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Autore: Haruakira    14/10/2012    2 recensioni
Gokudera vive una vita che si trascina lenta e dolorosa in quelli che sembrano giorni sempre uguali e opachi ma spesso rischiarati da una luce che però è dolce e amara al tempo stesso. Non riesce a cambiare, non riesce a trovare un equilibrio che gli doni la pace. E allora...
NOTA:
One-shot più secondo capitolo con finale alternativo rispetto a quello della storia autoconclusiva.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hayato Gokudera, Takeshi Yamamoto
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Gokudera si asciugò la fronte con un fazzoletto pescato a caso da una tasca della tuta, tossì guardandosi poi intorno e cercando di rischiarare ulteriormente l' ambiente. Era ormai tardi e la sera era calata da un pezzo, i suoi colleghi avevano smesso gli scavi già da un po' e anche il professor Di Stefano gli aveva detto di posare gli attrezzi e andarsi a fare una bella doccia ma lui aveva insistito per rimanere sul sito a cui si stavano dedicando. Era un' antica necropoli del I secolo su un colle isolato non eccessivamente lontana da Roma. Respirò a fondo e diede uno sguardo all' orologio, avrebbe dato ancora un' occhiata in giro e poi sarebbe andato via, ormai era abbastanza stanco da poter sperare di avere una nottata serena.
Un rumore di cocci smossi alle sue spalle lo face girare col cuore in gola e il piccone rapidamente in mano. Gokudera si trovò di fronte al viso sorridente di Yamamoto che alzò la mano in segno di saluto.
-Mi hai fatto prendere un colpo, idiota!
-Gomen, Gokudera. Non volevo spaventarti. Che fai qui?
-Tch- Gokudera posò il piccone sul terriccio e fece per accendersi una sigaretta evidentemente ripensandoci perchè poi iniziò a salire la scaletta che lo riportò all' aria fresca e umida della sera. Takeshi era dietro di lui, lo sentiva- questa è una domanda che dovrei farti io. Ancora non ti sei stancato di starmi in mezzo alle palle? E poi non sei nemmeno un addetto ai lavori.
Yamamoto glissò sull' affermazione dell' altro e disse:- Wow, non ero mai stato in un posto come questo. E' fantastico! E poi avete un sacco di attrezzi, deve essere un bel lavoro quello dell' archeologo.
Gokudera iniziò a camminare e questa volta si accese la sua agognata sigaretta:- Per niente. Mi vedi no? Ho i calli alle dita e puzzo come un maiale.
Yamamoto si avvicinò e gli annusò il collo facendo sobbalzare e arrossire l' amico che si scostò in imbarazzo.
-Hai un buon odore- sentenziò alla fine.
Ci fu un lungo silenzio, poi Yamamoto domandò:- Hai mangiato? Se non hai mangiato ho scoperto un pizzeria fantastica. E' da un po' che ti ci volevo portare.
Gokudera lo interruppe con un gesto stizzito della mano:- Come cazzo faccio a venire in pizzeria, me lo spieghi? Ti ho detto che puzzo.
-Allora andiamo da te e ordiniamo, ne Gokudera?
-Ma che fai, ti autoinviti?!

La mattina dopo Gokudera sentì la voce di Bianchi provenire dal corridoio, poi lo scalpiccio dei suoi passi in cucina. Guardò la sveglia digitale sul comodino con gli occhi socchiusi, si stiracchiò prendendo immediatamente piena lucidità, si girò di scatto alla sua destra ma Yamamoto non c' era, con la bocca semi aperta per lo stupore e un vago senso di confusione si domandò dove fosse finito. In quel momento sua sorella aprì la porta della sua stanza da letto.
-Hayato, che ci fai ancora a letto? Non dovresti essere agli scavi già da un pezzo?
Gokudera fissò Bianchi, non era strano che lei fosse lì, dopo tutto aveva le chiavi di casa sua, però non si ricordava perchè gliele avesse date.
