III
Ascolta
il rumore.
Il
crepitare degli incendi.
Il
fragore di passi in corsa.
La
cacofonia di metallo su metallo, metallo su pietra, metallo su carne.
Sopra
a tutto, le urla, che annegano ogni altro suono.
Ascolta
le urla.
Non
è niente più di un’operazione di routine, tanto semplice che, insieme a
Roxas, c’è solo un altro neofita, uno dei più giovani e meno bellicosi. Non
sa combattere, ma sa pensare e, in caso di necessità, può elaborare piani e
strategie in un istante, anche se nessuno si aspetta problemi. E’ un mondo a
limitato sviluppo tecnologico e metapsichico, questo. Gli abitanti non
possiedono armi in grado di costituire un pericolo.
La
razza dominante è rappresentata solo dal ceppo umano più comune fra i Mondi,
ma le condizioni ambientali l’hanno frammentata. Deserti, alte montagne,
scarse vie di comunicazione come mari e fiumi agibili separano le popolazioni.
In altri tempi, le condizioni sono state diverse e hanno permesso la dispersione
della specie che si è poi trovata in ambienti dissimili, molto competitivi e
isolati l’uno dall’altro. L’isolamento riproduttivo, la deriva genetica e
la selezione hanno fatto evolvere un gran numero di sottospecie omogenee. E’
possibile che, in questa variabilità, siano comparsi caratteri di un certo
interesse o di una qualche utilità. Non ci sono altre specie senzienti.
Anche
le culture sono microcosmi senza scambi l’uno con l’altra e non hanno ancora
raggiunto un grado di tecnologia che permetta loro di superare con efficacia gli
ostacoli geografici. Solo sulle coste dei mari tropicali qualche città-stato ha
cominciato ad ampliare i propri confini.
Le
risorse naturali utili sono presenti, ma scarse.
Nell’insieme,
è un mondo moderatamente interessante. Sono molti i mondi simili a questo,
negli universi.
Fondamentalmente,
è solo un serbatoio di Cuori.
Per
giorni, i due nobody hanno controllato l’estrazione delle poche risorse
geologiche ed elementali e hanno catturato esemplari per gli scienziati. Una
volta finita quella fase, hanno dato via all’invasione e hanno fatto cadere
un’area dopo l’altra.
La
città che è il loro attuale obiettivo è arroccata come il nido di un’aquila
sugli altopiani di montagne altissime, ma la posizione strategica e le mura di
basalto che nella storia l’hanno protetta dagli assalti dei vicini non sono
servite contro un nemico che ignora lo spazio.
Alcune
case sono state incendiate nella confusione e fiocchi di cenere svolazzano
nell’aria secca e rarefatta. Una conseguenza inevitabile al fatto che gran
parte degli edifici è costruito in legno.
Gli
abitanti hanno tutti occhi e capelli verde scuro e pelli color mattone, adattate
a proteggerli dei violenti raggi solari dell’alta montagna. In mezzo a loro,
l’aspetto di Roxas e del suo compagno afferma alieni ad alta voce. E
chissà quale sarebbe stata la reazione di quella gente non abituata alla
moltitudine di colori e forme dei popoli dei Mondi, se li avessero visti. Ma i
due non si sono mostrati apertamente e ora non ha più importanza.
I
nativi fuggono dagli heartless sciamanti e, al momento, la loro sola occupazione
è urlare, piangere o morire.
Qualche
individuo è riuscito a superare il trauma del vedere le ombre prendere vita e tenta di reagire, ma, anche se le armi ordinarie possono uccidere gli
heartless, ce ne sono troppi perché le difese abbiano una qualche efficacia. Le
creature braccano e si avventano in massa sulle prede, strappano loro quel
viluppo di energia che è il Cuore e lo trasformano in un nuovo heartless,
incrementando il numero degli attaccanti.
Quelli
che cercano di fuggire dalla città trovano le strade chiuse dai nobody.
Roxas
imbranca i fuggiaschi e li respinge fra le fauci degli heartless. Il ragazzo non
si è ancora preso il disturbo di evocare i keyblade, ma il controllo che
esercita sulle sue truppe personali, formate da una variante particolarmente
letale di nobody di basso rango, è straordinario, soprattutto considerato che
lui stesso, talvolta, non sembra molto più complesso di uno di loro.
Ma
anche coloro che riescono a superare la sorveglianza di Roxas trovano le via di
fuga sbarrate.
Luxord
ha piazzato una rete di trappole temporali intorno alla città. Trappole dove, a
distanza di pochi atomi l’una dall’altra, ci sono sacche puntiformi di tempo
difforme. Coloro che ne sono catturati si trovano a essere contemporaneamente in
zone dove il tempo scorre a velocità diversa, con conseguenze sconvolgenti
sull’intero organismo. Oltre questa prima falange ne ha piazzata un’altra,
una circonferenza battuta da onde temporali che si sollevano e frangono a ritmi
alterni. Chi ne entra si ritrova sballottato al ritmo di un sistema di moviola
impazzito, che rallenta e accelera senza tregua né ordine né costanza.
Nessuno
è in grado di sfuggire alle maglie di quella rete.
Anche
se gli abitanti di questo mondo la chiamano città, è soltanto un villaggio che
conta poche migliaia di individui. Ci vuole poco perché sia pieno solo di esseri
d'ombra.
Roxas
materializza i keyblade e si avventa sulle strade per farne strage. Più lento e
misurato, Luxord lo segue. Ora a lui resta poco altro da fare, se non abbattere
qualche casuale heartless che gli si avvicina troppo e ammirare le evoluzioni di
Roxas.
Ogni
apatia è svanita nel ragazzo. E’ uno sfolgorio oro e nero, troppo rapido per
essere visto con chiarezza, la cui velocità e agilità possono confrontarsi a
quelle di Larxene.
Finora
non ha manifestato un’interconnessione con il suo elemento stretta quanto
quella dei suoi compagni, quella che rende così rischioso avvicinarsi ad alcuni
di loro. In compenso, il legame che ha con le sue armi è la più intima che
Luxord ha mai visto. Non le usa. Ne fa parte.
Guardare
Roxas combattere è come guardare un delfino nel mare.
E’
uno stato di grazia, il suo.
Qualcosa
di freddo e lieve si posa sul volto di Luxord. Adesso, fiocchi di neve si
mescolano a quelli di cenere. In pochi secondi, una fitta nevicata cade sul
campo di battaglia.
Un
brivido percorre il nobody. Il soffio di un freddo diverso da quello causato
dalla neve.
Uno
spasmo fa vibrare la membrana elastica dello spaziotempo. Un’ombra attraversa
il cielo e, quando passa, la luce è cambiata. Scolorita.
In
quel momento, le navi vedetta in orbita lo chiamano e gli trasmettono
l’analisi spettrale della corona solare, dandogli solo una conferma di quello
che ha subito saputo.
Gli
heartless hanno raggiunto il sole anche prima di raggiungere il Cuore del mondo.
