Se non ero me stessa
E tu eri qualcun’altro
Vorrei tanto dirti...
Io vorrei dirti la
verità
È alto, quasi non
respira. [...]
Io sono morta nella
acqua
Ancora cercandoti
Io sono morta
nell’acqua
Non lo vedi, non lo
vedi.
( traduzione
“Dead in the water” di Ellie Goulding
)
Marionetta
Buio, tutto era completamente
ricolmo di nero.
La
morte.
Quindi è così? Non c’è nulla.
Sento comunque la mia anima che percepisce l’affanno del
dispiacere.
Mamma, papà, mi dispiace di avervi mentito in tutta questa
storia. Sono stata mostruosa, crudele e voi nemmeno avete potuto difendervi dal
mio egoistico desiderio di amare qualcuno del livello di Beyond.
Vorrei almeno, per l’ultima volta, avervi abbracciato, amato come si deve,
senza l’interferenza di B.
Io vi amo, anche se siete così in disaccordo e distanti l’uno
dall’altra, anche quando fingete che tutto vada bene, quando invece sapete
entrambi che non è così.
Vi voglio bene, ecco cosa provoca questo persistente dolore che
provo al petto.
Ora io non posso più sentire uno sterno, un cuore con cui poter
soffrire. E allora perché sto sentendo tutto questo? Perché percepisco questo
fastidio in maniera fisica?
“ Ti spaventano vero?”…
“No…”
Delle voci nella mia testa, quella di B e la mia. Tornarono alla mente tutti gli
istanti passati con Beyond. Il primo Beyond che avevo amato e non quella belva che mi aveva
ucciso. Le frasi dette continuarono a tormentarmi mentre ero immersa in quel
sonno senza appigli.
“Dovrei chiamarti B?”…
“ Promettimi che non te
ne andrai prima del tuo tempo.”
Sì, B.
Io l’avrei mantenuta quella promessa, ma sei tu che l’hai
infranta decidendo per me.
“ Non sforzarti, non
riuscirai mai a vedere niente.”
I suoi occhi, avevano qualcosa che io non conoscevo, non li ho
mai compresi, mai. Perché tornano alla mia mente, proprio ora che non avrò
nessuna risposta?
Infine
la voce di L si introdusse in modo aspro nel mio vagare in quell’oblio.
“Voglio che tu faccia
tutto come se niente fosse...voglio che tu esegua le sue richieste.”
L, non ho potuto aiutarti, avrei tanto voluto.
Avrei voluto che B venisse rinchiuso in un luogo lontano dal
mondo di luce che mi circondava e che mi aveva sempre avvolto.
Ma non ce l’ho fatta.
Avrei voluto che B, venisse segregato in una bolla inespugnabile
e trasparente, dove avrei voluto che vi
rimanesse, lì fermo, e che quell'invisibile barriera mi lasciasse vagare
per sempre nei ricordi migliori di lui, cancellando le oscenità che aveva
commesso.
Lo volevo rinchiuso per avere un ritratto meno spaventoso del
mio B.
Residui del mio amore, non me ne libererò mai più.
Del
caldo mi attraversò gli angoli degli occhi e si adagiò placidamente nell’incavo
del mio orecchio.
Lacrime! Io non posso piangere, sono morta!
Non esisto più e il pensiero che lui è fuori a fare dell'altro male…ecco, il tormento. Continua questa tortura anche in
questa condizione.
A
quella sola riflessione, si smoveva qualcosa in me. Quell’idea mi pungeva e
riusciva ad istigare un risveglio che non avrei mai potuto ottenere. Quei
pensieri volevano scuotermi da quello stato silenzioso e di nera pace che
iniziava a piacermi. Era bello lasciarsi andare, sentirsi incollare a terra,
sentire di diventarne parte.
Quando
da bambina mio padre mi portava al museo per tenermi buona, o semplicemente per
farmi leggere tutte le targhette delle antichità ed opere in esposizione,
ricordo con perfezione di due statue marmoree murate sulle colonne all’entrata
del museo. Un uomo dal torso nudo, dal viso severo, sul pilastro di sinistra e
una donna con dei drappeggi a coprirle i seni, con un'espressione addolcita in
volto, su quello di destra. Tenevano saldi i capitelli sovrastanti delle
colonne e ne erano parte integrante, come assorbiti dal granito.
Ecco
io in quel momento ero e mi sentivo come loro.
Forse Beyond se la prenderà anche con mia madre e mio padre e…la mia Jesse! Ed io non potrei
comunque fare nulla per salvarli!
Ecco di nuovo la stilettata!!
Ancora
un’orrida prospettiva.
Il
mio petto iniziò a muoversi lentamente, come i rintocchi di un orologio a cui
si era fermato il meccanismo per pochi secondi. Pian, piano percepii il miei
polmoni introdurre aria, ricominciavano
a muoversi involontariamente e naturalmente, ma c’era ancora qualcosa che ostruiva
il mio respiro. Come uno strato d’aria inrespirata,
rimasta bloccata nella mia trachea.
