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Autore: Marty_E_Lara    12/10/2012    2 recensioni
Lara, una ragazza di 14 anni, è una persona socievole e ha una vita qualunque, ma il suo futuro non sarà così normale.
Martina, una giovane 15 enne, con un passato terribile e un presente difficile, cerca di crearsi una vita propria, lontana dalle violenze del padre; presto, però, si renderà conto che non puoi sfuggire al passato.
Il caso le ha fatte incontrare, impareranno che il destino si costruisce con le proprie mani e nessuno può decidere del futuro altrui.
*siamo Martina e Lara, un giorno abbiamo deciso di iniziare questa storia, frutto della nostra fantasia*
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Quel figlio di…!»

«Non pensiamoci adesso»
Avvicino le mie labbra alle sue, ho bisogno di quel contatto. Rick si ritrae, deludendo le mie aspettative.

«Se lo avessi davanti…»
Mi si disegna un grande sorriso, adoro quando fa il protettivo; afferro la sua mano, morbida e calda.

«Se non ci fossi tu…»
Sussurro, lasciando la frase in sospeso. Ci guardiamo intensamente negli occhi; potrei sprofondare nell’immensità delle sue iridi azzurre, con striature che variano dal verde acqua al cobalto. La sua bocca è seducente e perfetta, il naso non potrebbe essere migliore nemmeno con la chirurgia plastica, i capelli corvini incorniciano un viso disegnato dalla perfezione e dall’equilibrio di madre natura. Definirlo perfetto è riduttivo.

«Ci sarò sempre per te»
Mormora quelle parole e poi si appropria delle mie labbra. Appoggia una mano sulla mia nuca, come per impedirmi di sottrarmi a quel vortice di emozioni. Mi metto sopra di lui, incornicio il suo volto con le mie mani; le nostre lingue iniziano una danza in perfetta armonia. All’inizio sono baci dolci, leggeri, ma presto la passione diventa travolgente. Mi sfila la maglietta, è delicato ma veloce. Le sue mani corrono sul mio corpo, ogni centimetro della pelle che sfiora prende fuoco. Gli tolgo la maglietta, finalmente posso osservare quel corpo scolpito alla perfezione. Dopo qualche secondo mi slaccia il reggiseno, ma non provo alcun tipo di imbarazzo. La sua bocca si stacca dalla mia, percorre il mio collo e indugia sui miei seni, per poi tornare indietro. Senza distogliere lo sguardo da quegli occhi ammalianti, gli slaccio la cintura e gli tolgo i pantaloni. Il divano inizia a essere scomodo, mi afferra saldamente e mi conduce nella sua camera. Ci mettiamo sul letto, io sopra e lui sotto. Frederick non potrebbe essere più romantico di così: mi riempie di baci, carezze, rispetta i miei tempi e non mi forza mai. Ci togliamo gli ultimi, ingombranti, indumenti. Penetra in profondità: i nostri corpi sembrano due parti nate per essere unite. Siamo avvolti in un vortice di passione, potrebbe scoppiare la terza guerra mondiale e noi resteremmo all’oscuro di tutto.
 
(flashback):


«Leggi qui, ci sono le prove dell’esistenza di demoni, licantropi, vampiri… Un religioso non è etichettato come pazzo, quindi nemmeno noi dobbiamo esserlo»

«Quindi… anche tu ci credi?»
«Certamente, fin da bambino. Adoro anche guardare film horror»

«Io da quando guardo una serie televisiva non posso vedere quel genere di film senza ridere. Non so perché»
Scoppia in una risata allegra, ma cerca di contenersi per rispettare il silenzio del luogo.

«Ti riferisci a Supernatural?»
Esclama, di punto in bianco. Mi spiazza, rimango qualche secondo di troppo a specchiarmi nei suoi occhi.

«Lo conosci?»
Borbotto alla fine, con voce leggermente impastata.

«Se lo conosco? Lo venero!»

«Pure io!»
Sulle labbra mi si disegna un sorriso, è bello trovare qualcuno con cui hai tanto in comune. Nel locale cala un marcato silenzio, scandito dal tic-tac frenetico e fastidioso di un orologio. Orologio. Oddio, ma è tardissimo!

