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Autore: iusip    05/05/2007    1 recensioni
Questa ff è una AU, ambientata nel periodo in cui Ryo combatte come soldato nel Sud America. Shinichi Makimura è padre di due bambini, un maschio e una femmina. Soltanto la bambina sopravvive al massacro che colpisce la famiglia. Dopo 20 anni, Ryo Saeba e Kaori Makimura si incontrano di nuovo. Ma, questa volta, SENZA SANGUE. (Ispirato al romanzo omonimo di Baricco.) Buona lettura.
Genere: Romantico, Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Hideyuki Makimura/Jeff, Kaori/Greta, Ryo Saeba/Hunter
Note: Alternate Universe (AU), What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Shinichi Makimura aveva paura.

La paura era un sentimento che conosceva poco, fin dal momento in cui era diventato un soldato e aveva giurato sulla tomba di sua moglie che avrebbe sacrificato la sua stessa vita, pur di vendicarsi di quei cani che l’avevano uccisa.

E la paura, in una perenne lotta per la sopravvivenza, era il peggiore nemico che un uomo potesse avere.

La paura ti porta a non ragionare, a commettere errori che possono esserti letali.

E lui era uno che non aveva più nulla da perdere, e quindi la morte, che tutti temono fin dalla nascita, non lo spaventava più di tanto.

Fino al momento in cui non aveva trovato quei due bambini, che erano diventati più importanti della sua stessa vita.

I loro genitori erano stati uccisi dagli stessi bastardi che avevano decapitato sua moglie, i soldati dell’esercito sudamericano, capitanati da Shin Kaibara.

Quando aveva visto quei due bambini, che scuotevano inutilmente i corpi privi di vita dei loro genitori, aveva fatto una cosa che non faceva da troppo tempo, ormai.

Aveva pianto.

Quanto può essere ingrata la vita con due anime innocenti?, si era chiesto.

Loro avevano pagato lo scotto di errori che non avevano commesso, erano stati coinvolti in un vortice di rabbia, sangue, dolore e disperazione da cui ogni bambino dovrebbe essere immune.

Lui e sua moglie avevano sempre desiderato figli, ma la sua adorata Amy non poteva averne.

Il medico diceva che era troppo delicata di costituzione, e se fosse rimasta incinta avrebbe firmato la sua condanna a morte, oltre che quella del bambino, ovviamente.

Cercavano entrambi di consolarsi a vicenda, dicendosi che in tempi di guerra, come quello che stavano vivendo, mettere al mondo un bambino sarebbe stato soltanto un atto di egoismo puro e semplice.

Ma quando la guerra fosse finita, gli ripeteva sempre Amy con un sorriso, avrebbero adottato un bambino e l’avrebbero cresciuto come se fosse stata lei stessa a partorirlo.

Ma sua moglie non era vissuta abbastanza per realizzare il suo bisogno di maternità, e quando aveva sentito il pianto soffocato del maggiore dei due bambini che aveva trovato per caso in una casa in periferia, gli era sembrato un segno inviatogli da sua moglie.

Una forza più forte del suo stesso raziocinio lo aveva spinto ad inginocchiarsi accanto ai due bambini e ad abbracciarli, mentre le sue stesse lacrime bagnavano la salopette della bambina.

Loro l’avevano guardato, stupiti, e non avrebbe mai dimenticato il momento in cui la bambina gli aveva accarezzato i capelli con la manina e gli aveva detto “Non piangere, signore.”

In quel momento, aveva deciso che quelli sarebbero diventati i suoi figli.

Li aveva chiamati come il padre e la madre di Amy, in un estremo omaggio all’unica donna che aveva mai amato.

Kaori e Hideyuki.

Li aveva portati a casa sua, dove ancora aleggiava nell’aria, o almeno così gli sembrava, il profumo di sua moglie.

Kaori aveva solo 5 anni, all’epoca, Hideyuki ne aveva 9.

Adesso erano passati 4 anni da quel giorno, e i suoi due bambini erano diventati la sua unica ragione di vita.

Shinichi Makimura aveva paura.

Ma non per sé, perché sapeva che prima o poi avrebbe dovuto pagare il conto per tutti gli errori che aveva fatto, e sapeva che l’avrebbe pagato con la sua stessa vita.

Aveva paura per Kaori e Hideyuki.

Il giorno prima, gli era giunta voce che Garcìa e Manuel erano stati uccisi in un’imboscata dell’esercito governativo.

Erano i suoi ultimi alleati, nella loro strenua resistenza contro quelli dell’esercito.

Adesso era rimasto l’unico a crederci ancora, l’unico che sarebbe stato disposto a difendere il villaggio a costo della sua vita.

Aveva parlato diverse volte, con Hideyuki e Kaori, della possibilità che fosse ucciso, e aveva spiegato loro le ragioni che lo spingevano a combattere.

Passava interi pomeriggi a sfogliare vecchi album di foto ingiallite, che ritraevano lui e Amy quando la guerra non aveva ancora distrutto la loro felicità.

Aveva parlato di lei ore e ore, aveva raccontato a quei due bambini aneddoti e storie del suo matrimonio con lei.

Hideyuki aveva capito subito cosa l’avesse spinto ad imbracciare un fucile e intraprendere un’impresa che sembrava persa fin dall’inizio.

Kaori, invece, rimaneva sempre in silenzio, quando lui parlava della necessità di continuare la guerriglia e della probabilità di morire in combattimento.

Solo una volta l’aveva sentita parlare, e quello che la bambina aveva detto lo aveva fatto sentire tremendamente a disagio.

Farti uccidere non riporterà Amy in vita. Servirà soltanto a renderci orfani per la seconda volta.

Poi la bambina era uscita in cortile a giocare con le galline, mentre lui era rimasto a fare i conti con le sue responsabilità nei confronti di quei bambini.

