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Autore: Astry_1971    28/04/2007    1 recensioni
“Solo in quel momento, Severus si rese conto che il responsabile di quell’orrore era ancora in quella stanza. Sollevò lo sguardo e la vide: una giovane donna era rannicchiata in un angolo e fissava il Mangiamorte tremando e mugolando qualcosa di incomprensibile.”
Questa storia si svolge durante gli anni che precedono la morte dei Potter e la caduta di Voldemort.
Severus Piton è un giovane Mangiamorte alle prese con i suoi rimorsi e un amore impossibile. Sarà un Piton insolito, un Piton ragazzo, che commette errori, che ha paura e che farà quelle scelte sbagliate che lo renderanno, in futuro, l'uomo tormentato e solo che tutti conosciamo. Gli avvenimenti narrati si svolgono dopo il sesto libro della saga di Harry Potter e prescindono, ovviamente, dal settimo libro, ancora inedito.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Silente, Lucius Malfoy, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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CAP. 16: Pegno d’amore

Le stradine di Diagon Alley erano particolarmente affollate quel giorno.
Severus si stupì di quanto potessero essere ricolme di oggetti quelle piccole vetrine. C'erano articoli magici di vario genere, dai calderoni ai libri, fino all’abbigliamento del perfetto mago, completo di mantello, scarpe e scopa col manico coordinato. A volte erano persino ammucchiati l’uno sull’altro e coperti di polvere, tuttavia non meno invitanti.
Il giovane si guardò un po’ intorno, tutta quella caleidoscopica esposizione non lo lasciava di certo indifferente: più volte si era sorpreso a fissare alcuni calderoni così lucidi da abbagliare e a sorridere di fronte ad un cappello davvero stravagante nel quale un grosso uccello impagliato faceva bella mostra di sé sulla sommità, quale strega si sarebbe mai messa in testa un simile orrore?
Ma lui non era lì per una passeggiata: aveva una meta ben precisa.
Accelerò il passo e, voltando l’angolo, si ritrovò di fronte alla vetrina di un orafo.
I piccoli monili esposti sapevano di antico e misterioso, alcuni erano chiaramente magici.
Il giovane si avvicinò alla vetrina e fissò incantato una piccola teca; al suo interno, un grosso anello spiccava in mezzo ad altri piccoli oggetti. La pietra, incastonata nel metallo, sembrava cambiare forma e colore seguendo i suoi pensieri.
Ecco, ora stava diventando rosa, un rosa coi riflessi dell’iride. Immediatamente dalle sue labbra sfuggì come un soffio il nome di Iris.
I suoi occhi si spalancarono osservando, attraverso il vetro appannato dal suo respiro, quella piccola meraviglia.
Sì, quello era proprio il suo colore, il colore preferito della sua Iris, ed era anche quello a cui stava pensando.
Sorrise, era un anello davvero straordinario, ma non era quello che cercava.
Si staccò dal vetro ed entrò nel negozio. Lì il gioielliere lo sommerse di attenzioni, mostrandogli decine di anelli, dai più preziosi a quelli più stravaganti.
Fece praticamente un balzo indietro quando uno di quelli tirò fuori otto piccole zampette d'oro e iniziò a saltellare sul palmo della sua mano, come un ragno.
“No, no! Non ci siamo!” sbottò scrollandosi dalle mani l'esserino inquietante.
Possibile che non fosse in grado di trovare qualcosa di adatto alle sue esigenze? Non era mai andato a comprare gioielli: non aveva mai avuto ragioni per farlo. Eppure non poteva essere così difficile.
Abbassò lo sguardo seguendo l'indicazione dell'uomo dietro il banco, il suo indice puntava un grosso anello con incastonata una particolarissima pietra, Severus non provò neanche ad identificarla, certamente era stata creata artificialmente con la magia: non poteva esistere in natura una gemma simile.
La sua testa fece un impercettibile cenno di diniego e il gioielliere gli mostrò un altro anello e poi ancora un altro, ma nessuno di quegli oggetti sembrava soddisfarlo.
Si guardò attorno un po' incerto: non sapeva esattamente quello che cercava, voleva qualcosa di speciale per la sua Iris, qualcosa degno di lei.
Cominciò a pensare che una gemma, per quanto preziosa, non sarebbe mai stata all'altezza, senza contare che non poteva neppure permettersela.
