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Autore: Nymphna    24/10/2012    7 recensioni
[Disney]1-Jasmine~ “Voglio volare” bisbigliò. Il vecchio Joe scoppiò in una risata strana, sguaiata, che sembrava l’abbaiare di un cane.
2-Cindy~ Lui l’aveva riconosciuta. L’aveva cercata. Ma, soprattutto, l’aveva trovata.
3-Ariel~ Quel ragazzo meraviglioso con la risata contagiosa e il viso impertinente l’aveva appena baciata.
4-Belle~ E lei voleva un’avventura? Lei chiedeva di avere qualcosa in più? Proprio lei, che non aveva mai fatto niente.
5-Esmeralda~ Prese un Tennessee Wisky e ne ingollò due grandi sorsi. Poi ripensò a Febo e la preoccupazione prese il sopravvento.
6-Aurora~ “Perché sorridi?” domandò la mora. “Ora ti racconto” disse Aurora, i capelli sciolti che si muovevano al vento “Anch’io ho trovato l’amore”
7-Jane~ "Io non voglio perdere la libertà. Ma soprattutto non voglio perdere papà. E nemmeno te."
8-Meg~ "Sei veramente … fantastica. Una forza” “No. Sono tremendamente sola”
9-Blanche~ "Ma quella sera il baco si era aperto e ne era uscita una meravigliosa farfalla.
10-A Whole New World~ Fine.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3, Ariel.
(da mercoledì 16 a sabato 26 giugno)


 

Ariel sbuffò sonoramente incrociando le braccia e battendo un piede per terra con fare irritato. Ancora una volta suo padre si era rifiutato di ascoltarla. Non ce la faceva più. Lei voleva essere libera, voleva andarsene da casa, voleva finirla con quelle buffonate. Il cane all’ingresso non si mosse di un centimetro. Ritrasse un momento la lingua, poi la tirò di nuovo fuori ansimando. La ragazza strinse i pugni e tornò in camera furiosa. Urlò lasciandosi cadere sul letto. Acquata alzò la testa castana dai libri e le lanciò un’occhiataccia.
“Mi stai distraendo” le disse con voce acida.
“Me ne frego” rispose la rossa “Me ne frego talmente tanto che adesso comincerò a fare casino senza smettere” decise, per poi appoggiare i piedi sulle toghe del letto sopra il suo e cominciare a sbatterli. Acquata sospirò chiudendo il libro di botto.
“Non si può stare in questa casa. Ho bisogno di studiare, e tu me lo impedisci. Lo dirò a papà!” minacciò, togliendosi gli occhiali e infilandoli in una borsa malmessa insieme al libro.
“Ariel, piantala, mi dai sui nervi” disse Andrina, sporgendosi dal letto.
“Scusa, ma questa qua rompe le palle anche quando sono arrabbiata!” esclamò di nuovo incrociando le braccia. In quella entrò nella stanza da letto comune per le ragazze anche Alana, mangiando uno yogurt.
“Che succede?” domandò infilandosi il cucchiaino in bocca.
“Ehi!” esclamò Arista da dietro un’anta dell’armadio “Perché tu stai mangiando quello yogurt? Papà non ci permette di mangiare cosa…”
“Io oggi ho lavorato e non ho fatto la pausa pranzo!” protestò Alana “Quindi posso mangiare qualcosa”
“Ragazze, la smettete di fare casino? Sto parlando al telefono” le informò Adella, indicando il cellulare che aveva in mano.
“E dov’è Attina?” domandò Acquata “Dovrebbe tornare da un momento all’altro, le avevo detto di andare a prendere due pizze da asporto… secondo me è andata al Bazar! Perché non mi ascolta mai?” in quel momento sentirono chiudersi la porta.
“Sono in casa!” urlò la voce di Attina “Ho portato le pizze!”
Ariel sbuffò. Odiava casa sua, eppure era praticamente imprigionata in quel caos, con le sorelle affollate tutte in una stanza. Voleva restare a letto a rimuginare, ma la fame ebbe la meglio e si alzò controvoglia. Si sedette al piccolo tavolo di legno illuminato da una lampadina e prese il suo pezzo di pizza. Acquata lasciò cadere la borsa su una poltrona e restò in piedi, quella sera toccava a lei.
L’appartamento in cui Ariel e le sue sorelle vivevano era piccolo e buio, si trovava in un gran palazzone squallido di periferia, con la pittura scrostata all’esterno, dieci rampe di scale e nemmeno un ascensore e tanti altri appartamenti che sentivano tutto attraverso le pareti che parevano di cartapesta. C’era un salotto attaccato al cucinotto, troppo piccolo per sette ragazze e il padre, senza sedie abbastanza per tutti, un bagno piccolo con una doccia che era più rotta che a posto e due camere: in quella piccola dormiva il padre, su una brandina, in quella grande stavano le sette figlie di Tritone, in tre letti a castello ammucchiati, con un armadio in cui tutto era di tutte, una piccola scrivania con specchio e una misera libreria. Ariel faceva finta di no, ma invidiava molto le persone come Jasmine e Aurora, che avevano una bella casa ampia, una camera tutta per loro, potevano permettersi di comprare qualsiasi cosa ed erano circondate da cose belle. Lei no. Non aveva nemmeno il letto personale, perché quando le sorelle tornavano ubriache dal Bazar non poteva aspettarsi che salissero le scalette dei loro letti.
“Che fate sta sera?” domandò Acquata alle sorelle, mentre cercava di gustarsi il più possibile il suo pezzo di pizza: ne avevano solamente due a testa.
“Io, Attina e Adella andiamo al Bazar” rispose Arista “Abbiamo da fare”
“Oh, non c’è dubbio” commentò sarcastica la sorella maggiore.
“Io vado a fare un po’ di sport” disse Andrina “Non contare su di me questa sera. Non resto io con Ariel”
“Rimango io!” esclamò Alana “Vai pure tranquilla a studiare in biblioteca.”