Ebbi
l’esigenza, un urgente bisogno di aprire gli occhi.
Come se fosse possibile farlo!
Come
se fosse stato naturale farlo.
Mi
parve di destarmi da un lungo sonno e fu orribile constatare che intorno a me,
tutto era ancora più buio di quanto non lo fosse stato tenendo gli occhi
serrati. Avvertii la pesantezza del mio corpo, come se la mia anima avesse
ripreso il suo posto terreno, come se mi fosse stato scaraventato addosso un
peso opprimente.
Mossi
lentamente i miei piedi.
Ancora
completamente stordita, mi accorsi che il luogo in cui mi trovato era stretto.
Non più largo di ottanta centimetri, in lunghezza mi superava di molto,
probabilmente poteva contenere qualcuno delle dimensioni di un uomo. Quello
strano cunicolo, era alto sì e no un metro scarso. Attentai con le mani
nell’oscurità, da prima le pareti fredde e marmoree, poi la superficie sopra di
me anch’essa un blocco gelido.
Lentamente
iniziai a sentire le gambe tremarmi, il respiro riprese ritmo in maniera
frenetica e troppo poco graduale per quello che avevo subito, iniziai a
tossire.
Ero
chiusa in una specie di loculo in pietra e c’ero stata riposta viva.
Muovendo
le mani a tentoni provai a sentire dove spuntasse uno spiraglio, una piccola
sporgenza per spostare il blocco che mi sovrastava e sigillava. Vedendo
l’immobilità della lastra e l’inutilità dei miei sforzi, persi la ragione e il
panico mi inondò. Mi dimenai cercando di far rumore, di urlare, ma la mia voce
non usciva come doveva, era bassa, roca, spezzata precedentemente dalla forza
della presa di B e probabilmente quando sarebbe tornata sarei morta davvero,
lì, di asfissia.
Andai
avanti a mugulii, lamenti e gesti frenetici,
tremanti, nel tentativo di aprire quel pesante lastrone.
Le
mie orecchie, come se fossero prese da un istinto animale, udirono dei rumori
esterni nonostante le pareti spesse del loculo. Arrestandomi ascoltai
attentamente, pregando che chiunque fosse là fuori non fosse B. In quel momento
non sarei stata in grado di difendermi da lui, né fisicamente, né mentalmente.
L’unico
suono vicino, che potevo sentire era il mio respiro affannato e, in maniera ovattata, il muoversi di qualcuno
all’esterno.
“Leonor! Sei qui?” La voce familiare di Abel arrivò diretta
alle mie orecchie.
Immediatamente
non esitai e cominciai a battere le mani sulla lastra.
“Sì…Ah, sono qui Abel!” Dissi passando da un tono di voce
sordo ad uno improvvisamente stridulo per via del terrore e per il poco
controllo dovuto al disturbo che avevo alla gola.
“Ora
ti apriamo.” Affermò con sicurezza Abel, infondendomi così un senso di
tranquillità immediato.
Aveva
detto ‘apriamo’.
Allora
c’era qualcuno con lui?
Magari
papà che si era davvero insospettito della mia bugia e lo aveva rintracciato in
qualche modo.
Il
rumore della pietra che veniva spostata rimbombò cupo dentro la mia bara.
Vidi
una leggera spaccatura di luce e inalai l’aria pulita che c’era fuori, ma
quell’aria era insolita. Odorava di funereo, d’incenso e potevo sentire un
nauseante aroma di fiori, non il normale loro profumo fresco, trascinava con se
l’odore della morte stessa.
Man
mano che la pietra veniva scansata, vedevo la flebile luce della sera
illuminare il luogo in cui ero stata rinchiusa. Vidi i volti di Abel e di una
donna, ma in quel preciso istante non ebbi il tempo di analizzarla. Perfino il
viso di Abel mi apparve un’immagine sfocata e poco chiara, come se non lo
avessi mai visto prima di quel momento.
Osservandomi,
mentre ero stesa e impietrita dalla paura, aprirono del tutto la bara e
lasciarono cadere fragorosamente la lastra di pietra a terra.
“Dio
mio…” Abel mormorò sconvolto. Poi mi sollevò con
cura, mentre io tremando e con un
leggero pianto, cercavo di seguirlo nel movimento che mi portava in su per
sedere.
“Ah…Dobbiamo andare a...casa. La mamma e…papà…Oh,
Jesse…” Balbettai quella frase alternando profondi
respiri agitati e con una leggera raucedine.
“Sì,
ci andremo Leonor. Devi calmarti prima.” La donna
vicino ad Abel mi parlò e accarezzò le guance asciugando le mie lacrime.