La maggiore si avvicinò al suo letto e gli toccò la fronte con una mano:- Mi sa che hai la febbre. Dì la verità, ieri hai fatto di nuovo tardi.
Il fretello annuì assente, poi la ragazza continuò- lo sapevo. E si può sapere perchè diavolo sei tutto nudo?- si allontanò verso l' armadio per aprirlo e tirargli addosso un pigiama pulito e un paio di boxer visto che le sue cose erano sparse in modo disordinato sul pavimento- che poi... perchè c' è una pizza intera sul tavolo della cucina?
Gokudera si riscosse all' improvviso:- C' era T...- ammutolì all' istante.
C' era Takeshi Yamamoto con me ieri sera.
E ricordò, dolorosamente e con un sorriso amaro, perchè la pizza era ancora sana, perchè Bianchi avesse le chiavi del suo appartamento.
-Hai preso le medicine?- domandò infatti
-Mangio e le prendo, no?- rispose stizzito
-Hai ragione, ti preparo qualcosa.
Gokudera si avventò contro la porta col lenzuolo in vita cercando di trattenere la sorella, ma quella si girò sorridendo:- Non preoccuparti non ho intenzione di avvelenarti e poi ho un ristorante, anche piuttosto rinomato direi. Non capisco perchè tu sia tanto terrorizzato dalla mia cucina. Dovresti parlarne col tuo terapista, Hayato.

Quando Bianchi se ne fu andata Gokudera prese il cellulare sul comodino nella sua stanza e si scusò col professore avvisandolo che non sarebbe venuto. Di Stefano era molto paziente e gentile, aveva risposto che lavorava troppo e che non era un bene fare così tardi, poi aveva riso dicendo che un po' lo invidiava, quando era più giovane anche lui era pieno di energie e non si fermava mai. In realtà Gokudera cercava di tenersi il più impegnato possibile e di stancarsi più che poteva per sprofondare in un sonno profondo e senza sogni e perchè sperava di non rivedere più Yamamoto.
Ritornò in cucina e afferrò le pillole sul tavolo ingoiandole in un colpo con un bicchiere d' acqua.
Quando finì, Takeshi era appollaiato sul davanzale della finestra e chiedeva:- Perchè prendi quella roba?
-Perchè sei morto, idiota.
Yamamoto lo guardava con una faccia afflitta:- Gomen, non volevo.
-Come se certe cose si potessero decidere- fece una pausa- oh bè, tu lo hai fatto ora che ci penso.
-Se vuoi non mi faccio più vedere.
Gokudera tacque, no che non voleva.
Vedeva Takeshi Yamamoto ogni giorno, ogni santo giorno. Lo sentiva, lo toccava, gli parlava ed era certo di tutto ciò come era altrettanto certo che fosse impossibile. L' unica spiegazione che aveva trovato, e che i medici avevano trovato per lui, è che fosse del tutto impazzito.
Chock, avevano detto. Un forte trauma. La gente che lo conosceva era rimasta di sasso, si domandava come fosse stato possibile che il cervello di una persona razionale come Gokudera, che il cervello di un genio, potesse andare all' improvviso in corto circuito.
Gokudera si voltò per guardare Yamamoto accanto alla finestra, afferrò il pacco di sigarette che teneva in un cassetto della cucina accendendosene una e inspirando a fondo, soffiò fuori il fumo e con quello parole che sembravo vecchie di secoli, ammuffite nel suo cuore ma con la potenza di un' antica maledizione:- Ti odio, Takeshi. Che ci hai guadagnato a fare l' eroe?
Che ci abbiamo guadagnato? pensò.
Si rintanò nella sua stanza buttandosi addosso il piumone pesante, tirò fuori il braccio per un attimo, il tempo di afferrare un potente sonnifero e di riposarlo sul comodino.
Sperava di addormentarsi per sempre ma in quegli anni non ne aveva mai trovato il coraggio, si sentiva un vigliacco. Prima o poi avrebbe preso il coraggio a due mani, ne era sicuro. Se non fosse stato lui ad afferrare il coraggio, sarebbe stata di certo l' angoscia a farlo morire.
