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Autore: Horrorealumna    12/10/2012    13 recensioni
"Noi, quali le foglie che la stagione di primavera dai molti fiori genera non appena crescono ai raggi del sole, ad esse simili godiamo per il tempo di un cubito dei fiori di giovinezza, dagli dei non sapendo né il bene né il male; ma già ci stanno vicino le nere Parche, reggendo l’una il termine dell’odiosa vecchiaia, l’altra quello della morte: il frutto della giovinezza dura un attimo, quanto sulla terra si diffonde il sole. Ma quando il termine di questa stagione sarà passato oltre, allora l’esser morto è meglio della vita."
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Caesar Flickerman, Claudius Templesmith, Presidente Snow
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'You Better Watch Out'
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I Nostri 41esimi Hunger Games

 
 

Casa Dolce Casa
 

Non c’è posto più accogliente di casa propria. Tra quelle mura ci si sente sicuri e protetti, si sta proprio bene. Sarebbe bello viverci per sempre; rivedere i posti familiari in cui si è vissuta l’infanzia, pieni di bei e brutti ricordi, ci dà davvero la sensazione di non essere soli. Mai.
Ma c’è sempre qualcosa, o qualcuno, che deve riportarti alla realtà, anche se non lo vuoi.
E così ci si ritrova nel vero mondo, un mondo molto più oscuro e lontano della dimensione quasi incantata in cui si cresce. E non sempre tornare nel “vecchio mondo” è ammesso.

 
 

DISTRETTO 1

 
Sophia Devis

 

Sophia non aveva chiuso occhio: aveva passato tutta la notte a fissare fuori dalla finestra l’andirivieni di gente sella strada su cui si affacciava la sua stanza.
Era il giorno della Mietitura: non era agitata e non aveva, giustamente, ragione di esserlo. Dopotutto, era nata per quello. Aveva atteso quel momento da quando era piccolissima.
Ridacchiò silenziosamente, ricordando che era sempre stato il suo desiderio più grande, far parte degli Hunger Games. Ma era stato alquanto infantile all'inizio, solo una strana pretesa di una bambina cresciutavelocemente tra coltelli e spade; suo padre era un uomo che ne sapeva di armi e massacri, il cui più grande sogno era vedere sua figlia vincere gli Hunger Games ad ogni costo: ne andava dell’onore dell’intera famiglia.
Anni e anni passati in accademia stavano per dare i loro frutti, finalmente.
Prepararsi tutta la vita, eppure, non basta: bisogna avere la forza di volontà. E Sophia ne aveva certamenre da vendere.
Ora, seduta davanti allo specchio, si spazzolava i lunghi e fluenti capelli color oro, fissando il suo riflesso con aria assente e sostenendo lo sguardo di quei due occhi azzurri.
Seducente.
Bella.
Ecco cos’era.
Sorrise a trentadue denti; poi tornò ad incupirsi.
Bella e letale...
L’avrebbe fatto: si sarebbe offerta volontaria! Non voleva deluderli!
Avrebbe dimostrato a tutta Panem, che oltre l’aspetto gradevole, c’era molto di più in lei: come una rosa, all’apparenza bellissima e attraente, che nasconde spine acuminate, lei avrebbe fatto colpo per poi “ferire”.
Lo faceva per gli altri, ma anche per sé stessa. Sapeva che non sempre si usciva da quell’arena ancora in vita, ma non era molto pessimista; pensare, però, alla sua vera migliore amica, uccisa a freddo lì e rispedita in una bara puzzolente l’anno prima, le faceva male.
"Sophia sarebbe tornata a casa!"
- Sophia! Scendi! La mietitura sta per cominciare!
 

