Cari lettori, ecco qui il mio dodicesimo capitolo. Voglio
rassicurarvi ed annunciarvi che intendo scriverne soltanto altri tre, al
massimo quattro. Tra poco lo strazio sarà finito! ^____^ Scherzo: in realtà
spero che questa storia vi piaccia.
In ogni caso, voglio avvisare che questa fanfiction
sarà conclusa: potrò anche metterci
un po’ ad aggiornare (dai, sto migliorando: solo due mesi dall’ultimo capitolo
pubblicato!), ma mi impegno formalmente a finirla, perché questo lavoro
significa molto per me. Grazie a questa storia e al sito di Erika ho conosciuto
delle persone meravigliose, che altrimenti non avrei mai potuto incontrare (sì,
Vale e Eli, sto parlando proprio di voi! ^^). Quindi è doveroso che questo
traguardo venga raggiunto.
Ringraziamenti personali:
MICKYROCK: sono molto contenta che la storia ti piaccia! ^___^
Beh, ho cercato di mantenere le personalità il più possibile inerenti
all’universo Rowlinghiano e spero di esserci riuscita. L’unico personaggio con
cui mi sono permessa di prendere delle libertà è Theodore Nott, semplicemente
perché
VALE: come al solito mi fai arrossire, amica mia! ^////^
Sapere che il mio lavoro ha la tua approvazione mi rende felicissima!!
Dopotutto, sei una scrittrice quasi-professionista, no? ^___- Ho accontentato
la tua richiesta e anche in questo capitolo c’è una scena con Ted e Ginny, a
mio avviso molto carina. La signorina Raine ha un ruolo di tutto rispetto in
questo capitolo, ma ti avviso fin d’ora che la prossima volta che la rivedremo
sarà nell’Epilogo, che sta arrivando a grandi passi! Pare proprio che sia
arrivata quasi alla conclusione: pochi capitoli e potrò mettere la parola fine
a questo lunghiiiiiiiiissssimo lavoro… Che dire ancora? Grazie come al solito e
goditi il capitolo! W LONDRA!!!!
N.B. Se
qualcuno di voi lettori avesse bisogno di rinfrescarsi la memoria, vada al
capitolo 10: un riassunto chiarirà loro le idee! ^^
Ah, tra
parentesi, non ho avuto il tempo di aggiungere questa nota al capitolo
corrispondente (il nono), ma mi hanno fatto notare che Macha non è esattamente
una dea della guerra. Vi prego di scusarmi, ma ho trovato l’informazione in un
sito di mitologia celtica e purtroppo non sono molto ferrata in materia (sono
nettamente migliore in mitologia greca!).
In ogni caso,
vorrei sottolineare che ogni riferimento al Guardiano e all’Anello di Matra
sono solamente frutto della mia invenzione! ^___^
E ora, buona
lettura!
Capitolo dodici
“Silenzio
prima di nascere,
silenzio
dopo la morte.
La
vita è puro rumore
fra
inesorabili silenzi.”
(Isabel Allende)
Il ricordo di
quei momenti è indelebile nella mia mente…
Gli incantesimi giungono da ogni direzione, e
qualcuno la sfiora lasciandole lievi bruciature. Le esplosioni degli
incantesimi andati a vuoto coprono ogni altro rumore. Vede gli altri e li
raggiunge, trovando riparo dietro un container.
… ricordo
l’ansia…
Il Capitano Kendall sta trasmettendo i dati e la
richiesta di aiuto. Gli altri si sono organizzati per bloccare l’offensiva dei
nemici.
… dovevamo
cercare di guadagnare tempo in attesa dei rinforzi. Il Colonnello era convinto
che Bruce sarebbe riuscito a liberarsi da solo…
Si mettono in posizione. Raine deve coprire le spalle
ad Arden, mentre lui tenta di far crollare una pila di container per creare una
barricata.
… le mani mi
tremavano come se, di colpo, fossi invecchiata di cent’anni…
Sbucano dal nascondiglio tutti insieme. Ma nuovi
loschi figuri sono comparsi dalle ombre del magazzino: sono troppi. Il
Colonnello Ligget non si perde d’animo ed incita alla battaglia, sferrando un
potente sortilegio contro i nemici. Come un sol uomo, anche gli altri si
lanciano nel combattimento, i visi deformati dalla concentrazione.