Aveva cercato sempre di non pensarci, e di non parlare delle strategie di guerra quando Kaori era nei paraggi.

Ma adesso era ricercato dall’esercito, e Kaori e Hideyuki rischiavano tanto quanto lui.

Però non sarebbe fuggito.

Avrebbe nascosto i bambini e avrebbe affrontato quei bastardi a testa alta.

E con un paio di armi in mano.

Corse a svegliarli, erano solo le 6 di mattina ma non c’era tempo da perdere.

Hideyuki fu il primo ad aprire gli occhi.

Gli bastarono solo due parole, per farsi comprendere da quello che, se ne rese conto solo allora, non era più un bambino.

“È ora.”

Dalle finestre parzialmente coperte da due tende color pastello, proveniva il suono ridondante delle campane.

Lui e suo figlio rimasero immobili nella penombra, mentre Kaori ancora dormiva e un sottile pulviscolo li circondava, a contare con il cuore in gola i rintocchi.

Quattro, significavano che la messa stava per cominciare.

Otto, che l’esercito aveva invaso il villaggio.

Uno…

“Hideyuki, ti ricordi quella volta che…

Due…

…quella volta che eravamo in riva al lago…

Tre…

…e Kaori voleva assolutamente prendere la bambolina che le era caduta nell’acqua…

Quattro…

…e tu l’hai scostata dicendo “Faccio io, mocciosetta, tu non sei capace…”

Cinque…

…e lei ti ha fatto la linguaccia, e quando ti sei sporto per afferrare la bambola ti ha spinto nell’acqua…

Sei…

…e poi avete riso insieme, tu tutto bagnato e lei radiosa sotto il sole di fine aprile…

Sette…

…ti ricordi quel giorno, come eravamo felici…”

Otto…

Si guardarono negli occhi, da uomo a uomo.

Hideyuki si chinò, mise un braccio sotto il letto e ne estrasse un fucile.

Poi scese al piano inferiore, mentre suo padre svegliava Kaori.

Shinichi le accarezzò i capelli dolcemente.

Era la sua principessa, le voleva tanto bene.

La bambina aprì gli occhi lentamente, rivolgendogli il primo, per quel giorno, dei suoi bellissimi sorrisi riservati solo a lui.

Il primo e forse anche l’ultimo, si ritrovò a pensare.

“Tesoro, adesso papà e Hideyuki dovranno fare qualcosa di molto brutto. Mi dispiace, tesoro, ma devo farlo. Devo, capisci?”

La sua voce era rotta dal pianto.

Kaori non capiva, ma annuì lo stesso.

Suo padre la abbracciò, la prese in braccio e la portò in cantina.

Spostò una pesante botte di vino, scoprendo così una botola nel duro pavimento di pietra.

La aprì, poi si inginocchiò davanti a lei e le disse di scendere la scaletta che portava nella stretta botola e di non uscirne per nessuna ragione al mondo.

Sarebbe venuto lui a riprenderla.

Lei lo fece, obbedendo in silenzio.

Scese le scale, poi suo padre le lanciò un asciugamano.

“Mettilo per terra e poi stenditi sopra, tesoro. Non preoccuparti, papà arriverà subito e ti tirerà fuori di qui, e poi prepareremo la torta di mele che ti piace tanto. Ok, tesoro?”

Adesso le lacrime rigavano il suo volto, e lui non se ne vergognò.

Kaori sistemò l’asciugamano sulla terra dura e secca, poi si stese, supina, con le gambe magre perfettamente allineate, il viso rivolto verso quello di suo padre.

Lo vide piangere, e capì cosa lui volesse sentirsi dire.

“Non preoccuparti, papà. Ti perdono.”

Shinichi Makimura cominciò a singhiozzare, poi chiuse la botola, mentre le lacrime gli impedivano di parlare.

Vide il volto di sua figlia assottigliarsi sempre di più, poi scomparire del tutto.

Rimise la botte al suo posto, poi salì al piano superiore, pregando che sua figlia lo avesse perdonato davvero.

Kaori rimase stesa nella botola, immobile, gli occhi spalancati nel buio, fissando la luce e la polvere che penetravano attraverso le fessure del pavimento.

Sentiva l’odore della terra, così forte che le sembrava di sentirne il sapore anche in bocca.

Improvvisamente il silenzio fu squarciato da urla e imprecazioni.

“Makimura…esci immediatamente con le mani in alto! Se ti arrenderai, potremmo anche decidere di risparmiarti!”

“Andatevene a fanculo, brutti bastardi!”

La voce di suo padre era carica di rabbia e di dolore.

Poi Kaori sentì delle raffiche di colpi, ma non riuscì a capire se provenissero dall’esterno oppure dall’interno della casa.

Chiuse gli occhi, cominciando a sussurrare le parole di una filastrocca che suo padre le cantava sempre prima di andare a dormire.

Duérmete, mi niña,

que se hace de noche,

y van los angelitos

a pasear en coche.


Un’altra raffica di colpi rispose alla prima.

Le urla e le imprecazioni si fecero sempre più forti.

Kaori si mise le mani sulle orecchie, rannicchiandosi sul fianco e avvicinando le ginocchia al petto, come faceva sempre appena prima di addormentarsi.

Avrebbe ripetuto la filastrocca ancora una volta, e poi finalmente suo padre sarebbe venuto a prenderla e avrebbero fatto insieme la torta di mele che le piaceva tanto.

Duérmete, mi niña,

que se hace de noche,

y van los angelitos

a pasear en coche.




Vi ringrazio per i commenti, e spero che questo capitolo vi faccia emozionare come mi sono emozionata io nello scriverlo. Un bacio, alla prossima.
  
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