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Autore: purepura    20/10/2012    2 recensioni
Sono passati anni. Kyle, come sappiamo, è in giro per il mondo, in compagnia temporanea di Declan*, ad aiutare. Josh e Andy sono lontani, al college per studiare, mentre Lori è tornata in città, a Seattle, per seguire le orme della madre, studiando psicologia. Kyle ha lasciato Amanda. Non volendola esporre a inutili pericoli, continuava a mentirle, finché si è reso conto che non avrebbe più potuto proseguire (la produzione aveva detto che sarebbe stato solo, sentimentalmente, e così è). Decide di lasciarla in un giorno di sole. Poco tempo dopo parte. Resta solo per un po’, venendo in seguito raggiunto da Declan.
Ma Jessi?
Prendetela come un esperimento. Un esperimento molto fantasioso…
*Alcune delle informazioni sono basate su un’intervista fatta ai produttori. Altre le ho aggiunte io (come quella per la quale Declan lo accompagna nei suoi viaggi).
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jessi XX
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo la seconda morte
05 - Decisioni



Per tutti i colori che riesco a vedere.



    La porta saltò quasi fuori dai cardini. Ogni persona coinvolta nella discussione mi osservò, mentre mi allontanavo rapida.
    Questa volta, al secondo tentativo, era talmente infuriato che non badò ai miei gesti. Si ritrovò a volare dall’altra parte della stanza senza che nemmeno io l’avessi deciso.
    Dannazione!
    Era un emerito idiota, compresi allora. Come avevo potuto amarlo? Che persona era? Lasciare che la figlia fosse esposta a un pericolo così grande, quando se ne sarebbe potuta restare in Germania al sicuro, senza che nessuno avrebbe mai saputo della sua esistenza?
    «Che cosa è successo, Jessi?»
    Una ragazzetta di neanche vent’anni, conosciuta all’accampamento, mi vide passare in fretta, diretta verso casa. Mi seguì, mettendosi di fronte a me con uno slancio delle sue lunghe gambe. Mi fermai di botto, scrutandola. Non era giornata, questa, per gente chiacchierona. Né per gente cordiale, se era per questo.
    «Nulla. Devo andare».
    «Sembri notevolmente infuriata».
    «Sto bene. Devo andare».
    Mi sbattei la porta alle spalle senza esitazione. Non mi guardai indietro, né sobbalzai quando qualcuno bussò alla porta. Non era Kyle. Stavo radunando le mie cose, quando lo sentii. Brian.
    «Non ho tempo di discutere», tagliai corto. «Vattene».
    Entrò ugualmente, ovviamente. Nessuno mai che si prendesse la briga di rispettare le mie decisioni. Tutti a fare come preferivano, desiderando mettere al riparo il loro interesse personale.
    «Jessi».
    «Vattene, Brian».
    «Jessi».
    «Tu proprio non devi dirmi nulla. L’hai portata qui! L’hai esposta a tutto questo. Sei solo un irresponsabile».
    «Non posso più occuparmene, non se corro un rischio così grande».
    «Io corro un rischio enorme. Tu saresti potuto restarne fuori».
    «Loro sanno di lei, Jessi. Kyle non lo sapeva, ma loro sì. Sono venuti a trovarmi. L’hanno vista. Hanno capito chi dovesse essere».
    «Cosa?» Mi fermai, dei vestiti piegati in mano. Li cacciai nella valigia senza troppe cerimonie.
    «Tu puoi proteggerla meglio di me, Jessi. Voglio che stia al sicuro. Con te lo sarà».
    «Ma non posso restare», mormorai. «Lasciala, ma non posso restare, me ne andrò. Tornerò in Canada».
    Annuì. «Solo fammi sapere qualcosa».
    «Dove andrai?»
    «Non lo so. Non credo che ci si possa nascondere da loro. Temo che mi troveranno ovunque».
    «Non sanno, dove si trova Kyle?»
    «Credo che lo sappiano».
    «E allora, perché non sono ancora qui?»
    «Credo che sappiano persino che non stia bene».
    «Che cosa vogliono aspettare, che si rimetta? Che cosa ti hanno detto?»
    «Nulla. Nulla su di lui. Io non faccio più parte dei Latnok, ricordi? Cercavano te, pensavano che ti avrebbero trovata da me. Quando ho detto loro che non c’eri, mi hanno chiesto dove fossi. Ho detto che non lo sapevo. Sono stati tranquilli, erano giovani; mi hanno creduto». Si passò una mano tra i capelli. «Devo sparire, però. Anche se non mi hanno coinvolto in prima persona, non sono certo di essere al sicuro. E hanno visto la bambina, te l’ho detto, e hanno capito…».
    «Ok», lo fermai, perché ebbi l’impressione che potesse andare avanti per ore; soprassedei al suo egoismo. «Ok. Non preoccuparti. Ho capito. Puoi partire anche adesso, per quanto mi riguarda».
    Mi scrutò. Non avevamo mai affrontato l’argomento ‘distruggiamo Jessi per il mio tornaconto’, nemmeno quando gli avevo affidato la bambina. Sapevo che se ne sarebbe preso cura, anche solo per il semplice fatto che lei non ero io. Non aveva le nostre capacità, non poteva pretende nulla da lei, ed ero certa che le fosse sinceramente affezionato.
    «Mi dispiace», mormorò. «Veramente».
