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Autore: yu_gin    13/10/2012    2 recensioni
«Prima ha detto che potrei aiutarlo a guarire. Dimentica che non sono uno psicologo e non conosco minimamente questo ragazzo.»
«E' vero, ma la sua storia è simile alla tua. È un ragazzo forte. Non è “rotto”, deve solo tornare ad avere fiducia in se stesso e negli altri. Soprattutto negli altri» disse. «E soprattutto, Blaine, penso potrebbe far bene anche a te.»

Kurt si è appena trasferito alla Dalton per sfuggire a Karofsky, ma le ferite lasciate dal bullo sono più profonde di quello che poteva immaginare. Ma forse una speranza di guarigione c'è.
E quella speranza è il professor Anderson.
teacher!Blaine, student!Kurt
[Scritta per la Klaine week, day 6: Dalton]
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Sebastian Smythe | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Sixth day: Dalton

Non il tempo, ma l'amore.




Ecco come deve sentirsi un pinguino all'equatore, pensò Kurt, scendendo le scale della nuova scuola, a lui ancora sconosciuta.

Si strinse al petto la propria tracolla. La fiumana di ragazzi scendeva le scale velocemente, urtandolo in continuazione. Ogni volta che sentiva il contatto – anche casuale – con un altro ragazzo, Kurt sobbalzava e si sentiva a disagio.

A tanto l'aveva ridotto il bullismo di Karofsky e Kurt se ne vergognava. Si vergognava di essere stato così debole da farsi cacciare via da uno scimmione come lui e di essere scappato.

Si guardò intorno, chiedendosi perché quella scuola doveva essere un maledetto labirinto. Non sarebbe mai riuscito a trovare l'aula prima dell'inizio dell'ora.

Si guardò intorno e fermò un ragazzo, bloccandogli la strada.

«Scusa, sono nuovo qui. Avrei bisogno di aiuto-»

Il ragazzo alzò lo sguardo e Kurt sbiancò. Non era un ragazzo. Era un uomo.

«Piacere, sono il professor Anderson.»

Kurt arrossì: «Mi scusi, credo di essermi perso.»

L'uomo gli sorrise: «Nessun problema, la Dalton è davvero un labirinto se non la si conosce. Che classe hai, ora?»

Kurt aprì la propria agendina e balbettò un: «Matematica. Terzo anno.»

«L'aula è piuttosto lontana. Facciamo così, ti accompagno io: conosco una scorciatoia.»

Kurt strabuzzò gli occhi: «Ma- ma non vorrei essere di disturbo. Insomma, lei avrà lezione e io...»

«Nessun disturbo. La prima ora è buca e l'aula insegnanti è lì vicino. E poi, se non dovessimo arrivare in tempo, dirò al professor Stuart che sono stato io a trattenerti, così non dovrebbe darti problemi.»

«Non so che dire... grazie mille.»

«Nessun problema. E benvenuto alla Dalton.»


Blaine strinse il proprio caffè in mano, ancora ustionante, e disse:

«Allora, Kurt, è il tuo primo giorno qui alla Dalton?»

Kurt annuì: «Ieri sera mi sono trasferito nei dormitori e ho avuto un incontro con il preside, ma sì, questo è il primo giorno di lezione.»

«Ho sentito che avevi buoni voti alla tua scuola precedente. Era un istituto di Lima, il Mc-»

«Kinley» sospirò Kurt. Solo pronunciare quel nome gli provocò una stretta allo stomaco. Aveva lasciato la sua scuola da appena due giorni e già gli mancava da morire. Per quanto il McKinley fosse l'inferno terrestre, amava quelle quattro mura che chiamava “scuola” perché fra quelle quattro mura aveva c'erano i suoi migliori amici.

«Sono certo che ti troverai bene anche qui. E se avrai bisogno di ripetizioni in letteratura inglese o per qualsiasi altra cosa, non esitare a chiedere.»

Kurt sorrise: «E' molto gentile.»

Quell'uomo gli ricordava vagamente il professor Schuester per l'attaccamento che mostrava nei confronti dei suoi studenti. Certo, era decisamente più attraente del professor Schue.

Un istante dopo aver formulato quel pensiero, arrossì. Che andava a pensare? Era un professore!

L'uomo rise e si fermò davanti ad una porta, indicandogliela.