 
Diego Sallen
 
- Come ti senti, figliuolo? Sei eccitato all’idea di questa Edizione? Io sì. Perché so che sarai tu il vincitore!
Erano seduti l’uno di fronte all’altro, con la colazione ancora sul tavolo, perfettamente intatta e fredda.
Diego non ascoltava suo padre: cercava di tenere la mente rivolta altrove, di non pensare a quello che da lì a poche ore sarebbe accaduto davanti a milioni di persone e altri ragazzi come lui.
La Mietitura.
L’inizio degli Hunger Games.
 - ... ti vedrò tornare a casa famosissimo e forte. Proprio come me!
Il figlio sbuffò, concentrando ora l’attenzione sui lacci delle sue scarpe nuove.
- Mi stai ascoltando? Diego? DIEGO!
- Papà! - urlò il ragazzo spazientito al padre - Sì, sì!
L’omone riprese il suo discorso sulle armi, sull’importanza che un po’ d’acqua poteva avere e cose del genere. Essendo un esperto dei Giochi conosceva cosa voleva dire mettere tutto a repentaglio, nell’Arena. E aveva idee ben chiare sulla sorte del primogenito.
- Stronca i più deboli prima, capito? Magari i tipi solitari o i più piccoli. Poi occupati dei pezzi forti; non temere: alcuni si faranno a pezzi da soli. Uccidere deve essere la tua priorità, quindi racimola qualche spada o...  - ricominciò a borbottare l'ex vincitore, senza neanche prendere fiato.
Lui ne aveva abbastanza.
Diego si passò una mano tra i folti capelli biondi e sbuffò abbastanza forte da farsi ben sentire dal padre; poi disse:
- Papà... uccidere? Chi? Altri bambini?
- E’ lo spirito del gioco, Diego! O uccidi o muori! Tutto il Distretto conterà su di te - urlò l’uomo, alzando minaccioso le mani.
- Allora questo Distretto fa davvero schifo!
Si mise in piedi con uno scatto e corse verso la porta, diretto verso la piazza illuminata da un sole malato e coperto da un leggero velo di nebbia.
Non gli sarebbe importato niente: se doveva proprio offrirsi volontario non l’avrebbe fatto per suo padre, né per il Distretto 1.
- Mamma non avrebbe permesso tutto questo. Mai - sussurrò al vento.

 

 
DISTRETTO 2
 
Lavinia Harmonia
 
Una ragazza, Perla, dall’aspetto elegante e raffinato, stava parlando con una bambina.
- E cosa farai se ti chiameranno? Ti metterai a frignare?
La bambina in questione si chiamava Lavinia, aveva 13 anni... e tanta voglia di vincere. Sapeva di avere molte probabilità di accaparrarsi il favore del pubblico col suo tenero faccino e non aveva affatto paura dei Tributi e dell’Arena. Era pronta.
- No - ghignò la piccoletta alla sorellona - Non succederà!
Perla la squadrò da capo a piedi:
- Credi di poter vincere? Ti sei allenata, certo... ma resti pur sempre un’innocua tredicenne, mingherlina e fragile.
- Sono intelligente e conosco le piante commestibili e velenose. Non mi servirà la forza bruta: io non sono te!
Perla si accigliò: era stata la vincitrice degli Hunger Games l’anno prima e per fare fuori i suoi avversari si era data alla lotta corpo-a-corpo, senza dedicarsi troppo a nascondigli o trappole e mettendo da parte le buone maniere. Li aveva trucidati tutti, uno dopo l'altro, ed era tornata casa colma d’oro e popolarità.
- E poi...  - aggiunse Lavinia afferrando un coltello e facendo scorrere la lama tra il pollice e l’indice - sono bravissima coi pugnali.
Detto questo scattò: lanciò l’arma in avanti, facendola roteare e mandandola a ficcarsi nel muro, nell’esatto punto che intendeva colpire. Al sibilo, Perla ritrasse la testa per istinto. Non poteva negarlo: la sua sorellina era pericolosa quasi quando lei.
- Cosa farò, dici? Mi offrirò volontaria! - concluse Lavinia osservando il suo operato e sorridendo - E farò felice mamma.
- Ci saranno diciottenni pronte ad offrirsi. Come credi di... ? - ribatté la sorella.
- Sarò la prima a salire sul palco. Vincerò. E tu sarai la mia mentore, Perla.
 