Fece una smorfia, fissando torvo il gioielliere, che spazientito dalla sua indecisione, con un gesto di stizza, ritirò la sua merce e gli voltò le spalle.
Severus arricciò le labbra in qualcosa che, per un attimo, somigliò terribilmente ad un ringhio, prima di tramutarsi in un sorriso di circostanza: non aveva voglia di discutere con chicchessia, non quella mattina, nonostante tutto, quel giorno si sentiva felice.
Dopo il suo incontro con Silente aveva cominciato il suo compito di spia.
Non avrebbe mai dimenticato la faccia di Iris, quando le aveva detto che sarebbe tornato a casa con lei, nessuna prigione, niente Dissennatori.
Certo lui sapeva che ciò che lo aspettava poteva essere anche peggiore di una condanna ad Azkaban, ma l'espressione stupita sul viso della maga era qualcosa che si sarebbe portato dentro per sempre.
Sapeva quanta gioia stava provando in quel momento, ma nello stesso tempo sapeva quanto si sentisse in colpa per essere stata il motivo della sua decisione.
L'aveva guardata con gli occhi traboccanti d'amore mentre, molto maldestramente, cercava di non mostrarsi troppo felice.
No, decisamente la sua Iris non era capace di fingere.
“Saresti una pessima occlumante.” le aveva sussurrato.
“Lo so, ma neanche tu puoi ingannarmi.” gli aveva risposto. “So che lo fai per me, so che non torneresti là per nessun'altra ragione al mondo.”
Poi, abbassando gli occhi come una bambina timida:
“Severus io ti amo, voglio passare ogni istante della mia vita con te, ma ti prego solo: non odiarmi. Quando ti troverai davanti a lui e sarai costretto ad ubbidire, a fare quelle cose orribili, non odiarmi.”
“Odiarti?” la voce gli si era bloccata in gola, mentre lo sguardo stupito si perdeva negli occhi di lei. Odiarla? Avrebbe dato la vita per lei, non l'avrebbe mai odiata, come poteva solo pensare una cosa simile?
“Iris, amore non devi neanche pensarlo, sono io quello che deve essere perdonato, sono io che ti supplico di non odiarmi, io, Iris, perché è per me che lo faccio, tu non hai nessuna colpa, sono io”.
Aveva stretto i pugni per impedirsi di prendere le piccole mani di Iris tra le sue, desiderava abbracciarla, dimostrarle il suo amore anche con il suo corpo, ma gli restavano solo le parole, così insufficienti a rivelare ciò che provava in quel momento.
“Io non potrei vivere senza di te, sei come l'aria che respiro, sei la forza che mi tiene in vita. Io non esisto senza di te, non sono mai stato veramente vivo prima di incontrarti, Iris, io sono nato quel giorno”.
Aveva scosso il capo, mentre le sue labbra si erano piegate leggermente in un sorriso.
“Quel vecchio pazzo lo sapeva benissimo, per questo ci ha lasciati soli. Mi ha messo davanti agli occhi l'unica verità: lui sapeva che non avrei mai rinunciato a te.
Io ho accettato per il mio egoismo, ti amo perché sono un egoista. Avrei dovuto allontanarmi da te, già quella notte, quando ho capito quello che provavo. Sarei morto senza di te, ma tu non l'avresti mai saputo. Non l'ho fatto, non ci sono riuscito, sono stato un debole.”
La sua voce era divenuta più acuta, mentre le lacrime premevano per uscire.
“Iris, ma non capisci che è colpa mia, io ti ho condannata ad un amore disperato.” era riuscito a dire con voce strozzata, allargando le braccia.
“No, no, non dirlo,” Iris aveva accostato il palmo della mano alla sua bocca per zittirlo.
“Non un amore disperato, Severus. Difficile, ma non disperato. Lui presto sarà solo un ricordo, anche questo Marchio sarà solo un ricordo.” gli aveva sussurrato con un sorriso sollevandosi sulla punta dei piedi e avvicinando le labbra alle sue, mentre con la mano sfiorava il braccio di lui percorrendo meccanicamente con l'indice il punto in cui Voldemort aveva inciso quell'orrendo disegno, sempre attenta, però, a non avvicinarsi troppo.