In
quei giorni, ovviamente, non hanno potuto abbatterli tutti. Qualcuno sfugge
sempre. Quelli sopravvissuti hanno raggiunto altri esseri viventi e si sono
moltiplicato con la velocità di un’infezione. In un mondo come questo il loro
tasso riproduttivo è esponenziale.
La
variazione nello spettro della corona solare è il primo indizio che gli
heartless hanno cominciato ad attaccare la stella e, se la stella collassa, le
sue contrazioni bloccheranno anche i sentieri delle ombre per tutto lo spazio e
il tempo influenzato dai suoi campi d’esistenza. Questo vuol dire che, se non
se ne vanno al più presto, saranno obbligati a lasciare il pianeta a bordo di
una delle navi piene di nobody inferiori.
In
quel momento, si accorge che Roxas non sta più combattendo.
Se
ne resta imbambolato con il volto alzato al cielo, ammiccando appena quando i
fiocchi di neve gli cadono negli occhi spalancati. I keyblade sono abbandonati
lungo i fianchi.
“Roxas.”
esclama Luxord.
Il
ragazzo lascia andare i keyblade, che si dissolvono anche prima di toccare
terra, e tende le mani con le palme aperte verso l’alto. Qualche fiocco cade
sui guanti neri.
Roxas
li osserva, poi si lecca una mano per assaporare la neve.
“Roxas,
muoviti.”
Neppure
si gira.
La
cosa stupisce Luxord e non sono molte le cose in grado di stupirlo. A quanto ne
sa, Roxas non ha mai disobbedito a un ordine. La prima volta poteva non averlo
sentito, ma adesso è certo di essere stato volutamente ignorato.
Luxord
si dirige verso da lui e lo guarda in faccia.
Di
solito, il ragazzino non ha espressione. Il suo linguaggio corporale è pressoché
inesistente, la mimica facciale nulla, ma, adesso, ricambia lo sguardo dell’altro
uomo con attenzione e sul suo volto c’è l’ombra inconfondibile della
curiosità.
“Che
cos’è?” chiede.
Non
è una domanda educata. E’ un ordine che esige una risposta.
“E’
neve. Non possiamo metterci a giocare. Dobbiamo andare.”
Già,
però Roxas non gioca mai.
Luxord
apre un portale che avrebbe permesso il ritorno nella loro dimensione e prende
Roxas per un braccio. Lui fa resistenza e si libera di scatto.
La
cosa comincia a essere preoccupante.
Luxord
è quasi tentato di trascinarlo a casa di forza, ma contrariare il ragazzino non
è proprio il comportamento più prudente da tenere, se si ha cara la salute.
“Sono
arrivati al sole. Il sistema collasserà con noi dentro. Hai capito? Adesso
andiamo.”
Questa
volta, Roxas lo segue senza altre obiezioni. Però, mentre attraversano il
portale, continua a guardarsi alle spalle.
Si
rimaterializzano nella distesa desolata al di fuori della città.
Nel mondo buio piove una pioggia glaciale e scrosciante. E’ un peccato che
quando si proviene da altri piani di realtà non sia prudente materializzarsi
direttamente all’interno del castello, ma lo scarto d’errore cresce con il
modulo del vettore di spostamento e, una volta qui, ben pochi hanno la forza e
la voglia di aprire un’altra volta un portale solo per evitare di bagnarsi.
Roxas
non fa neppure il gesto di ripararsi dalla pioggia ed è fradicio prima che lui abbia il tempo di tirargli su il cappuccio. Quando
si incammina
verso casa, il ragazzino lo segue docilmente.
Mentre attraversano le vie della città, le ombre si sollevano dai loro piani bidimensionali e li spiano con occhi gialli da pesce. Nessuna di esse prova ad attaccarli.
Non appena sono finalmente all’interno e all’asciutto, Luxord si accovaccia davanti all’adolescente e gli scopre la testa.
Roxas se ne sta lì, in tutto il suo inutile splendore dorato, in tutta la sua giovinezza inutile, lo sguardo a terra. Quando il giocatore gli prende il mento e lo obbliga a fissarlo, lo fa senza ribellarsi. Con i capelli chiari incollati alla testa e gli enormi occhi azzurri spalancati in una stolida passività, sembra una bambola animata da un burattinaio disinteressato.
E’ questo il suo comportamento normale, non quello mostrato sul mondo appena lasciato.
Roxas
ascolta, osserva, obbedisce a tutto ciò che gli è chiesto, è diventato
indipendente per ogni operazione bellica, ma, escluso questo, non prova mai
apparentemente interesse per nulla. E’ come un automa. Una macchina da guerra.
Eppure,
per la prima volta, ha avuto una reazione spontanea diversa dall’ammazzare
qualsiasi cosa si muova davanti ai suoi occhi o starsene fermo. Per la prima
volta, qualcosa ha suscitato curiosità in lui.
E’ stato sorprendente come se uno degli heartless si fosse messo a declamare una poesia, quindi Luxord vuole capire quello a cui ha assistito.
Non
ha mai davvero fatto caso a Roxas. All’inizio, l’idea di un nobody che
controlla due keyblade è stata sensazionale, ma, a parte questo, il ragazzo ha
ben poco di interessante. Ha conosciuto sassi con maggiore personalità. In
mezzo al temperamento degli altri è pressoché invisibile e la curiosità
dovuta alla novità si è presto spenta. Ma,
ora, Luxord guarda Roxas, non l’alimentatore di due armi micidiali, e quello
che vede è sorprendente.
E’
stato davanti ai suoi occhi per settimane e non se ne è mai accorto. Adesso
deve
decidere.
Se qualcuno gli chiedesse un parere, Luxord direbbe che non arriveranno a niente e non hanno mai avuto nessuna possibilità. Ma nessuno gli chiede nulla e lui non è come Marluxia, che fa di tutto per farsi ascoltare.
Luxord
passa e vuole passare inosservato. E’ dotato di un potere devastante, immane
sino al ridicolo. Una cosa così spropositata da essere virtualmente inutile,
perché, se volesse usarla ad alti livelli, la sola cosa che otterrebbe sarebbe
annichilire la realtà. Non un mondo, o due, o innumerevoli mondi. Proprio
l’intera realtà e questo non è disposto a farlo, nemmeno per salvare sé
stesso. Tanto, a quel punto, anche lui sarebbe fra i perdenti e voler
distruggere con sé più nemici possibili è un concetto demenziale, se non
porta nessun beneficio tangibile. Così, usa poco il suo potere e per fare ben
poche cose. Pasticciare con il tempo è la sola cosa su cui non è disposto
scommettere.
E’
convinto che Xemnas si sia prefissato un obiettivo troppo grandioso per essere
attuabile. Bisogna sempre mirare a qualcosa di fattibile e questo non lo è.
Se
lo scopo di Xemnas è dichiarato, meno comprensibili sono le sue motivazioni.
Forse vuole davvero aiutare la sua gente. O si crede un dio. O usa loro e le
loro capacità per un fine tutto suo. Oppure è impazzito e illuso, un altro
pazzo da aggiungere al gruppo.