 
Brandon Mayers
 
Era passata poco più di una settimana dal suo diciottesimo compleanno. Sarebbe stata l’ultima mietitura per Brandon.
Il ragazzo se ne stava seduto in soggiorno a confortare suo fratello minore, Renly, di tredici anni. Loro padre, sebbene li avesse iniziati in accademia non appena impararono a camminare, non aveva saputo smuovere abbastanza nessuno dei due figli. Il signor Mayers, infatti, aveva desiderato ardentemente far parte degli Hunger Games a suo tempo, ma il sempre elevato numero di volontari gli rese impossibile quell'agognato “privilegio”. Ora aiutava gli istruttori in Accademia; aveva cresciuto i suoi ragazzi con fermezza e impassibilità, come se fossero militari, preparando con assurda perfidia e rigidità soprattutto il primogenito.
Brandon non aveva mai accettato quell’idea che suo padre e l’intero Distretto 2 provavano per i Giochi della Fame. Onore. Gloria. Ricchezza eterna.
- E se mi estrarranno? - bisbigliò Renly fissando il fratello.
Renly non era il migliore dell’accademia, anzi: era relativamente fragile e pauroso. Era un bambino e anche il solo reggere un’arma era una cosa impossibile da imporgli.
- No. Non succederà - lo rincuorò Brandon.
- Ma papà dice che... - obiettò l’altro pensieroso.
- Lascialo perdere! Non ti prenderanno.
- Torna indietro solo uno. Io morirei se... ?
- Non pensarci, Renly. Non permetterò che succeda una cosa del genere. Mai. Vedrai: passerà anche quest’anno, come il precedente. E staremo ancora insieme.
Brandon era stanco del padre e del suo modo di vedere gli Hunger Games. Renly non doveva assolutamente seguire la sua strada. Ecco perché non si sarebbero mai offerti volontari.
Si sentì un singhiozzo provenire dalla cucina.
Due singhiozzi.
- Mamma? - sussurrò Brandon aguzzando lo sguardo per trovarla.
La signora Meyers si fece vicina ai figli, a passo lento. Le mani tormentavano un fazzoletto completamente zuppo di lacrime silenziose, che solo in quel momento ripresero a scendere, in un pianto disperato.
Si sedette accanto a Brandon e l’abbracciò. Il figlio, sorpreso da quel gesto che ricordava aver ricevuto solo quando era davvero piccolo, rimase immobile, perplesso e abbastanza spaventato.
- N-non vo-voglio... perdervi! - gemette lei in preda alla disperazione.
Non aveva mai pianto per una Mietitura!
- Perché... piangi, mamma? - chiese alle sue spalle Renly.
- Vostro padre... ha det-detto al Di-Distretto che... che... - singhiozzò la donna - Non... Se... se qualc-cosa dovess-se ac-cad-ere... non vi... uno... di voi... no! NO!
Renly le accarezzò le spalle e lui ricambiò finalmente la sua stretta.
- Papà?

 
 
