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Autore: margheritanikolaevna    13/10/2012    6 recensioni
Con un'altra mini-raccolta sul fandom di White Collar (che trovate qui: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1255230&i=1) queste tre one-shot hanno partecipato al contest "I sette peccati capitali", indetto da Reghina-Chan ma giudicato da Lady Eloise, classificandosi al terzo posto.
La medaglia qui è sempre lui, Mac Taylor: intorno a lui ruotano tre personaggi e su di lui s'incentrano tre storie, costruite per rappresentare altrettanti vizi capitali. Ci saranno: la verità sull'addio di Stella a New York, un momento Mac/Peyton e un what if? altamente drammatico che coinvolgerà il nostro bel Don Flack.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Don Flack
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Autore: margheritanicolaevna nel forum e margheritanikolaevna su EFP;
Titolo storia: “L’attesa”;
Genere: romantico;
Avvertimenti: what if?;
Rating: giallo;
Fandom: CSI NY;
Pairing: Mac Taylor/Peyton Driscoll;
Peccato capitale: Superbia.
 
 
L'orgoglio non ha niente di proprio; altro non è che il nome dato all'anima che divora sé stessa. Quando questa sconcertante perversione dell'amore ha dato il suo frutto, essa porta ormai un altro nome, più ricco di senso, sostanziale: odio.
Georges Bernanos,
L'impostura, 1927
 
 
L’attesa.
 
Mac Taylor non avrebbe mai dimenticato quella maledetta sera; mai, nemmeno se gli fosse stato attribuito in sorte di vivere per sempre.
I suoi ricordi erano vividi e dolorosi come se, invece di essere passati tre anni, non fossero trascorsi neppure tre giorni: rammentava di essere tornato in ufficio, come al solito stanco ma soddisfatto, per stendere il rapporto sull’ultimo caso al quale lui e la sua squadra avevano lavorato e di avere rovesciato sulla scrivania il raccoglitore della posta quasi oziosamente, senza prestare particolare attenzione a ciò che stava facendo.    
Non aspettava nessuna lettera importante e perciò scorgere, tra le decine di plichi inutili, una busta col timbro delle poste internazionali gli aveva regalato un improvviso brivido di emozione; il sorriso si era allargato sul suo volto quando aveva letto chi ne fosse il mittente. Era strano pensare che Peyton gli aveva scritto una lettera: si sentivano ogni giorno al telefono e lui era tornato a casa solo da poche settimane dopo aver trascorso un periodo insieme a lei in Inghilterra.
Ecco, comunicare in quel modo gli pareva una cosa allo stesso tempo romantica e un tantino antiquata, che non si addiceva perfettamente al carattere della sua fidanzata.
Tuttavia era innegabile che il pensiero che lei avesse occupato del tempo a scrivergli, invece di digitare solo il suo numero di cellulare sul display, lo inteneriva e lo riempiva di una piacevole aspettativa.
Così, con un’impazienza che avrebbe sorpreso non poco coloro che conoscevano il suo atteggiamento solitamente imperturbabile, lacerò la busta e ne tirò fuori un foglio vergato a mano nella bella grafia regolare di Peyton, che aveva imparato a conoscere nel periodo in cui ancora lavoravano fianco a fianco.
 
“Caro Mac, ti scrivo questa lettera perché so che se ti chiamassi il suono della tua voce mi farebbe sentire persa. So che te ne sei andato via da Londra il mese scorso perché era ora di tornare a casa, ma da allora mi sono resa conto di una cosa: la mia casa è questa, ho un nuovo lavoro qui. La mia famiglia è qui. La mia vita è qui, Mac” (1).
Leggere e comprendere era stato un istante e un ago sottile e appuntito era penetrato fino alla cruna proprio dentro al suo cuore.
La sua espressione era mutata subito ed era stato costretto a sedersi perché, d’improvviso, si era sentito come se qualcuno gli avesse gettato sulle spalle un peso insostenibile: le gambe fiacche, il cuore che gli martellava furiosamente nel petto in bilico tra l’ansia di sapere, il desiderio di non sapere e l’insensata speranza di essersi sbagliato.
 
“La mia vita è qui, Mac. E, per quanto avrei voluto che tu rimanessi qui e ne diventassi parte, so che il tuo lavoro e la tua vita ti porterebbero inevitabilmente lontano di nuovo”.
 