    «Lo so. Adesso vai. Solo, dillo a Kyle. Spiegaglielo. Non voglio averti sulla coscienza».
    Lo seguii fuori, per strada. Raggiunse la bambina. Sentii che le spiegava ogni cosa, e lo sguardo di Sarah sulla nuca. Scrutavo nello stesso tempo la casa di Kyle. Le luci delle stanze erano tutte accese. Lui non era uscito per raggiungermi, né per parlare con Brian. Era rimasto in casa, con l’unica compagnia, a quanto pareva, di Declan.
    «Foss». Era seduto per terra, poggiato alla parete della casa di fronte. Alzò lo sguardo mentre mi dirigevo verso di lui. Non si era fatto la barba.
    «Che cosa è successo?», domandò subito.
    «Nulla di che. È stato solo molto sgarbato. Non posso restare, comunque. Non potresti dire tu a Kyle che me ne vado questa sera?»
    «Che cosa dovrei fare io? No, no, e assolutamente no! Ragazzina, gli parli tu. Io non mi immischio». Il suo respiro era accelerato, nonostante il suo tono fosse ironico, come fosse agitato, ma volesse nasconderlo.
    «Tu e lui non mi volevate nemmeno! Che ti costa!»
    «Adesso ci fai comodo», sorrise. «Però posso capirlo. Non avresti dovuto tenergli nascosta una cosa del genere».
    «Non credo m’interessi il tuo parere», lo informai, scacciando l’orribile sensazione di stare dicendo qualcosa di sbagliato. «Se non glielo vuoi dire, perfetto, ma prima di domani all’alba io sarò lontana da qui. Non ho proprio intenzione di farmi trattare così».
    Mi diressi a passo deciso verso la casa di Kyle. Allo stesso tempo, Brian si avvicinò a Foss, il nuovo ufficio informazioni dell’Asia.
    Bussai. Dall’interno, Declan parlò: «Avanti».
    Erano seduti al tavolo. Kyle mangiava. Declan sedeva con un bicchiere in mano, che faceva rotolare.
    «È questa l’ora di mangiare?», chiesi, tentando di allentare la tensione che si era creata non appena ero entrata.
    Scrollò le spalle, continuando a giocherellare con il cibo.
    «Potresti uscire?»
    «Per fartelo picchiare di nuovo?»
    «Sa difendersi da solo», lo informai. «Ora sono tranquilla, Declan, lo giuro».
    Fissò Kyle. Continuando a giocherellare con il cibo, che non sembrava intenzionato a finire, annuì. Declan si alzò sbuffando, mi fissò, e si richiuse la porta alle spalle.
    «Non mi sopportano», cominciai, occupando il posto di fronte a lui, «come ai vecchi tempi, d’altronde».
    «Jessi…». Lasciò cadere la forchetta sopra al piatto. Produsse un rumore troppo acuto. Mi fissò con sguardo ostile. «Che cosa vuoi, da me?»
    «Come, scusa?»
    «Mi stai perseguitando. Sei arrivata, e mi stai perseguitando».
    «Cosa? Io? È stato Declan a chiamarmi. Non sapevo neanche esattamente dove fossi».
    «Tu e i tuoi segreti, Jessi!»
    Sobbalzai.
    «Non ho certo detto io a Brian di venire qua, di fartelo sapere».
    «Non me l’avresti detto? Mai?»
    «Non era una cosa che sarebbe stata di alcuna utilità».
    Si fermò. Mi fissò, rimestando nel suo piatto.
    «Che cosa vuoi sentirti dire?», domandò. «Che cosa pretendi che faccia? Mi hai mentito, su una cosa piuttosto grave».
    «Non ti ho mentito. Non ho mai detto ‘non ho una figlia’. Ho solo omesso di dirti alcune cose».
    Sbuffò, alzando gli occhi al cielo. «Stai scherzando, spero».
    «Non esattamente», mormorai. «Ascolta: il lavoro è già avviato, Declan sa cosa fare. È inutile che tu faccia spostare Foss restando indifeso, mentre sei qui. Ora sono di troppo. Parto, partirò domani mattina. Mi trasferisco più vicino a casa dei tuoi; starò io con loro, li terrò d’occhio».
    Restò immobile, adesso, dimentico persino di avere del cibo nel piatto.
    «E lei
    «Lei verrà con me. Come sai, Brian non vuole più occuparsene. Ritiene d’essere in pericolo, e crede che la bambina sia più al sicuro se resta con noi. Forse ha ragione. In ogni caso, è meglio che io mi sposti e lei con me. Brian, inoltre, pensa che i Latnok sappiano dove ti trovi e come stai».
    Aggrottò le sopracciglia.
    «Dice di averli incontrati, che si sono presentati davanti alla sua porta cercandomi. Non gli ha detto, dove mi trovavo, ma pensa che sappiano dove ti trovi tu».
    «E come lo sa?»
    «Lo pensa, Kyle. Lo ipotizza. No che non lo sa».
    «Il che significa che potrebbe anche non essere così».
    «Certo, ma se hanno trovato lui, cosa ci sarebbe di difficile nel trovare te? Giacché tu sei qui da tanto…».
    «Sei convinta di volertene andare?»
    «Poche settimane fa non mi volevi!»
    «Non condividevamo una figlia poche settimane fa».
    «Tecnicamente non condividevamo una figlia, no», sorrisi.
    Vidi le sue sopracciglia inarcarsi.
    «Scusa».
    Mi alzai. Riportai il piatto al lavandino.
    «Tu starai bene?»
    «Foss è furbo. Ha trovato la maniera per distrarmi».
    «Promettimi che guarirai».
    «E tu che mi farai sapere qualcosa. Appena posso, verrò a trovarla».
    «Ti aspetteremo».