DISTRETTO 3
 
India Eveery
 
- E’ il giorno, Anthea - annunciò mestamente India alla sua sorellina, che ancora dormiva beata.
Ci volle qualche bel minuto per convincere la piccola a scendere dal letto e a mandar giù qualcosa. Era nervosa. Tremendamente nervosa. Chi non lo era nel giorno della Mietitura?
- Cosa succederà in piazza, India? - chiese Anthea dopo essere riuscita a sgranocchiare qualche biscotto al cioccolato.
India alzò le spalle:
- Non preoccuparti. Vedrai i tuoi compagni di scuola e devi metterti in fila insieme a loro, quindi per qualche minuto non ci vedremo. Ah, i Pacificatori ti pungeranno il dito per registrarti.
La bambina sgranò gli occhi facendosi rigida.
- Dai! E’ solo una goccia di sangue - ribatté India divertita dall’espressione della sorellina.
Peccato che di divertente ci fosse davvero ben poco. Per i dodicenni la prima Mietitura era sempre un trauma. Aspettare in piedi, sotto lo sguardo di tutta Panem, che il tuo destino venisse irrimediabilmente decretato non era sicuramente mai ben interpretato dai più piccini.
- E’ vero che non verremo prese, India? La gente và, ma non torna più. Io voglio tornare a casa - chiese dolcemente Anthea.
- No, piccola. Stasera ci rideremo sopra.
Le sorelle sembravano davvero felici insieme.
- Papà verrà a vederci, India?
- No. Sai che non riesce neanche a stare in piedi, Anthea.
Loro padre stava ancora dormendo. India non voleva svegliarlo; sarebbe stato quasi angosciante per l’uomo accompagnare le figlie, soprattutto la più piccola, in piazza.
- Iniziamo a prepararci, che ne dici? - chiese India dopo qualche minuto si silenzio imbarazzante.
- - rispose la sorellina mettendosi in piedi.
- Ho un bellissimo vestito da mostrarti. Vieni qui.
Non aveva nascosto quell’abito ma sua sorella non ci aveva neanche fatto caso. Un candido vestito bianco, tutto pizzi e merletti, giaceva su una delle sedie del soggiorno.
- E’ per te - annunciò India pizzicando amichevolmente la guancia di Anthea - Quello l’ho indossato anch’io per la prima Mietitura e... indovina un po’? Anche la mamma.
Loro madre era morta dando alla luce Anthea, che quindi non l’aveva mia potuta conoscere; India la ricordava perfettamente invece.
- Grazie! E’ bellissimo. Mamma sarebbe stata felice d vedermi sol suo vestito?
- Felicissima.

 
Essien Konatè
 
L’orfanotrofio era pieno di bambini in lacrime; i diciottenni a stento riuscivano a trattenerle.
Essien e sua sorella Dalila erano seduti l’uno accanto all’altra e, silenziosi, aspettavano che l’addetto consegnasse loro i vestiti per la Mietitura, l’unico giorno in cui l’istituto “aveva a cuore l’aspetto dei loro ragazzi”.
Arrivato Micheal, il custode dei loro dormitori, lanciò ai fratelli delle camicie immacolate e ruvidi pantaloni grigi. Gli stessi di ogni santo anno!
I Konatè, poi, erano malvisti da tutti ed evitati se possibile.
Non erano neanche originari di Panem: venivano da quella che i loro antenati chiamavano “Africa”; a causa della guerra che uccise i loro genitori, decisero di scappare e rifugiarsi nel Distretto 3, in cui vivevano da quattro anni. Essendo troppo grandi per essere adottati furono subito messi a lavorare nelle fabbriche d’elettronica.
- Ci odiano, Dalila - si lasciò sfuggire il ragazzo.
- Chi? Noi due?
- No, non solo. Ci odiano tutti! Capitol ci odia, ecco perché in... - aggiunse abbassando la voce - in questo schifo di Paese mettono i ragazzi in un’Arena a combattere fino alla morte.
- In effetti è senza senso! - rispose la sorella - I Distretti non provvedono forse a moltissime cose e risorse utilizzate a Capitol City?
- Sì.
- E allora? Tutto questo solo per una ribellione? Che qualcuno si faccia avanti!
- Sei troppo ingenua, Dalila. Chi mai si farebbe avanti?
Silenzio.
Una ribellione? Era fuori discussione. C’erano i Pacificatori a togliere di mezzo i rivoltosi o i ribelli.
- Ti offrirai volontario, Essien? Questa è la tua ultima occasione. Sei bravo.
- Non lo so ancora, Dalila.
- Hai delle chance. Puoi vincere, se lo vuoi.
Si guardarono negli occhi. Li stessi.
- Può darsi - tagliò corto il ragazzo.
 

