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Autore: CoCoRouge    09/10/2012    0 recensioni
Scesero dal taxi con fare elegante, non badando agli scatti dei fotografi che le avevano circondate.
“Rose, ma viene anche tua sorella stasera?” Chiese Carol preoccupata.
“Non credo proprio…! Non è il suo genere, questo!”
Erano bellissime, e Samantha – presente all’apertura del locale – quando le vide incedere verso l’entrata fece una piccola lacrimuccia di commozione.
“Ragazze… siete bellissime… sembrate noi quattro quando eravamo più giovani!” Esclamò, salutandole con un grande abbraccio.
--tutto quello che potrebbe succedere DOPO carrie bradshaw... uomini compresi--
Genere: Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Movieverse | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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 Sabato 11 Agosto
 
Gazza Nera
 
I capelli rossi le cadevano lunghi sulle spalle, morbidi e setosi, scavalcandosi a vicenda in grosse onde sinuose.
“Miss Hobbes, bentornata!” La salutò il portiere del palazzo.
“Salve Hubert. I Preston sono a casa?”
“Certo che sì, si accomodi pure, le chiamo subito l’ascensore.”
Rebecca arrivò al ventesimo piano del grattacielo e bussò alla porta di casa di Jr.
Le aprì la colf e fece per prenderle borsa e giacchetto.
“No, no, grazie, vado via subito. Jr è in casa?”
“Il signorino si sta preparando in camera sua.”
“Rebbie, per fortuna sei qui! Ho un’emergenza!” Esclamò Jr, sbucando in corridoio.
Trascinò l’amica in camera e la fece rimbalzare sul letto.
“Ok, a me gli occhi: è un aperitivo informale, giusto? Però non voglio sembrare uno straccione… ma nemmeno un fighetto nerd figlio di papà!”
“Jr…”
“E poi, saremo all’aperto? Al chiuso? Che gente ci gira? Mi riconosceranno?”
“Siamo al Pier 7, all’aperto, informali ma in stile navy. Mi capisci?”
“Sì sì, ok, allora vado di bianco e blu?”
Rebecca sbuffò, e con un ghigno a sottolinearle il viso aprì l’armadio di Jr: lanciò sul letto una camicia bianca, un pantalone blu e un foulard rosso a stampa navy.
“Vestiti, e fallo in fretta, è già tardi.”
“Rebbie sei la mia salvezza! Ma questo foulard non urlerà un po’ troppo ‘sono gay, venite a prendermi’?”
“È rosso, Jr, potresti fingerti la dama delle camelie e dire che stasera hai le tue cose. Dai, sbrigati.”
“Oh, rossa, ti adoro! Faccio subito. Saremo noi soli?”
“No, Kenna ci raggiunge là.”
“Ha ancora quegli assurdi capelli rosa shocking?”
“Temo di sì…” La ragazza uscì dalla camera e andò ad aspettarlo in salotto. Dopo qualche istante arrivò Carrie, sorpresa di vederla: “Rebecca! È da un po’ che non ti si vede qui in casa… come stai?”
“Ciao Carrie, tutto bene. Stasera siamo di preparativi, c’è l’aperitivo al Pier 7.”
“Oh, capisco. Jr è nervoso?”
“Nervoso? No… è solo figlio tuo!”
Carrie rise e guardò l’orologio con un po’ di timore. Le sette e venti. A momenti Big sarebbe rientrato.
“Jr muoviti, Rebecca sta aspettando…!” Esclamò la madre, apprensiva, “Ah, Rebecca, non so se tua madre ti ha già informata, ma sabato 25 Charlotte terrà una festa di fine estate. Mi raccomando, devi esserci!”
“Ah sì? E dove si terrà?”
“Non è ancora sicuro, ma so che vorrebbe dare molto spazio a voi e ai vostri amici. Parlane con tua madre, ti saprà dire meglio.”
“Senz’altro! Grazie Carrie.”
“Beh, buona serata, e fai attenzione con il mio ometto…” sorrise la donna, facendole l’occhiolino.
Jr uscì dalla camera e si fiondò alla porta d’entrata, Rebecca dietro di lui.
“Ma ciao mio bel marinaio…” scherzò lei.
