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Autore: eloise de winter    14/10/2012    2 recensioni
Robin aveva un nome da maschio e la sua famiglia era di sangue irlandese, ma lei aveva, a differenza di tutti i suoi parenti, i capelli color cioccolato e gli occhi verdi.
Ogni volta che guardava allo specchio le sue iridi le veniva in mente una singola frase, letta chissà dove:
“L’invidia è un mostro dagli occhi verdi .“
Mai frase fu più azzeccata.
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Gli alamari d’argento erano ben chiusi, ma il mantello ondeggiava in simbiosi con il movimento del mio corpo mentre camminavo, la croce nell’incavo dei seni catturava la luce delle candele accese dappertutto e la rifletteva, le gonne accompagnavano il mio incedere con il loro dolce fruscio, lasciando intravvedere gli orli delle sottogonne candide sotto il nero dei veli di gonne e pizzo.
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Gothic-Fantasy
Genere: Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Maschere
 
 
Un’alba di luce densa e opaca rendeva la stanza bianca come piena di nebbia, e le ombre prima immote ora si ritiravano piano, negli angoli più nascosti: dietro una poltrona, sotto il letto, tra gli scaffali di una vecchia libreria piena di tomi. La casa era silenziosa, non un rumore che non fosse un respiro vi si udiva. Tutto era immobile, la calma assoluta della morte, la calma inquietante e innaturale del perpetuo sonno.
 
A spezzare l’illusione era il frenetico abbassarsi  di un petto che cercava di trattenere dei singhiozzi disperati, con una forza di volontà ferrea e una compostezza e un decoro tanto impeccabili quanto incrinati dalla posa della figura distesa sul letto.
 
Ella seppelliva il viso tra le coltri candide e ve lo premeva, sforzandosi di respirare e di trattenersi, invano: un unico singhiozzo soffocò nelle stoffe morbide del letto, ma il solo suo debole suono sarebbe bastato a sciogliere in pianto una pietra.
 
Era pieno di sentimenti inespressi, sciolti, repressi ostinatamente e nascosti nel cuore in un modo tale che  li aveva resi solamente più forti.
 
Due lacrime scesero dagli occhi della fanciulla che, alzato il capo, ormai mostrava solo un viso fermo e immoto in una completa padronanza di sé e in un totale annientamento dei propri sentimenti.
 
Solo due linee nere solcavano le guance, come un tatuaggio perpetuo del suo dolore, rendendola una maschera dalla grottesca freddezza e dalla bellezza complessa e artefatta.
 
Le gonne nere si aprivano intorno a lei e il mantello scuro era gettato ai piedi del letto candido; tutto in quella stanza era bianco, tranne due macchie più nere dell’inchiostro: la fanciulla e il suo mantello.
 
Erano come peccato su di una purezza candida e innocente; lei sembrava una bambola, tanto la sua pelle era pallida, come fosse porcellana, ma il nero che circondava gli occhi e che era sceso tra le lacrime rendeva solo più evidenti gli occhi lucidi e verdi.
 
Nel sole sorgente una croce di diamante e ossidiana catturava barbagli di luce rosea, riflettendoli all’infinito, mentre una fanciulla nerovestita si abbandonava esausta all’ipnotica musica dei ricordi di un ballo dannato.
 
 
§§§
 
 
Stava ancora ballando con lui, con il suo principe arrogante dagli occhi scuri, ed i violini suonavano a vuoto, lenti.
 
Non c'era anima viva.
 
Le note aleggiavano lievi nell'aria, in un valzer senza fine e senza tempo.
 
Ad un tratto la melodia si fece sempre più frenetica, e i piedi correvano, in fretta, destreggiandosi in figure complicate, ma era troppo veloce, non accennava a rallentare.
 
Il cuore batteva frenetico, il respiro si faceva sempre più corto e sulle labbra del suo cavaliere comparve un ghigno quasi crudele, nei suoi occhi scintillava una luce strana.
 
Il cuore batteva all'impazzata: bum bum bum bum..
 
Si svegliò di soprassalto, ansante, come e quel ballo fosse stato veramente reale.
 
Socchiuse dolorosamente gli occhi: c'era troppa luce in quella stanza.
 
La porta chiusa a chiave tuonava come se stessero cercando di abbatterla.
 
Una voce potente rimbombò nella stanza «Robin, alzati e apri questa maledetta porta, sei in ritardo!».
 
Si alzò di scatto, con gli occhi spalancati, urlando all'indirizzo della porta «Sono sveglia, arrivo papà!».
 
Stava per correre ad aprire, quando sentì un frusciare di gonne e si accorse con orrore di essere ancora vestita di pizzi e gale nere.
 
Dannazione.
 
Si svestii velocemente, nascose il vestito sul fondo dell'armadio e raccattò da tessa un abitino chiaro, prese al volo il giubbotto, la borsa e corse giù dalle scale.
 