«Questa è l'aula» disse e, dopo aver dato un'occhiata all'orologio: «Sembra che tu sia in orario. Il professor Stuart arriva sempre con qualche minuto di ritardo.»

«Grazie di tutto» disse, sorridendogli.

«Ci vediamo a lezione, Kurt» disse. Allungò la mano verso di lui e Kurt sussultò. Poi vide che voleva solamente sistemargli il blazer. Il contatto con quell'uomo lo fece rabbrividire. Pensò che sotto quel blazer e sotto la camicia c'erano ancora i segni degli spintoni ricevuti e delle ferite che non si decidevano a guarire.

Finché avesse avuto questa consapevolezza non sarebbe mai riuscito ad essere a suo agio con un'altra persona, anche in situazioni comuni come quella.

«A-arrivederci» balbettò, voltandosi e scappando via.

Blaine lo fissò perplesso, incerto sul come interpretare quella reazione. «A dopo» mormorò a nessuno in particolare, visto che quel bellissimo ragazzo era sparito.


Blaine passò le seguenti ore a cercare una posizione comoda sulla sedia, quando chiaramente non era quello il vero problema.

Non riusciva a togliersi dalla mente lo sguardo del nuovo studente – Kurt.

Gli aveva solo sistemato la giacca e lui l'aveva guardato terrorizzato ed era praticamente scappato via. Forse non avrebbe dovuto. Diavolo, no! Non avrebbe assolutamente dovuto.

Kurt era uno studente – ancora minorenne, peraltro – e lui era un professore e non si conoscevano minimamente.

Che idea si sarà fatto di me? Di un pervertito che molesta gli studenti?

Il solo pensiero di aver spaventato quel ragazzino – che già di suo sembrava abbastanza terrorizzato – lo faceva stare male.

Quando sentì la porta dell'aula insegnanti aprirsi, sobbalzò.

Davanti a lui c'era la collega di geografia:

«Blaine, il preside ti vuole parlare.»

Blaine deglutì.

«S-sai cosa vuole?»

Alzò le spalle: «Credo c'entri con un nuovo studente. Ho visto che aveva la sua cartella sulla scrivania. Com'è che si chiamava? Ah, già, un certo Hummel.»

Blaine credette di svenire.

«O-okay. Ora vado.»

Lasciò l'aula insegnanti col cuore in gola e si diresse verso la presidenza. Bussò e quando sentì la voce del preside invitarlo ad entrare, aprì la porta.

L'uomo davanti a lui non sembrava arrabbiato. Forse non tutto era perduto.

«Mi hanno detto che voleva vedermi.»

«Oh sì, siediti» disse, allungandogli la cartella di Kurt Hummel. «Qui dentro troverai le informazioni basilari sul nostro nuovo studente. È un ragazzo del terzo anno. Buoni voti, ottima conoscenza del francese e ho sentito dire che ha talento in musica. Gli ho già parlato dei Warblers e mi sembrava interessato.»

«Ho già avuto modo di conoscerlo» confessò Blaine.

«Ah sì?» commentò l'uomo. «Non so quanto tu abbia capito dal tuo breve incontro, ma di certo non sono informazioni che troverai in quella cartella» disse.

Blaine smise di spulciare il fascicolo e lo posò sulla scrivania: «Non capisco perché mi ha fatto chiamare. C'è qualcosa che non va in quel ragazzo?»

«Molte cose in realtà» disse. La sua espressione era maledettamente seria. «Ho parlato con suo padre: un uomo gentile e pratico. Ha un'officina a Lima e diciamo che non credo si sposti con una Ferrari.»

«E' una perifrasi per dire che non sono ricchi?»

Il preside annuì: «Non volevo suonare veniale ma sì, non credo che una volta pagata la retta della Dalton gli rimarranno molti soldi per spese extra. E per quanto Kurt sia uno studente serio e studioso, un diploma di scuola pubblica poteva benissimo bastargli. Cosa che mi ha portato a supporre che non si sia trasferito per i nostri programmi di studio avanzati, né per le nostre divise, che ha tutta l'aria di detestare.»

«Continuo a non capire.»

«Quel ragazzo è venuto alla Dalton perché alla sua vecchia scuola lo maltrattavano e lo prendevano in giro, senza che il preside o il consiglio facesse qualcosa per aiutarlo.»