… avrei
voluto seguirli, ma le gambe non volevano muoversi…
Nessuno si è accorto che Raine è rimasta indietro.
Lei li guarda e non riesce a fare un passo. Il fragore della battaglia la
paralizza. Si nasconde di nuovo dietro il container, trattenendo lacrime amare.
… mi sentii
così vile…
All’improvviso, una presenza al suo fianco. Si
volta agghiacciata e pronta ad attaccare seguendo l’istinto, ma trova solo un
viso familiare.
… Bruce…
Il Tenente Morgan è di fronte a lei. È ansante per
l’adrenalinica corsa che l’ha portato fin lì. L’unico segno che mostra la
passata prigionia è un taglio insanguinato sul sopracciglio. Un rivolo di
sangue scende a delineargli il lato destro del volto: il taglio è recente.
… mi sorrise…
“Va tutto bene, piccola. Tra poco ce ne andiamo.”
… buffo come
pensò subito a rassicurarmi, quasi non fosse lui ad aver bisogno di essere
salvato, quasi i nostri ruoli si fossero invertiti…
Raine rabbrividisce ed annuisce con la testa.
“Te la senti di combattere?”
“N-No.”
“Allora, passami la bacchetta e rimani nascosta.”
… solo una
vile codarda…
Lo guarda combattere assieme al Colonnello e agli
altri capitani e pensa che la bacchetta sta bene là dove sta e non tra le
proprie mani.
Controlla la porta, aspettando con trepidazione
l’arrivo degli altri.
Quasi abbiano sentito le sue preghiere, gli Auror
irrompono nel deposito. Tra di loro scorge Philip.
… pensai che
avrei dovuto dargli retta…
Il loro sopraggiungere è provvidenziale. Il numero
di nemici si riduce notevolmente, grazie all’atteso supporto. La sorte pare
volgere a favore degli Auror e Raine si rilassa inconsciamente.
… che
stupida…
Non si accorge dell’avvicinarsi dell’uomo, finché
non se lo ritrova davanti con la bacchetta spianata. Lui alza il braccio per
lanciarle contro un incantesimo silenzioso. Lei chiude gli occhi e si scosta
bruscamente, seguendo l’istinto.
Un dolore intenso le percorre tutto il braccio fino
ad arrivare al cervello. Apre gli occhi e si vede l’arto insanguinato. Respira
male: è spaventata.
L’uomo si avvicina di nuovo ed anche questa volta
Raine agisce d’istinto: scaglia la gamba verso le caviglie del criminale per
farlo cadere. Lo coglie alla sprovvista. Lui perde la bacchetta. Furibondo, si
lancia verso di lei e, nonostante lei cerchi di difendersi, le mani riescono a
raggiungerle il collo.
… sentii la
gola chiudersi, i polmoni invocare disperatamente aria e la mia bocca emettere
rantolii raccapriccianti… mi sembrava che la vita mi stesse sfuggendo dalle
mani, mentre mi dibattevo con sempre meno forza… pensai che fosse tutto finito…
“Raine! Stupeficium!”
… dopo
quell’incantesimo urlato, un’ondata d’aria trovò la via verso i miei polmoni e
mi parve di essere leggera come un palloncino…
Philip corre al suo capezzale, facendola alzare
lentamente.
“Sei ferita.”
“Non è niente.”
Raine fa fatica a parlare e non lo guarda negli
occhi.
L’espressione del ragazzo è severa.
“Ti porto al San Mungo: la ferita è profonda.”
“Non è niente.”
“Raine.”
… sapevo che
era arrabbiato e sapevo anche che tutto quello che mi aveva detto era giusto…
ma non ebbi la forza di infrangere anche
gli ultimi frammenti di orgoglio rimasti…
“Dodget, che stai facendo? Il Capitano Weasley ha
bisogno di te sul lato destro.” La voce di Bruce li fa trasalire.
“Ma, tenente, Raine è ferita…”
“Me ne occupo io, Dodget. Tu vai.”
