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Autore: thecarnival    23/10/2012    8 recensioni
MOMENTANEAMENTE SOSPESA CAUSA: ESAMI UNIVERSITARI.
Lei: ventisette anni, francese di nascita ma italiana d'adozione.
Lui: italiano, meglio dire, romano D.O.C.
Lei: vive in un piccolo appartamento in una zona tranquilla di Roma e si mantiene grazie ad un modesto lavoro che tuttavia sta iniziando ad odiare, perché è propria a causa di esso che ha visto infrangere le sue aspettative sul vero amore e sugli uomini: l'organizzatrice di matrimoni.
Lui: condivide casa con due sue amici e colleghi e, a differenza di lei, ama il suo lavoro, perché non solo guadagna soldi ma anche donne: è uno spogliarellista in un noto locale di Roma, il Ladies Night, ed è la principale attrazione del locale.
Entrambi pensano che l'amore sia inutile e passeggero, che la gente si stanchi di stare sempre con la stessa persona e che, prima o poi, si finirà per soffrire.
Le loro vite si intrecceranno per caso e il caso non li lascerà più allontanare.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Undress my heart.'
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Ai film horror che ci segnano per sempre.
Agli inopportuni.
Ai lucidalabbra.



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The (he)art of the streap VIDEO 



Otto.