Blaine sentì il cuore martellargli nel petto ed ebbe un fastidioso deja-vu.

«E sai perché lo prendevano in giro?» continuò l'uomo.

Blaine scosse la testa.

«Perché è gay.»

Blaine cominciò a capire il motivo della sua convocazione.

«Ora, queste sarebbero informazioni strettamente riservate e non ho nessuna intenzione di andare a raccontare a mezza scuola l'inferno che quel ragazzino ha dovuto sopportare. Ma sentivo di doverlo dire a te, Blaine, perché la sua storia mi ha ricordato la tua e penso che nessuno meglio di te potrebbe aiutarlo a guarire.»

«Da cosa dovrebbe guarire?» chiese Blaine. «Ora è al sicuro. La politica della Dalton gli garantirà di finire i suoi studi in pace e senza dover sobbalzare ogni volta che qualcuno chiude un armadietto.»

«Davvero non te ne sei accorto, Blaine? E sì che di solito sei uno così attento ai suoi studenti» disse. «Quel ragazzo ha sviluppato una vera e propria fobia per i contatti fisici, in particolare nei confronti di ragazzi e uomini. Non mi ha neppure stretto la mano e quando il suo compagno di stanza gli ha dato una pacca sulla spalla sembrava come se avesse ricevuto una scarica elettrica.»

«Quindi lui...»

Oh. Oddio. E' terrorizzato dal contatto fisico. E io... io l'ho toccato senza neppure conoscerlo. Per quello è scappato via.

Da un lato si sentì sollevato: non era stato preso per un maniaco. Ma subito dopo il pensiero di ciò che aveva fatto lo fece star male. Aveva messo a disagio un ragazzo che ne aveva già passate tante – troppe.

«Suo padre mi ha detto che al McKinley un ragazzo – un giocatore di football, credo – lo aveva preso di mira. Non solo lo spingeva contro gli armadietti e lo faceva cadere a terra ogni volta che lo incrociava per i corridoi: lo perseguitava metodicamente, arrivando addirittura a minacciarlo. Non voglio neppure immaginare che danni abbia fatto a Hummel.»

«Prima ha detto che potrei aiutarlo a guarire. Dimentica che non sono uno psicologo e non conosco minimamente questo ragazzo.»

«E' vero, ma la sua storia è simile alla tua. È un ragazzo forte. Non è “rotto”, deve solo tornare ad avere fiducia in se stesso e negli altri. Soprattutto negli altri» disse.

Blaine non era entusiasta dell'idea. Avrebbe voluto aiutare quel ragazzo più di ogni altra cosa al mondo, ma aiutarlo implicava affrontare il proprio passato, rivivere quelle esperienze e – nonostante fossero passati quasi quindici anni – Blaine non era ancora pronto per farlo.

Preferiva non pensarci. Le cicatrici a memoria di quello che era successo stavano sbiadendo sul suo corpo e, benché si vergognasse ancora di farsi vedere nudo da qualcuno che non fosse il suo medico, nient'altro rimaneva del ragazzino spaventato che si era trasferito alla Dalton per fuggire dai bulli.

«E soprattutto, Blaine, penso potrebbe far bene anche a te» disse l'uomo.

«Col dovuto rispetto, signore, la mia vita è affar mio» rispose freddamente.

Il preside lo guardò serio: «Non posso costringerti. Ma penso davvero ciò che ho detto. E se questo non basta a convincerti, pensa a quanto vorrebbe dire per quel ragazzo.»

Blaine abbassò lo sguardo sul fascicolo di Kurt.

Il ragazzo ritratto nella fotografia sorrideva felice all'obbiettivo e i suoi occhi azzurri luccicavano di aspettative e di sogni.

Il ragazzo che aveva incrociato per i corridoi sembrava aver perso ogni speranza.

Lasciò lo studio certo di ciò che avrebbe fatto.


Kurt entrò nell'aula e, quando riconobbe il signor Anderson alla cattedra, sorrise rassicurato. Sperava di avere lui come professore: era stato gentile e disponibile con lui. Forse avrebbe potuto chiedergli un aiuto nel caso fosse rimasta indietro col programma, cosa molto probabile, visto che nel confrontare i libri letti al McKinley con quelli previsti dalla Dalton aveva riscontrato numerose falle.

Finita la lezione si fece coraggio e si avvicinò al professore.