Riluttante, Philip si allontana. Bruce lo guarda
andarsene e poi le rivolge un sorriso incoraggiante.
“Andiamo.”
… e quello fu
l’inizio della fine…
L’aiuta ad alzarsi e poi le controlla il braccio.
“Te la senti di Smaterializzarti?”
Raine annuisce brevemente.
Un incantesimo si infrange con violenza a pochi
passi da loro.
“È meglio se usciamo di qui.”
Bruce la guida verso l’uscita del magazzino.
“Ma il Colonnello…?”
“Mi ha detto lui di portarti via.”
“Oh.”
Raine non ha neanche il tempo di pensare a quanto
possa aver deluso il Colonnello, ché un uomo si frappone tra loro e la via di
fuga.
… Slen…
Il volto è tumefatto, come se qualcuno lo avesse
preso a pugni. Per la prima volta da quando Raine l’ha incontrato, non ha la
sigaretta in bocca. In compenso, una strana luce gli arde negli occhi.
“Bruce, Bruce, Bruce.” sogghigna, cantilenando.
“Vuoi già abbandonare la festa?”
Il viso dell’Auror cambia espressione: si fa duro,
spigoloso, aggressivo. “Togliti di mezzo.”
“Oh, e porti via anche la cara Raine…” Slen pare
non ascoltarlo.
“Togliti di mezzo.” ringhia nuovamente Bruce.
Raine trema.
… i loro
sguardi si sfidarono, emettendo senza remore tutto l’odio che provavano per
l’avversario…
Il ghigno di Slen si allarga. Il volto di Bruce si
incupisce. Raine suda freddo.
Poi…
La mano di Slen si alza, bacchetta in pugno. Il
corpo di Bruce si tende. Raine allarga gli occhi.
… tutto
accadde nel giro di pochi attimi… quasi non mi resi conto di ciò che era
successo… venni scaraventata a terra con forza ed atterrai sul braccio contuso…
il dolore mi annebbiò la vista…
Un tonfo accanto a lei la fa sobbalzare. Gira
lentamente la testa e…
… Bruce era
riverso a terra… gli occhi sbarrati…
“Bruce!” singhiozza, terrorizzata. Si avvicina
carponi e gli prende la testa e se la poggia in grembo. Il volto è esangue, a
parte la striscia vermiglia che gli deturpa lo zigomo destro e le labbra arrossate
da nuove gocce di sangue. “Bruce…”
… per un
attimo parve guardarmi, vedermi… gli occhi erano increduli, sconvolti… sembrava
chiedermi “perché?”…
Ancora la guarda, mentre dalla bocca sfugge un
gorgoglio sofferente. Gli occhi si offuscano. Il volto si indurisce,
consolidando le sue fattezze. La vita lo ha abbandonato.
Raine è impietrita. Non riesce a crederci. Stringe
a sé il corpo morto, convulsamente.
… era così
pesante… così pesante…
Attorno a lei la battaglia continua, ma Raine non
sente nulla. Si dondola avanti ed indietro sui talloni, come a voler cullare
quell’uomo che tanto ha fatto per lei, quasi a voler credere che stia solo
dormendo.
… desideravo
che si rialzasse e mi dicesse che non era successo nulla, ma lui non si
muoveva…
Non si accorge di piangere, finché le lacrime non
bagnano il viso di Bruce, scolpito in quell’istante di incredula sofferenza.
…continuavo a
fissarlo, scossa, e pensavo alla sua famiglia… immaginai il viso di sua moglie
quando le avrebbero dato la notizia della sua scomparsa… immaginai i visi dei
suoi figli…
Poi una fragorosa risata la scuote. Slen ride.
Fissa il corpo senza vita dell’Auror e vi sputa sopra il suo disprezzo. “Che
idiota!”
Raine alza la testa di scatto, assottigliando gli
occhi. Un profondo brontolio le fa vibrare la gola.
Ma Slen non se ne accorge. Continua a ridere e
ridere.
Il brontolio diventa un ringhio vero e proprio.