“Noi saremo insieme, è questo che conta.” poi, fissando lo sguardo negli occhi dell'altro. “E' questo che voglio. Silente ha ragione: non dobbiamo perdere la speranza. Verranno momenti difficili, ma li affronteremo, lo faremo insieme, io non ti abbandonerò mai.”

E i momenti difficili erano arrivati. Molte volte era stato sul punto di cedere.
Non alla tortura fisica, no, a quella poteva resistere, era diventato così abile in occlumanzia, che riusciva a mentire anche sotto la Cruciatus.
Voldemort non avrebbe mai capito che i suoi fallimenti, le missioni andate male, veleni che perdevano in poco tempo la loro efficacia, non erano dovuti alla sua incapacità, ma ai suoi continui sabotaggi.
Tuttavia, quel sangue che continuava a scorrere sulle sue mani, lo stava logorando.
La sua Iris, era rimasta sempre al suo fianco, era sempre presente, quando, al ritorno dalle sue missioni, s'inginocchiava ai margini del piccolo corso d'acqua sulla collina e, con le labbra serrate e gli occhi fissi nel vuoto, ripeteva il suo rito immergendo le mani sporche nell'acqua gelida.
Le teneva lì finché il freddo non intorpidiva le sue dita, finché non le sentiva più parte di sé.
Le sue mani erano, ormai, solo uno strumento di morte, voleva guardarle almeno per pochi istanti immaginando che appartenessero ad un altro uomo, un mostro, un assassino, l'uomo che odiava.
Pochi istanti, prima che il sangue caldo riportasse la sensibilità a quelle dita sottili, le sue dita, quelle che ogni giorno stringevano l'elsa del suo pugnale recidendo vite innocenti.
Restava così per ore, in silenzio, Iris inginocchiata al suo fianco.
Neppure lei muoveva un muscolo, nonostante quella posizione fosse molto scomoda e dolorosa. Ormai conosceva bene questo suo gesto, era sempre uguale, disperato e liberatorio al tempo stesso.
Aveva imparato a non fargli domande, sapeva che parlare lo avrebbe fatto sentire peggio, però sapeva che aveva bisogno della sua presenza, per questo non lo lasciava mai solo in quei momenti, non parlava, non poteva abbracciarlo. Forse Severus non la vedeva neppure, il suo sguardo era perso nell'orrore, ma lei era lì e lui sapeva che era lì.
Poi, finalmente, la speranza: Silente aveva mantenuto la sua promessa, aveva trovato il modo di tenerlo lontano dal suo padrone.
Severus non aveva creduto ai suoi occhi, quando un bellissimo gufo gli aveva recapitato la lettera con la quale il preside lo informava della sua assunzione come insegnante a Hogwarts.
L'idea del vecchio mago era quella di far credere a Voldemort che avrebbe avuto bisogno di una spia all'interno della scuola.
Il giovane Mangiamorte era stato perfino lodato dal suo Signore per essere riuscito a conquistarsi la stima di Albus Silente, al punto di ottenere un simile incarico.
Era felice come non lo era mai stato. Per la prima volta aveva visto una via d'uscita, aveva ricominciato a sperare e a sognare una vita serena con Iris, ora poteva farlo.
Sapeva che l'amore non poteva cancellare i suoi delitti, ma in parte riusciva a lenire quel bruciante rimorso.
Non avrebbe mai ripagato abbastanza il vecchio preside per la serenità che gli aveva donato. Erano mesi che non partecipava alle riunioni dei Mangiamorte. La scuola era cominciata e Voldemort sembrava non voler rischiare di perdere la sua preziosa spia, coinvolgendolo nelle attività dei suoi compagni.
Quell'ultima settimana poi le cose sembravano andare particolarmente bene: era riuscito a sventare in tempo l'ennesimo tentativo di Voldemort di trovare i Potter, e Silente, seguendo il suo consiglio, li aveva nascosti in un posto sicuro proteggendoli con l’Incanto Fidelius.
Ora neanche lui avrebbe potuto più essere un pericolo per loro, anche se non avrebbe comunque mai rivelato a Voldemort il loro nascondiglio.
Forse per la prima volta nella sua vita aveva fatto la scelta giusta, Lily Evans era al sicuro assieme al suo bambino, e lui sarebbe riuscito ad onorare il suo debito con Potter.