Tutte
le ipotesi sono plausibili. L’ultima, gli sembra leggermente più plausibile
delle altre.
Non
è che gli interessi davvero. Potrebbe essere interessato alle motivazioni
altrui solo se intendesse usarle per uno scopo pratico, ma non è questo il
caso. Comunque, le cose finiranno sempre nello stesso modo.
E’
un maledetto fatalista, se ne rende conto e non gli importa nemmeno di questo.
Il
problema è il perché lui gli dia retta. Ma la risposta è semplice. I
popoli dei Mondi hanno un modo semplice e diretto per avere a che fare con i
nobody. I Cuori hanno imposto il loro dominio in modo ferreo e, in tutti i
pianeti dove sono riconosciuti, i nobody sono sterminati a vista. Non solo i membri del
loro gruppo, cosa che riesce a comprendere, ma qualsiasi nobody, bellicoso o
pacifico che sia. A chiunque non è un Cuore non è concesso il diritto di
esistere e Luxord vuole esistere. Per quanto poco propenso alla violenza, non è
disposto a farsi schiacciare e non gli frega proprio niente della convinzione
degli abitanti dei Mondi. Se per salvarsi ha dovuto trasformarsi in un
devastatore, che sia.
Non
durerà ancora a lungo, ma da solo sarebbe già morto, così è meglio essere
qui.
Anche
se non ha mai creduto di riavere il Cuore, il suo premio è ogni ora di vita in
più che riesce a strappare al nulla.
Ma
qualunque sia la ragione, qualunque siano le motivazioni, qualunque siano gli
scopi, le cose sono alla fine. Sono
avviati a velocità incrementante verso un collo di bottiglia probabilistico. Al
di là di quel certo punto, le possibilità della loro sopravvivenza in massa
sono così esigue da non essere verosimili.
Non
può salvarli. Lo farebbe, se potesse. Non è pazzo, non odia nessuno dei suoi
compagni e se deve mettere sul piatto della bilancia la sopravvivenza dei suoi
simili o quella degli altri esseri, non ci pensa un istante. Solo, non può.
Ha
cercato ogni possibile deviazione dalla strada che hanno intrapreso, ma non ce ne
sono più. Sono
su un’imbarcazione che si avvicina alle cascate, ma ormai sono presi dalla
corrente e non possono evitarle.
Inaspettata, adesso vede una possibilità. Far sopravvivere qualcuno di
loro. Qualcuno che non sarà lui.
C’è
una linea molto chiara nel suo futuro. E’ buio oltre quella linea. E’ lì
che finisce il suo tempo. E’ lì che lui finisce.
Ha
combinato e ricombinato mentalmente ogni possibile mossa. Lo ha fatto per anni,
prima di rassegnarsi al fatto che non ci sono vie d’uscita. Seguendo
determinate strade finirà prima, seguendone altre arriverà sino a quel punto,
ma non oltre, mai oltre. Ha sempre pensato che non gli importa nulla di cosa
viene dopo, ma ora si accorge che forse può piantare un seme oltre la barriera
del suo futuro.
Segue
la scia delle possibili rotte di Roxas nel mare del tempo. Sono tutte rotte per
la tempesta. Molte di esse, la maggior parte in realtà, si perdono fra i
flutti. Eppure, ce ne sono altre che attraversano l’uragano e portano poi di
nuovo nella bonaccia.
Con
una probabilità sufficiente.
Luxord sospira.
Potrebbe
semplicemente infischiarsene e continuare la sua esistenza fino
all’inevitabile conclusione. Per lui non cambierà nulla, in nessun caso. Ma
allora, se non fa differenza e può scegliere, preferisce che qualcuno e
qualcosa della sua gente superi la catastrofe. E obbligare il tempo a imboccare
una strada possibile, ma così difficile che, nel flusso spontaneo degli eventi,
resterebbe quasi certamente solo un’ipotesi teorica.
Prende il ragazzo per mano e,
anche prima di andare a fare il suo rapporto, si dirige verso un’area del castello che si è sempre guardato bene dal
frequentare.
Si
chiede quanti degli altri saranno compiaciuti di quella prima traccia di
personalità in Roxas. Alcuni sì, ne è certo, ma non tutti.
Ci
sono già abbastanza problemi, abbastanza ribelli. Non è un caso che i nobody
nascano solo dagli spiriti più forti. Ma gli spiriti più forti sono anche
quelli meno disposti a tollerare ordini e volontà superiore alla propria e
tutti loro non sono altro che una massa di individualisti insofferenti.
Roxas
è prezioso e così com’è non dà problemi. Se fosse diverso, potrebbe essere
addirittura il peggiore di tutti.
Ma,
tanto, era solo questione di tempo.
Non
utilizza i meccanismi dimensionali artificiali disseminati un po’ dovunque e
gli ci vogliono parecchi minuti di cammino per raggiungere l’ala del palazzo
dove vive e, di solito, lavora Zexion, ma, una volta arrivati, bastano pochi passi
prima che un’onda di gelo stremante passi sulla sua mente.
Le
ombre cominciano a muoversi e si muovono in modo non concorde a ciò che le
proietta.
Qualcosa
si è messo in agguato fra i picchi dei suoi pensieri.
Si ferma e aspetta. Tanto non sa come proseguire in quella specie di immane e labirintica biblioteca che è il regno del telepate.
E’
come avere una belva invisibile che gira intorno, intenta a scrutare ogni
movimento, in attesa di un passo falso. Qualcosa che si sa esserci, ma che non
si può vedere né sentire.
Solo
che questa belva fa in modo di far sapere che è qui.
Luxord
non si è mai dato all’attività così in voga fra i membri più giovani del
gruppo, quella di sottovalutare e disprezzare i sei fondatori. Che lo facciano
sul serio, per invidia, per quella pulsione tanto umana di voler denigrare i
propri superiori, per passare il tempo, poco importa. Lui non lo fa e non l’ha
mai fatto. I primi sei possono essere molte cose, ma soprattutto sono individui
che sono stati capaci di superare, da soli, una condizione sconvolgente e
sconosciuta. Si sono trovati in un altro mondo senza sapere cosa era successo
loro e qualunque essere completo sembrava spinto a distruggerli per istinto.
Eppure, sono sopravvissuti nove anni. Hanno fatto sopravvivere tutti loro molto
più a lungo di quanto non avrebbero fatto con le loro sole forze. Ed è una
coincidenza ben strana quella per cui, dopo di loro, solo un pugno di persone su
svariati miliardi di esseri distrutti dagli heartless ha originato un alto
nobody, mentre i primi sei hanno tutti mantenuto forma e raziocinio.
Lui
li rispetta e li teme, di sicuro non li sottovaluta. Non
sottovaluta colui che è venuto a cercare.
E’
un gioco pericoloso, questo. Manipolare il manipolatore.
Sa
che se solo lascerà fluire un pensiero sbagliato, un’intenzione sbagliata,
Zexion lo attaccherà con una violenza e una crudeltà tutte sue che nessun
altro è in grado di eguagliare.