… non avevo
mai percepito la presenza dell’ “altra me” in modo così poderoso… spingeva con
urgenza contro le pareti del mio corpo, fomentata dalla rabbia cieca che
provavo verso quell’assassino… e io… non le imposi nessun freno…
Raine
si accovaccia, dopo aver appoggiato delicatamente Bruce a terra.
“Alterius spirite, te invoco.” latra con voce
cavernosa, non sua.
Le
parole le scivolano attraverso la mente, inibendola in una sorta di torpore. Il
suo corpo viene scosso da un tremito lieve, mentre lunghi peli robusti la
ricoprono, il viso si allunga ed affina, le unghie lasciano il posto agli
artigli, la coda spunta per bilanciare il suo corpo rimpicciolito e temibili
zanne aguzze premono sulle labbra per saggiare il gelo scivolato all’improvviso
nel magazzino.
… vidi Slen
arretrare, sbalordito… il panico aveva raggiunto i suoi occhi… percepii il suo
terrore… questo mi diede lo slancio per aggredirlo…
Slen cade sotto il peso della bestia ringhiante,
perdendo la bacchetta, e ruzzola sul duro pavimento impolverato. La bestia sa
che ha paura: la sente, la odora. E ne gode.
L’uomo cerca di spingerla via, ma lei è possente e
rabbiosa. Lui ha perso la bacchetta e tenta di combatterla a mani nude, anche
se sa che è una lotta impari. Poi vede la zampa insanguinata ed imprime nel
pugno tutta la sua forza, tentando il tutto per tutto.
La bestia uggiola di dolore, perde la presa. Lui si
rialza. Ma lei è lesta e lo atterra nuovamente, ancora più inferocita.
Slen sente sul viso le zaffate di alito caldo che
escono dalle zanne del lupo. Guarda i suoi occhi furiosi e, stranamente, tutt’a
un tratto si sente calmo. “Uccidimi.” dice semplicemente.
… ci pensai
sul serio… l’istinto animalesco mi urlava di affondare le zanne in quel collo
pallido… di assaggiare il sapore caldo e vischioso del sangue…
“Forza, uccidimi.” la incita lui, sogghignando
lievemente. “Non è questo che vuoi?”
… respiravo a
fatica… frenando la parte più feroce di me… tentando di ragionare… di tornare
lucida…
Raine ringhia, facendo fremere le corde vocali e
scoprendo ancora di più le zanne. L’istinto di attaccare viene frenato
dall’istinto di ritrarsi, e così rimane ferma, incapace di decidere.
All’improvviso Slen ride. I suoi occhi brillano malvagi. “È così divertente.
Così spassoso. Hai la possibilità di lavare nel sangue il tuo senso di colpa ed
ancora esiti.”
Il lupo lo fissa, aspettando che si spieghi.
Lui sogghigna. “L’incantesimo era per te, non per
lui.” Il suo ghigno spazia ancora di più nel suo viso scarno. “Sei responsabile
quanto me della sua morte.”
Raine allarga gli occhi.
… no… no… no… no!...
…
“NO!”
Raine si svegliò di soprassalto, con il fiato
corto. Si alzò a sedere sul letto, scostandosi dal volto sudato i capelli
appiccicatisi alle guance e alla fronte.
Era solo un sogno. Anzi, un incubo.
No, si corresse nuovamente. Tutto quello era stato
reale, là al magazzino del porto…
Non ricordava di essersi addormentata, ma
probabilmente era stato l’effetto dei tranquillanti che le avevano
somministrato per curarle il braccio ferito. Non sapeva nemmeno che ore erano.
Probabilmente notte, a giudicare dalla vista fuori dalla finestra. O, forse,
l’avevano incantata per permetterle di dormire.
Rabbrividì visibilmente, sentendo la scia umida di
una goccia di sudore raffreddarsi contro la pelle ardente di febbre. Si coricò
nuovamente, aggiustando con le mani le coltri spiegazzate e disordinate.
Fissò il soffitto, bianchissimo anche nella
penombra, della sua stanza al San Mungo.
Inevitabilmente, il suo pensiero corse all’incubo
appena avuto. I volti erano più grotteschi e i contorni più sfumati, ma le
sensazioni erano l’esatta replica di ciò che aveva provato.