Dopo
aver recuperato un po’ d’aria, alzai lo sguardo e vidi i biondi capelli che le
ricadevano tra il collo e le spalle, sulle punte prendevano una mossa all’insù.
Il suo viso era allungato ed elegante, nonostante la semi oscurità del luogo in
cui ci trovavamo, sui suoi zigomi sporgenti poggiavano degli occhiali da sole.
Le sue rosse, morbide e carnose labbra si mossero in maniera calma mentre mi
parlava. Lei era inginocchiata accanto alla tomba e vicino ad Abel, potei
notare che fisicamente era molto tonica e sensuale. Indossava dei jeans
stretti, una maglia violacea, un giubbotto da motociclista in pelle nera, con
delle linee gialle che andavano dalle spalle alle fine delle maniche e degli
stivali altrettanto scuri e lucidissimi.
Vide
la mia reazione disorientata e prontamente colse l'occasione per presentarsi.
“Io
sono Weddy. Sono un agente del distretto in cui
lavora tuo padre. Sono qui perché mi
ha chiesto di tenerti d’occhio. Ultimamente era molto preoccupato.” La donna
tirò fuori il distintivo e nell’inflessione della voce di Weddy
percepii nella parola ‘padre’ un altro messaggio. Non era stato davvero mio
padre e chiedergli di seguirmi, ma qualcun'altro e avevo capito chi.
“Oh...meno
male…”
Ansimando risposi tenendo il gioco, altrimenti Abel avrebbe potuto
intuire qualcosa riguardo L o comunque sospettato qualche stranezza. E da quel
che avevo capito quel L era un personaggio top secret.
Abel,
vedendomi sconvolta mi prese la mano e la strinse. Lo guardai di rimando e
cercai di farmi coraggio. Aveva infuso in me un po’ di calma, in quel momento
mi sentii al sicuro. Abbassando il viso
accennai un leggero sorriso e chiusi gli occhi stringendoli forte.
Anche
lui mi rispose sorridendo e tornando attento domandò “Ce la fai ad alzarti?”
Io
annuii rimanendo comunque aggrappata alla sua mano e di seguito arrivò anche
quella di Weddy, quando vide che stavo per perdere
l’equilibrio nel rialzarmi.
In
piedi girovagai col capo e osservai il luogo in cui ero rimasta rinchiusa. Era
una piccola cappella funebre con un'unica bara al centro.
La
bara in pietra in cui ero stata rinchiusa.
Non
potei notare tutti i particolari di quel gelido luogo, si stava facendo buio e
i miei occhi nell’oscurità del loculo non si erano assuefatti granché alle
tenebre, quindi non mi agevolarono nell’identificare cosa avessi attorno.
Intuii solo che la cappella era di forma circolare, con il soffitto ricurvo,
forse era una cupola. Il tutto era fatto in finissimi mattoni lavorati. Uscendo
intravidi dei fregi a forma di gigli intrecciati sulle colonne portanti e sulle
colonnine all’entrata. Il resto della visuale mi fu ignota e la tralasciai
volontariamente.
Inorridii
soltanto all’idea di dove mi aveva isolata B.
Questa
orrida sensazione si rafforzò, quando fuori accompagnata e appoggiata ad Abel e
Weddy, scesi le scale sentendo affiorare un senso di
nausea.
Beyond
mi aveva sepolta, murata in una tomba di puro marmo. Forse aveva davvero
pensato che fossi morta e così preso dai suo soliti irragionevoli ragionamenti,
aveva, a modo suo, deciso di darmi lui l’estremo saluto.
Per
un attimo mi sembrò di aver avuto un assaggio di quella nebbia nera che
circondava la mente e la persona di B, quella inquietante foschia che dava il
sentore della fine. Tutto questo era paragonabile al sentirsi vicino a un dio
della morte. Alla morte stessa.
Mi
prese una morsa alla bocca dello stomaco, iniziai a serrare le mascelle, sentii
prendermi i nervi e l’angoscia. In quel momento nel miscuglio d’acqua e fiocchi
candidi della mia solita ampolla nel petto, spiccò una vena vermiglia.
Stavo
sanguinando dentro.
Mio
dio! Io lo amavo ancora nonostante fosse il male puro.
Lo
avevo sempre temuto, ma dopo il tentativo mal riuscito di uccidermi, dedussi
anch'io che era impossibile amarlo. Cos’era la mia? Compassione? Pietà? Come
potevo ancora provare amore per lui? Cos'ero una pia e santa creatura?
Come
aveva potuto farmi quella cosa? Come aveva potuto uccidermi? Come aveva potuto
fare tutto quello che aveva fatto?
Riflettei
sul particolare che da quel momento in poi avrei letto Giulietta e Romeo con
molto più distacco. Come si può essere vittime dell’inganno!