Non
si può scherzare con leggerezza con quest’uomo. Odia essere disturbato. Odia
essere destato dai suoi sogni a occhi aperti e uno Zexion irritato è capace di
essere molto convincente e molto fantasioso sul modo con cui comunicare la sua
irritazione. Non gli farebbe davvero del male, naturalmente. Alla fine, ne
uscirebbe illeso. Il problema sarebbe arrivare a quel momento.
Potrebbe
fargli passare le prossime ore facendogli provare la sensazione di essere
scuoiato vivo e strappato di tutti i muscoli, strato per strato, o qualcosa di
altrettanto esaltante.
Potrebbe
farlo anche solo perché ha osato avvicinarlo senza chiedere l'incontro, né
essere stato convocato.
E’ che Zexion ha bisogno di un ampio spazio personale. Con i
suoi sensi acutissimi e le capacità telepatiche, l’improvvisa e inaspettata
apparizione di un altro individuo nella fascia più ristretta del suo campo
percettivo deve essere come una frustata data con un pezzo di filo spinato.
Ma
fra esseri per cui non esistono barriere e porte chiuse, è facile dimenticare
il concetto di riservatezza e alcuni dei membri del loro gruppo sembrano farsi
un punto d’onore nel non rispettare neppure i più elementari principi di
discrezione.
Questo
lo rende difensivo all’inverosimile. E’ un meccanismo di autodifesa, ma,
poiché lo scienziato dà sempre la risposta più efficace al problema posto,
sfocia spesso in uno di aggressione preventiva.
Per
questo Luxord non ha preso scorciatoie dimensionali. Quando si tratta di Zexion,
evitare di teletrasportarsi è un modo saggio per presentarsi. Se lo si avvicina
camminando, gli si dà l’opportunità di percepire in anticipo chi arriva.
La
belva sta pizzicando i suoi centri neurali, evocando lo spettro di un terrore
nauseante. Le ombre lo hanno circondato e offuscano la luce.
Non è proprio un attacco, ma neanche precisamente un caldo benvenuto.
La presenza,
le ombre… tutto serve a creare quell’aura di paura che altro non è se non
un’ulteriore arma nell’arsenale dell’illusionista.
Almeno
non ha preso di mira il ragazzino e Roxas è tranquillo come sempre. Buona cosa.
Luxord avrebbe potuto trovarsi fra le mani un custode di keyblade in preda al
panico o intenzionato ad aggredirlo.
No.
Non un attacco. E’ solo un avvertimento.
Luxord
non si allontana.
Le ombre defluiscono in cima ad una scalinata e si coagulano nella figura
di un uomo seduto sul primo gradino.
Probabilmente, è stato davanti a lui dal momento in cui Luxord ha messo piede
nel suo dominio, ma anche l’invisibilità è un’illusione.
Con alcuni degli anziani, Luxord userebbe la massima deferenza per farsi ascoltare, ma c’è un solo modo realmente significativo per mostrare a Zexion quanto sia importante.
L’arma
estrema del manipolatore, quella da usare in caso ultimo. La verità.
Abbassa
completamente le barriere mentali e dà il consenziente invito al telepate di
violarlo.
Spera che la belva sia solo curiosa e non affamata.
*
* * * * * *
Va
bene, adesso
ragioniamo.
Perché
Roxas è qui. Come Roxas è qui, soprattutto.
Roxas
è svanito da oltre dodici anni. Molto più che morto.
Cancellato,
annullato, obliterato. Revocato
dall’esistenza è, forse, la definizione più corretta.
Riunito
alla forma da cui ha avuto origine, la sua individualità si è dispersa in
quella di Sora come un bicchiere d’acqua rovesciato in mare.
Allora
com’è che, improvvisamente, è tornato dal nulla, vivo, vegeto e di pessimo
umore?
Improvvisamente?
E’
stato davvero improvvisamente?
Sora.
Sora potrebbe fermare Roxas.
Questo
conduce a una domanda. Dove è finito Sora?
Perché
le possibilità sono svariate e qualcuna persino rassicurante.
Può
essere un heartless ed essere in giro a sbranare ignari passanti. Può avere
mantenuto la sua personalità come ha già fatto in passato ed essere qui da
qualche parte. Può non essere da nessuna parte, così come Roxas non è stato
da nessuna parte fino a poco tempo prima. Le loro personalità possono essersi
semplicemente invertite senza frammentazione fisica.
“Dov’è
Sora?”
Ancora
una volta, la sua voce sembra riportare Roxas a forza sulla terra da qualche
luogo lontanissimo in cui il giovane sembra del tutto felice di stare.
“Roxas,
dimmi dov’è Sora.”
“Non
esiste Sora. Sora è morto.”
“Morto?”
Roxas
lo osserva con l’espressione speculativa di un predatore annoiato.
“Mi
sono strappato il Cuore e l’ho distrutto.”
“Non
puoi…”
Ma lo aveva già fatto quando era
Sora. E’ possibile che lo abbia rifatto. E’
possibile anche che stia mentendo.
Forse
ha mentito.
Possibile?
Possibile,
certo. Improbabile, però.
“Come
hai fatto a tornare?”
“Ho
consumato Sora dall’interno. Me lo sono mangiato, se preferisci. Io sono mente e vita. Sora era soltanto quello che avanzava e me lo sono mangiato.”
Possibile?
Possibile.
In
fin dei conti, tecnicamente, il corpo è sempre stato quello di Roxas. Il Sora
che ha recuperato forma e mente razionale dopo il breve periodo passato come heartless
era solo un simulacro forgiato con l’Oscurità. Il suo corpo
originario lo ha riavuto quando si è riunito a Roxas.
Almeno
crede. Non è che abbia mai capito davvero la meccanica per cui da un essere
completo si originano un heartless e un nobody.
Non
sa cosa avviene in concreto durante la scissione e neppure durante la
ricombinazione. Non ha assistito con i suoi occhi all’atto finale di quella di
Sora. Ha visto Roxas introdotto nella sala che conteneva il corpo dormiente di
Sora e da quella sala ne ha poi visto uscire soltanto quest’ultimo.
Non
sa cosa è successo. Se si sono visti luci ed effetti speciali. Se i due corpi
si sono uniti in coniugazione. Se ci sono state ancora urla, ribellione e furia,
o solo il quieto e silenzioso svanire di quella che, fino a un istante prima,
era stata una creatura viva e senziente.
Sa
solo che ha preferito non ripensare più a tutta quella nauseante e grottesca
faccenda.
Però,
se l’involucro fisico è quello del nobody, è possibile che l’individualità
Roxas abbia con esso una relazione ben più stretta di quanto non ne abbia Sora
e che, quindi, Sora sia stato rigettato come un parassita o un elemento estraneo.
Possibile?
Possibile
sì.
Roxas
deve avere percepito i suoi pensieri o ha capito quello a cui sta pensando e,
con un gesto svogliato delle dita, gli getta addosso un po’ di sabbia.
“Non
perdere tempo a diventare accademico, Riku. Non è una scienza esatta,
questa.”
Riku
non replica, ma pensa che, in fondo, non ha molto altro da fare, a parte
aspettare.