Passando però frettolosamente davanti ad uno specchio, si fermò di botto e rimase ad osservare il suo riflesso, incantata.
 
Una ragazza con una maschera di seta nera e una complicata acconciatura la fissava con due occhi verdi grandi e sorpresi.
 
Ripresasi, si tolse la maschera che aveva dimenticato di levare, sciolse i capelli, corse in cucina afferrando al volo un muffin.
 
 
§§§

 
Almeno piove, pensò Robin mentre osservava dal finestrino della macchina gli ombrelli colorati dei passanti, intenti ad evitare pozzanghere le cui dimensioni variavano da quelle di una ciotola da cucina a quelle di una vasca da bagno.
 
Con idromassaggio.
 
Faith era già arrivata, constatò Robin vedendo la gemella sul portone della scuola, intenta a parlare con un gruppo di ragazze.
 
Con il cappuccio alzato scese velocemente dalla Mercedes nera del padre, e correndo passò di fianco alla sorella, alla quale sorrise, ottenendo in cambio un lieve cenno.
 
C'era fermento quel giorno nei corridoi: bisbigli e sussurri si innalzanìvano coem volute di fumo dai capannelli di studenti, e aleggiavano nell'aria in cerca del loro proprietario.
 
A Robin giunsero alle orecchie solo stralci di conversazione, ma si accorse che, alla fine, l'argomento era sempre lo stesso: il Ballo delle Croci.
 
O meglio, la bellezza in nero che era comprasa a metà del Ballo e che era scomparsa altrettanto celermente, solamente dopo aver ballato con un'unica persona.
 
Si diceva fosse straniera e di nobili origini, altri giuravano di averla sentita esprimersi in francese, ma l'unica cosa che si sapeva per certo era che, occhi come i suoi, non erano facilmente dimenticabili.
 
Chiunque l'avesse vista non poteva che confermare, chiunque le avesse parlato non poteva far altro che decantare le lodi della sua voce melodiosa e dolce.
 
Una sola persona poteva però vantarsi di essere riuscito a rubarle un bacio a quell'angelo bruno.
 
Il ragazzo in questione stava parlando fitto fitto con un biondo alto dagli occhi chiari ed un'espressione annoiata sul volto.
 
Chiunque passasse, per caso o meno, vicino ai due giovani lanciava un'occhiata al moro, scrutandoloncon un pizzico di invidia o di curiosità.
 
Robin l'aveva osservato in passato e ne aveva sempre notato l'aria di superiorità ostentata che esibiva senza alcuno scrupolo e il portamento elegante.
 
C'era qualcosa però che non le piaceva di lui, aveva come un'ombra dentro, qualcosa che faceva apparire i suoi occhi scuri ancora più profondi, ma la luce non vi si specchiava, semplicemente ne veniva inghiottita.
 
Anche quando sorrideva gli occhi rimanevano bui, senza luce.
 
Era strano.

 
§§§

 
Suonò la campanella e Robin si rese conto che era ferma sulle scale, immobile.
 
Si riscosse e sfrecciò via velocemente diretta alla sua classe.
 
Ma nella fretta non si accorse che la maschera di seta nera che aveva infilato malamente nella borsa poco prima, era scivolata fuori ed era caduta in mezo al corridoio.
 
Solamente quando Robin era già scomparsa in classe, una ragazzina vide la maschera e la riconobbe.
 
Lanciò un urletto con la sua voce stridula e alcuni si girarono, irritati.
 
«E' la sua maschera, è la maschera della ragazza del Ballo delle Croci!». 
 
Un gruppetto di persone accerchiò la ragazzina, tutti volevano vedere la reliquia appena scoperta.
 
La confusione crebbe e attirò fuori dalle aule studenti e professori, che accorsero.
 
Anche Robin uscì in cerca della fonte di quel baccano e si ritrovò davanti la sua maschera che le veniva sventolata sotto il naso.
 
Al borbottio della folla che aveva riconosciuto quell'oggetto, Robin sbiancò.
 
Quando il ragazzo dalgi occhi bui prese in mano la maschera, scese il silenzio tra le persone lì accalcate.
 
Lui la osservò lentamente, sfiorandola con le dita e ammirandone la semplicità che la sera prima non aveva notato, per ovvi motivi.
 
Dopo minuti che parvero secoli, alzò lo sguardo e disse con semplicità «Lei è qui».

 
§§§

 
Robin ne era certa, avrebbe ricordato quel giorno fino alla Morte Ultima, e forse anche oltre.
 
Se ne stava seduta sui gradini del sagrato, con in grmbo un album e un carboncino, e abbozzava qualcosa, rimuginando.
 
Aveva una sciarpa enorme avvolta intorno al collo e solo una giacchetta leggera indosso, i capelli sparivano sotto la lana e la bocca era stretta nella concentrazione.
 