 
DISTRETTO 4
 
Alexandra Ranger

 
Alexandra era in riva al mare. Seduta sulla sabbia rovente aspettava il suo amichetto.
Ci fu un’onda più potente delle altre e la risacca mostrò alla ragazza il piccolo delfino, Liberty.
- Ciao, bello! - esclamò lei avvicinandosi all’animale e toccandogli il musetto.
Liberty si immerse, lasciando Alexandra con ancora la mano tesa.
Era stata lei a salvare quella creatura, finita per sbaglio nella rete di un pescatore e colpita più volte da una lancia. Aveva rimesso in sesto quella povera bestiolina e gli aveva dato quel nome.
Dopo averlo ridato all’oceano, Liberty non si era più allontanato dal Distretto 4. Anche gli altri pescatori si erano affezionati a lui e gli riservavano pesce a volontà.
Anche Alexandra voleva molto bene al “suo” delfino: gli portava da mangiare e a volte nuotava insieme a lui.
Dopo qualche minuto d’attesa Liberty sbucò accanto alla ragazza, con delle alghe tra i dentini affilati: segno che aveva fame.
- Non mi vedrai all’ora di pranzo, Lib. Non oggi. E non ho niente per te adesso - disse lei all’animale.
Liberty sibilò.
- Tra qualche ora ci sarà la mietitura, Liberty. E se vengo presa... tu...
L’animale sembrò quasi capire le parole dell’amica: chiuse il suo becco lungo e si fece piccolo piccolo, mettendo il musetto sott’acqua.
- Tornerò? E chi lo sa. Tu non hai di questi problemi, vero? - continuò Alex abbozzando un mezzo sorriso - Ma sai... io li ho visti nell’Arena. Sembrano più animali di voi. Ridicolo!
Cosa avrebbe fatto senza i suoi amici e la sua famiglia, nel bel mezzo dei Giochi?
Intonò un motivetto.
Alexandra adorava cantare. Quella che stava proponendo a Liberty era la sua ninna nanna, la sola canzone capace di renderla calma e di eliminare qualsiasi pensiero dalla sua testa. Se solo avesse potuto cantarla durante l’estrazione dei nomi...
- Alexandra! Alexandra! Alex, dove sei?
Era Hanna, sua sorella; troppo grande per la mietitura, aveva deciso di accompagnarla in piazza, giusto per non farla sentire solo in quel giorno così buio e triste.
- Cosa vuoi, Hanna? - urlò indietro Alex.
Si fece avanti una ragazza alta e formosa:
- Cosa voglio? Niente, tesoro. Sta solo iniziando la mietitura!
Alex spalancò la bocca per la sorpresa:
- Di già?!
- Sì, scemotta. Stai qui tutto il giorno a cantare e nemmeno sai che ore sono. Vuoi che vangano a prenderti i Pacificatori?
- No.
- E allora andiamo!
 