Perché
quella stramaledetta morte apparente doveva far vacillare un amore?! Perché
Romeo non ha atteso che Giulietta si svegliasse? Almeno un po’avrebbe potuto
sperare, avrebbe potuto illudersi e piangere vicino al suo capezzale. Lei
sarebbe tornata sicuramente da lui!
Perché
doveva essere tutto così tremendamente doloroso e al limite del drammatico per
amarlo? Come aveva potuto B essere stupido quanto Romeo!
Credere
nella mia fine. Non aveva lottato. Semplicemente mi aveva lasciato annegare da
sola, mi aveva abbandonata, mi aveva reso il pezzo in disparte di una
scacchiera, la sua malata scacchiera.
B,
era stato peggiore di Romeo. Io non potevo credere all'amore di uomo del
genere.
“Leonor. Tutto bene?” Abel mi risvegliò dal mio stato
catatonico e corrucciato.
“Sì.
Voglio solo andare a casa.” Abbassai la testa mentre a stento cercavo di
camminare ben eretta.
“Che
cosa ti ha fatto?” Domandò leggermente rabbioso Abel.
Io
voltai il viso in tutt’altra direzione
pur di non guardarlo in faccia ed essere tentata dal raccontare tutto.
Non
volevo parlare di quello che era successo in quel vecchio capanno. Almeno non
in quel momento.
“Ok.
Tranquilla Leonor. Non ne parleremo. Ora andiamo a
casa, tuo padre ti starà aspettando.” Weddy
interruppe quella impercettibile tensione che si era creata tra me ed Abel.
“Aspetta.
Quando dicevo casa, io intendevo la mia casa. Quella a Brentwood.”
Mi scostai di poco guardando Weddy con aria
supplichevole.
“Non
è sicuro andarci ora. Lui potrebbe essere lì.” Abel intervenne lesto.
“No,
lui non è lì. Te lo posso assicurare.” Ero convinta di quello che dicevo, come
se avessi una connessione mentale con B. Lui non aveva motivo di andare nella
mia casa a Brentwood.
Poi
venni colta improvvisamente da un infantile pensiero. Avevo lasciato sola la
mia Molly in quella casa, pensando che non sarei rimasta per molto da mio padre
e invece era passato più tempo di quanto potessi immaginare. Mi sentii cattiva
con lei, sebbene fosse un gatto e capacissima di badare a se stessa, in quella
situazione in cui mi sentivo vulnerabile, venni presa da quella puerile
sensazione e volevo assecondarla.
“Vi
prego…” mi rivolsi ad entrambi i miei salvatori “Non
voglio lasciare la mia gatta Molly in quella casa, almeno finché lui è in giro.
Lo so sembra una stupidaggine, ma ho bisogno di farlo. Devo portarla via di lì.
Vi scongiuro.”
Abel
rimase interdetto e smorzò il suo stupore con un sorriso imbarazzato e
divertito, quasi per prendermi in giro.
“Va
bene.” Rispose seccamente Weddy “ Però non rimarremo
più di cinque minuti. Ok?”
“Ok.”
Risposi bisbigliando per non sforzare la voce.
Attraversammo
tutto il cimitero di Los Angeles, non mi voltai mai per guardarmi intorno o
indietro. La notte stava calando e le sagome nere delle tombe mi mettevano
inquietudine. Il solo suono dei nostri passi che rieccheggiava
fastidiosamente, metteva i brividi. Mentre spezzava quel silenzio quieto mi
rendeva ancora più nervosa.
Raggiungemmo
l’uscita a passo spedito. La mia andatura pian, piano era divenuta più rapida e
aveva influenzato quella di Abel e Weddy.
Davanti
la cancellata del cimitero c’erano parcheggiate due auto, la Ford Mustang di
Abel ed un’altra auto nera stile coupè ma con un
assetto molto più basso.
Uscita
dal cimitero, non mi ero accorta di essere ancora aggrappata a Weddy ed Abel. Spostai gli occhi sulle mie mani congiunte a
quelle delle persone vicino a me. Le disincastri dalle loro come se fossero
tenute insieme da un potente magnete. Nel mio stato non mi ero resa conto che
avevo stretto le mani talmente forte, da rendere perfino difficile il semplice
lasciarle libere.
“Sicura
che vada tutto bene Leonor?” L'attenzione di Abel si
manifestò come sempre e i suoi vispi occhi azzurri si addolcirono un poco.
Ormai quando lo guardavo in viso non notavo nemmeno più la sua cicatrice, per
me era intatto, immacolato. Quando una persona ha una splendida interiorità
sparisce ciò che vedi all’esterno.
Qualcuno
in quella situazione avrebbe potuto giudicare Abel petulante o troppo
assillante con il suo chiedere costante. La verità è che lui sente
profondamente la preoccupazione, vive per aiutare e togliere il malessere delle
persone a cui si affeziona. Come si poteva biasimarlo dopo quello che era
successo a Backyard.
Alzai
lo sguardo e tentai di riprendere un’espressione serena.