Le gocce d'acqua dal rubinetto, il caffè pronto della moka, la matita della studentessa nervosa, le lancette imperterrite di un orologio, la sedia rotta della scrivania di Mina e la porta cigolante dell'ufficio di Carla: qualsiasi rumore sarebbe stato più piacevole rispetto a quel silenzio imbarazzante. 
Le lunghe dita della sua mano sinistra tamburellavano sul cruscotto mentre la mano destra era ben salda sul cambio, lo sguardo fisso sulla strada e le labbra tese in un mezzo sorriso; era affascinante.
- Vuoi un caffè? - Lo guardai confusa: un caffè a quell'ora della notte? Non avrei dormito per il resto della mia vita. Capì la mia perplessità perciò mi spiegò la sua domanda – Mi sei sembrata un po' su di giri al locale, quindi forse ti serve il caffè per riprenderti. No?
- No. Grazie.
Il mezzo sorriso di prima si trasformò in uno vero e proprio; non distolse, però, lo sguardo da davanti a sé, come se avesse paura a guardami e non volesse farlo perché lo imbarazzassi. 
Mi voltai verso il finestrino a guardare la strada, i palazzi, le macchine posteggiate e i pali della luce lampeggianti e mezzi rotti; era tutto così triste e desolante, non c'era un'anima viva a quell'ora eppure Roma era conosciuta per i suoi schiamazzi notturni.
- Sei cambiata. - Piegai la testa verso sinistra e lo guardai curiosa di sapere cosa stesse per dire. - Sì insomma: mi ringrazi, accetti un mio passaggio, mi chiami per un favore; adesso sei tu ad avere bisogno di me, mi vuoi, ti piaccio e vuoi essere mia amica. 
Lo guardai sbigottita e restai in silenzio per qualche istante, poi scoppiai a ridere perché era stato così divertente da farmi piegare in due. - Tu non stai bene. Dovresti piacermi solo perché accetto un tuo passaggio o ti ringrazio? 
- Ti piaccio perché mi trovi attraente.
Sbuffai – Non faremo questo discorso: non ti dirò quanto sei carino e non mi dirai che ti piacciono le mie tette. Tra di noi non ci sarà niente perché non mi sembra il caso.
Per la prima volta si voltò a guardarmi, solo perché uno dei tanti semafori incontrati fino ad allora era rosso – Ottima scusa. 
- Ottimissima, Mr Electric Fire. - Gli feci una smorfia infantile, anzi era più un verso idiota al quale lui rispose con una linguaccia prima di rimettersi a guidare. Sorrisi per quanto accaduto, erano rari quei momenti di ilarità e spensieratezza. - Da dove nasce? 
- Possiamo parlare di tutto, ma il parto è l'unica cosa che mi fa un po' impressione, sai?
- Mi riferivo al soprannome – Sussurrai esasperata, perché effettivamente avere una conversazione con lui era molto stancante – Perché hai scelto proprio questo?
Scrollò le spalle divenendo, d'un tratto, serio – Non saprei, è nato per scherzo qualche settimana dopo i nostri spettacoli; ha iniziato Giovanni a dire che il suo uccello era magico, era di fuoco e Riccardo ha detto la sua...
- Piccante. - Pensai ad alta voce e lui rise. - Qual è il soprannome di Riccardo, non l'ho sentito.
Ero curiosa: volevo sapere altri retroscena sul suo lavoro, dettagli sulla sua vita e sul rapporto con gli altri due; avevo capito che non era un cattivo ragazzo e che forse avrei potuto fidarmi di lui. 
- Questo perché eri distratta a flirtare con Giovanni. 
Ammiccò mentre svoltava a destra, dando la precedenza a un tram. - Io non stavo flirtando con nessuno, stavo parlando animatamente. - Gli spiegai con calma, guardandolo di sbieco; i suoi occhi riflettevano la luce dei lampioni della strada ed erano lucidi, espressivi e meravigliosi, di un azzurro diverso da quello che avevo visto di solito: più intenso, sul blu, ma con qualche sfumatura verde: erano magnetici.
Come faceva a sorridere in quel modo, aveva qualche paralisi alle labbra? Gli si muoveva o verso destra o a sinistra, aveva la mascella slogata? Io non riuscivo a fare quelle cose lì; ci provai pure a rivolgergli un sorriso mezzo decente o almeno provocante, ma mi uscì uno sgorbio.
Ma poi chi volevo prendere in giro: io provocare lui? Per quale motivo? Questa era ancora più assurda di quello che aveva detto prima su Giovanni e il mio flirtare; a parte che non sapevo neanche come si facesse e poi quello neanche mi interessava, aveva i capelli troppo lunghi e viscidi, neanche fosse quell'attrice lì che tutti prendevano in giro, Cristina Stewart. 
- Emily, tutto bene? - Lo guardai interrogativa – Mi sembravi assente, se stai male puoi dirlo, ti porto al pronto soccorso.
Ero irritata per quella domanda, ma anche lusingata: era davvero preoccupato o mi stava prendendo in giro? Perciò lo guardai intensamente, cercando di scoprire qualcosa. - Non sono una ragazzina, so bene quali sono i miei limiti e di certo bevendo qualche drink non li ho superati. Perciò sì, sto bene.
Incrociai le braccia sotto il seno voltandomi del tutto verso la mia destra e dedicandomi a quello che vedevo; d'accordo era stato carino, a modo suo, a chiedermi come stessi, ma a lui poi che importava? Mi sembrava di essere tornata un'adolescente con sbalzi d'umore e d'ormone incorporati. 
Ero una donna adulta con sani principi, un lavoro a cui pensare e lui doveva sparire; invece era sempre lì a complicare tutto e a incasinarmi la vita. Avevo pensato per un attimo che fosse un bravo ragazzo e magari lo era davvero, ma non lo era per me, non lo era in quel momento, quando cercavo di dare un senso a tutto: passato e presente, non pensando al futuro. Perché era piombato lui?