“Grazie, la prossima settimana ho un esame e non so proprio come fare…” disse Acquata, per poi afferrare l’altra fetta di pizza e sparire fuori dalla porta con la borsa a tracolla, salutando le sorelle. Non molto tempo dopo anche le altre uscirono, mentre Ariel e Alana restarono da sole in casa. Ariel si lasciò cadere su una poltrona con le braccia incrociate e lanciò le scarpe da tennis lontano da sé. In realtà amava profondamente le sue sorelle, una per una, ma a volte era impossibile sopportarle, soprattutto perché lei era la più piccola.
Acquata, la più grande, aveva ventitré anni e studiava a un’università locale come biologa marina, ma dato che passava tutto il suo tempo sui libri non lavorava e una grande parte dei soldi del padre andavano alla sua scuola, in modo da garantirle un futuro anche se purtroppo non aveva potuto prendersi una stanza all’università. Andrina aveva un anno in meno di Acquata, non studiava e faceva l’insegnante di aerobica in una squallida palestra di periferia. Ariel sapeva che aveva dovuto sacrificare molto per avere quel lavoro, ma lei sembrava felice e ogni tanto diceva che sarebbe andata a vivere con il suo storico ragazzo, un istruttore di fitness che veniva dal Guadalupe. Nessuno pensava veramente che lui l’avrebbe presa in casa. La terza sorella era Arista, ventun anni, che finita l’High School aveva creato al padre un sacco di problemi: aveva detto di andare all’università ma poi aveva usato i soldi per comprarsi begli abiti e per passare le giornate nel lusso. Non le era andata così male dal momento che si era trovata un ragazzo con cui stava da un bel po’ di tempo che le pagava praticamente tutto, ma il ragazzo in questione era un pusher che aveva reso sua sorella una drogata. Non di cose pesanti, ma aveva sempre una canna in bocca. Attina era nata dieci mesi dopo Arista, e frequentava anche lei una prestigiosa università di canto di cui nessuno sapeva niente se non che un produttore discografico le aveva messo gli occhi addosso. Adella aveva due anni in meno delle maggiori, ma era unita ad Arista come nessun’altra: ciò che faceva una doveva fare anche l’altra e non si separavano mai. Adella però ogni tanto portava a casa qualche decina di dollari che nessuno sapeva da dove avesse tirato fuori, ma il vecchio Tritone era ormai così amareggiato dalla vita e da com’erano cresciute quasi tutte le figlie da non volere nemmeno sapere da dove arrivavano. Probabilmente sospettava ma non voleva sapere. Alana era la penultima e aveva diciassette anni e mezzo, era la sorella preferita di Ariel ed era sempre pronta a sacrificarsi per le altre. Lavorava da un paio d’anni in un ufficio come segretaria e a volte era costretta a saltare la scuola per turni aggiuntivi, ma portava a casa un bel gruzzolo che divideva con il padre. E poi… c’era lei, Ariel. Capelli di fuoco che non erano appartenuti né alla madre né al padre, occhi azzurri come il cielo e una voce che andava molto oltre le possibilità della povera Attina, che studiava tutti i giorni per la scuola di canto. Ariel si considerava la più sfortunata delle sette sorelle. Per prima cosa aveva pochi e sfuocati ricordi della madre che era morta pochi anni dopo la sua nascita, anche se il padre non ne parlava mai. Sapeva solamente che aveva cercato di mettersi di mezzo in una situazione sgradevole in cui avrebbe dovuto stare zitta, e dopo aver testimoniato contro un ricco in tribunale era stata uccisa da qualche vicario. Ma le prove non c’erano mai state, così il caso era stato archiviato, il vecchio Tritone era rimasto con pochissimi soldi e sette figlie piccole da mantenere al meglio. Il desiderio della moglie era che frequentassero tutte quante l’High School di Manhattan, la più prestigiosa, quella a cui era andata lei stessa, così i soldi scarseggiavano ancora di più.
“Allora, dove volevi andare prima?” domandò Alana buttando in un cestino le due scatole di pizza.
“Volevo uscire” rispose Ariel evasiva.
“Si, ma dove volevi andare?” insistette la sorella.
“Volevo andare a trovare Jasmine, okay?” rispose sbuffando la rossa. Alana si girò con le mani sui fianchi e un’espressione di rimprovero sul viso. Ariel alzò gli occhi al cielo e si lasciò sprofondare nella poltrona.
“Lo saiche papà non vuole che frequenti quella gente” le ricordò “Dice che fanno venire strane idee in testa, i ricchi, che ti fanno nascere l’invidia nei loro confronti e…”
“Non m’importa!” esclamò Ariel alzandosi di scatto “Non m’importa niente di quello che dice papà! Lui non sa come sono Jasmine e Aurora! Non capisce che sono le persone migliori di questa terra, anche se Aurora è ricchissima! Mi ha pure proposto di farmi adottare!”
“Ti ha proposto di farti adottare?!” ripetè Alana sconvolta. Ariel annuì. Alana si lasciò cadere su una sedia “E tu cosa hai detto?”
“Secondo te cosa ci faccio ancora qui? Le avrò detto di no!” sbuffò scostandosi un ciuffo ribelle della frangia via da un occhio. “Ma avrei tanto voluto andare da lei. Loro possono avere qualsiasi cosa, addirittura un pasto decente, mentre noi siamo quasi costrette a soffrire la fame perché papà non ha i soldi” Alana sospirò e andò vicino a lei, spingendola dolcemente a sedersi sulla poltrona. La mora si accomodò sul bracciolo accanto a lei, abbracciandole le spalle.