Aveva resistito a stento alla tentazione di strappare in mille pezzi quell’insulso pezzo di carta, tirare fuori il cellulare e chiamarla: a cosa sarebbe servito? Sarebbe stata solo un’umiliazione del tutto indegna di lui e non le avrebbe fatto cambiare idea, ne era certo.
Nel suo petto, la sorpresa e la delusione del primo momento avevano rapidamente ceduto il passo alla rabbia: come aveva potuto fargli questo? Fare questo a lui, a lui che l’aveva accolta a lavorare alla Scientifica di New York fidandosi del suo talento anche se era straniera e non possedeva alcuna specifica esperienza nel campo delle analisi forensi… proprio a lui che le aveva offerto una possibilità tanto ambita, aprendole le porte del suo laboratorio prima e del suo stesso cuore poi.
A lui, che per amor suo aveva tentato di modificare il proprio modo di fare, smussando gli angoli di un carattere spesso difficile e sforzandosi di trattarla con più dolcezza, anche di fronte agli altri; a lui, che per accontentarla aveva vinto la sua naturale ritrosia, accettando di vivere la loro storia d’amore alla luce del sole nonostante le chiacchiere e i pettegolezzi che inevitabilmente lo avevano investito, nella sua posizione di capo del laboratorio.
A lui, che le aveva salvato la vita mettendo a repentaglio la propria, che aveva forzato il suo leggendario stakanovismo prendendosi - per la prima volta dopo anni di lavoro ininterrotto -  qualche settimana di vacanza per accompagnarla in Inghilterra dalla sua famiglia.
Ecco, lui si era fidato di Peyton, le aveva consentito di riempire il vuoto lasciato nel suo cuore dalla morte di Claire, di abbattere le barriere che aveva innalzato nel tentativo di proteggersi da un nuovo dolore e questa era la ricompensa per il suo amore, la sua fiducia e la sua dedizione!
 
“Potremmo fare avanti e indietro con l’aereo per un po’ in una relazione a distanza, ma sono sicura che - per quanto vicini - ci sarebbe sempre un oceano in mezzo a noi, a dividerci. È meglio dirci addio, amore mio”.
 
Aveva gettato la lettera sulla scrivania con stizza e si era alzato di scatto, serrando i pugni per la rabbia repressa e cercando si scacciare dalla mente gli epiteti volgari che stava associando al nome della bella patologa inglese perché, nonostante tutto, era un cavaliere.
Maledetta ingrata - ricordava di avere pensato - lasciarlo così, con quel messaggio tanto freddo e impersonale, senza dargli neppure la possibilità di guardarla in faccia o di risponderle! Senza lasciargli nessuna chance di cambiare le cose.
Eppure lei sapeva quanto aveva sofferto a causa del suo lutto e come era stato difficile per lui aprirsi di nuovo all’amore…
Amore. Sì perché, al di là di tutto, Mac l’amava ancora.
Follemente.
Disperatamente.
Insensatamente.
 
***
 
Rammentava di essere andato quella sera - come ogni altro mercoledì - a suonare con la sua band nel solito pub di Soho; anche allora la musica lo aveva fatto stare un po’ meglio, aiutandolo a distrarsi dal dolore che lo tormentava.
A un tratto aveva scorto Stella seduta in mezzo al pubblico: lei gli aveva sorriso dolcemente quando i loro sguardi si erano incrociati e lui aveva ricambiato il gesto.
Sì, la sua collega era una buona amica: una persona onesta, limpida, che forse sarebbe stata capace di meritare il suo amore.
Eppure - nonostante ciò e nonostante avesse perfettamente compreso la vera natura dei sentimenti che Stella provava per lui - non le si era mai avvicinato, nemmeno quella sera in cui ne avrebbe avuto un disperato bisogno: aveva deliberatamente scelto di non farlo, come del resto non aveva più voluto legarsi davvero a nessuna negli anni seguenti.
La mattina dopo, in ufficio, lei gli aveva raccontato di aver trovato per caso la lettera sulla sua scrivania e di aver pensato che forse poteva fargli piacere vedere un volto amico in quel momento di tristezza.
Allora si era affrettato a cambiare discorso, spostando la conversazione sulle solite questioni di lavoro che li impegnavano e rivolgendole uno sguardo che era rimasto pur sempre gentile e professionale: nulla era mutato nella sua espressione, niente era apparso all’esterno dello sconvolgimento bestiale che lo aveva lacerato in quegli istanti. Come nulla, nel periodo che era seguito, aveva mai tradito il dolore di pensare Peyton tra le braccia di un altro uomo, la sofferenza rovente che lo bruciava tutto e impercettibilmente gli accendeva il viso quando quelle immagini gli attraversavano la mente.
Un altro uomo, un tizio qualsiasi: termine generico che perfettamente si attagliava a un qualunque generico insignificante individuo che in quel momento fosse stato accanto a lei, al suo posto.
C’erano state, certo, occasioni che avrebbe potuto cogliere: aveva incontrato donne che in un altro momento avrebbe trovato interessanti, eppure nessuna era riuscita a smuoverlo dal suo testardo proposito, figlio dell’alterigia secolare (ma taciuta e forse inconsapevole) dei Taylor, di aspettarla.  
Perché Mac Taylor aveva, in cuor suo, deciso: l’avrebbe attesa, fosse anche per tutta la vita, perché prima o poi - ne era certo - sarebbe tornata da lui.
Perché lui era lui e tutti gli altri non erano come lui e Peyton, che una volta l’aveva amato, non avrebbe potuto che alla fine comprendere che senza di lui non aveva senso vivere.
A volte era stato sul punto di cedere - troppo lunga e dolorosa la sua attesa solitaria - ma poi aveva tenuto duro, consapevole che se non fosse riuscito a resistere, se non avesse tenuto fede alla sua inflessibile, disperata decisione di attendere, rispettando se stesso e i suoi sentimenti per lei, tutto sarebbe finito.
E lui stesso sarebbe stato irrimediabilmente trasformato ai suoi occhi in uno qualunque, in un uomo che non ce la fa a controllarsi, schiavo dei propri sensi volgari: uno qualsiasi, come quelli con cui l’inglese di sicuro si accompagnava.
Ma lui era Mac Taylor, non uno qualsiasi.
 
