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Autore: SilvychanUchiha    08/10/2012    0 recensioni
Questa lo scritta insieme a una mia carissima amica:Camilla.Spero che vi piaccia!
Dal testo:
Continuando a ridere, Cam si abbassò per schioccarmi un bacio sulla guancia e io andai a fuoco.
Era normale che Cam mi baciasse la punta del naso o la fronte, era una cosa amichevole e ci ero assolutamente abituata, non avevo mai reagito così, neanche quando ancora volevo che non fossimo soltanto amici. Allora cosa mi stava succedendo? Perché all’improvviso desideravo sentire le sue labbra sulle mie, come era capitato il giorno prima? Perché volevo ardentemente che le sue mani mi stringessero i fianchi, tenendo il mio corpo premuto sul suo? Perché avevo bisogno della sua pelle sulla mia, del suo respiro caldo ad accarezzarmi il collo?
Doveva aver notato la mia reazione, perché avvicinò il suo viso al mio, naso contro naso, solo pochi millimetri a separare le nostre labbra. Ma non mi baciò. Si fermò così, tanto vicino da farmi girare la testa ma non abbastanza da rendermi soddisfatta. Così gli afferrai le guance e lo baciai...
Genere: Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ecco il nuovo capitolo, spero che vi piaccia. Un Grazie a coloro che seguino la storia  e anche a coloro che spenderanno un minuto del loro tempo per lasciare un proprio parere.
CAPITOLO QUATTORDICI
IN QUEL SENSO
 