Sognò Yamamoto, sognò la sua vita.
Il padre di Gokudera era giapponese, la madre, a quanto gli avevano raccontato, italiana. Non l' aveva conosciuta. All' età di sei anni si erano trasferiti in Giappone dall' Italia, il padre desiderava che i suoi figli ricevessero il suo stesso tipo di istruzione. Gokudera era un genio, un genio sprecato secondo la sua famiglia perchè avrebbe potuto essere qualunque cosa desiderasse, un medico, un fisico, un ingegnere... invece dopo due anni di medicina si era trasferito a una facoltà di studi letterari. In quegli anni aveva conosciuto l' unica persona che avesse cercato di essergli amico senza fermarsi al primo ostacolo, poi quella persona era morta e Gokudera aveva passato un anno in un ospedale psichiatrico. Era tornato in Italia perchè il Giappone gli era ormai troppo stretto e aveva iniziato a studiare archeologia.
All' ospedale aveva conosciuto un infermiere imbranato che sembrava un ragazzino, si chiamava Sawada Tsunayoshi. All' inizio le rare volte in cui i medicinali gli consentivano di essere lucido lo aveva preso in giro in maniera crudele facendogli prendere non pochi spavanti se ogni tanto gli tirava qualche tiro mancino eppure nonostante la paura, perchè Gokudera lo sapeva, quell' infermiere a cui stava larga persino l' uniforme aveva una paura fottuta di lui, continuava a stargli vicino. Aveva un cuore grande Tsuna e una volontà di ferro, cose che gli avevano fatto guadagnare il suo rispetto e la sua ammirazione. Voleva rendersi utile e salvare la gente solo che essere medico per lui sarebbe stato un po' troppo e poi facendo l' infermiere aveva la possibilità di assistere meglio le persone, di stargli più vicino e trasmettere più calore.
Gokudera era rimasto di sasso, lui non era mai stato così altruista in tutta la sua vita. Non era mai stato altruista a voler essere onesti.
Non avrebbe mai capito perchè Tsuna e Takeshi fossero così entusiasti di abbracciare il mondo con le mani, da dove veniva tutta quella positività? Perchè essere gentile con gente che non conosci, che magari non si ricorderà di te e neppure ti ringrazierà?
Avrebbero dovuto essere più cinici e disillusi, proprio come lui, invece sembravano volergli insegnare qualche altra cosa.
Ogni giorno Tsuna quando finiva il turno si veniva a sedere accanto al suo letto per parlare un po'.
Una volta gli aveva confidato di essere rimasto terrorizzato quando lo aveva visto per la prima volta.
Aveva abbassato gli occhi sulle proprie mani che si muovevano nervose sulle gambe:- Non offenderti, ti prego, Gokudera-kun...- Tsuna aveva sospirato guardando le foglie cadere dagli alberi in un punto lontano del parco dell' ospedale, oltre la finestra dagli infissi opachi e grigiastri- quando ti hanno portato qui gridavi. Urlavi tanto, così tanto che ho immaginato le tue corde vocali come fili che vibravano, sempre più sottili, sempre di più fino a che non si fossero spezzati. Mi immaginavo qualcosa graffiarti la gola, le tua grida come mani e come unghie che ti squarciavano dentro...- il ragazzo si interrruppe in imbarazzo, alzò lo sguardo sull' altro iniziando a balbettare- scusa Gokudera-kun... non-non dovrei farti questi discorsi e...
-Continua
-Cos...?- Tsuna vide gli occhi verdi di Gokudera che lo fissavano assorti, le mani bianche pazientemente in grembo e le labbra atteggiate in una sorta di rassegnazione.
-Continua- ribadì calmo.
-Scusa se ti dico questo- riprese Tsuna- mi hai fatto tanta pena, Gokudera. All' improvviso il tuo dolore è diventato il mio. E' endemico, afferra chi ti è vicino. Quel giorno ho pianto come un bambino e anche Haru e Kyoko-chan, le infermiere che erano insieme a me in questa stessa stanza. Cercavamo di tenerti in ogni modo ma tu ti muovevi e ti muovevi... e gridavi.