Due ragazzi passarono davanti a lei, senza notarla.
 
Stavano parlando.
 
«Aspetterò semplicemente. Non la cercherò, non farò niente. Sarà lei a venire da me».
 
Robin riconobbe il ragazzo dagli occhi bui.
 
«Haydan, te lo dirò gentilmente: è una cosa da idioti», e il suo amico.
 
«Lo so». Un sospiro.
 
«Per questo ti organizzerò un ballo».
 
«Spegati». Il tono era gelido.
 
«Semplice, ti organizzo un ballo, a spese tue ovviamente, e ti faccio incontrare di nuovo la tua fanciulla in nero».
 
Il biondo parlò senza inflessioni, disinteressato, solo forse un poco divertito, aspettando una reazione dall'amico.
 
Vedendo che questa non arrivava, aggiunse «Almeno smetterai di torturarti».
 
Ignorandolo, il moro replicò, laconico «Fa' come credi».
 
Si allontanarono, portandosi fuori portata d'orecchio.
 
Robin giurò su se stessa che non sarebbe assolutamente andata a quel dannato Ballo.
 
Mai e poi mai.

 
§§§

 
Perchè era lì, impalata di fronte allo specchio, vestita di nero, a fissarsi con odio?
 
Perchè era una stupida: aveva ceduto, stava andando a quel maledettissimo ballo.
 
Stava per uscire, quando la voce di suo padre la fermò.
 
L'uomo era in smoking, e una maschera nera gli copriva il volto.
 
«Credi di andare al Ballo dei Lancaster senza una maschera, fanciulla in nero?».
 
Maledicendosi, Robin cercò di spiegarsi, ma il padre la interruppe mettendole in mano una maschera di raso bianco e cristalli neri.
 
«Muoviti adesso, ti ho noleggiato una carrozza per un'entrata più teatrale».
 
Con una strizzatina d'occhio il padre scomparve, e Robin corse in fretta fuori, dove veramente uan carrozza senza insegne la aspettava.
 
Salì e partì nella notte.
 
 
§§§

 
Nel salone delle feste di villa Lancaster gli invitati danzavano e conversavano amabilmente, ma i più fissavano incessantemente il portone dal quale, se si fosse presentata, sarebbe dovuta entrare la fanciulla in nero.
 
La mezzanotte stava per scoccare quando un tiro a quattro senza insegne si fermò nel giardino della villa.
 
Ne scese una figura nerovestita, che si avviò, incedendo con passo regale, verso il giardino sul retro.
 
Entrando da una delle grandi porte finestre che si aprivano sul salone, si mescolò alla folla danzante.
 
Dapprima nessuno fece caso a lei, ma quando si avvicinò ad una cameriere per chiedergli cortesemente di portare via il suo mantello, bisbigli eccitati si rincorsero per tutta la sala.
 
Robin aveva deciso che il suo principe arrogante avrebbe ricevuto una lezione, quella sera, così si avvicinò di giovani in abito da sera, a conversarvi.
 
Quando Haydan, che si aspettava ella venisse subito da lui, vide la sua fanciulla intrattenersi con altri uomini, mandò all'aria tutti i buoni propositi della serata, e le si avvicinò.
 
«Potrei rubarvi questa deliziosa fanciulla per il tempo di un ballo, signori?». 
 
 
La risposta giunse subito dalla fanciulla indispettita «Lord Lancaster, non sarebbe più appropriato domandare alla diretta interessata? O forse date troppo per scontato la risposta?». 
 
«Non mi permetterei mai, mia signora, per questo vi chiedo di concedermi un ballo». 
 
«Dite sul serio? Avrei giurato di avervi sentito proclamare apertamente di voler che fossi io personalmente a venire da voi, non il contrario, milord». 
 
Lui abbassò gli occhi scuri «Touchè. Chiedo perdono per le mie parole inappropriate, so di non avere scusanti. Rialzò gli occhi da terra e le domandò, di nuovo Vorreste concedermi, in virtù del perdono, un ballo, mia signora?». 
 
Un sorriso dolce come il miele le curvò le labbra, «Sono costretta a rifiutare. Non è mia consuetudine perdonare facilmente e a cuor leggero». 
 
Sbigottito da tanta impudenza, lui replicò «E non è mio uso domandare qualcosa una terza volta, ma per voi farò un'eccezione: come padrone di casa e vostro ospite vi ciedo un ballo, un unico ballo». 
 
Lanciò la sfida fissandola negli occhi, al che lei si vide costretta a rispondere, in virtù dello status del giovane che le stava di fronte, «Concesso». 
 
Ghignando apertamente la condusse al margine della pista, sulle note del concerto numero sei per pianoforte ed orchestra in Re minore di Rachmaninov.
 
Almeno una cosa buona, quella sera.

 
§§§
   
 
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