Aveva fatto un errore terribile, ma almeno questa volta era riuscito a rimediare e di questo doveva ringraziare Iris che non aveva mai perso la fiducia in lui.


* * *



Diede un ultimo sguardo agli oggetti che brillavano sparsi sul velluto rosso di quel bancone e li trovò improvvisamente spenti e opachi.
No, non c'era niente di paragonabile alla luce che Iris gli aveva donato, nessuna di quelle gemme era preziosa abbastanza, nessuna era degna di lei.
Decise di uscire dal negozio, si sentiva decisamente fuori posto tra quei ninnoli luccicanti, e si materializzò direttamente nella sua casa di Spinner's End.
Giunto nella piccola casa salì velocemente le scale: le camere si trovavano al piano superiore.
Spalancò la porta della sua e rimase per qualche secondo sulla soglia fissando il grosso baule che spuntava appena da sotto il materasso.
Si avvicinò e, inginocchiatosi di fronte al letto, afferrò la pesante cassa di legno per una maniglia e la trascinò fuori dal suo nascondiglio.
L'aprì con fare un po' incerto. Immediatamente strinse gli occhi e una smorfia di disgusto apparve sul suo viso: adagiata su un mantello nero, brillava sinistra la sua Maschera d'argento.
Lo fissava con le sue orbite vuote, sembrava prendersi gioco di lui.
Il mago trattenne il respiro e per qualche istante rimase a contemplare quel volto come se si trovasse di fronte una reliquia, poi il suo sguardo scivolò via dalla Maschera per posarsi su un piccolo portagioie che era rotolato in un angolo, insinuandosi tra le pieghe di quel lugubre drappo.
Gli occhi scuri del giovane sembrarono accendersi improvvisamente; allungò una mano sfiorandolo appena, come se si sentisse indegno di afferrarlo, poi le sue dita si chiusero sulla piccola scatolina e, con la tenerezza di chi stringe un pulcino, la tirò fuori dal baule.
Tenendo il portagioie con tutte e due le mani, si alzò da terra e si avvicinò al grande specchio sulla parete.
Tremava come un bambino, mentre guardava attraverso lo specchio le sue mani che facevano scattare il meccanismo di apertura del minuscolo scrigno.
Abbassò gli occhi e fissò il suo tesoro: un semplicissimo cerchio d'oro, nessuna gemma, nessun potere magico, solo semplice metallo forgiato da orafi Babbani, eppure, nel rivedere quell'oggetto, gli mancò il respiro.
Lo mise sul palmo della mano e un sorriso nostalgico si disegnò sul suo volto magro: l'anello di sua madre, l'anello della persona che, prima di conoscere Iris, era stata la più importante della sua vita.
Osservò il semplice decoro floreale che correva tutto intorno al piccolo cerchio. Ricordava bene quel particolare fregio, lo aveva sempre stupito e incantato quando lo guardava con i suoi occhi innocenti di bambino, lo stesso bambino che aveva paura del mostro nel camino e che non avrebbe mai immaginato di vedere il sangue di un altro uomo macchiare sue mani.
Sollevò la testa posando lo sguardo carico di rabbia sul baule aperto: il ghigno gelido della Maschera seguitava a fissarlo, pareva ridere di lui, dei suoi pensieri e dei suoi ricordi.
Tuttavia non era un caso che quel piccolo portagioie si trovasse proprio lì.
Le teneva volutamente entrambe in quella cassa, la fede nuziale di Eileen Prince e la Maschera d'argento dei Mangiamorte.
Due oggetti così diversi: l'uno simbolo d'amore, l'amore che gli aveva dato la vita, aveva unito suo padre e sua madre, un Babbano e una strega, trionfando su quegli assurdi pregiudizi che tanto stavano insanguinando il suo mondo.
L'altro, solo un simbolo di odio, a rammentargli che lui quella vita l'aveva gettata via, insieme a quella di tanti innocenti.
La calda luce dell'oro e il freddo argento di quel volto orrendo, eterni rivali come la vita e la morte.
Strinse con forza il piccolo gioiello, fissando quel volto lucido, le labbra forzatamente chiuse, quasi a trattenere quelle parole che la sua mente stava già gridando: “questo amore è più forte di te, non potrai portarmelo via”
Si lasciò cadere seduto sul letto stringendo al petto quel cerchio dorato come in un abbraccio e si abbandonò ai ricordi.