“Finiscila, se stasera non ne trovo manco mezzo, giuro che me lo faccio mettere in…”
La porta di casa si spalancò e Big entrò nell’atrio.
Jr strascicò la frase: “…in un conto a parte, gli ho detto, ti pare che paghi tutto io?” disse lui, cambiando discorso.
Rebecca rimase immobile e fece in tempo solo a bisbigliare un lieve ‘Buonasera signor Preston’, che Jr l’aveva già trascinata nell’ascensore, salutando l’uomo con uno sfuggente ‘Ciao papà’.
Le porte si chiusero sotto lo sguardo severo dell’uomo, e i ragazzi si trovarono di fronte le loro facce, sbigottite, riflesse sulle porte patinate dell’abitacolo.
“Non dirmi che non gliel’hai ancora detto.”
“Detto cosa?”
“Lo sai…”
“Non serve, già lo sa.”
“Ma Carrie non fa tanti problemi.”
“Perché mia madre è saggia e ne ha passate di tutti i colori, mentre mio padre, dalla sua bella torre d’avorio, non sa un cazzo di come gira il mondo. Lui con i soldi fa sempre tutto.”
“Anche tu con i suoi soldi fai sempre tutto.”
“Beh, sono giovane, ma non sono mica scemo. Forza, andiamo.”
 
 
“E tu cosa le hai detto?”
“Niente, sono scappata via e Jade mi ha soccorso al Tavern.”
“Pazzesco…” commentò Betty, sbarrando i suoi grandi occhi azzurri e pettinandosi con le mani i capelli biondissimi, “eppure tua madre mi sembrava così simpatica, dolce e gentile.”
“Sì, con Lily! Veramente, non so cosa stia succedendo, sembra ci sia una coalizione contro di me.”
“No, io credo che di te proprio non gliene freghi un cazzo a nessuno, e scusa il francese.” Commentò Carol, sistemandosi il rossetto.
“Grazie, Carol… sei sempre più comprensiva.”
“Ehi, io lo dico per te. Fatti valere, vedrai che qualcuno si farà quattro conti prima di dirti che sei banale.”
“Non ha detto che è banale, ha detto che le rose sono scontate.” La difese Jade, sistemandosi il vestito.
“Va beh, è uguale.”
“Resta il fatto che, uscita dal locale, ho fatto ritorno a casa con Brady, e arrivati di sopra mi ha dato uno schiaffo!”
“Chi, Brady?” Chiese atterrita Betty.
“No, mia mamma!” Rispose Rose, ridendo.
“Oh, quanto mi dispiace.” commentò la bionda, mortificata.
“Fa niente, stasera non ci voglio pensare. Quante fermate mancano?”
Carol guardò la linea riflessa sul suo specchietto da trucco: “Circa due. Prepariamoci.”
“Scendiamo a Whitehall?” Chiese Jade.
Carol annuì e rimise tutto in borsetta. Si avvicinò a Rose, le mise una mano sulla spalla e le sorrise. Mentre le altre si avvicinavano alle porte della metro, Carol le chiese, a bassa voce: “Hai visto anche Jeremy, per caso?”
Rose si girò a guardarla, stupita: “Jeremy? No, non mi pare… perché dici?”
“No, così, tanto per sapere.”
“Risposta sbagliata, Carol. Dimmi perché!”
“Dai muoviti a scendere, sennò ci tocca andare a Brooklyn!”
Le ragazze vennero vomitate fuori dal tubo e salirono in fretta le scalette, tornando in superficie.
Rose non toccò più l’argomento e s’incamminarono verso il Pier.
Il sole stava tramontando alle loro spalle, e la luce ora si faceva sempre più bassa, violacea.
“Chi ci sarà stasera?” Chiese Jade, per rompere il silenzio.
“Oh, i soliti. Probabilmente ci sarà anche il mio cuginetto Jr con Rebecca.”
“Oddio, quella davvero non la posso soffrire!” Commentò Betty, scuotendo la folta chioma bionda.
“Che è successo?”
“Avete presente Milo? Il mio Milo?”
“Milo… Bronson?” Disse Jade.
“Sì, Milo Bronson, l’uomo della mia vita, il ragazzo più elegante che abbia mai conosciuto, con gli occhi più dolci di questa Terra e con…”
“…un conto in Banca a sei zeri.” Concluse Carol.