Sbuffai, appannando il finestrino e lui se ne accorse.
- Stiamo arrivando, questo lungo calvario è quasi finito.
Non volevo pensasse che stare con lui fosse un supplizio, anzi a volte era piacevole. - Ero sovrappensiero, figurati se mi preoccupo della tua presenza.
Tentai di stuzzicarlo, ma non ottenni nulla se non uno sguardo serio e fisso sulla strada; in quel momento sì che desiderai di arrivare in fretta, perché doveva esserci sempre traffico in quella cavolo di città? Eravamo stati dieci minuti bloccati in fila perdendo un sacco di tempo, per fortuna almeno in quella via non c'erano macchine e andavamo veloci. 
- Scusa, ma com'è che ti... - Stavo per chiedergli come si chiamasse, dato che avevo accettato un suo passaggio senza sapere niente di lui, se non il suo lavoro e dove abitasse, quando lampeggiò a una macchina con i fari spenti. - Sei impazzito!?- Gli diedi una botta sul braccio, voltandomi a guardare quella vettura.
- Perché? Ho solo avvertito quel coglione, anche se immagino fosse una donna, di accendere le luci. 
Boccheggiai – Tu, cioè, non sai... Oddio hai mai visto i film horror? Non sai che non si abbaglia mai quando l'altra macchina ha i fari spenti? Sto per svenire.
Mi accasciai sul sedile mentre mi facevo aria con la mano e l'idiota rise – Come sei esagerata.- Sbuffò e i suoi occhi si posarono sullo specchietto retrovisore, allarmandomi: l'ansia mi stava già uccidendo; maledetti film horror che avevo visto fin da piccola, lo sapevo che prima o poi mi si sarebbero ritorti contro. - Stai calma, andrà tutto bene.
- Andrà bene un cazzo, quello ci sta seguendo e noi moriremo.
- Ma no che non moriremo.
- Sì che moriremo. – Mi voltai di nuovo verso quell'auto che ci inseguiva con gli abbaglianti puntati verso noi, mi veniva da piangere – Succede sempre così, il ragazzo figo e la ragazza che gli sta accanto fanno una brutta fine.
- Non moriremo Emily: anche se sono figo e tu mi sei vicina. - Le sue dita sul mio mento voltarono il mio viso quel poco che bastava per guardarlo negli occhi – Puoi fidarti di me, per favore? 
Quegli occhi erano così belli da mozzare il fiato – Puoi guidare, per favore? - Rifece di nuovo quella smorfia con le labbra verso sinistra e si concentrò sulla strada: quarta, quinta, quarta; scalava le marce come se non ci fosse nient'altro di importante, svoltava in vie a me sconosciute, sorpassava auto troppo lente lanciando un'occhiata all'auto dietro di tanto in tanto, che non era più così vicina e io stavo iniziando a rilassarmi.
- E' quasi tutto finito, tranquilla.
Gli sorrisi incerta e, quando vidi l'incrocio con il semaforo, capii cosa aveva intenzione di fare: rallentò un po' aspettando che la luce diventasse arancione e poi accelerò di colpo, lasciando la macchina dietro ferma per il rosso. Mi tranquillizzai, sospirando rilassata:finalmente era finito quell'incubo e noi eravamo arrivati, senza sapere come, in zona Colosseo. Fermò l'auto e respirò anche lui: era stato teso per tutto il momento, in effetti l'avevo fatto agitare io.
- Visto? E' andato tutto bene.
Mi sorrise e io ricambiai – Non volevo turbarti e di solito non sono ansiosa neanche io, solo che i film horror mi mettono paura e quella scena era maledettamente simile a...
- Sì tranquilla. E' stato divertente però.
Scoppiò a ridere, forse per la tensione o forse perché in fondo era davvero stato divertente essere inseguiti per le strade isolate di Roma, fatto sta che dopo un momento di stupore mi unii alla sua risata, togliendo un peso dallo stomaco e rilassandomi del tutto; ridere era una cura per tutto, mia nonna lo diceva sempre, o me l'aveva detto Kamal una delle tante volte che avevo mangiato al suo locale.
Come in un film, ovviamente, perché la mia vita cominciava a essere il cliché dei cliché, smettemmo di ridere nello stesso momento, dei colpi di tosse si sostituirono alle risa e un silenzio imbarazzante piombò nell'abitacolo; perché non aveva ancora messo in moto per portarmi a casa? Era tardi e avevo sonno.
- Emily... - Ero ripetitiva ma i suoi occhi sembravano volessero dirmi qualcosa, si umettò le labbra pronto per parlare o per fare qualcosa, il mio sguardo si posò sul labbro inferiore più carnoso e più bagnato rispetto all'altro: era così invitante. Sospirai affranta perché sapevo quello che stava per succedere: ci saremmo baciati e i miei piani di tenerlo fuori dalla mia vita sarebbero andati in fumo; eppure non riuscivo a muovermi, a oppormi, perché una parte di me voleva tastare quelle labbra e giocare con la sua lingua. 
All'improvviso ero regredita di dieci anni.
Il suo respiro si infrangeva sul mio viso e lo maledii mentalmente perché non aveva ancora annullato quella maledetta distanza baciandomi. Il suo naso sfiorava il mio e potevo benissimo vedere le sfumature verdi nei suoi occhi azzurri: non mi ero sbagliata, quel colore era davvero particolare oltre che meraviglioso. Il mio sguardo si posò di nuovo sulle sue labbra e senza pensarci passai la lingua sulle mie, a quanto pare dovette piacergli il mio gesto perché la sua mano finì tra i miei capelli e mi tirò ancora più vicino a sé: stava accadendo, quelle labbra tanto peccaminose sarebbero state mie per un momento.