«Scusami…?»

«Frederick, mi chiamo Frederick»

«Devo proprio andare, si è fatto tardi»
Leggo una nota di tristezza nel suo sguardo, stranamente mi sento le guancie calde. Sicuramente sono arrossita.

«Che peccato, passa qualche volta, magari possiamo riprendere il discorso»
La sua voce è appena udibile, ma le sue parole rimbombano nella mia testa.
Cammino a passo spedito verso casa, ma i miei pensieri corrono a un paio di occhi dai riflessi meravigliosi.


 
Quei ricordi spariscono nella mia mente appena mi rendo conto che anche adesso sono in ritardo. I miei occhi corrono alla sveglia, dovevo essere a casa dieci minuti fa.  

«Cazzo! Ti avevo detto che dovevo essere a casa alle quattro»
Mi alzo dal letto e cerco in giro i miei vestiti, mentre Rick mi guarda con espressione dolce.

«Sei felice?! Mio padre mi distruggerà!»

«No, non lo farà: non ho ancora tolto l’ora legale»
Con la mano destra indica il comodino con sopra la sveglia.

«L’ho fatto io!»
La sua espressione, il suo sorriso, si incurvano.

«è stata colpa mia Rick»
Frederick si alza e prende le chiavi della macchina.

«Ti accompagno io»

«Io sono già vestita, scappo amore. Tranquillo, so tenere testa a mio padre»
Gli do un veloce bacio sulla bocca, lui mi raccomanda di chiamarlo in caso avessi bisogno. Mi precipito in strada, cammino molto velocemente e cerco di farmi forza.


***


Dopo un tempo che mi pare infinito, arrivo davanti al portone del mio palazzo: alto sette piani, con lunghi balconi, baciato dalla luce del sole in orari sbagliati. Un tempo doveva essere bianco, ma ormai è diventato grigio; nelle giornate invernali, di quelle nuvolose senza precipitazioni, il grigio del palazzo si confonde con il cielo a tal punto che risulta impossibile, per chi non ci abita, constatare quanti piani abbia effettivamente.
Tiro fuori le chiavi e dopo due giri faccio scattare la serratura, mi ritrovo sul pianerottolo e il portinaio mi saluta. Prendo l’ascensore, ho il respiro corto e sento il cuore martellarmi nelle orecchie. Ecco, forse, come devono sentirsi i condannati a morte.
Dopo un tempo lunghissimo, ma allo stesso tempo breve, arrivo all’ultimo piano. Le porte dell’ascensore si aprono e non sono per niente pronta ad affrontare mio padre. Cammino con passo leggero, appoggio l’orecchio alla porta e sento un silenzio quasi irreale. Deglutisco rumorosamente, inserisco le chiavi nella serratura e apro la porta. Entro con molta delicatezza, mi guardo intorno e non vedo nessuno. Appoggio la cartella a terra, purtroppo non riesco ad attutire del tutto il fracasso che produce.
Non vedo nessuno, ma sento una presenza. Il respiro è diventato molto affannoso, sento i muscoli rigidi e un brivido lungo tutto il corpo. Non riesco a resistere un secondo di più: mi chiudo la porta alle spalle e corro via, giù per le scale e lontano da questo edificio.


***


Non so perché corro ancora, sono lontana da casa mia ormai.
Quella sensazione… non era la prima volta che la provavo. Mi sforzo di ricordare, ma è tutto inutile: dimenticare, o non ricordare una cosa è talmente frustrante!
L’aria è fresca, mi distoglie dai miei pensieri e mi accorgo di essermi persa.
Intorno a me è pieno di villette, chissà quanto mi sono allontanata dal mio appartamento. Vedo una casa, non ha niente di particolare, ma qualcosa di strano mi spinge a soffermare la mia attenzione su di essa. Prima che mi renda conto, ho schiacciato il citofono sovrastato da un paio di cognomi: Costa e Fambri.



*angolo dell'autrice Marty**
che ne pensate? grazie della lettura, lasciate una recensione già che ci siete *-*

  
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