“Stavo dicendo con il sorriso più bello di tutta New York.” Squittì Betty, sognante.
“Sì, abbiamo capito chi è.”
“Bene. Ho saputo che Rebecca è diventata una delle sue s…” Betty indugiò.
Le altre tre la guardarono, in attesa di quella parola.
Sapevano che non l’avrebbe mai detta.
“Una delle sue tr…”
Rose alzò la testa, cercando di dimenticare per un momento che stavano parlando della sorella di Brady.
“Una delle… oh, insomma, lei va a letto con lui!”
“Ma lui non ha trent’anni?” esclamò Jade, stupita.
“Trentuno.”
“E lei non ne ha tipo… Rose quanti anni ha?”
Rose sbuffò: “Sedici. Ma non è quello il punto. Mi sto chiedendo dove possono essersi incontrati.”
“Sicuramente in un locale, tipo stasera!”
“No, Rebecca è una tipa discreta, se anche ha casini suoi non va a mettersi in mostra davanti a tutti.”
“Allora si saranno visti in privato…!” Suggerì Jade, per poi proseguire sulla via del Pier.
Ormai erano arrivate.
Si piantarono su un tavolino vicino alla balaustra e brindarono insieme, i calici chiari in mano.
“Tua sorella non si muove mai?” chiese Jade d’un tratto, curiosa.
“Oh, dipende – se sa che ci sarà qualche paparazzo in giro, finge di non saperne niente e si presenta al locale più in della settimana in un Valentino candido e impalpabile. Se per caso esce e non trova nessuno a farle scatti da piazzare su qualche rivista di gossip, se ne torna a casa perché ‘domani deve svegliarsi presto per un photoshoot’!” spiegò Rose, facendo il gesto delle virgolette con le dita.
Le ragazze risero, ma Carol rimproverò Rose: “Non devi prendertela tanto; è fatta così, tu lo sai meglio di noi. Perché proprio ora ti scaldi tanto?”
La ragazza non seppe che rispondere.
“Sì, è vero, Lily è sempre stata la diva assoluta in casa Goldenblatt, e la cosa non ti ha mai disturbata, nemmeno quella volta che per la copertina di teen Vogue hanno messo lei frontale e te di spalle.”
“Sì, vendendomi la foto come un richiamo a Nadar… ma per piacere!” Commentò Rose, nervosa.
“È vero, ma solo adesso realizzi il tutto. E perché tanta animosità se hai deciso di non posare più?”
“È proprio perché non poso più che vedo quanto è effimero quel mondo, e quanto invece si può fare di più con la fotografia!”
“Sicura di non aver smesso perché lei è migliore di te?” Chiese Carol, infierendo sulla vittima.
“Beh, che sia di una bellezza sconcertante, non c’è dubbio. Ma cos’ha dietro quegli occhi a mandorla e quei capelli setosi…?”
“Forse niente, ma è proprio questo il punto, no? Deve posare, non discutere un trattato di astrofisica!”
“Sì, Carol ha ragione, perché ti scaldi tanto se sai che comunque chi si interessa a lei non troverebbe nulla oltre al bel visino?”
Rose tacque. Non poteva andare avanti.
Sorseggiò un altro po’ di vino e guardò il bicchiere.
“Oh mio dio.” Commentò Betty.
Rose arrossì. L’avevano scoperta. Alzò gli occhi ma stranamente nessuna stava guardando lei.
“È arrivato! Accidenti e ora che faccio?” Cominciò a dire Betty, in preda al panico.
Milo aveva fatto il suo ingresso al Pier e stava scherzando con alcuni amici.
Bene, non l’avevano smascherata.
“Rilassati. Anche se fosse, non state insieme. Non puoi dirgli niente.” Disse Jade, accendendosi una sigaretta.
“Sì, lo so, ovviamente! Però… com’è bello…!”
Il ragazzaccio avanzò a passi decisi, la giacca blu aperta sopra la camicia a righe bianche e blu. Si fermò da loro, e avvicinò Betty.
“Ehi, la mia bella biondina! Come stai?” Le disse lui, facendo lo splendido.
Betty si voltò e gli sorrise, sfoggiando il suo sguardo da Barbie Sposa: “Molto bene, grazie. E tu?”