“Sì,
tutto bene. Andiamo.” Feci per avvicinarmi all’auto di Abel.
“Aspetta.”
Weddy mi fermò con voce calma e gentile, ma
nascondeva una forma di autorità comparabile ad un ordine avuto su richiesta e
non venuto direttamente da lei. Come se avesse avuto un suggeritore lì, pronto
a dirle cosa fare.
“Che
succede? Hai cambiato idea?” Con perplessità scostai i miei capelli e mi
accorsi che le ciocche si erano leggermente sporcate di terriccio e di fogliame
secco, probabilmente quel misto di sporcizia era penetrato nel tempo nella bara
vuota in cui ero stata rinchiusa.
“No,
andremo tranquilla. Ma voglio che tu venga con me. Se vuoi che venga anche il
tuo amico con c’è problema, ci seguirà con la sua auto fino a casa tua. Per me
è molto più sicuro in questo modo.” Weddy a passo
elegante e risoluto si diresse alla portiera della sua auto aprendola, poi con
fare spavaldo poggiò un piede dentro l’autovettura in attesa della mia risposta.
Dal mio canto vedendo quel modo di porsi, capii che non sarebbe stato accettato
un rifiuto.
“Ok,
per me va bene...” Mi voltai in direzione di Abel in cerca di un assenso.
Il
ragazzo si avvicinò alla sua auto molto serio e impensierito ma rispose
pacatamente “Certo. Non c’è nessun problema. Vi seguo.” Sorrise appena e entrò
in macchina avviando il motore.
Pensai
che quel sorriso finale di Abel fosse così forzato per quella strana
situazione. Si stava sforzando di darmi coraggio, doveva avergli fatto davvero
male avermi lasciato sola in quella fabbrica abbandonata, sopratutto viste le
conseguenze a cui aveva portato il nostro maldestro piano. Probabilmente era
corroso dai sensi di colpa.
Non
bastava solo Backy ora mi ci ero messa anche io.
Sospirai
facendomi scappare qualche piccolo colpo di tosse e mi diressi alla macchina di
Weddy, presi la maniglia dell’auto tenendo lo sguardo
basso su di essa e sulla presa della mia mano.
“Tu
non sei un poliziotto. E’ Lui che ti manda. Vero?” Di scatto guardai la donna
che si stava accomodando al posto di guida, ma la mia constatazione la bloccò.
“Sì.
Però! Sei perspicace ragazzina.” Weddy sorrise un
poco e le sue labbra fecero illuminare il rosso vivo del suo rossetto, poi salì
a bordo.
Io
feci lo stesso e per poco non sbattei la testa per quanto era basso il
tettuccio di quell’auto.
Il
motore della felina coupè si accese aggressivo, gradualmente
si trasformò una morbida e silenziosa vibrazione.
“Bene.
Ora possiamo parlare.” Weddy con fluidità mosse il
volante e si avvicinò alla strada.
Nel
frattempo io osservai lo specchietto sul lato del mio sportello per vedere se
Abel ci stesse seguendo.
“Di
cosa?” Dissi ancora scrutando dietro di noi, poi ripiegai le gambe al petto e
mi rannicchiai sul sedile.
“L,
mi ha detto di seguirti e di sapere cosa B ti avrebbe chiesto o detto di fare,
ma sinceramente non si aspettava una mossa avventata come quella di oggi
pomeriggio. Hai rischiato grosso ragazzina. Se non vi avessi seguito quando tu
e Abel siete andati in quella zona industriale, a quest’ora potresti essere
realmente morta in quella bara in marmo...” Raggelai mentre Weddy
in maniera così diretta mi faceva notare un’evenienza così orribile e che si
sarebbe potuta avverare davvero “Ma da quello che dice il Capo, quel B non dovrebbe ucciderti o per lo meno non è nelle sue
intenzioni. E’ stato L a dirmi di aspettare prima di entrare in quel capanno. Era
sicuro che non ti avrebbe fatto nulla di irreparabilmente fatale. Testuali
parole, ha detto: – Lei è un suo mezzo.
Non le farà nulla.- Se L non ne fosse stato così sicuro, sarei dovuta
davvero entrare a salvarti ed affrontare quel pazzo da manicomio. Appena ho
visto quel tizio rientrare nella sua vecchia fabbrica, per sicurezza, sono
andata da quel Abel. Dovevo dirgli in che guaio ti eri infilata, in più dovevo
fargli credere che ero una collega di tuo padre e raccontare la bugia che ti
seguivo per altri motivi. Poi abbiamo spiato insieme quel B, fino a scoprire
che ti aveva nascosta al Westwood Village Memorial Park Cemetery. Sarebbe
stato improbabile che ti tumulasse nel cimitero delle Star*
...” Weddy ironizzò e proseguì “ Alla fin fine,
le frottole dette ad Abel non discostano molto dalla realtà di questa messa in
scena. Cambia solo il committente per la tua protezione e per l’indagine
stessa.”
