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Autore: Alley    22/10/2012    5 recensioni
"...ora che è morto la patria si gloria di un altro soldato alla memoria. Ma lei che lo amava aspettava il ritorno di un soldato vivo, di un eroe morto che ne farà?"
Raccolta di flashfic e one shot sull'agente Coulson, il più umano di tutti gli eroi.
Genere: Angst, Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Agente Phil Coulson, Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Era partito per fare la guerra,
per dare il suo aiuto alla sua terra.
Gli avevano dato le mostrine e le stelle
e il consiglio di vendere cara la pelle.
Quando gli dissero di andare avanti
troppo lontano si spinse a cercare la verità.
Ora che è morto la patria si gloria
di un altro soldato alla memoria.
Ma lei che lo amava aspettava il ritorno di un soldato vivo,
di un eroe morto che ne farà?






L'applauso del pubblico risuonò fragoroso tra le pareti del teatro.

Tutti i membri dell’orchestra sorrisero davanti a quell’entusiasta manifestazione di consensi.

Tutti, tranne una.

Col capo chino, fissava le assi di legno del pavimento, insensibile alle acclamazioni.

Nessuna traccia di gioia sul volto ancora poggiato sulla mentoniera, nemmeno l’ombra di un riso.

Staccò faticosamente il viso dal violino, sollevando impercettibilmente lo sguardo; la sale era gremita e l’ovazione non accennava a scemare.

Gli occhi color smeraldo percorsero velocemente la prima fila, quasi sperando di trovarlo lì, adagiato su quella poltrona, la quinta a partire da destra. Era lì che sedeva, la prima volta che l’aveva vista suonare.

Ebbe un moto di pietà per se stessa, mentre la speranza si spegneva come la fiamma di una candela.

Quante volte si era trincerata dietro un’illusione, per cercare di alleggerire il peso della realtà?

Naturalmente, non c’era. Al suo posto, un’elegante signora di mezza età batteva le mani soddisfatta.

Una fitta di dolore la trafisse, e calò nuovamente il capo.

Poggiò la guancia bagnata di lacrime contro la mentoniera, come se il violoncello potesse diventare uno scudo, una maschera in grado di celare al pubblico la disperazione che la squassava.

Alle sue spalle, il rullo della grancasse si mescolò allo squillo dei clarinetti, e tutti i musicisti si accodarono alla melodia, riprendendo a suonare.

Inspirò profondamente e prese ad accarezzare le corde con l’archetto di legno, trovando parziale sollievo in quel gesto tanto caro.

La musica era sempre stata un rifugio e, mai come in quel momento, sentiva di averne un bisogno feroce. Impellente.

La gaiezza dell’aria contrastava nettamente con il suo stato d’animo, ma si impose di non badarvi.

Concentrò cuore e mente sulle note, immergendosi nella musica come in acque chete e cristalline.

Il dolore continuava ad opprimerle il petto, come un pugnale infilzato nel cuore, e la melodia fungeva da lenitivo.

Prese a suonare con maggior impeto, maneggiando l’arco come fosse un arma, sollecitando le corde con violenza. Il suono divenne più acuto e incalzante e una scossa di adrenalina le attraversò la schiena, inducendola ad un abbandono ancora più intenso e incontrollato.

Annullò se stessa e le proprie sofferenze, affidando la propria anima alla musica.

Poi il brano cessò e l’incantesimo svanì.

Il dolore le crollò di nuovo addosso, travolgendola come una valanga.

Affondò il viso nel legno, lottando per trattenere i singhiozzi.

Il concerto era finito e tutti i membri dell’orchestra guadagnarono il centro della scena, godendosi gli applausi scroscianti che provenivano dagli spalti.

Avrebbe voluto allontanarsi di soppiatto, ma non le fu possibile; si ritrovò intrappolata nella fiumana di orchestranti che confluiva verso il centro del palcoscenico, dovette rassegnarsi a stringere le mani ai musicisti che la circondavano e inchinarsi più volte per salutare il pubblico, come di consueto.

Le lacrime le offuscavano la vista, rendendo i volti degli spettatori sfocati e indistinti.

Eppure, una persona posizionate in fondo alla sala attirò la sua attenzione.

Era un uomo alto e robusto, poggiato contro la parete.

Non riusciva a vederne distintamente il volto, ma aveva qualcosa di incredibilmente familiare. Non lo conosceva, ma era certa di averlo già visto da qualche parte, forse su un giornale.

Sbattè le palpebre più volte per metterlo a fuoco e, quando i contorni del suo visi divennero più nitidi, un moto di profondo e agitato stupore la scosse.

I bei lineamenti marcati, le iridi celesti e i capelli biondi, con quel taglio retrò ormai abbondantemente superato.

E non era su un giornale che l’aveva visto, né in foto, ma su una figurina.

Su una marea di figurine, quelle che Phil le aveva mostrato, entusiasta e orgoglioso, solo pochi giorni prima.

Capitan America – quant'era strano vederlo con i propri occhi, in carne ed ossa – era circondato da un gruppetto di persone, quattro uomini e una donna dal caschetto scarlatto, anch’essi in piedi, poco più lontani. Nel loro sguardo, poteva percepire un misto di amarezza e rimpianto.

Finalmente, l’ovazione terminò e il pubblico cominciò lentamente a defluire.






Note
THE END.
Non sapete quanto abbia amato questa raccolta e quanto abbia amato tutti coloro che, con passione e pazienza, l'hanno seguita: ringrazio dal più profondo del mio cuore i lettori silenziosi e quelli che, invece, hanno generosamente lasciato recensioni ad ogni aggiornamento. Grazie a tutti, infinitamente. Mi rendo conto di essermi parecchio dilungata nelle risposte alle recensioni, spero di non avervi tediato, ma adoro interloquire con voi che tanta attenzione e complimenti avete dedicato alla mia penna.
Il testo con il quale ho introdotto il capitolo (e da cui è tratta la citazione dell'intro) è quello de "La ballata dell'eroe" di De Andrè. Questi versi mi hanno parlato di Phil, dandomi la possibilità di realizzare questo piccolo ma sentitissimo omaggio.
I love you, agente.
Alla prossima!
  
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