Avevi le pupille piccole piccole sugli occhi spalancati e arrossati, eri spaventosamente pallido. Dovevi aver pianto molto... e poi hai ricominciato- Tsuna fissava il vuoto assorto, Gokudera faceva altrettanto, come se vivessero ancora quel giorno, come se tutto il resto non esistesse e ci fossero solo loro con le emozioni di allora, come se stesse ancora urlando il nome di Takeshi dandogli del fottuto idiota- non avevo mai visto tanta disperazione uscire fuori da una persona sola e ho avuto paura, paura, paura. Non riuscivamo a non sentirci male anche noi senza nemmeno sapere perchè. Non lo sapevamo perchè tu stessi così male, non ci avevano detto niente. Poi... poi abbiamo saputo.
Gokudera abbassò il cuscino accasciandosi stanco sul letto, come se avesse rivissuto ancora una volta quei giorni che lo avevano privato di ogni energia. Era pallido e smagrito, pieno di puntini violacei sulle braccia per le iniezioni che gli facevano e non potè non ripensare a Takeshi e alle sue di braccia piene di segni rossi e viola sulla pelle scura.
Guardò il soffitto e si mise a piangere incurante che Tsuna fosse lì con lui.
-E' stato una settimana in ospedale- disse a un certo punto asciugandosi gli occhi- non mi facevano stare con lui all' inizio ma sai... mio padre è un uomo piuttosto importante quindi... quindi ho potuto vederlo morire lentamente- sussurrò senza quasi emettere alcun suono, non gli interessava di essere sentito o meno, tirò su col naso cercando di ricacciare le lacrime che volevano uscire- sono stato seduto al suo fianco giorno e notte sperando che le sue condizioni migliorassero. Ho persino pregato- si mise a ridere come se la cosa fosse assurda, poi si voltò all' improvviso verso Tsuna, con rabbia e disgusto- un medico mi ha detto che aspettavano solo che morisse. Gli ho spaccato il naso, avrei voluto ammazzarlo. All' inizio gli parlavo, poi mi hanno detto di smetterla perchè si agitava. Era vero, voleva camminare, era uno sportivo in fondo, poi ha iniziato a perdere conoscenza, sempre di più. Dopo un paio di giorni gli hanno messo la maschera dell' ossigeno perchè non ce la faceva più a respirare da solo. Però mi sentiva ancora perchè gli dicevo "stringimi la mano, stringimi la mano" e lui lo faceva, o per lo meno ci provava.- Gokudera si girò dall' altro lato guardando la parete- poi... poi basta. Erano le tre del mattino. O di notte. Vedila come vuoi.
Gokudera respirò a fondo:- Vorrei una sigaretta
-Non è possibile, lo sai.
-Credi che provi ad ammazzarmi?
-Diciamo che ne sono abbastanza sicuro- borbottò il ragazzo ricordando che l' italiano aveva cercato di tagliarsi i polsi con le pagine di un libro che gli era stato portato.
-E' questo il momento giusto. Ora che ho il coraggio di farlo, di morire intendo. Poi potrebbe mancarmi e non voglio vivere così.
-Potresti avere una vita serena se solo lo volessi.
-No. Non voglio per niente, non ho voglia di andare avanti, non me ne frega un cazzo.
In ospedale non aveva visto mai Yamamoto ma la sua mente era ugualmente caduta in una sorta di baratro, a un certo punto aveva capito che se voleva essere dimesso doveva far finta di essersi ripreso, che tutto era assolutamente a posto. Ci era riuscito ma appena aveva messo piede fuori dall' ospedale si era visto Yamamoto che lo aspettava sorridente fuori dalla porta e che lo salutava chiedendogli come stava.
-Ce ne hai messo di tempo per uscire- aveva concluso senza perdere l' aria allegra che lo caratterizzava.