Non
riuscii a reagire alle parole di Weddy, ero in
subbuglio.
Rabbia,
paura e stupore.
Girai
le testa ad osservare la strada, guardai in basso. L’asfalto si muoveva in
un’unica massa grigia, e a momenti, comparivano le bianche linee che bordavano
le corsie a interrompere la monotonia di quello scorrere veloce.
Mi
sentivo come un pupazzo, una marionetta nelle mani di qualcuno.
Non
capivo se nelle mani di B, come lo ero sempre stata, o se nelle mani di L.
Chi
diavolo era quest’individuo così freddo da non pensare minimamente che non solo
la mia vita, ma anche la mia psiche, la mia emotività, avevano un prezzo? E Che
le stavo perdendo tutte e tre in un sol colpo.
Mai
come in quel momento ebbi l’esigenza di averlo davanti e capire cosa fosse, di
urlargli contro quello che pensavo. Volevo affondarlo di insulti.
Eppure
quando lo sentii in quella telefonata, non sembrava così privo di sensibilità o
tatto. Sembrava semplicemente qualcuno incapace di capire, percepire o
esprimere certi stati emotivi.
Possibile
che Beyond avesse ragione su di Lui?
Se
L voleva fermare B, doveva per forza essere il suo opposto o forse qualcuno di
migliore. Sì, ma quanto diverso?
Cosa
c’era di B in L e quanto di L in B?
Che
ruolo avevo io in quel loro gioco?
Di
nuovo delle domande, da quando mi ero risvegliata ero stata capace solo di
farmi domande. Da quando avevo conosciuto Beyond ero
stata unicamente in grado di pormi domande. Mai una sola replica sensata, solo
continue strade sbagliate.
Direzioni
sbagliate.
“Non
farci caso.” Le parole di Weddy mi destarono da
quello stato di rabbia e riflessione.
“E’
vero, sembra uno senza cuore quando ci si mette. Ma è una brava persona....” La
donna esitò per un secondo, sembrò
rievocare nella sua mente l’immagine di questo L “...anche se, da quello che fa
o dice, non sembra darlo a vedere.”
Weddy
spostò la sua mano destra dal volante e la poggiò sulla mia che stringeva il
mio ginocchio. Mi calmai un po’ e feci per annuire a ciò che mi aveva appena
detto.
Però
dentro di me covavo la curiosità di vederlo, conoscerlo, di averlo davanti un
giorno e dirgli di tutto.
Arrivati
davanti la mia casa a Brentwood ormai era calata la
sera.
Scendemmo
dalle auto e ci incamminammo nel bianco vialetto che delimitava i floridi lati
del mio giardino. Weddy precedette me e Abel per
controllare che non ci fosse nulla di anomalo o pericolo.
“E’
una tipa a posto come sembra?” Mi domandò Abel mormorando al mio orecchio,
mentre avvicinandomisi, mise le mani nelle tasche dei
suoi logori pantaloni da lavoro.
“Sì e molto direi…”
Abbozzai un sorriso e proseguii guardando davanti a me “Sono davvero contenta
che siate venuti a salvarmi.” Feci quell’ultima affermazione per smorzare il
senso di colpa che assillava Abel e che notavo ad ogni suo gesto di premura nei miei confronti.
Ma
il mio tranquillizzarlo non ebbe ottimi risultati, lo feci rabbuiare
ulteriormente.
Sulla
porta di casa, iniziai ad armeggiare con la base di un pesante vaso, sotto cui
tenevamo le chiavi di riserva nel caso in cui
io o la mamma, fossimo rimaste fuori senza chiavi.
La
particolarità di questo vaso è di avere un piccolo buco sul retro del suo
fondo, dove solo una piccola mano poteva passare e toccare l’interno vuoto.
Ancora più singolare era il fatto che la terra contenuta nel tondo recipiente
sovrastante, soprattutto nei giorni di pioggia, lascia cade giù in questa base
un modesto mucchio di terra a coprire le chiavi e quindi è quasi impossibile
ritrovarle se non si è al corrente di questo piccolo ‘difetto’.
Infilai
la mia mano nel foro, ma da subito sentii che il mucchio di terriccio era stato
smosso e che le chiavi erano state riposte sopra al piccolo cumulo di terra.
Mi
bloccai e pensai a chi potesse aver toccato le chiavi non sapendo cosa ci fosse
sotto il fondo del vaso. Era praticamente impossibile prenderle per chi non fosse
al corrente della peculiarità di quell’oggetto.
Mantenni la calma, altrimenti sia Weddy
che Abel, mi avrebbero trascinato via di lì per i capelli se avessero
minimamente notato il mio volto cambiare improvvisamente espressione.
Presi
le chiavi, disinserii l’allarme ed entrammo tutti in casa.