 
Allora, i casi erano due: o un bradipo mi aveva morso sul collo durante la notte, passandomi le sue caratteristiche genetiche –vedi Peter Parker e il ragno- oppure ero sempre stata così pigra e lenta come quella mattina e non me ne ero mai accorta. La sveglia aveva suonato come tutti i sabati alle 9, ma mi ero rigirata e stiracchiata per altri trenta minuti, rallentando così tutta la mia tabella di marcia mattutina. Mi ritrovai, in sintesi, con in mano latte e cereali alle dieci e trenta, molto più tardi di quello a cui ero abituata.
A pranzo non avrei avuto fame, di sicuro.
Ava mi avrebbe uccisa, di sicuro.
Era convinta che mangiare tutti assieme almeno nel weekend ci avrebbe uniti e resi una famiglia. Povera illusa. Io e la mamma eravamo una famiglia, eppure non mangiavamo mai insieme, se non la domenica. Io e la famiglia di mio padre mangiavamo assieme il sabato e la domenica, eppure non li sentivo più vicini a me di quanto non lo fosse Obama.
Mentre cercavo della frutta da mangiare assieme a quelli che la mia matrigna definiva cerali, ma che per il resto del mondo sarebbero pezzetti di compensato, sentii la porta aprirsi e richiudersi in fretta. Cercai di alzare la testa in modo furtivo, senza farmi beccare, ma sbattei contro la parte superiore del mobile e non riuscii a trattenere una fila di paroline poco adatte alla bocca di una signora, facendomi beccare.
Alzai la testa verso la persona che aveva appena varcato la soglia di casa, e mi illuminai.
Brad si aggirava furtivo per la cucina, con le mani nella tasca della felpa e il cappuccio calato sui capelli. Era sicuramente di ritorno da casa di Arianne, dove aveva passato la notte e dove –speravo- si era divertito parecchio…
“Ehi, tu! Come è andata?”, lo salutai, maliziosa e cameratesca.
Fece finta di non capire a cosa mi stessi riferendo, ma quando intercettò la mia occhiata smise di opporre resistenza e si sciolse in un sorriso.
“Bene. Insomma, almeno credo”.
“Cos’hai combinato?”.
“No, niente. È andata alla grande”. Ma si capiva che non era tranquillo.
“Brad, vieni qui”, lo obbligai, la voce ferma.
Eseguì senza fare troppe storie e si appoggiò sul divano. “Cosa c’è, Hayl? Sono stanco…”.
“Raccontami”.
“Tutto?”.
“Sì… Anzi no, i dettagli più intimi tienili per te!”, ritrattai, sentendo le guance andarmi a fuoco. Per quanto fossimo in confidenza, pensare a Brad in certe situazioni e… al suo coso non era proprio tranquillizzante, ecco.
Ridacchiò tranquillo, prima di riassumere in poche parole l’esperienza. Mi raccontò che ne avevano parlato, e avevano deciso di fare subito un tentativo, perché Arianne era impaziente di provare esattamente quanto lo era lui. Era andata bene, nel complesso –eliminati l’inevitabile imbarazzo da prima volta e il fatto che fossero entrambi abbastanza impacciati- e alla fine si erano addormentati abbracciati, sudati e appagati sul letto di Arianne.
“Scusa, ma non riesco proprio a capire dove sta il problema…”, dichiarai alla fine, dopo averci ragionato su per un po’.
“Ho paura che… possa lasciarmi, adesso che ha avuto tutto da me”. Si fermò un secondo, e non so come capii che non aveva finito di parlare, quindi mi tappai la bocca in attesa che continuasse. “Insomma, io la amo, e non le vedo nemmeno più le altre ragazze, come se non esistessero neanche. Magari, invece, lei si è stancata di me, di stare con un ragazzino asessuato e imbranato…”.
“A parte il fatto che gli avvenimenti di sta notte dimostrano che non sei affatto asessuato. Poi Brad, parliamoci chiaro: se Arianne non ti amasse, non sarebbe rimasta insieme a te tutto questo tempo. Se il suo unico scopo fosse stato il sesso, non avrebbe aspettato quasi un anno per averlo, ti avrebbe mollato –probabilmente per Cam- molto tempo fa… Scusa la franchezza, ma per me l’idea di voi due che non state insieme è assolutamente assurda e innaturale, non la vedo diversamente”.
Sorrise di un sorriso strano: era come se non volesse farmi notare quanto le mie parole gli fossero piaciute, quanto lo avessero lusingato. E io che pensavo di essere stata troppo brusca. Mah, va a capire.
“E tu?”, mi chiese.
“Io cosa?”.
“Hai fatto pace con Cam?”.
“No, perché dovrei? È stata colpa sua, quindi tocca a lui farsi avanti”. Mi ammonì con un occhiata buia, che stonava sul suo viso sempre allegro. “Cosa vuoi? Perché fai quella faccia?”.
“Chiamalo”, mi esortò, porgendomi addirittura il proprio cellulare.
“No!”.
“Smetti di fare la bambina capricciosa, e chiama Cam!”.
“Perché? Non posso sempre fare tutto io! Ha sbagliato e adesso paga, stop. Se mi vuole mi cerca, sennò pace”.
“Hayl, devi cercare di capirlo, per lui è…”.
“Smettila!”. Mi allontanai di qualche passo, con le braccia al cielo e le mani che gesticolavano forsennate. “Smettila, ok!?”. Non volevo ascoltarlo, non volevo sentirlo spalleggiare Cam ancora una volta.
“Ma perché, quando ti parliamo di Cam, ti chiudi a riccio?”, urlò quasi, esasperato dalla mia ostinazione.
“Brad, non ne voglio parlare. È una cosa tra me e lui, e voi non riuscite a capire… Continuate a dire che io gli piaccio e altre cretinate, ma così non fate altro che confondermi, perché il suo comportamento mi dice tutto il contrario e ci rimango male. Mi piacerebbe potervi dare retta e vivere con la convinzione che piaccio a lui esattamente come lui piace a me, ma non è così. Quindi per favore, basta con questo discorso”.  Mi sedetti, sconfitta e amareggiata, su uno degli sgabelli vicino al lavello e presi a mangiare i miei cereali in silenzio. Forse ero stata un po’ brusca e mi dispiaceva per questo, sul serio, ma non avrei ritrattato le mie parole. Brad mi osservò qualche secondo, prima di girarsi e dirigersi verso la sua stanza, mormorando qualcosa che non riuscii a capire.  
 
 

Cam’s P.O.V. 