Un ticchettio metallico mi fece sobbalzare: che fosse la macchina di prima? Geremia si voltò alla sua sinistra scocciato e io, quando mi accorsi di chi si trattasse, desiderai morire per la vergogna.
- Buonasera agenti.
- Patente e libretto per favore. - Dopo un “sì” di circostanza, l'idiota si mise a cercare il libretto dell'auto per passarlo al vigile – Anche il documento della signorina, grazie. 
- Noi non. - Tentai di parlare, ma quel cretino mi bloccò poggiando una mano sulla gamba, sussultai a quel tocco rude e inaspettato. L'agente prese quello che gli serviva e si allontanò dalla nostra auto raggiungendo il suo collega: era la prima volta che mi capitava una cosa del genere, stavo iniziando a pensare che era quel Geremia a portarmi sfiga. - Che vogliono da noi?
Sapevo che il sorriso serviva a tranquillizzarmi, ma mi ero innervosita di nuovo – Sarà solo un controllo di routine, non preoccuparti. 
Spostai i miei capelli sul lato sinistro cercando di stare calma: non ne potevo più di quella serata, di quella giornata in generale, stavo iniziando ad avere un fastidio alla tempia destra, proprio sopra l'orecchio a causa dello stress e di quello che avevo dovuto sopportare quel giorno; era tanto difficile arrivare a casa senza che succedesse qualcos'altro? 
A rendermi ancora più irrequieta ci si metteva anche lui con il suo tamburellare nervoso sul cruscotto. Mi soffermai a guardarlo mentre era intento a osservare i due vigili più lontano rispetto a noi: aveva gli occhi ridotti a due fessure, forse per cercare di capire cosa stessero facendo e perché ci stessero mettendo così tanto tempo, le labbra semi aperte e la mascella tesa come se stesse digrignando i denti; evidentemente era nervoso anche lui, ma non voleva darmelo a vedere. Quando i due si avvicinarono, cercò di mostrarsi il più cordiale possibile, rilassandosi.
- Dunque signor Vivaldi e signorina Cutini, cosa ci fate qui a quest'ora? 
Lo guardai meravigliata, avrei voluto dirgli che non erano affari suoi e che non stavamo facendo nulla di male o sbagliato ma il cretino mi anticipò – Ci siamo fermati un attimo perché il mio telefono squillava e non avevo l'auricolare, non mi sembrava il caso di rispondere per strada.
La sua risposta mi stupì, così come le sue doti recitative, il vigile ci diede i documenti e si appoggiò al finestrino: cercava di intimorirci, lo si capiva dallo sguardo serio – Ragazzi, non dovreste essere qui, prima che io vi chieda di scendere e che vi controlli sparite dalla mia vista.
- Oh, ci scusi, non sapevamo fosse vietato fermarsi, andiamo subito via.
Geremia, o meglio, il signor Vivaldi aspettò che quell'odioso vigile si togliesse dal finestrino per rimettere in moto e portarmi, finalmente, a casa. 
Per il resto del viaggio restai in silenzio ripensando a quello che stava per succedere o sarebbe successo, se la polizia non ci avesse interrotto; come avevo potuto desiderare di baciarlo? Mi ero talmente incantata a guardare i suoi occhi e le sue labbra da volerle assaggiare. Stupida me e stupidi ormoni che non se ne stavano buoni al proprio posto. Preferivo di gran lunga litigare con lui, piuttosto che fare pensieri sconci. Dato che il destino l'aveva messo sulla mia strada e ogni cosa sembrava sempre riportarlo a me, tanto valeva scegliere da che parte stare e io avevo scelto il litigio. 
- Emily... - Trattenni il respiro, sperando che non parlasse di quanto accaduto prima. - Siamo arrivati. 
Non mi ero accorta che fossimo sotto casa mia talmente ero sovrappensiero; mi voltai per ringraziarlo e lo trovai poggiato con la schiena al finestrino e un sorriso impertinente stampato in faccia. Lo stronzo rideva di me per un motivo ben preciso, ma sconosciuto.
- Ti faccio ridere? Perché non condividi il tuo pensiero, magari mi diverto anche io.
- Ma io non sto ridendo, sto sorridendo. 
Provai a controbattere ma sapevo già che sarebbe stato tempo perso. - Grazie per il passaggio.- Scesi dall'auto, ma mi richiamò. Mi sporsi verso l'interno appoggiando i gomiti allo sportello – Che vuoi?
- Che vuoi? - Ripeté meravigliato e con un tono fin troppo ironico – Prima mi chiedi un favore, poi accetti un passaggio e scherzi con me, poi stai per baciarmi e adesso mi chiedi cosa voglio?
Pensai molto alla risposta, perché sapevo che qualsiasi cosa avessi detto lui l'avrebbe rigirata contro di me a suo piacimento: odiavo quell'abilità, volevo avercela anche io.
- Buonanotte – Come diavolo si chiamava? - Signor Vivaldi.
Una risata gli illuminò il viso – Signore? Va beh, ma non mi hai ringraziato. 
- Senti, mi piacerebbe tanto stare qui a discutere sui miei metodi di ringraziamento ma ho dimenticato di dare da mangiare al gatto e non vorrei che morisse di fame, perciò addio: spero di non vederti mai più.
Rise di nuovo e me ne andai, ero già davanti al portone quando lo sentii urlare – Il tuo lucidalabbra è invitante, voglio assaggiarlo. 
Lo ignorai e mi chiusi in casa prima che qualche vicina si affacciasse e gettasse un secchio d'acqua colpendomi in pieno; ero arrivata al punto di saturazione con lui, mi provocava, mi faceva innervosire, mi tentava con il suo corpo, voleva baciarmi e poi tornava a farmi arrabbiare, la domanda era una sola e semplice: perché?