E’
strano trovarsi a speculare mentre sta morendo. Presume che dovrebbe disperarsi,
essere spaventato, ma non è che la paura abbia mai fatto davvero parte della
sua vita. Neanche altre forti emozioni, a dire il vero, se si escludono rabbia,
impazienza e irrequietezza. Sono le sole cose che sia mai riuscito davvero a
provare.
E
rimuginare. Quello gli è sempre venuto bene.
Tutto
il resto lo ha sempre più o meno recitato, a beneficio dell’una o dell’altra
persona con cui si è trovato ad avere a che fare. Più
o meno come un nobody.
Tra
l’altro, al momento si sente splendidamente consapevole.
Perché
no? Se si assopisce morirà, quindi l’Oscurità lo tiene il più sveglio
possibile.
“Quando
è successo?”
Roxas
sembra quasi insofferente nel rispondergli. Resta da capire perché, in ogni
caso, risponde. Potrebbe semplicemente ignorarlo.
Potrebbe
semplicemente andarsene.
“Non
ha importanza. E’ successo.”
Sbaglia.
Ha importanza. Un’importanza enorme. Perché Kairi è morta solo una settimana
prima.
“Quando?”
“E’
successo quando ho cominciato ad avere i miei ricordi e non più solo quelli di
Sora.”
“Quando?”
“Vuoi
sapere in quale giorno? Non lo so. Qual è il tuo primo ricordo? Quando sei
stato cosciente di essere un individuo? Forse vuoi sapere se una settimana
fa ero io o era Sora?”
Ancora
una volta, Riku percepisce una certa malignità in Roxas e non ha idea di come
lo possa sapere, visto che il giovane non ha cambiato espressione né tono.
E’
strano. Non ricorda Roxas come una creatura particolarmente maligna.
Spietato
e implacabile. Quello sì.
Il
nemico più pericoloso che ha mai affrontato. Quasi certo.
Demone
dell’ego, risultato incarnato della frantumazione di una psiche, sterminatore
di masse, distruttore di mondi, portatore di caos, bambino sperduto. Tutti
termini più che adeguati a descriverlo e nemmeno lontanamente sufficienti a
comprenderlo.
Probabilmente
anche un po’ pazzo - un po’ tanto pazzo - ma non maligno.
Però,
alla fin fine, non è che lui lo ha mai conosciuto realmente ed è un Roxas con
una storia in più, questo.
Non
cancellato. Non annullato. Non obliterato.
Sedato,
imprigionato, accecato.
Perso.
Ma,
come frammenti di mercurio, le molecole dell’entità Roxas si sono riunite
l’una all’altra nel mare che è la personalità di Sora, fino a quando il
mostro è stato di nuovo completo e ha divorato la sua prigione.
Adesso
sa perché Kairi è morta.
“Dodici
anni… perché ci sono voluti dodici anni?”
“Se
fossero stati dieci, o venti, ti saresti fatto la stessa domanda. Un tempo
doveva pur essere.”
*
* * * * * *
Zexion
è rimasto stupito nel percepire la presenza di Luxord, quasi nei suoi
alloggi.
Di tutti i neofiti, è il più discreto e riservato e, di sicuro, il
meno problematico, oltre a essere uno dei membri mentalmente più stabili del
gruppo stesso. Non rifiuta nessun ordine, ma non si fa mai
avanti, evita con cura meticolosa di attirare l’attenzione dei suoi superiori
e gioca la parte del vigliacco e dell’incapace che, probabilmente, è la più
contraddittoria con quello che è. Così,
è una sorpresa sentirlo arrivare con Roxas a rimorchio.
I
due erano impegnati in missione. Lo sa bene, perché è stato lui a inviarceli.
Sa anche che sono appena tornati, ma non c’è ragione ordinaria perché si
presentino a lui.
La
pianificazione e la strategia delle campagne belliche fanno parte dei suoi
compiti e ci si attiene doverosamente, ma nient'altro. Non vuole essere
immischiato in tutto quello che riguarda la parte gestionale. E’ ad altri che
si risponde e si riferisce dell’esito della guerra.
Quindi,
se non è una ragione ordinaria a spingere qui i due, si tratta di una ragione
fuori della norma.
Interrompe
il lavoro e li osserva per un po’, pizzicando le sensazioni di Luxord, ma
l’uomo non si lascia intimidire.
Evidentemente,
considera quello che ha da dire tanto importante da sfidare la collera del suo
superiore.
Deve
ammettere che nutre una certa considerazione per Luxord, per la sua intelligenza
e sensibilità. Persino per la decisione di non usare il suo potere, che non è
un capriccio, ma una scelta ponderata e consapevole.
Probabile
che valga la pena ascoltarlo.
Ne
è valsa la pena. Quello che gli ha portato è il più prezioso dei doni.
Informazioni.
Ha
detto molte cose e altre non ha avuto bisogno di dirle.
“Nessuna
possibilità di errore?” gli ha chiesto, appena prima che se ne andasse.
“Io
non sono un indovino da sagra paesana, Zexion. Non prevedo la buona sorte.
L’ultimo svincolo che ci avrebbe permesso di lasciare questa linea temporale
è passato da parecchio e non possiamo tornare indietro. Il nostro tempo è alla fine.”
Roxas
si è seduto sul pavimento, con il mento appoggiato alle ginocchia.
Zexion
non lo guarda. Lo fiuta. I dati olfattivi compongono nella sua mente il
simulacro polidimensionale del ragazzo. Massa, stato fisico, attività
neuromuscolare.
La
sua presenza fisica è chiara e in condizioni perfette. La presenza mentale, d’altra parte, è molto meno definita. Se Zexion volesse
descriverla usando un paragone visivo, cosa che ha poco senso, ma che qualche
volta si è ritrovato a fare per cercare di spiegare le aure mentali, direbbe
che è come se qualcuno avesse disegnato Roxas con l’inchiostro, poi avesse
passato un dito sporco di grafite sui contorni del disegno, confondendoli.
La
chiave del destino. E’ così che Luxord lo ha chiamato. Un termine un po’
impegnativo per un ragazzino semiautistico.
Zexion
soppesa attentamente le informazioni ricevute. Le studia, le osserva da ogni
angolazione. Alla fine, le lascia cadere nello schema degli eventi che ha
costruito e conserva nei suoi pensieri.
I
nuovi addendi si incastrano nel disegno. La rete di probabilità si dimena,
cambia, assume una nuova configurazione.
Crede
a Luxord, ma non completamente.
Crede
all’approssimarsi di una crisi, quello sì. Da tempo si è accorto anche lui
della convergenza di eventi sfavorevoli, alcuni dei quali macroscopici, a cui si
avvicinano.
Sono
apparsi i portatori di keyblade e sono nemici da non sottovalutare. Il
Re è astuto e abile e si è deciso a scendere in campo. Potrebbe fungere da
centro di aggregazione per i Mondi.