“Oh, una favola…! Ragazze…” disse, facendo un cenno alle altre.
Rose gli sorrise, mentre le altre due si voltarono dall’altra parte.
Milo si avvicinò all’orecchio di lei e le sussurrò: “Sei uno schianto stasera; con permesso…”, per poi tornarsene dai suoi amici.
Betty era su un altro mondo. Un altro pianeta.
Jade e Rose si guardarono.
“Ordiniamo da bere?” Propose Jade.
“Decisamente.” Disse Carol, facendo un cenno al cameriere.
Rose tornò per un istante all’argomento della sorella, e concluse in bellezza levandosi uno sfizio, dicendo: “E la sapete una cosa…? Mette le lenti a contatto azzurre.”
 
 
Lo guardava, come un pesce in una boccia guarda il mare. Non sapeva dove mettere le mani, come muoversi, cosa dire. Solo le frastornanti parole di Kenna la riportarono alla realtà.
“Ehi, Rebecca, sei fra noi?”
“Sì, scusatemi. Che ora si è fatta?” Chiese, distratta.
Tornò a guardarlo, e stavolta anche lui la stava guardando. Gli sorrise e tornò alla sua amica.
“Sono le dieci passate.”
“Aperitivo lungo, eh?” Commentò Jr, la sigaretta in mano, nervoso.
“Ma quanta depressione…!”
“Ha parlato la Natalie Portman dei poveri! Quei capelli torneranno di un colore decente prima della fine dell’anno?” Commentò acido Jr.
“Pensavo di passare all’arancio.”
“Oh mio Dio, Becky, non mi abbandonare con questa pazza, ah!”
La ragazza rise e baciò sulla guancia i due amici, salutandoli in fretta.
“Di già, tesoro?”
“Sì, purtroppo. La metro non aspetta! Ci sentiamo domani pasticcini!”
Lanciò baci all’aria dietro di sé e sfilò via, i tacchi incerti sul legno del Pier.
Si mise le cuffiette e ascoltò un po’ di musica sulla via del lavoro.
Raggiunse il locale notturno dopo cinque fermate della metro e un isolato a piedi. Entrò veloce nel locale, i capelli ora raccolti e il berretto ben calato sugli occhi. Andò al bancone e chiamò il proprietario, Bernie.
“C’è posto di la?”
“Ehi, bimba, benarrivata! Sì, vai pure in camerino, Lavanda arriva più tardi.”
La ragazza imboccò le scalette di servizio e andò ai camerini. C’erano solo altre due ragazze, nuove e un po’ troppo arroganti per i suoi gusti.
“Tu sei quella mascherata?” Le chiesero.
Lei si sistemò al suo banchetto, accese le luci dello specchio e sistemò il suo beauty sul tavolino, lanciando loro un’occhiata fulminante.
“Andiamo, Lizzy, che questa qui ce l’ha d’oro e non vuole sciuparsela.” Commentò l’altra, uscendo dai camerini.
Tolse il berretto e sciolse i capelli e cominciò la vestizione.
Dopo qualche minuto Bernie le arrivò alle spalle e la guardò attraverso lo specchio.
“Ehi, se ti può interessare, un mio amico ha un pub a due isolati da qui. Hanno aperto da poco ma cercano personale. Potresti farci un salto, vedere come va…!”
“Mi vuoi licenziare, Bernie?” Chiese lei, mentre tirava una linea dritta sulla palpebra mobile dell’occhio destro.
“Oh, certo che no, scherzi? Sei una delle migliori qua dentro… è solo che, insomma, finora non ci sono stati controlli, ma tu sei minorenne, e…”
“Non faccio niente se non ballare, Bernie, e indosso pure una maschera. Non corri nessun rischio.”
“Lo so, però…”
“Quanto paga il tuo amico?”
“Cinque dollari l’ora, lo so, però sarebbe un lavoro onesto, gioverebbe anche a te.”
“Sei premuroso, Bernie, ma non posso. Mi servono soldi. Con te arrivo anche a centocinquanta dollari a settimana, se vado dal tuo amico dovrei lavorare di giorno. E io di giorno sono a scuola.”
“Vedi tu, per me fare mille cose insieme e tutte male, è sbagliato.”