Il signor Anderson alzò lo sguardo verso di lui e gli sorrise:

«Kurt, come ti è sembrata la lezione?»

«Interessante. Cime Tempestose è forse uno dei più bei romanzi che abbia mai letto, ma mi sono reso conto di quanti buchi ci siano nella mia preparazione» disse.

«Immagino sia così. Ho dato un'occhiata al programma della tua vecchia scuola ed effettivamente ti manca parecchio per andare al pari con i tuoi compagni.»

Kurt annuì: «Potrei andare in biblioteca e procurarmi tutti i libri che mi mancano. Se comincio subito, forse per gli esami finali riuscirò a mettermi in pari.»

«Saresti davvero bravo se ci riuscissi» disse Blaine. «Che ne dici se invece ti dessi qualche ripetizione? Nulla di pesante. Potremmo trovarci in classe due volte a settimana. Per marzo saresti a pari col programma, se non anche più avanti. Sempre che tu abbia voglia di seguire lezioni extra.»

«Lo studio non è un problema» lo interruppe subito Kurt. Come se avessi altro da fare oltre a quello, pensò.

«Ottimo. Pensi di essere libero questo pomeriggio, verso le sei?»

Kurt annuì.

«Allora ci troviamo qui a quell'ora. Non preoccuparti per i libri, andrò io a procurarli in biblioteca. Tu pensa solo a portare la testa» disse, facendolo sorridere.

Gli altri studenti avevano ormai lasciato l'aula e loro due erano rimasti soli ma, troppo preso dalla conversazione, non se n'erano neppure accorti.

Kurt si guardò intorno e, accortosi di essere l'ultimo, disse: «Devo andare. Ho lezione di Francese. Mi hanno detto che il professr Smythe è piuttosto severo riguardo ai ritardi» disse.

«Sì, Seb- il professor Smythe si diverte a terrorizzare gli studenti. Forse è meglio che tu vada.» Blaine stava per dargli una pacca sulla spalla per salutarlo, quando si ricordò delle parole del preside e si trattenne.

«A questa sera.»


Blaine pensava che non sarebbe venuto. Gli sembrava così improbabile che trovasse la forza di venire a lezione dopo una giornata sicuramente devastante.

Invece lo vide entrare con solo qualche minuto di ritardo e per qualche assurdo motivo si sentì felice di vederlo, anche se ciò significava un'ora in più di lavoro.

«Scusi il ritardo. Sono dovuto andare in segreteria a portare dei moduli e poi il professor Smythe mi ha mandato a prendergli un caffè ma si è lamentato perché non glielo avevo corretto col cognac» disse, posando la tracolla e prendendo fiato.

«Va tutto bene, stai tranquillo. A dire la verità pensavo che dopo una simile giornata saresti crollato a letto senza neppure mangiare. Invece eccoti qui, pronto ad affrontare I viaggi di Gulliver di Swift. I miei complimenti.»

Kurt prese dalla tracolla libri e appunti, aprendoli alla pagina dell'autore appena nominato.

La lezione fu tranquilla. Kurt sembrava davvero interessato alla materia e deciso a riempire le lacune. O forse era qualcos'altro: forse l'intensità del suo studio era motivata dal desiderio di non pensare ad altro.

Per questo motivo, finita la lezione, prima di lasciarlo andare, decise di parlargli.

«C'è una cosa importante di cui vorrei parlarti. Molto più importante di letteratura inglese.»

«Non pensavo esistesse» replicò, tentando una battuta. Ma il signor Anderson era ancora serio. Dannatamente serio.

«Ho parlato con il preside. Lui mi ha raccontato la tua storia.»

Kurt impallidì: «No-non doveva! Doveva rimanere tra noi, era una cosa strettamente personale e-»

«Stai calmo. Non ho intenzione di dirlo proprio a nessuno e il preside aveva le sue buone motivazioni per parlarmene» disse. «Perché la tua storia è molto simile alla mia.»

A quella confessione, Kurt tacque e lo fissò stupito.

«Anche lei...»

«Sì, anch'io sono gay e anch'io alle superiori ho dovuto subire atti di bullismo. In realtà nessuno mi dava troppo fastidio, ad esclusione delle scritte sull'armadietto o degli epiteti per i corridoi. E per questo ero arrivato a credere di potercela fare, di poter sopravvivere senza bisogno di protezione.»