Poi
c’è Marluxia. Il suo arrivo è stato forse l’evento più rivoluzionario
della storia nobody e la situazione non è certo migliorata da quando Larxene si
è unita a lui. I
due giovani gettano semi di dubbio e inquietudine che stanno fiorendo ovunque.
Quasi inevitabile, visto cos’è Marluxia. Cambiare e causare cambiamenti fa
parte della sua natura. Sembra che nessuno si rende conto a cosa realmente lui
è legato, ma, se ci si pensa bene, fa quasi paura. Anche se è proprio il
contrario. Non dovrebbe fare affatto paura. La paura è proprio l’ultima cosa
che dovrebbe fare. Purtroppo,
in questa situazione, rappresenta una forza centrifuga. Finora nessun nobody ha
mai alzato la mano su un suo simile. Sono troppo pochi, soli in miriadi di Mondi
universalmente nemici. Non possono permettersi frantumazioni. Se lasciato
libero, prima o poi Marluxia attirerà nella sua orbita molti di loro e siccome
Xemnas è tutt’altro che insensibile o svagato come sembra, se ne renderà
conto ben prima di quel momento. Quello che accadrà allora segnerà la svolta.
No.
Non ha problemi nel credere a Luxord riguardo allo squilibrio imminente.
In
un certo senso, alcune delle loro capacità sono analoghe, ma si basano su
principi del tutto dissimili e lui ha restrizioni molto precise. Si limita a
estrapolare schemi matematici ad altissima attendibilità dai dati che possiede.
Non può inserire il fattore individuo nell’analisi.
Invece,
Luxord osserva i flussi temporali, è in grado di percepire le perturbazioni che
li attraversano e può contemplare anche le interferenze imprevedibili dovute a
fattori soggettivi e caotici.
Quello
a cui Zexion non crede è l’inevitabilità. Non crede all’impossibilità di
modificare gli eventi.
Il
tempo non è predeterminato, anche se non è neppure a possibilità infinita in
ogni istante. Ha leggi e limiti, come qualsiasi aspetto della natura. E’ come
un bacino idrografico. L’acqua può scendere da più versanti, ma la
probabilità che ne prenda alcuni è bassa. Tuttavia,
esiste sempre la possibilità che l’acqua scenda dal versante meno probabile.
In presenza di determinate condizioni, può persino risalire.
Il tempo è elastico, quindi c’è la possibilità di
intervenire.
Se
potesse stupirsi di qualcosa, si stupirebbe del fatto che Luxord, con tutto il
suo immane potere e la sua intelligenza, non ha fatto alcun tentativo per modificare gli eventi, neppure quelli a lui sfavorevoli.
Ma
i loro poteri li influenzano, nella misura in cui si lasciano influenzare. Non
potrebbe essere altrimenti. Fanno parte di loro, concorrono a formare le loro
personalità. In
alcuni casi, si tratta della convinzione che l’individuo possiede nei
confronti dell’elemento che domina. In altri, di un’influenza ben più
concreta.
Luxord
vede troppo. Troppi universi potenziali svanire nel mare delle eventualità
non
realizzate. Forse si è rassegnato al fatto che alcune linee temporali sono troppo
improbabili per cercare di imboccarle.
Lui,
invece, non vede altro che schemi e numeri, e schemi e numeri sono strumenti da
manipolare. Questo lo porta a considerare ogni cosa come soggetta alla sua
volontà.
E’
possibile che sbaglino entrambi. Dubita che qualcuno conosca la formula giusta
per vivere, ma, perlomeno, il suo punto di vista è più produttivo. Male che va,
arriverà allo stesso risultato di Luxord. Se però va bene…
Devono cambiare, perché sono cambiate le condizioni da quando è iniziata la loro
avventura. Non possono restare legati a comportamenti validi in un ambiente
diverso.
D’altra
parte, non si è mai aspettato una perpetua invariabilità di stato.
E’
possibile che la loro ricerca non abbia più una possibilità, semmai ne ha
avuta una. Zexion non si è mai preoccupato di chiedersi se ci ha mai creduto.
E’ un particolare di nessuna importanza.
Se
quello che li aspetta è questo, allora occorre prepararsi ad affrontare
un’instabilità di sistema imprevedibile, non fissarsi su un unico possibile
scenario che si crede inevitabile.
Se
quello che li aspetta è addentrarsi in territorio sconosciuto, allora meglio
essere muniti di bussola e mappa.
Se
quello che li aspetta è la solitudine, meglio avere tutte le armi possibili, perché
l’universo è sempre e solo nemico.
E,
per quanto lo riguarda, se la scelta è fra vivere senza Cuore o morire, allora
la scelta non esiste proprio.
Il
giovane si mordicchia pensosamente il polpastrello di un dito. Un gesto che è
eredità di una vita passata, di cui non si è mai deciso a liberarsi.
“Vieni
qui, Roxas.”
Il
ragazzino si alza e obbedisce senza esitazioni. Obbedisce sempre. Non è
malleabile come Demyx, o convinto come Saïx. Obbedisce perché non sa fare
altro.
Roxas,
il signore della Luce. Che adesso lo studia con occhi chiari e freddi come la
banchisa. Che sembra in attesa di sentirsi dire cosa fare.
I suoi capelli sono ancora umidi di pioggia e ha una crosta non del tutto rappresa sul labbro inferiore. C’è un livido e
un taglio e il sangue che ne è uscito si è solidificato quasi completamente,
ma non tanto da avere perso la sua lucentezza rossa e liquida.
Chiunque
altro avrebbe fatto almeno il gesto di ripulirsi in modo che non si formasse
quella massa.
Un bambino.
La
chiave del destino.
Chiamalo
come vuoi, con tutti i titoli altisonanti che vuoi. Resta sempre un bambino,
ignorante e inerme nonostante la sua forza e il suo potere. Fuori di qui, da
solo, non ha possibilità di sopravvivere. Sarebbe capace di lasciarsi morire di
fame o di freddo solo perché non sa cosa deve fare per mangiare e ripararsi.
Una fine miserabile per la chiave del destino.
Non
è demente. Gli manca il complesso psichico necessario a rapportarsi al mondo
esterno. Una volta stabilito che è utile anche così come si trova, nessuno ha
avuto interesse e tempo per rimediare alla sua condizione.
Adesso,
ha mostrato la prima espressione di una personalità autonoma. Con il tempo,
accumulando esperienze, supererà la sua mancanza. Peccato che il tempo è
proprio ciò che manca.
Allora,
non può lasciare che le cose seguano il loro corso naturale.
Una
chiave, sì. Ma non del destino.
Prende
le due poltrone più comode del suo studio e le piazza l’una di fronte
all’altra, sfila il pesante mantello e i guanti di Roxas e lo fa quindi
accomodare su una di esse, mentre lui prende posto sull’altra.
La
comodità non è precisamente importante, ma i loro corpi esistono comunque nel
mondo fisico e se dovessero provare disagio, la loro attenzione ne sarebbe
compromessa. E’ in grado di isolare le sensazioni dolorose, ma deve fare una
cosa faticosa, che richiede il massimo impegno, e tutto
con le sue sole forze. Niente aiuto dalle droghe psicoattive che usa
estensivamente sui suoi soggetti abituali per aprire le loro menti. L’uso di
tali artifici altera irreparabilmente la piena funzionalità dei neuroni e Roxas
non è una cavia sprecabile.
