, ma ieri sera mi
sono presentato qui spinto dalla curiosità, non per secondi fini. Quando poi ho
visto quanto dolore tu abbia provato dopo che Blaine ti ha lasciato, bè, mi sono
sentito una merda.”
“E
tu che c’entri?” lo interruppe Kurt, confuso.
“E
se l’anno scorso fossi veramente riuscito a convincere Blaine a venire a letto
con me? Per me sarebbe stata una botta e via, solo una scopata come tutte le
altre, ma sarei stato la causa di quello stesso dolore che ho visto ieri sera.
Un anno fa probabilmente non me ne sarebbe importato nulla, ma ieri sera mi sono
sentito veramente in colpa.”
Sebastian
sorrise, continuando. “So che ci siamo dichiarati a vicenda di non piacerci,” Al
ricordo, persino a Kurt scappò un sorrisetto. “Cerca di vedere le mie azioni di
oggi come il mio modo per redimermi, per scusarmi. In fondo non ho fatto nulla
di che. Con una semplice azione, però, ho cancellato un po’ di insulti che ti ho
rivolto gratuitamente l’anno scorso e allo stesso tempo ho fatto un favore ad un
mio amico.” Sebastian scrollò le spalle, e indicò a Kurt con un gesto del capo
di aver finito.
Kurt
sospirò, guardandosi intorno. “Non devi cancellare nessun insulto. Come hai
detto tu ieri sera, anch’io sono uno stronzetto: ti ho tirato tanta merda quanta
me ne hai lanciata tu. Se vuoi far ammenda per tutte le offese gratuite nei
confronti degli altri, accomodati pure. Con me, però, non hai nulla da
redimere.”
Di
nuovo il silenzio li avvolse, mentre entrambi ponderavano le parole dell’altro.
“Oggi
non vai all’università, vero?” chiese Sebastian dal nulla.
“Non
credo. Il progetto con la Dubois inizia lunedì e voglio essere ben preparato per
lavorare con lei. Le lezioni di questa settimana non sono nulla di importante,
posso mettermi in pari da casa. Credo che mi prenderò una settimana di pausa.
Tu?”
“Io
posso sempre saltare,” rispose Sebastian, scrollando le spalle. “Lo facevo anche
alla Dalton. Spesso non seguivo le lezioni, ma non venivo mai ripreso a causa
dei miei voti. L’università dà ancora più libertà: credo di essere andato a
lezione solo il primo giorno. Mi sono comprato tutti i libri indicati sulle
liste delle varie materie, e studio a casa.”
“Un
piccolo genio.” Commentò sarcasticamente Kurt, mentre si alzava per mettere le
tazze che avevano usate nel lavello. “Allora, cosa volevi propormi?” Kurt alzò
un sopracciglio. “Mi hai chiesto se oggi ero libero, cosa volevi
proporre?”
“Cosa
fai quando sei triste?” rilanciò Sebastian.
“Mmm,
gelato e film Disney?” rispose dubbioso Kurt.
“Wow,
abbattiamo lo stereotipo.” Rispose Sebastian con tono ironico. Dopo di che si
alzò e andò a recuperare il vassoio su cui Kurt aveva poggiato i muffins. “Non
abbiamo il gelato, ma abbiamo i muffins. Ti avverto però che gli unici film
Disney che posso sopportare sono Mulan, Hercules e Aladino.” Sebastian si
diresse in salotto, lasciando dietro si sé Kurt, che stava cercando di
interpretare le scelte dell’altro.
“Sono
i film in cui il protagonista maschile è senza maglietta!”
“Esatto.”
Ghignò Sebastian.
Kurt,
senza nemmeno accorgersene, con naturalezza, scoppiò a ridere, dimentico per un
attimo di tutto ciò che era successo, riempiendo, almeno un po’, quel vuoto che
sentiva dentro di sé dalla sera prima.
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Il
testo che legge Sebastian è un piccolo estratto dal primo volume de “À la
recherche du temps perdu”, ovvero “Du côté de chez Swann”, di
Marcel Proust. La traduzione, ovviamente, non è opera mia. L’interpretazione del
testo che è scritta qui è molto semplificata, per ovvie ragioni, rispetto
all’interezza del pensiero dell’autore. Non sono una critica letteraria, né mi
voglio spacciare per tale; il testo è usato solamente a fini narrativi.