Gettai la sveglia per terra non appena la sentii suonare: non avevo voglia di alzarmi dal letto e andare a lavoro, volevo stare sotto le coperte e al calduccio. Il mondo esterno era cattivo e io sapevo che se fossi uscita di casa avrei incontrato il cretino e la mia giornata sarebbe peggiorata ancora prima di iniziare. Purtroppo per me, dovetti alzarmi e affrontare quel giorno come sempre, perché in ufficio mi aspettavano le due spose tanto simpatiche che avevano deciso di cambiare e aggiungere alcuni dettagli del ricevimento: le avrei strozzate entro la data del matrimonio, ne ero certa.
Arrancai fino in bagno e mi spaventai, guardandomi allo specchio: neanche il super correttore speciale che aveva consigliato Clio in una delle puntate su Real Time sarebbe servito a compiere il miracolo, perciò feci una doccia bollente e mi vestii coprendomi il più possibile, dato che stavo morendo di freddo.

Quella mattina Roma sembrava più rumorosa del solito e non appena arrivai sospirai sollevata, almeno sarei stata chiusa in ufficio senza sentire il rumore delle auto passare e ripassarmi accanto, i borbottii dei pedoni, le urla dei commercianti e così via.
- Buongiorno Emily. 
Il suo sorriso era irritante ma dovetti salutarlo per forza – Ehi, ciao. Come va?
- Sono Mario, ricordi? - Pigiò il numero cinque dell'ascensore e poi, accanto a me, aspettò che le porte si richiudessero. Per evitare di sprecare ancora fiato, gli annuì e sperai che quel maledetto affare si muovesse a salire i cinque piani. - Comunque va tutto alla grande, oggi è una bella giornata; tu come stai? Come procedono i matrimoni?
- I matrimoni procedono come sempre: spose, tulle, fiori, anelli e divorzi. Fortunatamente non sono un avvocato.
Forse ero stata un po' troppo brusca, ma il suo buon umore mi urtava, così come la sua risata – Grazie a te e le tue colleghe, noi lavoriamo di più.
- Credo che Carla l'abbia fatto di proposito ad aprire l'ufficio proprio sopra lo studio di un avvocato divorzista e associati.
L'ascensore si fermò e le porte si aprirono – Mi ha fatto piacere vederti, Emily. - Mario uscì e un suo collega lo salutò con una pacca sulla spalla – Potremmo riveder...
Per fortuna non riuscì a completare la frase: l'ascensore mi portò al mio piano togliendomi l'imbarazzo di rifiutare un suo eventuale invito. Né Carla né Mina erano in ufficio, Giulia invece era al telefono e stava urlando contro qualcuno, continuava a dire che i gamberi erano crostacei e non pesce e perciò dovevano essere messi sul menù: era di sicuro il catering del matrimonio che stava organizzando. Non sapevo il motivo ma stranamente erano sempre loro, i cuochi, a dare più problemi, oltre alle spose.
- Tutto bene? - Le chiesi quando riagganciò. - Stavi per sbranare il tuo interlocutore.
- Quello era un imbecille di prima categoria, lasciamo perdere. Tu come stai? Sembri uscita da The walking dead. 
Mi indicò il viso e sospirai: non sapevo se il mio stato dipendesse dalla strana serata precedente e dal fatto che fossi andata a letto alle tre del mattino inoltrate o da altro, come i dolori muscolari, il mal di testa e il naso che colava ogni dieci minuti. 
- Hai bevuto ieri sera?
- No, cioè un po', ma non ho i postumi, ho solo fatto tardi e sono stanca.
Mi accasciai sulla sedia e iniziai a sbattere la testa contro la scrivania quando il campanello suonò: sapevo già chi fosse perché avevo appuntamento con Giada e Ilaria, le spose più indesiderate di Roma. Giulia aprì loro la porta e le raggiunsi nell'altra sala, dove ricevevamo i clienti: una cosa ero certa, avrei preferito stare con Mr Oliato-è-meglio-che-sbarbato Geremia Vivaldi piuttosto che con loro. 
La mia vita, se iniziavo a pensare quelle cose, era finita.