“Bruce…” mormorò, mentre la vista le si appannava
ed il labbro inferiore tremava.
Quando gli altri l’avevano raggiunta, l’avevano
separata da Slen Dyce e lo avevano arrestato. Il Colonnello l’aveva lodata per
quella cattura, ma lei non aveva provato alcun orgoglio.
Il Tenente Morgan era morto. E nessuno avrebbe
potuto farlo resuscitare.
Era morto per salvare lei. Non c’era nessun
orgoglio in questo.
Le lacrime sgorgarono calde dagli occhi ed andarono
a bagnarle il colletto della camicia da notte.
Per quanto le facesse male ammetterlo, aveva
ragione Slen: era colpevole di quella morte tanto quanto l’assassino. Se solo
lei non fosse stata così stupida…
Si morse le labbra, trattenendo un singhiozzo. Il
viso di Bruce, i suoi occhi… continuava a vederli dappertutto, come se avessero
deciso di perseguitarla.
Poi, lo sguardo le cadde sul suo braccio fasciato.
Se non fosse stata così maldestra, forse…
Con un impeto di rabbia, si colpì il punto in cui
sapeva esserci la ferita. Un fiotto di dolore acutissimo le raggiunse il
cervello, annebbiandole i sensi. Strinse i denti e deglutì, respirando a fondo.
Assestò un altro colpo. E poi un altro. Ed un altro ancora.
Era più facile così: non pensava.
Soltanto il dolore occupava la sua mente. Era un
dolore contenibile – seppur talmente acuto da cancellare ogni altra sensazione
– e poteva cessare nel momento stesso in cui lo desiderava.
Non come quello per la morte di un compagno.
Strinse i denti, si morse le labbra, soffocò le
grida nel cuscino, continuando a piangere e ad infliggersi dolore. Nemmeno si
accorse che la ferita, così facendo, si era riaperta.
Solo quando vide la mano coperta di sangue, si
fermò. Fissò quegli schizzi vermigli e questi fissarono lei. E Raine immaginò
che fosse il sangue di Bruce.
Un’ultima lacrima finì la sua corsa tra la
biancheria ruvida dell’ospedale, mentre lei guardava il soffitto del San Mungo,
senza in realtà vederlo.
Si sentiva svuotata, gli occhi le bruciavano e non
riusciva a respirare bene dal naso.
Ma quel dolore sordo, che albergava nella bocca del
suo stomaco, non se n’era andato.
E Raine capì che non l’avrebbe mai fatto.
***
“Un po’ più in alto, Ted, ce la fai?”
Ted strinse i denti, cercando di mantenere
l’equilibrio. Era piuttosto difficile, stando in piedi su una sedia e con una
ragazza arrampicata sulle proprie spalle per consentirle di esaminare
l’ennesima finestra sbarrata. “Ginny, non muoverti così tanto! Ci farai
cadeeeeeee…!”
SBAM!
Non aveva nemmeno terminato la frase che perse
l’equilibrio e si ritrovò in un batter d’occhio faccia a faccia con il duro
pavimento, con il dolce peso di Ginny che lo intrappolava a terra.
“Ouch…” borbottò, sentendosi lievemente nauseato da
tutti quegli stralci di dolore che gli percorrevano il corpo.
“Oddio! Ted! Stai bene?!” Ginny si rialzò
velocemente, dandogli una mano per mettersi a sedere. Da quando si era
svegliato qualche ora prima, avevano cercato di trovare una via di fuga, ma
senza alcun risultato. Sembrava che non ci fosse modo di uscire da quella
stanza, se non utilizzando la porta. Che, però, risultava sorvegliata da due
energumeni. Per di più Vampiri.
Si portò una mano alla testa. “Sono stato meglio…”
mormorò, chiedendosi se sarebbe uscito vivo da quella situazione. Non si era
mai sentito più malconcio in vita sua…
Ginny si morse le labbra ed esalò un sospiro mesto.