“So che la situazione non è facile, ma migliorerà. Io, papà e Andrina lavoriamo. E un giorno Acquata avrà un sacco di soldi ogni mese, abbastanza da permetterci di…”
“Non mi importa” ripetè Ariel “Voi non potete capire. Non stavo uscendo perché volevo andare a crogiolarmi nella ricchezza, ma perché Jasmine adesso ha bisogno di me” sostenne, girandosi verso la sorella e guardandola con aria triste “Le è successo qualcosa… non viene a scuola da due giorni, non risponde al cellulare, nemmeno a casa, e suo padre è introvabile. Anche Aurora si sta preoccupando. Devo andare da lei.” Alana sospirò profondamente un paio di volte, poi volse lo sguardo verso la cornice che conteneva la foto della madre. Ariel sapeva che in tutta quella caoticità la sorella si era rimboccata le maniche anche se era una delle più piccole, si era messa a lavorare ed era stata la prima a fare le pulizie di casa e ad occuparsi di rimproverare le sorelle quando facevano qualcosa di sbagliato. Il padre faceva totale affidamento su di lei.
“Mamma, cosa dovrei fare?” mormorò piano fra sé e sé. Dopo qualche secondo in cui guardava malinconicamente la foto si girò verso Ariel e la guardò con aria materna “Va bene, ti faccio uscire. Ma solo per questa volta!” Ariel la abbracciò forte, poi si infilò le scarpe di ginnastica velocemente. Alana distrasse Sebastian e Ariel uscì dall’appartamento.
Corse velocemente giù per le scale, estraendo il cellulare dalla tasca dei jeans scoloriti, corse sulla strada adiacente al parco per fare prima e si inoltrò in una delle vie più conosciute di Manhattan. Digitò il numero di Aurora, poi schiacciò il pulsante di invio chiamata. La voce dolce e preoccupata dell’amica la accolse.
“Ariel!” esclamò “Dove sei? Sono sotto casa di Jas, ma proprio non mi ricordo quel passaggio nel giardino che mi ha detto lei…”
“Arrivo fra dieci minuti” rispose la rossa “Sei riuscita a parlarle?”
“No… e non mi va di entrare nel locale, secondo me centra suo padre…” disse preoccupata.
“Sistemeremo tutto. Tu aspettami” la incoraggiò Ariel, prima di chiudere il vecchio telefono e mettersi a correre.
Quando arrivò davanti alla casa di Jas era senza fiato. La aggirò respirando profondamente e vide Aurora che stava digitando qualcosa sul suo i phone nuovo di zecca. Quando la sentì arrivare si girò, infilando il telefono in borsa senza completare il messaggio.
“Ancora Eric?” domandò curiosa.
“Si… ci dovremmo vedere più tardi, sai…” disse quasi imbarazzata. Ariel le sorrise, poi si mise a frugare nei cespugli, finchè non trovò il cancello del retro, nascosto dalle piante dal Sultano. Non riusciva proprio a credere che avesse sottovalutato così tanto sua figlia, credendo che solo con un cespuglio sarebbe riuscito a nasconderle la seconda uscita. Lo aprì attenta a non fare rumore, poi si infilò nel giardino insieme ad Aurora. Strisciarono nel giardino fino a raggiungere la porta della cucina e lì si accucciarono un momento per controllare che non ci fosse nessuno: solitamente c’erano sempre un paio di cuochi che fumavano sigarette. Quando videro che la via era libera Ariel si aggrappò con entrambe le mani alla grondaia e si puntellò con i piedi sul muro salendo verso il balcone bombato dell’amica, e quando lo raggiunse si lasciò scivolare dietro la ringhiera. Aspettò Aurora che salì con qualche problema in più, poi guardò dietro la finestra che non ci fossero il Sultano o Jaff, il caposala, e bussò. Non ricevette risposta per qualche minuto, ma quando Aurora si domandò se Jas non fosse in casa, Rajah cominciò a miagolare finchè la loro amica non dovette aprire la finestra. Le guardò con occhi sorpresi e le invitò ad entrare.
Ariel si sedette sul suo letto senza tanti complimenti, Aurora si accoccolò su un cuscino prendendo in braccio Rajah e Jasmine si lasciò cadere sul letto. Era in biancheria intima e il letto era disfatto, ma non sembrava affatto malata. La rossa la guardò un po’, poi incrociò le braccia, stanca di non ricevere risposte.
“Allora?” domandò impaziente “Mi vuoi spiegare perché non ti sei fatta vedere né sentire per due giorni interi?” la mora restò in silenzio. “Dobbiamo organizzare la festa tutte insieme!” esclamò poi “E tu non ci sei!”
“Io non so se vengo” rispose Jasmine debolmente.
“Non lo sai nel senso che tuo padre non ti fa venire?” domandò Aurora con delicatezza.
“Oh, no. Mio padre mi fa venire” rispose Jasmine “Ma è successo un casino e io non so più cosa fare”
“Se ce ne parlassi, magari potremmo trovare una soluzione tutte insieme” disse Ariel “E’ così che fanno le amiche” l’amica la guardò con un debole sorriso e le prese la mano. Chiuse gli occhi per qualche lungo secondo, poi si alzò, prese il cuscino e stringendolo le guardò intensamente per qualche minuto. Aurora aspettava paziente, mentre la rossa batteva ritmicamente il piede a terra. Poi Jas parlò.
“Domenica sera non è vero che stavo andando a mangiare” raccontò “Mio padre mi aveva negato il permesso per la festa, e alla fine io ho deciso di fare come le sorelle di Ariel: se fossi scappata di casa e mio padre si fosse preoccupato, avrebbe capito che non poteva costringermi, così avrei potuto venire”
“E ha funzionato?” domandò la bionda presa.
“Praticamente si…” rispose Jasmine “Ma in realtà è successo molto altro. Sono stata al Bazar”
“Al Bazar?!” esclamò Ariel, un po’ amareggiata e delusa dal fatto che l’amica non avesse voluto andare con lei. Ma poi pensò che probabilmente anche lei avrebbe preferito andare da sola, così lasciò correre il problema.