***
 
Aveva custodito il suo segreto per così tanto tempo, nella solitudine e nel silenzio, che quando aveva visto Peyton comparire all’improvviso alla finestra del palazzo di fronte al suo per poco il  cuore non gli si era fermato (2).
Non è proprio come avevo immaginato che ti avrei rivisto” gli aveva detto lei quando erano rimasti finalmente da soli, fissandolo con quei suoi maledetti occhi verdi stregati mentre lui la guardava, invece, come se non credesse che ciò che stava loro accadendo fosse realmente possibile.
Tutto ciò che riguarda noi due è sempre stato imprevedibile” aveva udito la sua voce risponderle, meravigliandosi di come fosse riuscito a mantenere il controllo di sé.
“Per questo è stato così bello…”aveva cinguettato lei gettandogli le braccia al collo, stringendosi contro il suo petto e avvicinando le labbra alle sue, come se fosse tornata a casa dopo essere stata via solo qualche giorno o qualche ora. Come se non gli avesse spezzato il cuore.
In quell’istante Mac Taylor sentì che, nonostante tutto, era possibile e che stava accadendo davvero; chiuse gli occhi per godere meglio la sua presenza, l’odore delicato di lavanda che esalava dai suoi capelli e il suono del suo respiro leggermente affannoso che gli pareva di non aver mai dimenticato negli anni trascorsi lontano da lei.
Poi, in quegli attimi di perdimento mentre la teneva tra le braccia come se nulla fosse cambiato, lentamente si rese conto della verità: la verità era che di lei non gli importava più nulla, che non sentiva più niente per la donna che aveva atteso inutilmente per tutti quegli anni.
Che, anzi, in quel momento il solo pensiero che lei lo toccasse, che lo desiderasse dopo quel tempo durante il quale era stata di altri - di altri qualsiasi che non erano lui - gli faceva quasi orrore; che sentire la sua pelle contro la propria gli aveva provocato un moto di ripulsa, come essere toccato da un viscido serpente squamoso.
La fissò e si rese conto ancor più nettamente che il suo volto, la sua voce, il suo profumo, ogni cosa di lei gli era insieme familiare eppure disperatamente estranea, dolorosamente indifferente.
 
Lei aprì gli occhi ignara, certa del proprio potere, e tentò di baciarlo di nuovo.
Ancora una volta, come anni prima.
Ma Mac, che pure l’aveva attesa così a lungo sicuro che sarebbe tornata, non era felice di quel trionfo.
L’amaro fiore della verità era ormai sbocciato dentro di lui: sapeva adesso di aver aspettato Peyton così a lungo non tanto per amore quanto per superbia, sfrenata alterigia, per dimostrare a se stesso e a lei che sarebbe tornata, che gli altri uomini non avevano significato niente e che era rimasto nel suo cuore.
Per poter essere lui a decidere di respingerla per sempre, una volta che lei fosse tornata, riprendendosi così la chance che gli aveva rifiutato anni prima con quella lettera stucchevole.
Forse - comprese con rassegnato dolore - aveva smesso di amarla fin dal primo istante in cui l’aveva abbandonato così vilmente, senza nemmeno guardarlo negli occhi; dall’esatto momento in cui l’aveva tanto umiliato, lui che le umiliazioni non aveva mai tollerato.
Aveva creduto di amarla. Solo creduto.
E aveva scelto di attenderla con la ragione, non con il cuore.
Si scostò da lei con un sorriso gentile, ma indifferente, e per la prima volta la guardò come una qualsiasi.  
 
FINE
         

 

  1.  Le frasi in corsivo sono il testo esatto della lettera che Mac riceve da Peyton nella puntata “Tempo scaduto” della quarta stagione;
  2.  La scena è ripresa dal finale della puntata “Punti di vista” della sesta stagione di CSI NY.
  
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