“Grazie Bernie, sei molto gentile. Ora fammi preparare tutto. Tra quanto vado in scena?”
“Tra venti minuti. Apri la serata.”
“Bene. I ventagli di piume?”
“Ah già, ho dimenticato di dirtelo. Non hanno trovato nulla di quel che volevi tu, ma arriveranno la prossima settimana. Stasera devi rifare il sado.”
“Porca troia… mi ero preparata il pezzo con le piume! Va beh, fa niente. Allora: stesse luci dell’altra volta, ma mettici un uomo a seguirmi con l’occhio di bue, non so cosa potrei improvvisare.”
“Ok, piccola. Ci vediamo dopo. Buon lavoro!”
“Grazie.” Disse lei, concludendo il suo trucco.
Aprì l’armadietto con i costumi di scena e tirò fuori il completino di pelle nera, cambiandosi d’abito. La parrucca nera che copriva i capelli raccolti faceva risaltare i suoi occhi verdi. Prese la maschera di piume nere e la calò sulla fronte, pronta per entrare in scena.
“Rebecca, muovi quel culo e niente rimpianti.” Si disse sottovoce, dietro il palco.
Le luci ai alzarono e la musica cominciò a rimbombare in sala.
Per tutti, la ragazza sul palco era Black Bird, la gazza nera, per via della maschera piumata che indossava sempre.
La musica si fece sempre più alta e d’un tratto si spense. Cominciò uno schioccare di dita, seguito da un contrabbasso vibrante.
La Gazza guardò chi ci fosse alla console, e vide Lavanda con il suo cd in mano. Maledetta. Le aveva cambiato il brano. Fece appena in tempo a vedere Bernie che la trascinava nei camerini, quando la canzone partì.
Fever, di Peggy Lee.
Nessun problema, aveva un occhio di bue su di sé, le luci avrebbero funzionato lo stesso. Ma doveva improvvisare le mosse.
Si buttò sul palco e con tutta l’adrenalina che aveva in corpo, fece del suo meglio per restare nei tempi.
Solo una cosa la faceva stare meglio: pensare alla strigliata che quella stronza di Lavanda si stava prendendo nei camerini.
Come di consueto scese dal palco e si fece il suo bel giretto tra i tavoli, stando attenta a non superare la zona di galleria, altrimenti sarebbe finita al buio.
Si passò ogni tavolo, e scherzò con una mezza dozzina di clienti, finché non raggiunse il tavolo dodici, e vi trovò il solito cliente.
Si immobilizzò.
Era Milo.
L’aveva seguita fin lì, eppure era sicura che quella sera lui sarebbe rimasto con i suoi amici.
La musica continuava e lei glissò sul tavolo dodici, tornando sul palco. Nel frattempo era magicamente comparsa una sedia, che l’aiutò a concludere il pezzo in un modo pressoché decente.
L’occhio di bue si spense nel nulla e il buio pervase il palco, permettendole di scappare dietro le quinte.
Corse ai camerini e si levò la maschera: “Ti rendi conto di quanto poco professionale sei, Lavanda Rus?”
La ragazza, più alta di lei, era seduta alla sua postazione, in lacrime.
“Non so cosa ti abbia detto Bernie, ma ha fatto bene. È ora di finirla con queste stronzate da prima donna! Io sono qui per lavorare.”
“Mi ha licenziata.”
Per un momento provò pietà per lei, ma almeno per una volta aveva la sua rivincita. E non si era nemmeno sporcata le mani… meglio di così?!
Si sedette al suo banchetto e cominciò a sistemarsi per il numero successivo.
“Non ti facevo così combattiva.”
La voce di Milo la sorprese alle spalle.
“Che cazzo fai qui?” chiese lei, guardandolo dallo specchio.
“Perché non sei venuta a salutarmi prima al Pier?”
“Perché eri in buona compagnia. Non ti servivo.”
“Beh, mi servi adesso. Stasera rimani da me?”
Guardò in fretta l’orologio. Mezzanotte e dieci.
“Non posso, devo lavorare.”
“Bene, io ti aspetto. Qual è il prossimo numero?”