Accesi
le luci del corridoio e mi guardai attorno provando molta nostalgia. L’odore
della mia casa era sempre lo stesso, una via di mezzo tra il profumo dello
zucchero e quello floreale di mia madre. Erano solo due settimane che mancavo
da lì e provavo un senso di appagamento che in casa di mio padre non avevo mai
nutrito. Quello era il mio nido, il mio fulcro di sicurezza, l’ancora,
quell’angolo di vita che amavo fare nella mia Brentwood.
Chiusi
gli occhi e inspirai, poi li riaprii, mi girai verso i miei accompagnatori e
parlai “Potete aspettarmi qui? Farò subito.”
“Va
bene, per qualsiasi cosa sai dove siamo.” La bionda Weddy
si sistemò i capelli dietro la nuca con fare audace.
Io
annuii e mi diressi verso la cucina.
Appena
superai la soglia del piccolo arco d’ingresso alla stanza, ebbi subito la
visuale aperta della mia cucina. Tutto era rimasto com’era; gli sportelli in
giallo opaco, il lavello perfettamente in ordine e lucido, la porta finestra
coperta dalla tenda veneziana totalmente serrata. I miei occhi vagarono perfino
sul soffitto bianco e lentamente superarono tutti i più piccoli particolari,
finché non piombarono sul ripiano in marmo al centro della cucina.
Le
mie iridi rimasero catturate a scrutare il centro del tavolo in marmo, sbarrai
appena lo sguardo e mi avvicinai.
Sullo
scuro ripiano spiccava un barattolo in vetro di marmellata di fragole.
Non
c‘era nient’altro, solo il contenitore ricolmo di salsa cremisi.
Corsi
verso la cappa del piano cottura e accesi la sua flebile luce, ritornai al
tavolo e sollevai il contenitore di vetro. Sotto vidi risaltare un minuscolo
foglietto di carta.
Poggiai
il barattolo e aprii con agitazione il foglio, che era stato ripiegato per tre
volte, e lessi il contenuto.
Vieni il 22 Agosto a Pasadena, al numero
di approvazione del condominio 061550, stanza 404 alle ore 08:30.
Vidi
solo il bianco della carta e il nero di quel messaggio.
Recepii
tutte le informazioni alla prima occhiata. Anche avessi riletto più e più
volte, sarebbe stato un inutile spreco di tempo e di energie. Quelle parole
erano state incise nel mio cervello, non appena avevo sillabato la prima
lettera nella mia mente.
Capii
in un lampo che era stato Beyond a prendere le chiavi
di riserva nel sotto vaso.
B,
lo aveva fatto di nuovo.
Dopo
molto tempo risentii quella scomoda sensazione dell’essere violata in casa mia,
percependo ancora la disarmante impressione di non essere al sicuro. Inoltre provai
ira, perché proprio come avevo pensato,
ero la sua marionetta, mi aveva riposta di proposito in una scatola di pietra.
Voleva farmi compiere quelle azioni, voleva farmi andare a casa mia a Brentwood. Sapeva che avrei temuto per ciò che amavo,
sapeva che sarei tornata lì, sapeva che avrei preso quel messaggio.
Sapeva
che avrei eseguito ciò che mi chiedeva, come lo sapeva anche L.
Improvvisamente
avvertii il fragoroso rumore di una ciotola in alluminio cadere a terra e venni
distolta dal mio giro di pensieri e da quella missiva. Il cuore mi finì nel
cervello per quanto batté forte.
Adagio
Molly fece capolino dal ripiano vicino al lavandino su cui tenevamo poggiate le
stoviglie e ciotole per cucinare. Muoveva la coda nervosamente e il suo sguardo
sembrava voler trasparire una scusante per il danno provocato.
“Oh,
mio Dio! Molly! Mi hai fatto prendere un colpo. Oggi è destino che ci debba
lasciare le penne.” Nervosamente chiusi gli occhi e mi portai la mano, in cui ancora
tenevo il biglietto, in testa in segno di sollievo.
Velocemente
ripiegai il foglio, lo misi in tasca e mi diressi verso l’angolo in cui
tenevamo il trasportino di Molly. Nella sua solita maniera ruffiana la gatta mi
seguì, si strusciò sulle mie caviglie, io mi cucciai e la presi. “Adesso
andiamo dalla mamma e dal papà. E dovremo inventare una buona scusa per il
casino di oggi.” Sussurrai carezzandola, poi la infilai nel gabbiotto e chiusi
per bene per evitare che mi sfuggisse.
In
fretta e furia mi rialzai, raggiunsi Weddy e Abel che
erano rimasti in mia attesa all’ingresso.
“Tutto
bene? Abbiamo sentito del rumore.” Affermò Abel mentre si massaggiava
timidamente il braccio muscoloso.