Kurt capì subito dove voleva andare a parare.

«Poi però feci il passo più lungo della gamba. Invitai un mio amico – anche lui gay – al ballo scolastico. Non facemmo nulla per attirare l'attenzione, niente baci, niente mosse oscene. Non abbiamo neppure ballato il lento perché, come ti dicevo, eravamo solo amici. Pensavamo di aver superato la serata e stavamo tornando a casa contenti quando abbiamo trovato un gruppo di ragazzi ad aspettarci fuori dalla palestra.»

Kurt trattenne il respiro.

«Il resto lo puoi benissimo immaginare. Dopo quell'episodio il mio amico se n'è andato, ha addirittura lasciato l'Ohio. Io invece sono venuto qui, alla Dalton» disse, guardandosi intorno. «La Dalton mi ha protetto e qui ho avuto modo di conoscere quelli che poi sono diventati i miei migliori amici. Fra cui il professor Smythe, che fra le altre cose mi ha aiutato ad accettarmi e a capire che erano quelli che mi chiamavano “invertito” ad avere dei problemi, non certo io.»

«Quindi anche il professor Smythe...?»

Blaine alzò gli occhi al cielo: «Grazie al cielo gli studenti non hanno modo di parlare con lui da ubriaco, altrimenti rimarrebbero scandalizzati dai racconti delle sue avventure. Soprattutto se comprendono il francese parigino.»

Kurt lo fissò incredulo. Fino a pochi giorni prima non aveva mia conosciuto un altro ragazzo gay – ad esclusione dei signori Berry, con cui non aveva mai avuto occasione di parlare – ed ora scopriva di conoscerne ben due. Entrambi suoi professori. Cos'era la Dalton, una scuola per gay?

«Ora, io non ho impiegato molto a guarire. Certo, ho ancora alcune cicatrici di quella notte, ma sono solo ferite fisiche. Ho superato ciò che mi è accaduto e sono andato avanti con la mia vita.»

«E'... è fidanzato?» chiese Kurt, timidamente.

«No» ammise. «Ho avuto alcune storie ma sai com'è, dormendo qui alla Dalton, nei dormitori degli insegnanti, è difficile trovare lo spazio per gestire una relazione importante.»

Kurt annuì.

«Quello che voglio dire è che ciò che mi è accaduto non mi ha bloccato. Le tue ferite invece sono interiori. Sei stato terrorizzato e umiliato e questo è molto peggio di tutti gli ematomi e di tutte le ferite che possono averti fatto, perché la paura e la vergogna non spariranno col tempo.»

«Non capisco cosa voglia da me.»

«Voglio aiutarti, Kurt. Voglio che tu possa un giorno tornare a fidarti delle persone, che tu possa innamorarti e lasciarti stringere fra le braccia del ragazzo che sarà abbastanza fortunato da stare con te.»

Kurt arrossì: «Non ho bisogno di aiuto» mormorò.

«No? Allora avanti, prendimi la mano» disse, posando la propria mano col palmo rivolto verso l'alto sul banco. «Se il contatto fisico non ti dà problemi, dimostramelo.»

«Non ha senso» disse.

«Il primo passo per superare un problema è ammettere di averlo.»

Kurt fissò la sua mano, ferma sul tavolo, e il solo pensiero di toccarla gli fece ribrezzo. Era una mano, solo una mano, ma quando ripensava alle mani di Karofsky che gli afferravano il viso e lo tenevano fermo mentre lo baciava...

Si alzò dalla sedia e afferrò le proprie cose: «M-mi scusi. Sono molto stanco e vorrei solo andare a letto.»

Blaine tentò di afferrarlo per il braccio ma, non appena lo sfiorò, Kurt si voltò di scatto e si liberò della presa. Sembrava davvero terrorizzato.

Solo allora Blaine si ricordò della sua fobia, ma ormai era troppo tardi.

Si passò le mani fra i capelli e rimase in silenzio nella stanza nuovamente vuota.


Stava leggendo per l'ennesima volta Mrs Dalloway steso a letto, quando sentì bussare alla porta. Diede un'occhiata all'orologio: a quell'ora poteva essere solo una persona.

Si alzò dal letto sospirando e andò ad aprire la porta.