Rebecca si mise seduta sul suo banchetto e fece segno alle altre di uscire. Quelle ubbidirono e chiusero la porta dello stanzino. Lei tirò il ragazzo a sé per la giacca e cercò le sue labbra, fermandosi ad un palmo dal suo naso.
Lui la prese per i glutei e si mise le sue gambe attorno alla vita.
Rebecca gli buttò le braccia al collo e affondò la lingua nella bocca di lui, baciandolo con foga e mordendogli un labbro, alla fine.
“Ahia!” Esclamò lui.
“E adesso dimmi, perché amoreggiavi tanto con la biondina?”
Lui la lasciò andare e la guardò, stordito: “Quale biondina?”
“La Barbie Rinco, amica di Rose Goldenblatt.”
Lui ci pensò un attimo: “Oh, quella! Betty! Ah, lascia stare. È solo una gran bella bambolina.”
“E io no?”
“No, tu sei una gran bella troia.” Rise lui, avvicinandosi a lei, le labbra protese.
Gli arrivò uno schiaffo in pieno viso: aprì gli occhi, confuso.
“Non t’azzardare mai più ad offendermi in questo modo! Ho sedici anni, ma non sono stupida!”
“Ehi, bambola, se vuoi che nessuno sappia che bel lavoro fai e in che posto di merda ci siamo conosciuti, è meglio che te ne stai tranquilla.”
“E tu, se non vuoi una denuncia per abuso di minorenne, leva quelle mani dal mio culo.”
Lui le sorrise e la baciò fugacemente sulle labbra.
“Ti aspetto fuori, prendi la borsa.”
Quella si rassegnò. Si cambiò e raccattò le sue cose. Andò da Bernie, lo ringraziò per la lavata di testa fatta a Lavanda, e chiese di andare via prima, questioni di famiglia.
Lui ciondolò la testa e la lasciò andare.
Quando uscì, il ragazzo era appoggiato al muro del vicolo e si stava fumando una sigaretta.
Lo prese per la nuca e lo baciò di nuovo, ancora, rubandogli poi con l’altra mano la sigaretta.
Fece un tiro e la gettò a terra.
Lo prese per mano e con un ‘Andiamo!’ s’incamminarono per la via.
“Non ti volevo offendere prima.”
“Lo spero.”
“È solo che tu sei il mio piccolo demone, e con te posso scatenarmi e non essere sempre l’imprenditore Bronson, mi spiego?”
“Sì, ti spieghi perfettamente.”
Avanzarono di altri dieci passi, poi lei si fermò: “Vorrei solo che una cosa fosse chiara: tu per me saresti comunque troppo vecchio,…”
“Ma ho trent’anni!”
“…trentuno, e comunque anche se fosse io non voglio nulla di serio. Ci troviamo, nessuno ci vede, scopiamo, mi porti a casa e fine della storia. Chiaro?”
“Chiarissimo.”
“Bene. E ora ti devo chiedere una cosa, ma sappi che non è un invito. Sabato 25 Agosto ci sarà una festa dei Goldenblatt, tipo festa di fine estate, una cosa così. Se ci vieni probabilmente troverai qualche personaggio che potrebbe interessarti.”
“Tipo…?”
“Tipo… amici di Samantha Jones della West Coast. Fatti i tuoi calcoli.”
Lui la prese e la strinse a sé: “Ma sei un genio, piccolo demone!”
“Sì, ora levati di torno. Andiamo a casa.”
“Ti porto a casa tua?”
Lei lo guardò: “Beh, se riesci a farmi venire in macchina da qui a Brooklyn, si può fare.”
Salirono nella limo del ragazzo che aspettava pazientemente alla fine della via e si misero in viaggio verso il ponte.
Rebecca guardava fuori dal finestrino mentre Milo scendeva con i baci lungo il collo, e sempre più giù, sul seno.
Guardava fuori dal finestrino e si chiedeva se quella bionda di Betty sapesse com’era veramente Milo Bronson.
Lui ora le stava sollevando il vestito e con la mano la cercava avidamente.
Guardava fuori dal finestrino e chiuse gli occhi. Si mise a cavalcioni su di lui e lo strinse a sé.
Si chiese se il mattino dopo lui, annusandosi il colletto della giacca, si sarebbe ricordato del suo profumo.
Del profumo del demone.
 
 
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