“Si… è un casino. Banchi, donne che ballano quasi nude, concerti e un sacco di gente che non capisce niente” raccontò ancora “E poi in fondo c’è una stanza quasi chiusa in cui… credo… ci sia droga” Aurora trattenne rumorosamente il fiato “E io ho… ho fumato qualcosa” continuò gesticolando “Ho fumato qualcosa che non mi ha fatto capire più niente. Qualcosa che mi ha fatta volare. E poi, mentre mi stavo cacciando nei guai… è arrivato lui. Ali.”
“Ali?!” le fecero eco le amiche.
“Si, Ali. Un ragazzo bellissimo. Dolcissimo. Sincero. Gentile. Lui mi stava aiutando” gli occhi della mora cominciarono a colmarsi di lacrime “Lui mi capiva. Lui sapeva cosa provavo e voleva aiutarmi a stare meglio. Lui mi stava per baciare. Ma poi è arrivato Jaff, e me l’ha portato via. L’ha messo in galera. Ha detto che non c’è più speranza. E mio padre vuole che io mi sposi con Jafar, e…”
“Oh, mio Dio!” esclamò sconvolta Aurora, che non riusciva a comprendere quanta cattiveria potesse esserci al mondo “Ma dobbiamo fare qualcosa! Dove l’ha portato? Sai dirmelo? Oddio, Jas, dovevi dirmelo subito” Ariel la guardò sarcastica.
“E questo cosa avrebbe cambiato?”
“Mio padre è il consigliere del presidente!” esclamò con voce stridula la bionda “Dimmi dove l’hanno portato, Jas, e io te lo ritroverò” Jasmine si sfregò gli occhi con un braccio e la guardò incredula.
“No, non puoi farlo” disse lasciandosi ricadere sul materasso “Nessuno può. Sarà condannato a morte”
“Scemenze!” urlò Aurora “Nessun quasi fidanzato di una mia amica finirà su una sedia elettrica!” Ariel non aveva mai visto l’amica tanto determinata. Conosceva la bionda e sapeva che la sua bontà era superiore persino ai suoi soldi. Ma non sapeva che fosse anche determinata e con così tanto potere da poter tirare qualcuno fuori da una prigione. Ariel, dal canto suo, non avrebbe saputo che fare, e pensò che se fosse successa la stessa cosa anche a lei avrebbe reagito come Jasmine. Ma lei non era innamorata, e dell’amore non le interessava niente. Così decise di dare man forte all’amica.
“Dai, dicci dove l’hanno portato” disse con voce dolce alla mora.
“Non lo so” mormorò poi questa “So solo che è stato mandato alla polizia”
“Dammi cinque minuti” disse Aurora entrando nella cabina armadio di Jasmine con il cellulare in mano. Ariel guardò Jasmine scoppiare in singhiozzi. Non aveva mai visto l’amica piangere in tutta la sua vita, le sembrava così strano che adesso per un ragazzo tutta la sua sicurezza, la sua voglia di vivere, il suo spirito simpatico e ribelle fossero scomparsi nel nulla. Si somigliavano molto, e proprio per questo non poteva capire come mai reagisse così. Il pensiero che le attraversò la mente per primo fu che probabilmente quel ragazzo per lei era molto importante. Ariel non credeva nell’amore a prima vista, ma non essendosi mai innamorata in vita sua non poteva nemmeno escludere che esistesse.
Non sapeva come comportarsi. Sapeva che quando una delle sue sorelle stava male per amore, specialmente Arista e Adella, Alana era la prima a preparare una cioccolata calda con biscotti trasgredendo per una volta gli ordini di suo padre, e ne parlavano. Ma non aveva mai sentito di una sorella che si innamorava e che non aveva nemmeno il tempo di restare per un giorno col ragazzo prima che questo fosse portato via.
“Ci sarà una soluzione” disse, con la voce più convincente che riuscì a trovare “Ci sarà sicuramente. Non posso credere che abbia fatto qualcosa di male, non se ti ha aiutata… o no?” Jasmine la guardò col viso rigato di lacrime. Ariel sospirò preoccupata e nella stanza ricadde il silenzio, rotto da Rajah che si faceva le unghie sul tappeto della ragazza.
Passò una buona mezz’ora di silenzio, poi Aurora riemerse dalla cabina armadio. Rajah le corse incontro miagolando e lei lo prese in braccio.
“Ho parlato con papà, che ha chiamato il dipartimento polizia” Jasmine alzò la testa “Ha detto che in effetti domenica sera è arrivato un ragazzo di nome Ali, di diciannove anni… corrisponde?” la mora annuì piena di speranza “Ma non hanno trovato niente contro di lui, così il capo della polizia si è messo a cercare qualche crimine, dopodiché l’ha lasciato a un uomo molto muscoloso che l’ha preso con sé, dicendo che era un suo dipendente. Non è più in polizia, e tantomeno in prigione” Jasmine spalancò gli occhi nella penombra e si mise seduta.
“Hai saputo qualcos’altro?” domandò con voce stridula.
“Ancora no, ma papà mi chiamerà fra non molto per dirmi dove si trova, così potrai andare a incontrarlo” rispose Aurora con un gran sorriso. Poi si girò verso Ariel “Ma non riesco a incontrare Eric questa sera e ho il telefono occupato… per favore, Ariel, andresti da lui? Potresti spiegargli la situazione… digli di mandarmi un sms quando può” Ariel si morse un labbro.
“Perché proprio io?”