“Senza le nostre bacchette non abbiamo possibilità di scappare da qui…”
Quella considerazione aleggiò nell’aria per qualche
istante di pesante silenzio, prima che Ted cercasse di rincuorarla. “Andrà
tutto bene, Ginny, vedrai. Io ti ho cacciata in questo guaio ed io te ne farò
uscire.” disse con voce convinta. “Giuro che tornerai a casa tua sana e salva.
Dovesse costarmi la vita.” aggiunse.
Ma, se si aspettava un qualche genere di reazione
dalla ragazza, sicuramente non era la rabbiosa indignazione che improvvisamente
le era fiammeggiata negli occhi. “Non provare neanche a dirlo per scherzo,
Theodore Nott!” tuonò Ginny, alzandosi in piedi e mettendosi le mani sui
fianchi. Ted la fissò ad occhi spalancati per la confusione. “Ne ho abbastanza
di istinti cavallereschi nei miei confronti! Non sono una damigella in
pericolo: sono una strega, per la barba di Merlino! Sembra che tutti si siano
scordati che ho un diploma che lo certifica e che
“Molto bene.” sbuffò Ginny, sedendosi nuovamente
sul pavimento di fianco a Ted. “Ora, l’unico modo per salvarci – e bada che
sono io a prometterti che tornerai a casa sano e salvo – è collaborare. Quindi,
sputa ogni minimo dettaglio di questa storia, cosicché insieme si possa formulare un piano per salvare la pelle di entrambi. Sono stata chiara?” Gli lanciò
un’occhiataccia.
Il “Sissignora!” che gli uscì dalle labbra fu
troppo spontaneo per poterlo fermare.
“Perfetto! Vedo che ci siamo intesi.” Ginny gli
sorrise dolcemente. “Spara.”
Fissandola un po’ perplesso per quell’improvviso
ritorno alla calma, Ted fece spallucce. “Cosa vorresti sapere?”
“Tutto. Raccontami di te.”
Glielo disse con tanta sincerità, che Ted si trovò
ad arrossire ed a fissare il pavimento invece che lei. “Beh, intendi tutto ciò
che riguarda il mio essere Guardiano?” domandò, timidamente.
Ginny annuì. “Sì, può bastare come inizio. Una
volta finita questa brutta storia, avremo tempo per tutto il resto, no?” gli
sorrise.
Come poteva, si chiese Ted, come poteva quella
donna scombussolarlo fino al punto da togliergli l’uso della parola, lui che
era sempre stato un mago con i discorsi? Come poteva sconvolgere nel profondo
la sua personalità, facendolo diventare talmente imbranato da far concorrenza
ad un adolescente, lui che a scuola era soprannominato Mr. Spigliatezza?
Si schiarì la gola, fortemente in imbarazzo, e
cominciò a raccontare quasi sussurrando. “Io, beh, credo che ormai tu abbia
capito che sono il Guardiano dell’Anello di Matra. È stata la sorella di mia
madre, la zia Beth, a passarmi il testimone.”
Nel nominare sua zia, ogni imbarazzo scomparve,
lasciando il posto ad un’espressione imperscrutabile. “Durante il mio quarto
anno ad Hogwarts, mi invitò a casa sua per le vacanze di Natale. L’invito
giunse inaspettato – siccome la sapevo in Egitto a fare ricerche su un
sacerdote della corte di Nefertiti – ma era sempre stata la mia zia preferita e
fui contento di passare le vacanze con lei, piuttosto che con mio padre.”
Il suo volto si indurì e gli occhi indugiarono su
un punto oltre la testa di Ginny. “Non fu il solito Natale con la zia Beth che
conoscevo. Era affettuosa come sempre, ma capivo che qualcosa la turbava: era
nervosa, a volte sussultava per un nonnulla ed i suoi occhi saettavano sempre
da una parte all’altra, come se si aspettasse di veder comparire qualcuno
all’improvviso. Alla fine, un giorno glielo chiesi: ‘C’è qualcosa che non va,
zia?’ “
Ted si fermò. Parve prendere fiato prima di
continuare. “Scoppiò in lacrime. Tra i singhiozzi disse qualcosa riguardo una
condanna, che veniva tramandata dalla sua famiglia, generazione dopo
generazione; una condanna che aveva toccato anche mia madre e che l’aveva
portata alla morte. Mi spiegò la storia dell’anello, di Askieopis e di Macha e
di come quest’ultima avesse nascosto dentro di sé l’ultima chiave per trovare
quell’anello infernale, condannando la sua discendenza ad essere braccata
attraverso i secoli da persone ambiziose di potere.