“Sì,
tutto ok. Era Molly che ha fatto cadere una ciotola…adess…”
Mentre ero intenta a parlare, misi la mano nella mia tasca interna e non trovai
il mio cellulare. “Ma…eppure lo avevo messo qui
dentro.” Ebbi paura di averlo perso nel nascondiglio di B o che mi fosse caduto
chissà dove nel caos di avvenimenti.
“Che
succede Leonor?” Domandò curioso e adombrato Abel.
“Cerchi
questo?” Weddy alzò il braccio teso dove nella mano
sfoggiava il mio cellulare.
“Come?
Quando?” Ero meravigliata.
Come
aveva fatto a prendermelo? Era nella mia tasca segreta e interna per di più.
“Tranquilla.
So fare molto meglio.” Disse la donna sorridendo beffardamente “Non potevo
lasciarti sola con questo e nel momento delicato in cui ci troviamo. Devi
scusarmi ma dobbiamo essere prudenti.” La bionda donna chinò il capo aprendo lo
sportelletto del mio cellulare con fare annoiato e
poi lo richiuse.
Avevo
capito! Mi aveva sfilato il telefono in macchina, togliendo la mano dalla mia
dopo quel gesto di gentilezza. Insieme a questa scoperta, capii anche un’altra
cosa.
L,
non si fidava completamente di me. Mi aveva fatto togliere il cellulare per
paura che avrei potuto modificare qualche mossa di B.
L,
sapeva che sotto l’influenza dei miei sentimenti, avrei potuto rovinargli tutto
il sottile incastro che aveva messo su per prendere B. Sarei potuta diventare
il bastone che invece di spingere l’ingranaggio nel giusto modo, lo avrebbe
potuto bloccare.
Ero
una collaborazione e un’arma pericolosa, dovevo essere tenuta sotto controllo. E
forse non aveva tutti i torti.
Un
po’ seccata per quella dimostrazione di sfiducia, presi il pezzo di carta
trovato sul ripiano della mia cucina e lo porsi a Weddy
ed Abel.
La
donna lesse attentamente, mentre Abel serrò la mascella e abbassò lo sguardo.
“Molto
bene. Possiamo andare…” Weddy
risoluta mi restituì il biglietto con il mio cellulare e continuò “ Prima però
direi che dovresti coprire quello, altrimenti tuo padre si preoccuperà davvero
molto.” La donna in maniera delicata indicò verso il mio collo.
Incuriosita
il mio viso si corrugò in espressione interrogativa.
Poggiai
il gabbiotto con Molly a terra, mi diressi verso lo specchio dell’ingresso e mi
esaminai.
Fino
a quel momento nessuno di noi se ne era accorto a causa del buio, ma sul mio
collo spiccavano delle evidenti echimosi che avevano la forma di mani.
Le
mani di B.
Di
quell’istante su quel riflesso, ricordo solo il mio sguardo sbigottito,
sorpreso e d’intenso dolore.
* In questa affermazione che fa Weddy, mi riferisco al cimitero di Los Angeles delle
celebrità. Una mia amica che è stata in California, mi ha spiegato che ci sono
due cimiteri a Los Angeles; quello delle persone comuni il Westwood Village Memorial Park Cemetery e quello
delle star l'Hollywood Forever Cemetery.
Quindi ecco spiegata l'ironia di Weddy.
Ciao
a tutti! Finalmente ce l'ho fatta a pubblicare!
Questo
capitolo e il prossimo erano nella mia testa già da quando avevo pubblicato il
precedente, però per via dei miei impegni di lavoro non ho potuto scrivere molto.
Anzi, dovevo proprio scrivere il capitolo a singhiozzi, con la paura che non
risultasse continuativo e omogeneo, ma più una specie di roba spezzata e incomprensibile
(XD ahahahah).
Perdono
quindi se non è proprio chiaro. L'ho letto più volte nella speranza che ci si
capisse qualcosa.
Che
dire, è un capitolo di passaggio, non compaiono né B, né L o meglio ci sono ma
indirettamente (proprio nel loro stile -.- ahahahahhaah).
Ad
ogni modo spero vi piaccia e spero non vi abbia annoiato, ho giocato molto di
fantasia e mi sono discostata un po' dalla storia del romanzo, forse, ma mi
piace giocare, ecco tutto. Sopratutto con Weddy e
Abel è stato divertente, in questo capitolo sono stati le guardie del corpo di Leonor XD.
Il
prossimo capitolo sarà l'ultimo, credo. E spero di poterlo scrivere il prima
possibile, ad ogni modo se non mi vedrete prima, è perché sarò sommersa di
lavoro fin sopra i capelli con la mia associazione, quindi ci rivedremo per il
periodo post lavoro.
Grazie
ancora per essere state/i qui a leggere, per il vostro sostegno, per l’attesa e
per avermi inserito nelle varie sezioni. Siete preziosissime/i e vi voglio bene.
Grazie
di cuore.
Baci
baci KiaraAma