Non
ha nessuna intenzione di consumare energia e concentrazione per regolare
qualcosa che può essere facilmente tenuto sotto controllo da un cuscino.
*
* * * * * *
Anni
prima, un uomo morente aveva cercato Roxas in Sora e non lo aveva trovato.
Forse
non assistere alla sua fine è stata una delle poche cose misericordiose nell’esistenza di Roxas, ma adesso il giovane ricorda. Le memorie appartengono
a lui. Tutte le memorie. Le sue e quelle di Sora.
Non
tutti sono bei ricordi. Maledettamente pochi, in realtà.
La
cosa peggiore è che, per Sora, quelli erano buoni ricordi e adesso lui si
ritrova a sapere che, in quei momenti, è stato felice di quello che ha fatto.
Che ogni morto è stato solo un passo avanti.
Ha
le sensazioni di quello che ha provato Sora come se fossero sue e, al tempo
stesso, valuta quelle sensazioni come sé stesso e sente di avere
assassinato la sola famiglia che ha mai conosciuto.
Adesso
è Riku che cerca Sora in lui.
Forse
dovrebbe godersi l’ironia della cosa. Forse dovrebbe semplicemente andarsene e
lasciarlo morire solo.
Non vuole essere preso in ostaggio dall’affetto di Sora per quest’uomo. E’ già abbastanza difficile così.
Riku
è l’uomo che popola i suoi incubi. E’ solo un altro nemico e tra un po’
sarà un nemico in meno. E’
già abbastanza difficile ricordare. E’
già abbastanza brutto che quei ricordi si mescolano a quelli dove Riku è più
di un fratello.
Riku
non lo odia. Non spreca emozioni, una di quelle preziose emozioni da essere
completo, per uno come lui. Riku
ne prova repulsione. O lo disprezza, al massimo. Disprezza tutti loro, come li
disprezzano tutti gli esseri completi. Come persino alcuni di loro stessi si
disprezzavano. Saïx,
che portava il lutto per la sua famiglia con la pazzia… Per
quanto riguarda Roxas, vale più di tutte le lacrime versate da tutti gli
esseri completi di tutti gli universi pensabili. Adesso
ha la risposta a una vecchia questione ancora aperta. Si
è perso per cercare il passato, ma quel passato appartiene a un altro uomo. Il
suo passato non è lungo nemmeno due anni. Deve farselo bastare. “Non
esiste Sora.” si limita a dire “Sora è morto.” *
* * * * * *
Roxas si sveglia ed è notte fonda.
Notte per il suo personale ciclo biologico. Per il
mondo è sempre e solo buio.
Sente il suono di un respiro un po’ roco.
Zexion è seduto di fonte a lui. In qualche modo, è
riuscito a mettersi a gambe incrociate sulla poltrona. E’ profondamente
addormentato, le mani abbandonate in grembo e la testa reclinata sul petto. Il
suo respiro è reso elaborato dalla posizione disagevole.
Roxas non si chiede come mai si trova nello studio
di Zexion. Ha tutti i ricordi di come è arrivato qui. E’ ancora sulla stessa
poltrona dove il telepate lo ha fatto sedere diverse ore prima, e il suo
mantello e i suoi guanti sono gettati negligentemente a terra.
Si alza e, senza fare rumore, comincia muoversi
per la stanza e a osservare quello che lo circonda.
E’ la prima volta che entra nell’appartamento di
uno degli altri.
C’è una finestra che occupa
quasi un’intera parete e si apre su un balcone. Il cielo esterno è una massa di
svariate sfumature di nero. L’oscurità dell’ambiente è attenuata solo dalla luce
quasi inesistente che entra dalla finestra e da quella artificiale di pochi led
di alcuni computer. Nulla, in pratica. Ma, tanto, il buio non è un ostacolo per
lui.
Ci sono parecchi strani oggetti,
complicati insiemi di frammenti metallici e cristallini combinati in forme e
colori svariati. Sembrano avere una forma definita sino a quando li guarda con
la coda dell’occhio, ma se poi li osserva direttamente, diventano solo
agglomerati caotici. Ne tocca uno e quello emette un lieve suono tintinnante.
Ci sono altre cose, compresse
negli scaffali alle pareti e in gran parte dei possibili spazi vuoti, persino
per terra.
libri
Libri su supporti usati in diversi
mondi. Carta, pelle, rotoli, schede elettroniche, cristalli mnemonici. Libri
tattili, olfattivi, audiolibri. Ogni forma di archiviazione e trasmissione di
dati immaginabile.
E questi sono solo quelli che
identifica. Non esclude che ce ne siano altri che lui non è in grado di
riconoscere come libri. Forse anche le strane sculture lo sono.
Libri in un’infinità di lingue e
caratteri.
Ne legge i titoli, quando hanno
titolo e quando riesce a capirli. Sono parecchi. Non tutti, ma parecchi.
Gli incantesimi di mimesi sono tra
i primi a essergli stati insegnati. Quando occorre, può imitare gli abitanti di
quasi ogni mondo, assumendo la loro forma e il loro complesso mentale, compreso
il sistema di comunicazione, oppure solo una di queste caratteristiche. Ma è una
cosa estemporanea e difficoltosa, legata al mondo visitato e alla possibilità di
disporre di un modello da mimare. Quando torna alla sua forma o cambia pianeta,
perde anche la lingua.
Adesso, però, non sta usando
sistemi di traduzione. Legge perché sono lingue che conosce.
Non sa quante siano. Più di una di
sicuro. Non sa neppure come le ha imparate. Le ha sempre conosciute.
In qualche modo, sa anche che la
lingua con cui comunica con i suoi compagni non è la sua lingua madre.
Passa la mano sul sensore della
finestra, aprendola quel tanto che basta per scivolare sul balcone. La pioggia è
torrenziale.
Nella corte del castello, forme
d’acqua sorgono dalle pozze e ballano l’una con l’altra e schiaccianodilaniano
le ombre. Le ombre urlano il loro strazio senza voce e muoiono. Da qualche
parte, Demyx gioca con il suo elemento.
I capelli inzuppati gli si
appiccicano addosso e rivoli ghiacciati gli scivolano lungo il volto, il collo e
le mani.
Rientra, si siede di nuovo e
appoggia la testa allo schienale.
C’è qualcosa che punge sul
labbro inferiore. Con la lingua, sente uno sgradevole sapore metallico e una
piccola massa ruvida. La mordicchia. La gratta con un’unghia. La crosta
si stacca e dal taglio fuoriesce del sangue. Lo lecca via e preme il taglio fino
a quando non smette di sanguinare.
E’ molto stanco. I muscoli del collo e delle
spalle sono tirati e doloranti. Risente la fatica dei giorni appena trascorsi.
Ascolta i suoni.
Il lieve russare di Zexion.
Lo scrosciare della pioggia sulle pareti esterne e
sulla finestra.