Eileen era una piccola donna gracile e non particolarmente bella, eppure aveva un carattere forte: ferma nelle sue decisioni, a differenza di lui, non aveva ceduto ai folli ideali di chi voleva preservare la razza magica, lei aveva scelto l'amore.
Sposare Tobias Piton, un Babbano, era stata una scelta coraggiosa che le aveva messo contro la sua famiglia.
Ammirava sua madre per questo, avrebbe voluto dirglielo, ma era morta quando lui era ancora troppo piccolo, quando non era in grado di capire cosa significasse sacrificare tutto per donarsi completamente ad un’altra persona.
Solo ora poteva comprendere fino in fondo l'insegnamento di quella donna coraggiosa.
Solo ora aveva capito cosa volesse dire amare qualcuno più della propria vita.
Purtroppo l'amore che i suoi genitori provavano l'uno per l'altra non era riuscito a colmare completamente la voragine che separava i loro due mondi.
Se solo suo padre fosse stato meno orgoglioso e prevenuto nei confronti di Eileen, probabilmente la sua sarebbe stata una famiglia felice.
Tobias amava follemente la sua sposa, ma, nello stesso tempo, temeva i suoi poteri, la sua paura della magia lo aveva reso un violento.
La sua nascita, poi, aveva ulteriormente peggiorato le cose: un figlio dotato di poteri magici era qualcosa che Tobias non riusciva proprio ad accettare.
Improvvisamente chiuse gli occhi, aveva l'impressione di sentire le loro risate in quella stanza.
In realtà, raramente li aveva visti divertirsi insieme, ma era facile, ora che entrambi erano morti, ricordare solo i momenti felici, cancellando pietosamente i tremendi litigi che scoppiavano regolarmente fra i suoi genitori.
Sorrise, immaginando il momento in cui, quell'anello sarebbe stato donato per la seconda volta.
Giurò a se stesso che Iris non sarebbe stata un’altra Eileen Prince, lui avrebbe fatto di tutto per renderla felice.
Sapeva che non avrebbe mai potuto cancellare ciò che era diventato, ma, un giorno, finalmente, Voldemort sarebbe stato sconfitto e la maledizione si sarebbe spezzata, quel giorno sarebbe stato libero di amarla.
Avrebbe lavato le macchie di sangue dalle sue mani, anche se non avrebbe mai potuto cancellarle dalla sua anima. L'avrebbe fatto per lei, per poter finalmente sfiorare il suo viso, senza sporcarlo delle sue colpe.
Lei non poteva, non doveva essere toccata dall'orrore.
Sarebbe stato felice solo per lei, per lei avrebbe rinchiuso il dolore nella parte più nascosta del suo cuore, perché non potesse mai trovarlo.
Arricciò le labbra, assumendo un’espressione dubbiosa, mentre cercava di immaginare le parole che avrebbero accompagnato il suo dono.
Le avrebbe detto che l'amava? Le avrebbe chiesto di condividere il resto della vita con lui?
Si sentì improvvisamente sciocco e impacciato: forse non era il momento per un simile dono. Forse avrebbe davvero dovuto attendere la caduta di Voldemort.
E se quel momento non fosse mai arrivato?
Un brivido percorse la sua schiena: credere in un futuro felice era così difficile.
Certo, più volte, aveva immaginato di avere una famiglia, dei figli. Sognare lo aiutava ad andare avanti, ma, forse, non avrebbe dovuto illudere anche Iris con una promessa di matrimonio che probabilmente non si sarebbe mai realizzata.
Sospirò, l'amore l'aveva reso cieco ed egoista, ecco la verità.
La desiderava contro ogni logica, forse era pazzia la sua, ma cos'altro gli restava?
Si alzò di scatto e prese a camminare nervosamente per la stanza, quella sera le avrebbe dato l'anello, le avrebbe chiesto di diventare la sua sposa, sì, ormai aveva deciso, forse all'indomani sarebbe morto, ma quella sera voleva il suo sogno, non vi avrebbe rinunciato.
Per una sera non sarebbe stato Piton il Mangiamorte, né Severus la spia. Sarebbe stato solo un uomo innamorato, solo quello.