 
Xaber Dabis
 
- Sei bellissimo, tesoro! - disse la signora Dabis, mentre cercava di domare la chioma ribelle del figlio.
- Grazie - rispose cortese Xaber, sorridendo.
Poi si guardò nello specchio.
Le mani di sua madre tremavano; sembrava in preda ad una scossa elettrica.
- Hai... intenzione di andare da solo in... piazza, Xaber? - chiese lei. Anche la voce sembrava dover cedere da un momento all’altro.
- No, mamma. Andò con Skandar.
Erano anni che la signora Dabis non usciva di casa. Più precisamente dal giorno in cui sua figlia fu scelta per gli Hunger Games.
Si chiama Haylee, una ragazza dolcissima e generosa, che tutto il Distretto 4 conosceva e amava.
Fu sorteggiata parecchi anni prima e avrebbe anche potuto vincere... se non avesse deciso di suicidarsi nel bel mezzo dei Giochi. Per amore.
Riportarono alla famiglia il cadavere in una scatola di legno. Senza scuse. Senza sentirsi in colpa. Era morta, e non dovevano spiegare nient’altro alla famiglia avvolta nel dolore.
Da quel giorno i sorrisi erano diventati sempre più rari in casa.
Vedere il suo ultimo figlio, Xaber, partire per la Mietitura ogni anno, era diventata una tortura per lei. L’idea di perderlo come Haylee la devastava, anche se cercava di non darlo a vedere.
- Mamma? - sussurrò lui.
Lei continuò il suo lavoro senza fiatare.
- Mamma! Ascoltami - disse Xaber, fissando il suo riflesso - Non temere. Sai che non ho tessere in più. Ci sono centinaia di nomi lì, ed io ho solo dodici anni!
Silenzio.
- Mamma!
Xaber si allontanò di scatto dal pettine e la prese per le braccia, guardandola dritta negli occhi:
- Stasera tornerò. Staremo insieme ancora. E poi... sai che papà mi ha allenato per anni! Di cosa ti preoccupi?! Non morirò come mia sorella!
Sua madre aveva lo sguardo altrove, come se stesse osservando qualcosa che solo lei riusciva a vedere.
- Non morirò! Tornerò a casa! - urlò il ragazzino - Sii forte!
Si sentii bussare alla porta.
- Devo andare, mamma - riprese più calmo Xaber.
Pose un leggero bacio sulla guancia della donna immobile.
- Tornerò, lo giuro. Ciao, mamma.
 
 

DISTRETTO 5
 
Connie Stevenson

 
- Ci andiamo insieme? Alla Mietitura intendo? - chiese Matt a sua sorella.
- D’accordo - rispose Connie.
Era seduta sul letto, ad aspettare che arrivasse il momento di vestirsi e partire per la Mietitura. Non poteva negare di aver paura; ma non sarebbe stato quel patetico sentimento di impreparazione al futuro a impedirle di venire estratta.
- Come fai, Matt? Come fai a rimanere così calmo ogni anno? - chiese Connie , con una leggera nota d’ammirazione nella voce.
- Non ci penso più di tanto. E' il mio segreto. Mi aiuta a rimanere lucido - rispose lui semplicemente - Dopotutto... loro chiedono solo terrore e paura. Quindi provo a non pensarci su. Più hai paura, più li assecondi.
- Hai ragione.
- Lo so. Io ho sempre ragione - concluse lui, imitando la parlata tipica della gente della Capitale.
Connie scoppiò a ridere; in effetti era meglio riderci sopra, invece di piangere.
Solo in quel momento un’altra figura, minuta e fragile, entrò nella stanza.
Una bambina dai capelli rossi, identici a quelli di Connie, inarcò le sopracciglia sorpresa:
- Perché ridete? - chiese innocentemente.
- E’ vietato ridere oggi, Lisa? - chiese sarcastico Matt alla più piccola delle sue sorelle.
Lisa aveva solo nove anni, era perciò troppo piccola per partecipare alla Mietitura; eppure, anche lei sentiva che quello era un giorno speciale.
- Ve l’ho chiesto - si giustificò la piccola - perché prima mi ero affacciata alla finestra e ho visto dei ragazzi piangere. Ho chiesto a papà il perché... e mi ha detto che oggi è un giorno triste.
- No - rispose Connie - Non devi essere triste... tu. Lisa, non...
- Papà me lo ha detto. Ha detto che oggi è il Giorno della Mietitura - replicò Lisa.
Ci fu qualche attimo di silenzio.
Anche se Lisa sapeva perfettamente cos’era la Mietitura non aveva la minima idea di cosa veramente attendesse i tributi; loro padre aveva sempre proibito alla figlia minore di guardare gli Hunger Games e lei non aveva mai fatto obiezioni di qualsiasi genere. Era troppo piccola e troppo innocente. Guardare il reality l’avrebbe traumatizzata.
- Anche se ci sarà la Mietitura... non bisogna mica piangere - tornò a ribadire Connie allargando le braccia che accolsero Lisa in un forte abbraccio - Bisogna essere forti. Come me e Matt. Ok?
Lisa annuì con aria solenne.
- Ti voglio bene.