    Baci e abbracci, come la sera del ballo. Solo che non mi sentii più sola, senza di lui.
    Feci conoscenza della bambina appena fuori la casa di Kyle. Con la manina stretta a Brian, mi salutò, e mi parlò come mi conoscesse da sempre. Particolare, lo era, lo capii subito.
    Ciò che mi stupii fu un altro sguardo puntato su di me, che mi seguì anche quando abbracciai Brian, con un po’ d’imbarazzo, che mi tenne sott’occhio quando presi in braccio la bambina, che salutava il nonno con trasporto.
    Mi diressi con lei alla casa, per finire di preparare le valigie.
    La porta rimase aperta, quando la varcai. La bimba si arrampicò sul tavolo, accanto alla sua valigia, e partecipò, penna e lista in mano, alla selezione di ciò che era mio e quello che sarebbe dovuto rimanere qui; scrivere lo sapeva già fare*. Presto, però, il sonno ebbe il sopravvento, e si spostò con leggerezza in camera mia.
    Non trovo, mi rammarico, un modo più semplice per spiegarlo. Mi resi conto che qualcosa era cambiato nel momento in cui si spostò, dallo stipite della porta, dove vi era rimasto sino allora in silenzio, all’altra parte del tavolo, sul quale erano sparpagliati fogli e progetti che avrei dovuto restituire.
    Alzando il mio sguardo, fui consapevole in un solo attimo di quello che avrei voluto che facesse. Nel momento in cui lo desiderai ecco le sue labbra sulle mie, e se qualcuno, ora, mi chiedesse quando era iniziata, forse risponderei: dopo la mia morte. La seconda, sì, ma pur sempre una morte.
    Quando, senza bisogno di dirlo a nessuno, mi raggiunse e mi prese la valigia di mano, intenta a percorrere veloce il vialetto, con nessuno a fissarmi dalla finestra e Amanda in casa mia.
    Quando mi diede un passaggio verso l’aeroporto, e seguì per me le trattative per l’affitto dell’appartamento a Seattle.
    Quando mi chiamava, senza parlarmi di Kyle ma chiedendo solo mie notizie.
    Quando quasi, qui, in Asia, era stato disposto persino ad aggredirmi, a mandarmi via con la forza. Non era stato impassibile, accomodante, né si era rassegnato. Invece, dal suo sguardo, in continuazione, un unico avvertimento: ammalati e te ne farò pentire.
    Non lo amavo, non allora, ma gli ero grata di tutti i gesti fatti. Gli ero grata di starmi donando calore.
    Feci l’amore con Tom Foss, su un divano troppo piccolo, perché non ci saremmo più rivisti.















Salve!
Esattamente un mese dopo, eccomi, con l’università che frenetica non mi lascia tempo. Che mondo, che è, ed è quasi insopportabile!
Continuano a succedere cose assurde in questa storia. Spero che le spiegazioni che ho dato bastino. Spero che non vi sia nulla che appaia forzato. Spero che non stiate guardando il capitolo con disgusto, chiudendo immediatamente la pagina.
Comprendetemi, mi sono innamorata di loro due a causa dell’unica scena in cui li vediamo assieme! Date la colpa alla galanteria con cui Foss l’aiuta dopo che si è finta morta, e a come le tocca la guancia! ''''Ora basta che non sembri una studentessa universitaria. Vergogna!''''
Vi saluto e vi lascio all’attacco di shock che vi avrà sicuramente preso dopo aver letto questo capitolo!
Arrivederci!

*Ho fatto riferimento alla scuola Montessori: imparano già a leggere e scrivere da piccolissimi; so che ce ne sono in Olanda – oltre ovviamente qui in Italia in quanto la Montessori era italiana, la prima mitica donna medico – e allora perché non anche in Germania, luogo in cui Brian ha vissuto con la piccola?

  
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