Perché? Perché Haylie doveva essere sempre così cieca e… stupida! Come faceva a non accorgersi di quando Gareth fosse bugiardo? A me non permetteva nemmeno una piccolissima balla, e da lui si faceva prendere in giro proprio come una ragazzina idiota! Mi dispiaceva pensare quelle cose di Hayl, mi faceva male, ma non c’era alternativa. Una parte di me, quella meno nobile e più irrazionale, era arrivata a pensare che agisse così solo per darmi fastidio, per farmi dispetto. Ma non poteva essere così. Haylie non era così. Lei… era la faccia della verità, non mentiva mai. E per me, lei era tutto. Ce l’avevo sempre in testa, io…
“Cam!”.
“Era ora! Sono venti minuti che ti aspetto”. Bentley mi aveva chiamato quella mattina, chiedendomi di incontrarci per parlare. L’aveva detto con un tono così grave, che quasi avevo pensato dovesse dirmi di essere incinto… “Allora, che mi devi dire?”.
Lo sentii farfugliare qualche frase, ma non capii nulla, quindi gli chiesi di ripetere. Il secondo tentativo non fu migliore, ma almeno qualche consonante riuscii ad afferrarla.
“Ben, ti prego, parla. Forte e chiaro”.
“Alla fine è successo, ok?!”, sputò fuori di corsa, come se temesse che facendo pause tra una parola e l’altra il coraggio sarebbe scemato, facendolo tornare ai mormorii.
“Cosa?”.
“Mi sono innamorato di Haylie”. Se fosse arrivato un Teletubbie e mi avesse dato una martellata nel naso sarei stato meno sorpreso. Se mi fosse caduto un albero in testa, sarei stato meglio. Volevo scomparire, allontanarmi da quel posto e da Ben, senza però dovermi spostare di una virgola.
“E siamo qui per questo?”, chiesi, distogliendo lo sguardo e puntandolo su una macchina parcheggiata poco più in là.
“Si”.
“Perché?”. Perché adesso, perché lui, perché proprio lei
Ben alzò le spalle. “Volevo solo dirtelo. So che avete un rapporto speciale e non volevo… intromettermi, ecco”. Non sapevo cosa rispondere, eppure sapevo che Ben stava aspettando una reazione, possibilmente positiva e accondiscendente.
“Posso… posso provare, Cam?”. Cosa potevo rispondere? Si, prego, fai pure? Assolutamente no? Cosa? Cosa dovevo fare? Dovevo trovare un diversivo, qualcosa che salvasse la situazione e me.
“Ma lei sta con Gareth”, gli ricordai.
“Lo so”. Fece un sorrisino idiota, da fighetto, e mi venne voglia di strozzarlo. “Ma si lasceranno, prima o poi, no?”. Annuii, per niente convinto. Ero sicuro anche io che quei due non potessero durare ancora a lungo –Gareth era troppo stronzo per Hayl, troppo amante del divertimento, troppo arrogante, troppo bugiardo, troppo… simile a me. Nemmeno io e Hayl saremmo mai potuti stare insieme. Lei era una principessa, io ero l’orco. Si meritava un bel principe, non un mostro verde che l’avrebbe costretta a vivere in una palude e a mangiare vermi cavati dal tronco di un albero. Forse Ben sarebbe stato all’altezza, forse non sarebbe sembrato così coglione mentre, con una calzamaglia azzurra, la sarebbe passata a prendere a scuola sul suo cavallo bianco...
Forse dovevo… lasciarla andare.
Annuii. “Non farla soffrire”, mi curai di ricordargli, prima di incamminarmi verso la macchina, stordito dalla profondità dei miei pensieri stessi. Qualche secondo dopo il cellulare prese a vibrarmi in tasca. “Brad!”, risposi, ingoiando un groppone grosso come casa mia.
“Hai fatto pace con Haylie?”. Andava subito al sodo, eh.
“No”, e non avevo intenzione di farlo. Mi aveva ferito, pensare che non volesse confidarsi con me mi faceva credere che non si fidasse più di me, che non fossimo più amici. E io avevo bisogno di lei.
“Chiamala, allora. Adesso”.
“Non lo so”.
“Come no? Non hai capito che…”.
“Brad”, lo interruppi. “Come… cosa si prova quando si è innamorati?”. La mia domanda stupì anche me, ma era esattamente quello che avevo bisogno di sapere.
Lo sentii ridacchiare, lo stronzo, ma poi mi rispose. “È una cosa strana. Ti attanaglia lo stomaco. Hai solo lei in mente, sempre e solo lei. Non riesci a mangiare, non riesci a dormire, sei felice come una Pasqua quando ce l’hai intorno e quasi scoppi quando ti sorride felice. Perché sai che è per te che è felice…”. Si interruppe, notando che avevo smesso anche di respirare. Tutto, dentro di me, si era fermato, solo l’organo pompante sangue martellava nel petto, inarrestabile. La felicità, i sorrisi stupidi, l’insonnia, lo stomaco in panne… Ce li avevo, ce li avevo tutti!  
Possibile che mi stessi affezionando a Haylie, ma in quel senso?
 