Gokudera si era bloccato:- Santo Dio- aveva bisbigliato facendo voltare Bianchi che sembrava pronta a riportarlo indietro.
-Hayato, che hai? Va tutto bene?
Gokudera aveva tossito un paio di volte cercando di apparire sicuro:- Certo che sì, andiamo.
Ogni tanto si voltava indietro per vedere se Yamamoto lo seguisse. E lo seguiva.
Lo aveva seguito anche in Italia.
Per un periodo aveva fatto entra ed esci dalle cliniche, era stato così ingenuo da confidare al proprio terapista che vedeva un fantasma, o una specie. Era dannatamente reale.
Sognò di quando aveva conosciuto Takeshi. Lo aveva riempito di insulti. Quell' idiota per poco non gli tirava una pallina da baseball sulla testa.
-Uno non può nemmeno passeggiare nel parco che rischia di essere ammazzato da una fottuta pallina!
-Scusa- Yamamoto lo aveva guardato bene e poi aveva sorriso- se vuoi giochiamo a calcio. Ti piace il calcio?
-Ma chi ti dice che io voglia giocare con te?! E poi chi ti conosce. Io stavo solo camminando per i fatti miei ed è quello che intendo continuare a fare.
-Scusa ancora, stavo facendo due tiri. Però in compagnia è più divertente, no?
-Cosa? Cosa è più divertente?!- sbottò esasperato.
-Tutto. Correre, giocare a calcio o a baseball... soprattutto studiare. Io mi annoio sempre sui libri.
-Si vede. Hai una faccia da idiota.
-Perchè dovresti camminare da solo?- aveva taciuto per un momento, come per spiarne la reazione, poi- E allora questi due tiri? - Yamamoto aveva sorriso malizioso- forse non sai giocare...
E Gokudera gli aveva strappato il pallone da calcio che teneva tra le mani assieme alla pallina.
Gokudera si era svegliato all' improvviso riemergendo da sotto il piumone, si era appoggiato alla spalliera del letto guardando l' ora segnata sulla sveglia. Erano le nove passate di sera.
Si vestì e uscì fuori casa prendendo la macchina e guidando fino agli scavi. Man mano che saliva sulla montagna la foschia serale diventava nebbia fitta che non gli permetteva di vedere a un palmo dal naso. Parcheggiò in una piazzola di sosta e salì le poche gradinate di pietra che portavano agli scavi, poco lontano una terrazza permettava di godere di un panorama meraviglioso nelle belle giornate.
Ora che non si vedeva niente e c' era solo la nebbia si chiedeva che effetto faceva buttarsi da lì, con quel tempo. Gli sembrava di stare su un piccolo monte abitato dagli dei, che avrebbe potuto camminare sulle nuvole, su quel manto fisso e arrossato dalle luci. Salì sul muretto di pietra e respirò l' aria umida, aprì le braccia pronto a buttarsi nel cielo.
Takeshi diceva che la nebbia assomigliava allo zucchero filato.


   



HARU DICE:
Ciao a tutti, in teoria la storia finisce così e ammetto che questo finale mi piace anche, in pratica tra qualche giorno metterò il secondo capitolo che doveva essere il finale che avevo progettato all' inizio. Lo segnalerò però come what if...? rispetto a questa one shot, poi capirete -spero- e spiegherò il perchè nelle note al capitolo alternativo.
Mi sarebbe piaciuto scrivere una storia più lunga ma al momento non mi spingo oltre le autoconclusive che forse mi riescono anche meglio, non ho la testa per una long e poi ne ho un sacco in corso e se prima non le finisco non ho intenzione di impegnarmi in altro.
Come sempre la colpa delle mie 8059 non è mia ma delle canzoni che ascolto, per questa storia sono i Three Days Grace - il che non è una novità- con Get out alive, Take me under e The chain. Chissà perchè poi.

DISCLAIMER: Katekyo Hitman Reborn e i suoi personaggi non mi appartengono ma sono degli aventi diritto. La storia non è scritta a scopo di lucro.
 
   
 
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