 
William Ebony
 
- Mamma!? Sono pronto, posso anche cominciare ad avviarmi! - gridò Will a sua madre per avvisarla.
Mancava davvero poco alla Mietitura e non era il caso di fare tardi con uno stuolo di Pacificatori pronti a trascinarti in piazza se qualcuno avesse avuto la “brillante” idea di non presentarsi.
- Aspetta, Will! Vieni qua! - rispose la donna, dalla cucina.
William sbuffò e si diresse a grandi passi verso sua madre che lo attendeva appoggiata al tavolo da pranzo.
Lo squadrò da capo a piedi, con un occhio indagatore che solo una madre può avere nei confronti del figlio, e poi gli carezzò la guancia dolcemente:
- Il mio Will... Tuo padre sarebbe fiero di te, sai?
- Grazie, mamma - rispose lui con un grande sorriso.
- Anche tua sorella era bellissima... il giorno della sua ultima Mietitura.
Mikayla.
La dolce e bella Mikayla.
Fu estratta per gli Hunger Games sette anni prima, quando Will aveva solo nove anni. La vide partire, ma non tornare.
Solo col tempo capì che destino orribile la sorte avesse riservato a sua sorella.
Mikayla era arrivata in finale contro il maschio del Distretto 2.
Fu una lotta strepitosa. Ma il ragazzo prese il sopravvento e con un colpo seccò di sciabola la decapitò, in diretta, senza censure, davanti ai familiari.
Suo padre era ancora vivo, ma impazzì dopo quelle immagini e alla vista del cadavere marmoreo che portarono ai genitori finiti i Giochi.
Sua madre, invece, prese le redini dell’intera famiglia e dopo la morte di suo marito divenne la vera padrona di casa. Amava suo figlio, così somigliante a Mikayla. Lo crebbe con amore e non gli fece mai mancare niente. Proteggerlo dalle Mietiture, però, era un’impresa impossibile.
- Io ti raggiungerò tra un po’, Will - concluse mesta lei.
- D’accordo, mamma. Io vado. Mi staranno aspettando.
Will non voleva lasciare la madre sola, ma non poteva proprio aspettare. Avrebbe affrontato la sua quinta Mietitura come ogni anni.
Chissà se anche Mikayla quel maledetto giorno si sentiva così tranquilla e sicura...  

 
 
DISTRETTO 6
 
Katherine Moonstone

 
- In questa famiglia hanno vinto tutti tranne te, Kety. Perché non continui la tradizione di famiglia? - chiese sprezzante Fiammetta alla sorella.
Kety la guardò storto:
- Cosa cavolo stai dicendo?
- Mamma ha vinto, papà ha vinto, io ho vinto, tu... ah, no! Giusto, non ti sei mai offerta volontaria - rispose scontrosa la sorella.
- Perché dovrei offrirmi? Mica siamo nel due!
- Quanto sei ingenua, Katherine!
- Se permetti... ho ancora voglia di vivere!
Fiammetta rise spalancando la bocca.
Katherine non aveva mia sopportato gli Hunger Games, perché si sarebbe dovuta offrire volontaria e combattere fino alla morte, quando il suo più grande desiderio era... vivere!?
- Sembra quasi - disse Kety a bassa voce - che oltre che prepararti ai Giochi, i tuoi stilisti ti abbiano fatto un lavaggio del cervello gratuito. Bene, due problemi al prezzo di uno...
- Mi hanno fatta apparire potente! - rispose scontrosa l’altra - Sta tutto in quello, il divertimento!
- E nell’uccidere c’è divertimento? - chiese sprezzante - Quando abbiamo visto Angela morire come ti sei sentita?
Angela era la sorella gemella di Kety. Fu uccisa senza scrupoli dal maschio del Distretto 1. La sua fu una morte lenta e dolorosissima. Urlò aiuto per giorni e giorni, fino a quando finalmente spirò, dicendo addio alle sue sofferenze.
E Kety “sentii” il suo dolore. Impazzì e i suoi genitori la portarono a nella Capitale per curarla.
Fu un brutto periodo, anche se Capitol City si innamorò della “gemella da cuore spezzato” e della sua storia.
Anche per Fiammetta naturalmente fu un brutto colpo perdere sua sorella.
- La sorte non era a suo favore. Tutto qui - rispose fioca alla sorellina.
- Già... la sorte!
 