“Io devo rimanere con Jas. Scendo con te, farò finta di essere venuta a trovarla e di andare a fare una passeggiata, papà mi aspetterà qua fuori…” disse, per poi appoggiare Rajah a terra, che cominciò a miagolare “Ci vediamo fra poco, Jas!” esclamò uscendo sul balcone. Ariel la seguì. L’idea di entrare per un momento nel mondo dei ricchi, come se fosse stata una di loro, le piaceva molto. Ma d’altro canto avrebbe voluto restare con Jasmine, e poi sapeva di non avere molto tempo… in breve sarebbe dovuta tornare a casa o il padre avrebbe scoperto che era uscita. Seguì Aurora sul balcone, poi si lasciò cadere giù atleticamente, mentre l’amica era un po’ più impacciata. Uscirono dal cancelletto senza essere scoperte, dopodiché si separarono.
Ariel si incamminò verso la Dream’s House, uno dei fast food più economici ma conosciuti di Manhattan, dove quando Alana le dava qualche spicciolo si fermava a prendere un caffè e un hamburger con le sue amiche. Aurora le aveva detto che si doveva incontrare lì con Eric. Eric… come avrebbe fatto a riconoscerlo? Non l’aveva mai visto. Possedeva solamente le descrizioni dettagliate dell’amica. Sapeva che era alto sul metro e settantacinque. Sapeva che aveva diciassette anni. Che aveva capelli scuri con un gran ciuffo e occhi azzurro chiaro come il cielo. Sapeva che era ricco anche lui, quindi si aspettava anche che fosse curato, profumato e vestito con abiti di marca, come tutti i ricchi. Non poteva essere diverso. E tutti i ragazzi ricchi erano snob. Affondò le mani nelle tasche della felpa e pensò che forse avrebbe dovuto informarsi di più riguardo ai ragazzi e single e magari meno snob di altri di Manhattan, dato che fortunatamente viveva lì, anche se con mille invidie. Sotto le dita sentì qualcosa di sottile e stropicciato, e tirò fuori una mano dalla tasca. C’erano dieci dollari! Fantastico! Li guardò con un gran sorriso. Erano suoi. Tutti suoi, non ci poteva credere!
Svoltò una curva e arrivò davanti alla Dream’s House. Entrò e il campanello sopra la porta tintinnò allegro. Ariel si guardò un momento intorno. Una cameriera con folti capelli scuri la guardò un momento senza scomodarsi a salutarla, il proprietario muscoloso stava a braccia incrociate dietro la cassa, bofonchiando annoiatamente alla sua compagna, un’altra mora. Alla sua sinistra c’era un gruppo di ragazzi seduti a un tavolo che discutevano di videogiochi e un barbone era accovacciato su una sedia davanti al bancone. Verso destra c’era solo un tavolo occupato da qualcuno che stava di schiena. Ariel decise di avvicinarsi e vedere chi era.
Era un ragazzo molto bello, il più bello che Ariel avesse mai visto in vita sua. La pelle era abbronzata, come se passasse la maggior parte del suo tempo fuori al sole piuttosto che in casa a studiare. I capelli neri erano lucidi e leggermente ondulati e un gran ciuffo gli copriva la fronte e un pezzo di un occhio chiaro come il cielo. Il naso era dritto e il profilo impertinente le ispirò subito simpatia. Guardandolo meglio scoprì anche gli occhi chiarissimi e la bocca nascosta da una mano grande e forte: chiaramente non era il tipico ragazzo ricco. Sbuffò e il ragazzo si girò sentendola.
“Ehi” le disse “Ho occupato il tuo posto?”
“No…” rispose lei “In realtà stavo cercando un ragazzo, ma non credo di averlo trovato… avrebbe dovuto essere qui” gli lanciò un’occhiata. Per quanto potesse somigliare alle descrizioni di Aurora, non poteva essere lui. Questo ragazzo indossava una t – shirt scura, con alcuni disegni colorati, un paio di semplicissimi jeans e delle scarpe da ginnastica della Etnies.
“Anche io stavo cercando una ragazza… ma non l’ho trovata” ammise poi, avvicinando il caffè alle labbra e aspirandone un po’ “Che dici, ti offro un caffè? Non ne posso più di rimanere solo” Ariel quasi scoppiò a ridere, sedendosi davanti a lui.
“Vada per il caffè. Magari entrerà qui da un momento all’altro e potrò riferire il messaggio” rispose la rossa. Il ragazzo alzò una mano e chiese un altro caffè e due ciambelle che arrivarono subito dopo. La ragazza era stupita: aveva preso la ciambella al cioccolato, la sua preferita, quella ricoperta di caramellato e piena di pallini bianchi e marroni di cioccolato… “Scusami se ho ordinato anche le ciambelle, spero ti piacciano. Sono le mie preferite”
“Anche le mie!” esclamò Ariel stupita “Chi stavi aspettando?” chiese poi, mentre addentava il dolce.
“Una ragazza con cui esco” disse vago “E tu chi cercavi?”
“Il ragazzo della mia migliore amica che non può venire a incontrarlo… ci sono stati problemi con l’altra migliore amica” rispose con un sospiro.
“Mi dispiace. I problemi delle ragazze sono sempre così grandi! A volte quasi mi chiedo se lo facciate apposta” cominciò “A volte un brutto voto diventa due settimane di reclusione, un divieto una tragedia, un amore finito un ostacolo insormontabile…” Ariel annuì con decisione.
“Assolutamente” concordò “Alcune ragazze si complicano tutto con queste cose, ma non hanno idea di come sia la vita vera, dato che hanno sempre la pappa pronta. Non sanno cosa vuol dire non avere da mangiare quello che vogliono, pagare l’affitto, farsi passare i vestiti dalle sorelle…”
“Andare a lavorare per mangiare, avere la madre che è costretta a quasi non dormire per avere uno stipendio…”
“Le bollette, la scuola…”
“Non sentirsi mai a proprio agio fra i ricchi!”
“Ma si hanno sempre soldi per il cane!” conclusero insieme, per poi scoppiare a ridere. Ariel era stupita dal fatto che un ragazzo appena incontrato completamente per caso fosse così simile a lei, dalle ciambelle, alle sensazioni, a ciò che provava fino ad avere un cane insopportabile. Si trovava già a suo agio, sembrava che lui la capisse, avesse passato le stesse cose… e la sua risata era così contagiosa…
“I tuoi sono poveri?” domandò la rossa.