Magari solo per una sera.
Afferrò la bacchetta e la puntò contro il baule che si richiuse rumorosamente scivolando di nuovo sotto il letto.
Si avviò a grandi passi verso la porta e sempre stringendo l'anello si precipitò giù per le scale. Giunto al piano terra si guardò intorno e i suoi occhi si spalancarono, non aveva mai notato prima la trascuratezza della sua casa, pareti tappezzate di libri, un tappeto tarlato e vecchi mobili sparsi per la stanza senza nessun criterio.
Mosse la bacchetta spalancando le finestre. Sì, così era decisamente meglio: un po' di luce era quello che ci voleva.
Si morse il labbro, ora doveva rendere accogliente quella casa.
Cominciò a spostare tavoli e sedie trascinandoli per la stanza, mentre sul suo viso si disegnava un’espressione soddisfatta. Abbassò di nuovo lo sguardo fissando l'anello che teneva ancora sul palmo della mano, il gioiello sfavillò alla luce del sole che ora aveva invaso la stanza e si specchiò nelle iridi nerissime del mago, sembrava condividere la sua felicità, Severus sorrise sottilmente divertito.
Improvvisamente, però la sua espressione si mutò in una smorfia di dolore.
“Noooo!” gridò.
La sua mano si contorse come colta da un crampo lasciando scivolare a terra il suo tesoro.
L'anello di Eileen rotolò per qualche metro e finì la sua corsa contro il piede del tavolo.
Il giovane fece qualche passo tentando di afferrarlo, ma fu colto da un'altra fitta, strinse gli occhi piegandosi in avanti.
Il Marchio bruciava come non mai, non era la solita chiamata, era qualcosa di peggio.
Cadde in ginocchio stringendo spasmodicamente il braccio sinistro.
Qualcosa di terribile doveva essere accaduto: gli sembrava di sentire i pensieri di Voldemort nella sua testa, la sua gioia insana lo invase.
Sentì la risata di trionfo del suo Signore rimbombare nelle sue orecchie e una nausea terribile gli tolse il respiro.
Si trascinò faticosamente contro la parete e appoggiò la schiena al muro, ansimando.
“No, no, ti prego no!” gemette scotendo il capo. Poi, afferrando la stoffa con rabbia, si strappò via la manica con così tanta violenza da lasciare sulla pelle i segni delle unghie.
Fissò il Marchio, gli occhi sbarrati dal terrore: il serpente inciso nella sua carne sembrava aver preso vita. Non lo aveva mai visto così, neppure il giorno maledetto in cui l'aveva ricevuto.
Voldemort lo stava chiamando, doveva andare da lui, ma qualcosa gli diceva che quel giorno sarebbe accaduto qualcosa di irreparabile.
Era come pietrificato, non voleva rispondere a quella chiamata, avrebbe fatto di tutto per non scoprire il motivo della gioia del suo Signore, di tutto.
I minuti passavano e il mago era in terra, immobile, si stringeva il braccio con la mano destra cercando di regolare il respiro. Sapeva che stava solo ritardando l'inevitabile.
Non era solo la sua vita in gioco, se così fosse stato non avrebbe esitato a lasciare che il dolore lo uccidesse lì nel pavimento della sua casa, ma aveva fatto una promessa, aveva un dovere da compiere, per Iris e per ripagare tutto il sangue che aveva versato.
Doveva andare, non aveva scelta, ma voleva illudersi ancora per un istante di poter scegliere di non rispondere, di poter decidere di vivere o morire, di poter essere libero.
Poi un’altra fitta, il mago strinse i denti soffocando un grido acuto, non c'era più tempo, il suo padrone non avrebbe atteso ancora.
Il suo sguardo si posò sul piccolo cerchio dorato che giaceva in terra di fronte a lui.
“Iris, perdonami!” mormorò e i suoi occhi si velarono di lacrime, mentre la mano si apriva per accogliere la Maschera che, rispondendo al richiamo della sua mente, era schizzata fuori dal baule.
Senza neppure alzarsi da terra, il mago indossò il suo volto d'argento e sparì.


Continua…




Il prossimo capitolo s’intitola “Goldrick's Hollow”. Beh, lo potete immaginare da soli cosa succederà

Ciao, ciao!




  
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