Il mattino dopo mi alzai con un mal di testa allucinante. Non avevo dormito molto, le parole di Brad mi frullavano in testa e mi pungolavano, fastidiose come un calabrone che si diverte  a pungerti sempre nello stesso punto.
E poi avevo lei in mente. Sempre e solo lei.
Un’oretta dopo avevo appuntamento con Madison, ma non ne avevo voglia. Volevo andare da Haylie, scusarmi, e vedere il broncio che sicuramente mi avrebbe tenuto per i primi dieci minuti, prima di saltarmi al collo ridacchiando e dicendomi che mi voleva bene. Volevo, ma non potevo. Perché lei non era la mia ragazza e io non ero il suo ragazzo, e come amici dovevamo essere in grado di gestire un paio di giorni di distanza senza uscire di testa. Cosa che a lei, tra l’altro, stava riuscendo particolarmente bene. Nessuna chiamata, nessun messaggio, ergo: nessuna intenzione di armistizio. E io ero stanco di fare la prima mossa.
Mentre fissavo il mio riflesso allo specchio, intento a radermi senza tagliarmi, decisi che le cose potevano anche sistemarsi da sole, dovevo solo lasciarle correre. Aspettare un po’, far sbollire la rabbia e ritornare ad essere quelli di prima. Semplice. Fin troppo, forse. Ma mi sarei attenuto al piano, questa volta l’avevo deciso.
 
Se c’era una cosa che non mi era mai piaciuta era l’appiccicaticcio che rimaneva sulla guancia dopo che la ragazza di turno vi stampava sopra un bacio, con le labbra coperte di una quantità di lucidalabbra tale da potersi considerare fornitura a vita. Per questo, dopo che Madison mi riservò quel tipo di saluto, passai due minuti buoni a sfregarmi via tutta quella poltiglia dalla faccia. Attività che richiese un’attenzione tale da rendermi distratto.
“Allora Cam?”. Cosa mi aveva chiesto?
“Puoi… puoi ripetere?”.
“Ma cos’hai?”. Mi sbraitò contro. “È snervante, sembra di stare con una pietra!”.
“Mi ero distratto…”.
“Non parlo di adesso, ok? Sembra quasi che a te non importi più niente di me!”.
“Ma…”.
“No, eh! No! Non provarci nemmeno a scusarti! Io sono la tua ragazza, e pretendo una considerazione migliore”.
“Madison, che cavolo dici? Mi sembrava fosse chiaro che non era niente di serio. Anzi, no, doveva esserlo perché l’hai stabilito tu”, le ricordai.
“Si, ma…”.
“Ma cosa, Mad? Non siamo una coppia innamorata, siamo solo due che si piacciono e stanno insieme perché è più comodo che doversi tutte le volte cercare e mettere d’accordo: sappiamo già che quando io vorrò te, tu ci sarai e vice versa. Tutto qui, chiuso. Quindi non fare scenate”.
Mi squadrò seria e delusa, e per un attimo mi sentii quasi in colpa: era vero, stavamo insieme per quello, ma ero comunque stato troppo esplicito e duro, forse.
“E se io mi stessi innamorando?”. Quella provocazione così esplicita mi bloccò e mi lasciò interdetto.
“Fai sul serio?”.
“Forse”.
“Cazzo, Mad! Niente forse: fai sul serio sì o no?!”.
“Non lo so, ok?”. Non lo so? Non lo so, aveva detto?
La situazione era assolutamente da chiarire: per me, le parole ‘amore’ e ‘Madison’ non erano affatto da associare. Io non la volevo in quel senso. E se era quello che voleva lei, allora non c’era storia, bisognava chiudere.
“Senti, facciamo un discorso serio: tu vuoi una storia seria sì o no?”.
“Mi piaci, ok, è innegabile. Come è innegabile che c’è una grandissima attrazione fisica tra noi. Quindi perché no?”.
“Perché io non sento quello che senti tu! Io… voglio esser libero, voglio andare dove mi pare, con chi mi pare e quando mi pare! Non voglio costrizioni, niente legami, niente catene. Voglio solo spassarmela. Non è quello che vuoi tu? Allora mi dispiace, ma tra noi non può funzionare”.
“Ascoltami, è evidente che hai qualche problema che ti tormenta e che te la stai prendendo con me per sfogarti. Ma lo accetto, ok? A tutti capitano momenti no. Sono certa che tra qualche giorno tornerà tutto alla grande…”.
“No! No, invece!”, la interruppi, stringendole le spalle –un po’ troppo forte, forse.
“Io voglio solo aiutarti, Cam”, mi spiegò calma, guardandomi come un povero cucciolo abbandonato.
“Invece io non so se voglio vederti ancora”, borbottai, abbassando le mani e infilandomele nelle tasche dei jeans. Rimasi lì, immobile, ancora qualche minuto, tempo in cui nessuno di noi due disse più nulla.
C’erano troppe cose in sospeso, non ce la facevo più a gestirle. Ed ero scoppiato.
Non ero più sicuro di me, non lo ero più di niente. Davvero volevo ancora continuare a vedere Madison? Per cosa? Per una scopata? Potevo tranquillamente scaricarla e continuare ad avere la fila di ragazze pronte a farmi infilare nelle loro mutande. Tanto era quello che volevo… no?
 