“No, ormai non più. Mio padre è riuscito a far fruttare il suo talento nella costruzione degli yacht e adesso ha una grande azienda” rispose con un sospiro “Anche se io sono cresciuto quasi alla fame. Il primo yacht gliel’ha comprato Stefano Reale, sai, il consigliere?” Ariel annuì sorridendo sotto i baffi. Aurora non voleva che dicesse ai quattro venti di chi era figlia per modestia, non voleva che gli altri la considerassero più ricca o potente di loro. Non potè non pensare che la sua amica era veramente una delle persone migliori dell’universo.
“Mio padre invece non è andato più in là della sua barchetta scassata.” Raccontò “E’ il vecchio Tritone, quello da cui tutti comprano il pesce, qua. Non so come faccia, sembra il re del mare! Sa sempre dove trovare questo o quel pesce, come fare a catturarlo, quanto lontano andare…”
“E’ molto famoso in zona” concordò il ragazzo mangiando la ciambella “E mi hai detto che anche tu hai un cane insopportabile?”
“Sebastian” confermò Ariel “Non mi molla un secondo. Quando sono in casa se cerco di uscire comincia ad abbaiare. Mio padre l’ha addestrato così per evitare che facessi le stesse cavolate delle mie sorelle. Sai, sono sei e le loro cose le hanno fatte anche loro…”
“Il mio si chiama Max” raccontò il ragazzo “Non è cattivo, semplicemente è sempre fra i piedi e non si scrosta un momento. Anche per me è impossibile uscire in incognito” Ariel sbuffò.
“E’ sempre così difficile…” cominciò, ma venne interrotta dal campanellino e da un urletto familiare.
“Ariel!” trillò Aurora, appena entrata nella Dream’s House “Che coincidenza, sapete, mio padre ha trovato Ali proprio in questo posto…” Ariel fece appena in tempo a vedere Jasmine che correva nelle cucine, che Aurora le fu subito accanto “L’hai trovato!” esclamò poi “Mi sono preoccupata, quando ho pensato che non avevi mai visto una sua foto… ecco, questo è Eric!” esclamò con un gran sorriso volgendosi verso il ragazzo moro davanti a lei, che aveva uno sguardo inebetito, come se avesse appena ricevuto una gran botta in testa.
“A – Aurora?” domandò mentre lei gli prendeva dolcemente una mano fra le sue “Cosa… lei è… tua amica?”
“Tu eri…” boccheggiò la rossa.
“Si, ma come, non l’avevi riconosciuto? Non mi dite che non vi siete nemmeno presentati” scoppiò in una risata cristallina “Come siete distratti!”
Ariel non riuscì a codificare ciò che stava provando. Sapeva solamente che era molto strano e non piacevole. Deglutì, si alzò in piedi e li guardò con un sorriso tirato.
“Scusate, ma io devo tornare a casa… se mio padre mi scopre mi fa una ramanzina che durerà secoli… buona serata!” balbettò, per poi dirigersi verso l’uscita.
“Ariel!” esclamò Eric, ma l’urlo si affievolì dietro la porta di vetro. Ariel si strinse nelle spalle, attraversò la strada e si diresse verso casa. Non capiva cosa fosse quella sensazione. Sicuramente non era nulla di buono. Era qualcosa che poteva somigliare alla delusione, alla speranza infranta, o forse era solamente malinconia. Seppe solo che gli occhi si stavano riempiendo di lacrime, e che l’immagine di quel ragazzo spigliato, normale e speciale le stava invadendo la mente. Si passò la felpa sugli occhi per asciugarli e affrettò il passo. Voleva allontanarsi dalla Dream’s House il prima possibile.


Qualche sera dopo Ariel era sdraiata sul letto lanciando noiosamente una pallina sul soffitto e riafferrandola quando rimbalzava. Non trovava nessun divertimento in ciò che stava facendo, semplicemente le serviva per non pensare a Eric. Alana si era resa conto che c’era qualcosa che non andava, ma aveva avuto il buon senso di non chiederle nulla dal momento che la vedeva particolarmente giù di morale. La ragazza era andata a scuola, ma non aveva rivolto quasi parola ad Aurora e a Jasmine, che ridevano e scherzavano tutto il giorno sui rispettivi ragazzi. La mora aveva finalmente trovato il suo Ali che lavorava alla Dream’s House, era stato preso dal proprietario che era passato quasi per caso in polizia e l’aveva assunto. Da quel momento il ragazzo si era dato un gran da fare nel fast food svolgendo tutti i carichi più pesanti. Quando arrivava una consegna era il primo a uscire e quello che portava più pacchi, era l’ultimo a chiudere il locale la notte perché si fermava a pulire tutto meticolosamente e i piatti non erano mai stati più luccicanti. Garth non poteva dirsi più soddisfatto. Quanto a Jasmine, passava spesso da lì prima di tornare a casa, a prendersi qualcosa da bere, e dopo qualche scomoda spiegazione le cose fra i due si erano risolte e ora erano così uniti da sembrare che si dovessero sposare il giorno dopo. Aurora aveva continuato a uscire con Eric, anche se quest’ultimo non era più allegro e divertente come prima, a detta sua, doveva essergli successo qualcosa ma non ne voleva parlare. Aurora lo accettava comunque, era felice di passare del tempo con lui anche se era strano. Doveva essere veramente innamorata.