L’acqua che scorre su vetro e metallo.
Sotto a tutto, il silenzio.
Gli occhi gli si chiudono.
Ascolta il silenzio.
* * * * *
* * * * * * * * Innanzi
tutto, grazie a tutti per i complimenti. Sono lieta che vi diverta ^__^ Vediamo
di dare qualche risposta. The
Bookman: Già. I nostri nobody soffrono della sindrome del pellerossa dei
vecchi film western. Sai quelli che si mettevano allo scoperto a girare in tondo
attorno a una postazione fortificata, così da essere comodamente abbattuti come
al tirassegno? Che
poi arriva il topo, ma intanto ci sono già il cane e il papero. E sì, perché,
almeno per una volta, i buoni non soffrono di tale deplorevole cavalleria
(altresì detta idiozia senza ritegno) e attaccano in tre contro uno. E
fanno bene! E
vincono! E’
vero. Zexion ha l’aspetto da ragazzino e credo che sia davvero giovane per
essere quello che è. Solo che mi è capitato di sentirlo definire adolescente,
o dargli poco più dell’età di Roxas e non credo che sia ‘così’
giovane. Kairi?
Via il dente via il dolore. In realtà non mi è tanto odiosa, anche se è un
po’ troppo ‘Princess in distress’ per i miei gusti. Solo non me ne frega
niente di lei. Quella che davvero non sopporto è Naminé. Narakun:
Grazie. Sono davvero contenta che Zexion ti piaccia, perché è il mio
protagonista secondario. O principale, da un certo punto di vista. E’ troppo
divertente scrivere di un soggetto simile e il bastardo è anche il mio
personaggio preferito ^__^ E’
sempre così maltrattato, povera stella e, a parte la faccenda dell’età, mi
resta incomprensibile tutta quella parte che riguarda la depressione e la
sensibilità. Insomma,
è il tizio che ha convinto gli altri ad approfondire le ricerche sull’Oscurità,
che è capace di farsi un frappé con i cervelli altrui. E’ lo stratega di
gente che ha dichiarato guerra all’universo. Il suo lavoro è quello di
studiare i vari mondi, decidere quale e in quale ordine attaccare per
sterminarne tutti gli abitanti e quale andamento bellico adottare. Non riesco a
immaginarmelo a scrivere poesie angoscianti sul suo diario segreto o tagliarsi
le vene per passare il tempo. Semmai dovrebbero essere depressi gli altri
all’idea di incontrarlo. Oh,
avanti. Guardatelo bene. Dietro quel faccino adorabile c’è una scritta
flashante che dice: “Sono qui per distruggere voi e tutto quello che vi è
caro, trascinarvi in un abisso di angoscia e disperazione e gettare i vostri
mondi nel caos. E voi darete la colpa a qualcun altro!” E’
proprio il mio genere di uomo ^__^ Per
la cronaca, vado pazza pure per Riku. Lo
trovo un personaggio fantastico, complesso all’inverosimile, anche se è un
dannato ipocrita. E il termine bastardo va benissimo anche per lui. Un bastardo
spietato, contorto, letale come uno sciame di cavallette in un campo coltivato e
cattivo come l’aglio. Lexaen:
A me i 13 piacciono tutti, però ho un debole per Zexion, Marluxia, Xemnas,
Xaldin, Saïx, Larxene e Roxas. Cioè, i più pestiferi. Eccetto Roxas,
naturalmente, che è sì pestifero, ma soprattutto è la vera vittima
sacrificale del gioco. Colpisce il mio istinto materno, povero piccolino. Xemnas
e Saïx sono fantastici, e non intendo dire che sono maledettamente belli (anche
se!). Sono grandi figure tragiche. Epiche, direi. Non capisco proprio perché
piacciono così poco. Forse
quello che mi piace meno è Axel. Molto intelligente e astuto nell’immediato,
solo che il suo fine è a brevissimo termine e non valuta le conseguenze nel
tempo. Ed è la causa della sua stessa distruzione e di quella di Roxas. Non ha
un vero scopo se non quello di creare caos, il che mi andrebbe anche bene. Il
problema è che è autolesionista e si suicida e io ho problemi relazionali con
gli autolesionisti e i suicidi. Atlantislux:
Io amo i nobody proprio per quello che sono. Se fossero diversi, magari non li
potrei sopportare. I miei piccoli nichilisti portatori di caos. Sono così
fantastici come genocidi a sangue freddo. Non ho intenzioni di trasformarli in
patetiche ombre penitenti. Tra
l’altro sono interessanti. Ho sempre scritto dal punto di vista dei nemici,
cercando di non fare moralismi, ma qui è un caso estremo e le ragioni non sono
esattamente cristalline. Credevo che per me sarebbe stato impossibile amare gente
simile. E invece… E’
divertente scrivere dal loro punto di vista. Se li addomesticassi, finirebbe
tutto il bello. E’
che mi piacciono le persone consapevoli. Quelli che agiscono o per uno scopo
logico o per il puro piacere. Basta che si prendano la responsabilità di
quello che fanno e non scarichino le colpe addosso ad altri. I 13 sanno bene
quello che combinano, quindi sto dalla loro ^__^ In
realtà, mi urtano molto di più i discorsi degli altri personaggi. La cosa più
carina che dicono è che i nobody non devono esistere, che non esistono, che non
hanno diritto di esistere, che ammazzarli è più o meno come gettare
dell’immondizia. E sarà indubbiamente un problema mio, ma a me ‘sti
commenti fanno sempre leggermente girare le palle. Poi
quel che davvero mi fa accapponare la pelle è la storia di Roxas. E’ di una
brutalità e di una tristezza mostruosa. Roxas fa una fine tremenda. Non so chi
sia il sadico che ha inventato quel gioco, ma non si possono fare cose simili!
Mi ha fatto venire il magone :( Demyx,
il dolce, caro, gentile Demyx… che amore di ragazzo. Lo trovo uno dei più
inquietanti e potenzialmente letali. Insomma, con la gente stessa che è in
pratica un serbatoio semovente. Lo
so che siccome è bello, giovane, allegro e viene praticamente obbligato
dall’eroe a fare a botte, è stato trasformato in un orsetto del cuore, ma mi
pare spingere un po’ all’estremo quello che è. I bravi orsetti del cuore
non si aggregano a organizzazioni che fanno saltare per aria i pianeti. E questo
detto con tutto l’affetto che provo per i 13. Credo
che il mio Demyx avrà poco dell’orsetto del cuore. Certo, a meno che non si
intenda che il cuore te lo estrae dal torace usando un plettro come bisturi. Ringrazio
sentitamente anche per la parte della ‘sensualità’, che, se c’è,
è stata del tutto involontaria. Io puntavo all’horror :) Frisumilite:
Beh, grazie ^__^ Ladyblackmoon:
Hai perfettamente ragione. Il riassunto fa schifo. Purtroppo sono logorroica,
sono brava ad analizzare, ma nella sintesi faccio davvero pena. Ma credo di
avere trovato la soluzione ^__^