«Ti prego, dimmi che hai dell'alcol» disse Sebastian, facendo irruzione nella stanza senza troppi complimenti.

Blaine si voltò a guardarlo mentre l'uomo davanti a lui si gettava sul suo letto.

«Quei compiti di francese sono terribili. Mio dio, certe persone non sono degne della magnificenza della lingua francese.»

«Avanti, Bas, non esagerare.»

«Tu non hai letto quei saggi. E non li hai sentiti parlare.»

Blaine si morse il labbro, indeciso se porre o no la domanda tanto agognata. «Hai conosciuto quel nuovo alunno... Hummel. Mi sembra di aver capito che fa Francese con te.»

Sebastian si voltò annoiato: «Sì, ho presente. Mah, rispetto agli altri zotici, non se la cava affatto male ma Dio se puzza da scuola pubblica. Dovrò disinfettare tutti i suoi saggi quando me li consegnerà.»

«E per il resto?»

«Per il resto cosa?»

«Non so, come ti è sembrato come persona

«E che ne so! Un bel bocconcino.»

«Sebastian!» esclamò. «Ti ricordo che è di uno studente che stiamo parlando. Minorenne, per giunta.»

«Hai dimenticato gay. Ha una faccia da checca che si vede lontana chilometri.»

«Pensavo ti piacesse.»

«Il suo culo, semmai. » lo rimbeccò. «E comunque, come hai detto tu, è uno studente. Guardare ma non toccare. Non rischierei il posto per qualcosa che potrei avere facilmente anche fuori da qui e senza il rischio di rimanere in galera.»

Blaine annuì assente alle parole dell'amico.

«Si può sapere perché tante domande su Hummel?» chiese.

«Niente. Il preside mi ha chiesto di tenerlo d'occhio.»

«Cattivo ragazzo? Non dirmi che è stato espulso dalla scuola precedente perché l'hanno beccato a scopare nei bagni! A guardarlo sembra un pudico verginello.»

Blaine alzò gli occhi al cielo: «Sei incorreggibile, Bas. Mi ha chiesto di tenerlo d'occhio per controllare che si ambienti bene, che riesca a stare al passo coi corsi e che faccia amicizia. Ho letto il suo fascicolo ed è un bravissimo ragazzo.»

Sebastian sembrò deluso: «Peccato. Sarebbe stato un soggetto molto più interessante.»

Blaine non poteva essere più in disaccordo.


Nei giorni e nelle settimane successive non riuscì mai a parlare con Kurt. Non appena finiva la lezione, Kurt era il primo a lasciare la stanza – stando bene attento a non toccare nessuno – di modo da evitare più possibile il professore.

Dal canto suo, Blaine non aveva più cercato scuse per rimanere solo con lui o per parlargli in privato.

Forse il preside ha sbagliato. Forse sono troppo coinvolto. No, non sono io la persona adatta a risolvere il suo problema. Uno psicologo, probabilmente, riuscirà a farlo, quando Kurt si deciderà ad ammettere che c'è un problema.

Dentro di sé però lo tormentava il pensiero di non essere in grado di fare nulla. Quel ragazzo era solo, e Blaine conosceva la solitudine.

Sapeva che non c'era nulla di più brutto.


La stanchezza si faceva già sentire sui suoi occhi appesantiti dalla lunga giornata, ma Blaine si era imposto di finire di correggere i compiti.

Stava leggendo quello di Kurt: era scritto in un inglese pulito e i pensieri espressi nel tema erano chiari e coerenti, ma si vedeva che mancava della preparazione letteraria sotto. Si rammaricò del fatto di non potergli dare ripetizioni di letteratura. Avrebbe potuto ottenere ottimi risultati col suo aiuto.

Sentì bussare alla porta e sospirò.

Si alzò dalla scrivania ed andò ad aprire:

«Senti, Sebastian, non ho nessuna intenzione di-»

Bloccò la frase a metà. Quello davanti a lui non era Sebastian.

Era Kurt.

Blaine incontrò i suoi occhi azzurri e vi lesse un misto di paura e rimorso.

«Kurt, non pensavo-»

«Mi scusi. So che è tardi e probabilmente stava lavorando o leggendo e so di non avere nessun diritto di presentarmi qui a quest'ora, in camera sua ma-»

«No, Kurt, non è un problema, davvero» lo interruppe, rassicurandolo. «Vuoi entrare? Parlare in corridoio non è molto agevole.»