I preparativi per la festa andavano ancora meglio delle storie delle due ragazze e nonostante il morale di Ariel fosse decisamente sotto i piedi, non poteva fare a meno di essere eccitata per l’avvenimento e non vedeva l’ora di andare. Si era appuntata mentalmente di riuscire a trovare un ragazzo qualsiasi alla festa e voleva ubriacarsi. Non l’aveva mai fatto e non sapeva cosa volesse dire, ma aveva sentito tante volte le sue sorelle parlarne e ne aveva dedotto che serviva a divertirsi. Ma per quanto pensasse ai suoi buoni propositi, non riusciva a capire come potesse esserci sempre quella cattiva nota che non le permetteva di andare fino in fondo… c’era qualcosa che non andava in tutta quella storia.
“Ariel, piantala con quella pallina” la avvertì minacciosamente Acquata “Hai rotto le palle con questo tap – tap. Vai a farlo da un’altra parte”
“E dove, di grazia?” domandò la rossa cinicamente “Il mastino è lì a farmi la guardia”
“Ti faccio uscire, d’accordo? E ti copro anche!” esclamò l’altra al limite dell’esasperazione “Ma ho bisogno che tu la smetta!”
“A questo punto si può fare” concesse l’altra, scendendo le scalette del letto a castello. Si infilò un paio di scarpe da ginnastica che trovò nella stanza, la borsa ancora colma di roba e incrociò le braccia, aspettando che la sorella le desse il via libera. Acquata volse gli occhi al cielo, dopodiché uscì e andò a tenere il cane lontano dalla porta. Ariel uscì facendogli una linguaccia, e si diresse verso la Dream’s House. Era l’unico posto in cui poteva andare a stare tranquilla. Di notte non le piaceva molto stare per strada da sola, sapeva che nonostante Manhattan fosse la residenza dei ricchi non era sicuro per una ragazzina come lei, così preferiva stare in un luogo chiuso.
Quando arrivò al fast food aprì la porta che tintinnò, sperando che non ci fosse Jasmine dentro. Le sue speranze furono ascoltate e Ariel si diresse verso il tavolo che aveva occupato con Eric quando si erano incontrati quella prima volta. Si sedette dov’era lui quella sera, e quando la mora arrivò a chiederle cosa desiderava prese un caffè e una ciambella. Aveva ancora i dieci dollari di quella sera ed era il momento di spenderli. Si sentiva così giù di morale che ne avrebbe spesi anche cinquanta per un po’ di cioccolato, ma doveva assolutamente tirarsi su di morale. Il caffè arrivò poco dopo insieme alla ciambella, e la ragazza cominciò a bere, dopo aver dato il dovuto alla ragazza che le portò il resto. Restò lì per un quarto d’ora pieno, dopodiché si rese conto che qualcuno si era seduto accanto a lei. Si distrasse dai suoi pensieri, quasi cadendo dalle nuvole, e riconobbe davanti a sé Eric. Abbassò nuovamente lo sguardo arrossendo lievemente.
“Cosa ci fai qui?” domandò.
“Potrei chiedere lo stesso a te” rispose lui, ordinando lo stesso di Ariel “Comunque, sono venuto qua per riflettere. Ci sono un po’ di cose che proprio non mi quadrano” lei lo guardò sarcastica.
“Cosa, avere una ragazza ricca quanto bella e brava? Oh, quello quadra tantissimo, altrochè”
“Invece non così tanto” rispose lui, per poi chiudersi nel silenzio. La rossa sospirò chiedendosi il perché di quelle parole senza trovarne una ragione plausibile. Da sempre a scuola loro tre erano abbastanza conosciute fra i ragazzi, specialmente Aurora. Certo, era normale. Aurora era bella, alta, bionda con due magnetici occhi azzurri, vestiva in maniera originale seppur elegante, sapeva ballare, cantare, era un’ottima attrice che partecipava al teatro della scuola, era una campionessa di pallavolo e per anni aveva fatto la cheer leader; come se non bastasse aveva ottimi voti ed era reginetta di tutti i balli della scuola da quando vi aveva messo piede. Non riusciva proprio a capire come un ragazzo potesse non avere le idee chiare con lei. Lei stessa, se fosse stata un ragazzo, avrebbe avuto gli occhi addosso all’amica. Lo guardò per qualche momento, accorgendosi di essere profondamente infastidita dalla sua presenza. Si rese conto che non avrebbe voluto vederlo, che avrebbe dovuto andarsene, lasciarlo stare e non voleva rivederlo mai più. Si alzò appoggiando le mani sul tavolo e finì rumorosamente il caffè.
“Beh, io me ne vado” annunciò. Lui alzò lo sguardo incredulo.
“Non puoi andartene” balbettò. Ariel afferrò la borsa e l’appoggiò a una spalla.
“Voglio proprio vedere come me lo impedirai!” esclamò poi, girando sui tacchi e uscendo quasi di corsa dalla porta. Quando si trovò nell’aria fresca della città di sera, chiuse un momento gli occhi, sentendo un’altra emozione salirle in cuore. Non era proprio convinta di fare la scelta giusta andandosene, ma non voleva proprio essere scoperta dalla sua migliore amica a parlare con il suo ragazzo, né da suo padre che tornava a casa. Sapeva che non erano scuse plausibili, ma non riusciva più a resistere in presenza di Eric, le provocava davvero fastidio vederlo. Si sentiva illusa, trascurata e delusa.
Riaprì gli occhi e si incamminò per la strada, immersa nei suoi pensieri, ma venne fermata poco dopo da Eric, che le aveva afferrato un braccio.
“Ariel, ti prego, non andartene” la pregò con gli occhi carichi di malinconia. Ariel avvertì una fitta al cuore.
“Lasciami” mormorò.
“Non andartene, io volevo parlarti, e quando ti ho vista passare da sola, immersa nei tuoi pensieri, beh…” cominciò lui senza lasciare il suo braccio. Ma la ragazza sentì le lacrime sopraggiungere agli occhi, e non se la sentiva nemmeno di guardarlo.
“Lasciami!” esclamò cercando di strattonare il braccio.