Tom Allius
 
- Quanto hai racimolato, figliolo?
- Un bel po’, papà. Sai, la gente in piazza si è già posizionata per i posti migliori.
Tom porse a suo padre un sacchetto di cuoio, pieno di monete e oggetti preziosi. Rubare era illegale, ma il trucco era non farsi scoprire. Tom era cresciuto proprio come un ladro: agile e preciso coi coltelli, tagliava borse e borsellini con una facilità impressionante ed era capace di finire il suo lavoretto senza neanche destare sospetti.
- Bravissimo, Tom - rispose il padre esaminando il bottino.
Il signor Allius lavorava come macchinista delle ferrovie, ma non guadagnava granché. Delle volte non avevano da mangiare per giorni. Né a lui, e nemmeno a Tom, piaceva rubare. Speravano che tutto quello sarebbe finito... un giorno.
- Devo prepararmi, papà. La Mietitura - disse piano il bambino.
- Non dovresti neanche andarci. Sei troppo piccolo.
Tom aveva solo dieci anni.
Alla nascita fu rifiutato dalla madre che lo affidò al marito e non volle saperne più niente. All’anagrafe del Palazzo di Giustizia del Distretto 6 riuscì a falsificare la sua carta d’identità, aggiungendo due anni in più.
Ora per tutti lui era Tom Allius,del Distretto 6, di dodici anni.
Il giorno del suo presunto “dodicesimo” compleanno, Tom si presentò al Palazzo e chiese sette tessere.
Il suo nome sarebbe stato ripetuto, perciò, otto volte nella boccia dei ragazzi, però avrebbe portato a casa qualcosa di commestibile.
Neanche rubare alla gente garantiva sempre un buon pasto sul tavolo.
- Tom... mi dispiace. Ti ho usato, lo so - si scusò il padre - ma ci saranno migliaia di biglietti là dentro. Non perdere la speranza.
- Sì, papà.
- Ti ho preparato i vestiti belli; sono nella tua stanza. Preparati, ti porterò io lì. Non ti lascio solo - continuò suo padre.
Tom non si era preoccupato molto degli Hunger Games, li vedeva come un concetto astratto, un qualcosa che non poteva mai capitargli. Perciò non era molto nervoso.
-
Vado, allora.
Cominciò ad incamminarsi verso la sua cameretta quando sentì il padre dirgli:
- Non avere paura.
Tom si fermò e, voltatosi, rispose tranquillo:
- Io non ho paura.
 

 
 
ANGOLO AUTRICE:
Ciauuu :)
Sì, ce l’ho fatta e quasi non ci credo :D
Allora, autori, se c’è qualcosa che ho sfasato fatemelo sapere! Sono accetti anche i “Che schifo!” oppure i “Ma cosa hai fatto?!” XD
I prossimi dodici saranno pronti entro sabato si spera :) (si spera sempre) XD e spero di riuscire a pubblicarli entro domenica visto che lunedì non ci sarò.
Detto questo mi dileguo :) 
Ah, nelle rensioni voglio sapere solo della storia. Per alto, per correzioni eccc---> messaggio privato
Fatemi sapere! :D
Ciauzz :)
 

 
 

 

 

   
 
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