Kurt annuì e si fece coraggio, entrando nella stanza. Si guardò in giro curioso, spiando i libri sugli scaffali, i vestiti piegati sulla sedia, le fotografie sul comodino: tutti piccoli dettagli della vita di Blaine.

Blaine gli fece cenno di sedersi sul letto, mentre lui stesso prese posto alla sedia della scrivania, ad una discreta distanza da lui.

«Immagino che tu sia venuto qui per parlarmi di qualcosa.»

«Io ho un problema» disse infine, dopo una lunga pausa.

Blaine non commentò. Non disse neppure “lo so”: si limitò a lasciare spazio all'altro di parlare liberamente.

«Ho tentato a lungo di negarlo a me stesso, ma ormai penso di essere l'unico a non voler accettare la verità. Il mio compagno di stanza deve averlo capito da settimane, così come la maggior parte dei miei compagni di scuola» disse. «Io non riesco più a fidarmi delle persone. Non riesco neppure a farmi sfiorare senza rabbrividire. Ad esclusione di mio padre, non c'è più uomo di cui mi fidi. Neppure mio fratello. Neppure i miei vecchi amici. Nessuno.»

«Lo sai vero che tu non hai nessuna colpa in tutto ciò, vero?»

«Me lo ripeto ogni giorno. Ma non posso continuare a convivere con questo problema. Anzi, no, la verità è che non voglio. Non voglio che quello che mi hanno fatto mi rovini il resto della vita. Voglio andare avanti, voglio tornare a fidarmi delle persone, voglio innamorarmi e dimenticare il passato.»

Blaine gli sorrise: «Te lo meriti.»

«Voglio riuscire a crederlo.»

«Dovresti. Non devi mai credere di non meritare qualcosa. Quando ci succede una cosa brutta facciamo di tutto per dimenticarla. Pensiamo che il tempo cancellerà ogni cosa, ma non è così. Non è il tempo a curare le nostre ferite, ma l'amore. Che sia l'amore dei propri genitori, degli amici o della persona che amiamo.»

«Mi aiuterà ad andare avanti? Ascolterà la mia storia e risponderà alle mie domande?»

«Non solo, ma non ti giudicherò se vorrai piangere. Non ascoltare mai quelli che ti dicono che un vero uomo non piange mai. Mio padre non faceva che dirmi di smetterla di piagnucolare, ma non è stato grazie a lui se sono guarito.»

«Penso seguirò il suo consiglio» disse e la sua voce tremò su quell'ultima parola.

Blaine allungò la mano verso di lui e la lasciò sospesa, senza alcuna aspettativa. Attese pazientemente, senza fretta. Qualsiasi cosa fosse successa, avrebbe rispettato i suoi tempi.

Kurt si fece coraggio ed allungò timidamente la mano, fino a prendere quella del professore. La strinse debolmente e a Blaine questo bastò.

Era solo l'inizio e non osava immaginare quanta strada avrebbero dovuto percorrere prima di riuscire a guarire le sue ferite. Sapeva anche che prima o poi avrebbe dovuto convincerlo a parlare con uno psicologo perché lui non sarebbe bastato, ma per quello c'era tempo.

In quel momento il tempo era tutto quello che avevano.

Ma sentendo il tepore e la morbidezza della sua mano, Blaine ebbe paura.

Improvvisamente si rese conto che qualcosa stava nascendo in lui, come un sassolino che comincia a rotolare e inevitabilmente si trasforma in frana.

Non avrebbero avuto solo il tempo, ma anche una medicina migliore.




A/N


Beh, era da tanto che volevo scrivere una teacher/student e quando mi è venuta l'idea ho pensato di approfittarne. E poi adoro le fanfiction a tematiche delicate anche se, ovviamente, sono le più difficili da scrivere e spesso si finisce per fare un macello.


Ora ovviamente mi viene voglia di continuarla e trasformarla in una long, ma mi riserverò la possibilità per quando avrò un po' più di tempo libero.


A domani con l'ultima oneshot della klaine week: Winter in NY.


yu_gin



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Magic Coop; Take me back to the start; Gli eroi non dormono mai; Il ragazzo che giocava col becco bunsen; Take a picture of my soul; Non il tempo, ma l'amore;

   
 
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