“Mi disse di mia madre, Guardiana prima di lei, e
di come fosse stata uccisa per carpire l’ultima informazione; mi raccontò del
fardello che gravava sulle sue spalle e di quanto fosse dispiaciuta di dovermi
passare quell’ingrato compito. Le chiesi perché. E lei mi rispose: ‘Perché
verranno ad uccidermi’.
“Pensai… oh, non lo so cosa pensai. Era tutto così
pazzesco ed improvviso che non mi resi neanche conto di quel che stava accadendo.
Sapevo solo che zia Beth era in pericolo e che, forse, avrei potuto aiutarla.
Perciò accettai.
“La zia ci Smaterializzò nel Tempio dalla Volta
Stellata, dove è custodito l’anello e dove ogni Guardiano riceve il suo
incarico. Ancora singhiozzava quando pronunciò la formula che mi avrebbe
iniziato alla mia nuova vita da Guardiano. Ricordo poco di quegli istanti: solo
un forte bruciore come di ustione alla schiena e poi il buio. ”
Ted si fermò di nuovo. Lo sguardo si abbassò. “I
giorni successivi sono sfocati, probabilmente a causa della febbre. È un
peccato, perché solo qualche giorno dopo, proprio il giorno in cui dovevo
tornare ad Hogwarts, mia zia fu uccisa sotto ai miei stessi occhi da uomini che
cercavano la dannatissima ultima chiave.” Ted digrignò i denti. Poi fece un
respiro profondo. “Tenni nascosta a tutti la mia identità di Guardiano, anche a
mio padre, temendo che potesse riferire qualcosa al Signore Oscuro. Ed ero
riuscito a tenerla segreta fino a qualche tempo fa, ma evidentemente qualcosa è
andato storto. Soprattutto perché hanno capito che il Guardiano serve vivo.”
“Oh, Ted…”
Finalmente la guardò negli occhi. “Ho accettato
questo compito, conoscendone i rischi, e, lo giuro, non avrei avuto paura di
morire.” dichiarò. “Ma ora…” la sua voce si ruppe, tuttavia gli occhi rimasero
fissi in quelli di Ginny.
Stavolta fu lei ad arrossire lievemente. Ma si
riprese presto. “Non ti accadrà niente.” dichiarò con foga. “Non se possiamo
evitarlo.” aggiunse, con minor ardore. Lo vide abbassare nuovamente lo sguardo.
Gli prese la mano fasciata. “Qui non possiamo fare nulla, come abbiamo già
appurato. Ma nel luogo dove è custodito l’anello?”
Inaspettato, un sorrisetto si formò sul volto di
Ted, rischiarandogli dopo tanto tempo i bei lineamenti. “Intendi il Tempio
dalla Volta Stellata?” Ginny annuì. Ted proruppe in una risata che a lei parve
abbastanza fuori luogo. “Ginny sei un genio!” esclamò lui con occhi brillanti.
“Questo vorrebbe dire che hai un piano?” chiese
lei, guardandolo scettica.
“Puoi chiamarlo così, se vuoi, anche se non è
ancora ben definito…” disse Ted, alzandosi in piedi di scatto e cominciando a
misurare a grandi passi la stanza.
“Sarebbe a dire…?” lo incalzò Ginny, seguendolo
passo passo.
Ted si fermò e si voltò verso di lei, raggiante.
“Sarebbe a dire che…”
Ma la porta si aprì in quell’esatto istante. I due
carcerieri li guardarono con un sorrisetto sulle labbra. “Sembra che ti sia
ripreso bene, Guardiano. Il nostro Signore ne sarà contento.” sogghignò uno dei
due, prendendo Ginny per un braccio.
L’altro si portò alle spalle di Ted e lo condusse
bruscamente verso la porta. “Andiamo, l’ora della luna piena è arrivata.”