 

Haylie’s P.O.V.

 
Lo squillo acuto del cellulare mi fece saltare dal divano. Perché mai Gareth avrebbe dovuto cercarmi nel bel mezzo del suo allenamento quotidiano? Poi lessi il nome del destinatario del messaggio e mi si gelò il sangue nelle vene. Nonlochiamare. Che era il nuovo nome sotto il quale avevo salvato il numero di Cam. L’sms era di una brevità disarmante: ‘Ho bisogno di chiederti scusa. Passo a prenderti tra 10 minuti.’
Non sapevo cosa pensare. Era la parola ‘bisogno’ a confondermi di più. Come se non parlare con me lo facesse stare male. Come se fossi necessaria affinché lui fosse felice. Purtroppo, però, avevo la certezza quasi matematica che non potesse essere così. Il perché non riuscivo a spiegarmelo, era il cervello a dirmelo, e io avevo l’obbligo di ascoltarlo più che mai.
Quando suonò alla porta avevo le mani che mi tremavano.
“Ciao”, soffiò piano, come a non voler disturbare l’animale inferocito che dovevo sembrargli.
“Sei uno stronzo! Idiota, cretino e deficiente. E stronzo”.
Mi sorrise. “L’hai già detto”.
“Perché sei doppiamente stronzo, per questo l’ho detto due volte!”.
“Mi dispiace. Devo dirlo due volte per farmi perdonare?”.
“No. Devi solo spiegarmi perché delle volte sei così odiosamente testardo”, ribattei, incrociando le braccia al petto.
“Beh, devo sempre vedermela con una piccoletta con la testa più dura delle pareti di casa mia… A star con lo zoppo s’impara a zoppicare”. Ammiccò nella mia direzione, e io feci la finta tonta.
“No, dai… Madison non è poi così tanto testarda…”.
“Ah-ah, come siamo simpatiche oggi pomeriggio”.
“Vero? Mi sono alzata dal divano col piede giusto”.
“Andiamo?”.
“Prendo la borsa”.
 
 
 
 
Ok, anche questa volta sono in ritardo peggio della Trenitalia…
A mia discolpa posso dire che è stata colpa del lavoro, della scuola e della scuola guida (si, ottenere un rettangolino di carta rosa non è mai stato così difficile –e non è ancora la fine!).
In realtà, però, l’unica cosa che posso fare è chiedervi ancora scusa, scusa, scusa.
Spero che il prossimo capitolo non ci metta così tanto ad arrivare.
Tuttavia non ve lo prometto, sono stanca di deludervi ogni volta.
 
Alles Gutes, Mil.
  
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