********

Mi scuso per il ritardo e per la bruttezza di questo capitolo, addio.
No scherzo, devo prima dirvi alcune cose. Intanto calma, vedo già i cuori e gli arcobaleni delle ship da qui; lo so Gerrimio è adorabile ed Emily è troppo noiosa, non posso farci nulla.
Dunque, non ci sono momenti eclatanti, citazioni o altro quindi sarò breve.
La scena della macchina a fari spenti è tipico di molti film horror, quello a cui mi sono "ispirata" in questo caso è Urban Legend (trailer QUI ) ovviamente alla fine i due ragazzi vengono uccisi, quindi è un po' diverso il momento e comunque è risaputo: mai abbagliare a un auto con i fari spenti.
The walkind dead è un telefilm sugli zombie e roba varia, ho visto solo la prima puntata, m'hanno detto che è carino, sinceramente non lo so.
Clio di ClioMakeUp è la tizia che è diventata famosa grazie ai video tutorial su YouTube e che adesso conduce il programma su Real Time.
Per il resto non avrei altro da dire: i due idioti stavano per baciarsi e poi sono stati interrotti, Emily è imbarazzata e tratta male, di nuovo, Gerri; non si chiede, però, cosa succederà nel momento in cui lui la incontrerà di nuovo.

Vorrei ringraziare con il cuore tutte voi, una ciascuna, per aver inserito questa storia tra i seguiti, ricordati e preferiti: siete tante e ve ne sono davvero grata, mi fate emozionare.
Vorrei fare qualcosa per farvi capire quanto sono felice ma non saprei cosa, magari vi regalo un Gerri nudo la prossima volta. XD
Ringrazio, come sempre, Elle per la sua pazienza, per il rosa e per stalkerarmi.

Se volete potete trovarmi nel mio gruppo facebook, esattamente
QUI.
E' stato un piacere e che la panna sia con voi.

   
 
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