Ginny squadrò molto accigliata i Vampiri appena
entrati. Decisamente una tempistica azzeccata…
Guardò Ted e lui le sorrise di nascosto, mentre
veniva portato via.
Stranamente, quel mezzo sorriso la rassicurò tanto
da consentirle di restituirgliene uno dei propri.
***
Philip sospirò.
La nottata si preannunciava lunga. Lui e Harley Symons
avevano appena dato il cambio ad altri due colleghi per sorvegliare la presunta
entrata del tempio sotterraneo, ipotizzata dalla fidanzata del capitano
Weasley.
Seduto all’interno della macchina scura del
Ministero, fissava gli edifici di Bath con occhio spento. Lui avrebbe voluto
essere in tutt’altro luogo in quel momento.
Strano a dirsi, ma avrebbe voluto essere al San
Mungo. Per vedere se le condizioni di Raine erano migliorate dopo due giorni di
ricovero.
Appoggiò il braccio alla portiera, sorreggendosi il
viso.
Si sentiva una persona orribile a dirlo, ma era
quasi contento che fosse morto il tenente Morgan. Per carità, non avrebbe
augurato la morte al suo peggior nemico, ma se così facendo Raine era
sopravvissuta, beh, lui non poteva che esserne felice. E pace all’anima del
tenente Morgan.
Però…
Però, gli occhi di Raine lo avevano spaventato
quando era andato a trovarla. Erano così… così… Non sapeva bene come
descriverli. Erano vuoti ed allo stesso tempo pieni di una tristezza infinita.
E lei gli era parsa così spezzata in quel letto bianco, che avrebbe voluto
portarsela via e rassicurarla e dirle che il dolore passa e le ferite si
rimarginano.
Pensò al suo braccio e a come se l’era martoriato.
Una punizione? Sicuramente sì. La conosceva abbastanza da poter dire che si
giudicava colpevole della morte del tenente.
Ma Raine si sbagliava. L’unica cosa che avrebbe
potuto salvare Morgan dalla morte sarebbe stata la morte della stessa Raine, e
Philip non voleva nemmeno pensare a come avrebbe reagito lui ad una notizia del
genere.
“Ma dormi o sei sveglio?” La voce di Harley Symons
interruppe i suoi pensieri.
Philip grugnì. “Sto pensando.”
“Oh, questa sì che è nuova!” rise l’altro,
scostandosi la frangia troppo lunga con un gesto disinvolto della mano.
“Ah, ah. Che spiritoso.” borbottò Philip, roteando
gli occhi.
Anche Harley roteò gli occhi. “Merlino, Phil! Sei
diventato una piaga! Da quando Raine è stata ricoverata non fai altro che
sospirare e guardare nel vuoto.”
“Permetterai che sia in pensiero per lei! Diamine,
ci ha quasi rimesso le penne!”
“Ma se l’è scampata.”
“Ma poteva non farcela!” ribatté con forza Phil.
“Io glielo avevo detto che era troppo presto.” mugugnò, tornando a guardare
fuori dal finestrino.
Harley sospirò. “Phil, non sei mica suo padre. E
poi, Raine non è una sconsiderata come dici tu: è sempre stata la più assennata
del nostro anno.”
Phil emise un grugnito di disapprovazione. “Sarà,
ma pare che tutta l’intelligenza che aveva sia andata a farsi benedire!”
“Giuro che non ti capisco: prima dici che è una
ragazza fantastica, addirittura la tua ragazza ideale, e poi ne parli questo
modo?!”
“Non puoi capire. Non la conosci.”
Harley alzò le mani in segno di resa. “Va bene,
capo: come vuoi tu.”
Philip sbuffò un’altra volta e fece vagare pigramente
lo sguardo verso la presunta entrata. All’improvviso, alcuni movimenti sospetti
gli fecero correre l’adrenalina nelle vene. Incapace di parlare, tirò una
manica di Harley per attirare la sua attenzione e gli indicò l’entrata.
Proprio lì davanti, illuminati dalla luce della
luna piena, quella sera lievemente offuscata da nubi passeggere, c’erano i
Vampiri. E il Capitano Nott, insieme a Ginny Weasley.