“No!” urlò lui, per poi attirarla verso di sé con un movimento secco, allungare una mano alla sua testa, stringerla e avvicinare velocemente il viso al suo. La baciò.
Ariel era seriamente sconvolta. In primo luogo non avrebbe mai immaginato di dare in questo modo il suo primo bacio. Si sarebbe aspettata un’atmosfera più romantica, più dolce e forse un po’ più elaborata, ma ormai la possibilità era persa. Poi si sentiva totalmente scombussolata. Eric, quel ragazzo meraviglioso con la risata contagiosa e il viso impertinente l’aveva appena baciata. Eric, l’unica persona da cui Ariel avrebbe voluto essere baciata. Si, perché se ne rese conto in quello stesso istante: era innamorata di lui. E al diavolo tutti i suoi pensieri sull’amore a prima vista inesistente, sul colpo di fulmine finto, sull’amore che viene per gradi. Veramente, al diavolo. Lei si era innamorata di Eric nel primo istante in cui l’aveva visto seduto a quel tavolo, dal momento in cui lui le aveva rivolto la parola e quando avevano bevuto caffè e mangiato ciambelle e parlato delle loro vite così simili e così diverse. Ma il terzo pensiero, sopra tutto ciò, fu il più insistente, e fu quello che la spinse ad afferrare con forza le spalle di lui e spingerlo via. Eric stava uscendo con la sua migliore amica. Con la sua ricca e buona migliore amica, con Aurora, che era sempre pronta a fare del suo meglio per gli altri.
Eric venne staccato da lei almeno di un metro dopo la sua spinta, barcollò e la guardò con occhi allucinati.
“Non dovevi farlo” mormorò Ariel, rossa in viso, sfregandosi le labbra con la manica della felpa “Era il mio primo bacio, e tu il ragazzo della mia migliore amica”
“Ma io in realtà… Aurora e io…” balbettò lui, ancora più sconvolto.
“Non voglio vederti mai più” disse lei.
Poi si voltò e corse via, col cuore infranto.


Era un tramonto arancione che illuminava la stanza di Ariel e delle sue sorelle quel sabato pomeriggio e la ragazza era sdraiata sul letto più alto a pancia in giù, il soffitto di vernice grigia sopra la sua testa. Un braccio penzolava giù dal materasso mollemente, insieme ad alcune ciocche di capelli. Erano giorni interi che Ariel aveva spento il suo vecchio Nokia e non lo riaccendeva, giorni che non parlava con le sue amiche e giorni che non usciva di casa, che nemmeno tentava di ribellarsi agli ordini delle sorelle e del padre. Un po’ era arrabbiata con Jasmine e Aurora, entrambe troppo impegnate con i rispettivi ragazzi per potersi occupare di lei, della loro migliore amica che invece per loro c’era sempre stata. D’altro canto non aveva per niente voglia di vederle. La mora le ricordava che aveva la fortuna di essere innamorata e ricambiata, la seconda che aveva colui a cui apparteneva il suo cuore.
Cercava di non pensare a Eric, al suo sorriso, alla sua voce, alla sua semplicità, ma soprattutto cercava di dimenticare quel bacio improvviso che le aveva sconvolto la vita. Ogni volta che pensava che la noia fosse riuscita a togliere i ricordi, ecco di nuovo la sensazione delle labbra sulle sue, delle farfalle nello stomaco, della rabbia e della frustrazione, della felicità e la comprensione dell’amore. Ma sapeva di aver fatto la cosa giusta.
Si, la cosa giusta per gli altri. Sapeva che lo voleva, che voleva prenderselo e godere solo lei della sua risata e dei suoi racconti. E non le importava proprio niente che fosse il fidanzato della sua migliore amica. Insomma, non stavano nemmeno insieme.
Ariel non aveva più messo piede alla Dream’s House. Quel luogo portava male, almeno alle sue amicizie, e nonostante non fosse una persona superstiziosa, il bisogno di trovare un perché agli eventi la resero ostile al fast food in cui una volta avrebbe passato le giornate. Ma ormai non più. E specialmente non a quel tavolo. Quel tavolo maledetto. Quella strada maledetta. Quel maledetto locale!
Qualcuno bussò leggermente alla porta chiusa, e Arista mugugnò qualcosa, avvolta nelle coperte. Era tornata quella mattina senza soldi, piena di lividi e puzzolente di sudore. Si era fatta una doccia e si era buttata a letto. Le sorelle avevano subito capito che era successo qualcosa di brutto, così l’avevano lasciata stare e avevano lasciato che passasse il tempo prima di domandarle cos’era successo. Acquata e Attina quel giorno erano rimaste a studiare all’università, Alana e Andrina lavoravano, Adella era uscita a incontrare presumibilmente il suo ragazzo.
La porta si aprì e ne entrò il vecchio Tritone, con la solita tuta con cui si vestiva per andare a lavorare. Ignorò la figlia dormiente e salì le scalette per andare a sedersi accanto ad Ariel. Tritone era un uomo grande e grosso, decisamente imponente, con grandi spalle muscolose e forti mani callose. I suoi occhi verdi erano sormontati da folte sopracciglia ormai grigie come la lunga barba ben curata. La guardò un momento malinconicamente, e Ariel ricambiò lo sguardo, poi le fece un buffetto su una guancia.
“Cosa succede alla mia piccola Ariel?” domandò con voce profonda e leggermente roca. La ragazza sospirò.
“Niente” rispose lei nascondendo il viso. Il padre le carezzò i capelli dolcemente. Quando lei si girò i suoi occhi erano velati dalla tristezza. La guardò per un lungo momento in cui la rossa si sentì in colpa per aver detto che non aveva niente.
“C’è la tua amica Aurora in salotto. È venuta a parlarti” disse lui tranquillamente. Ariel spalancò gli occhi.
“E tu l’hai fatta entrare? Ma lei… lei è una ricca”
“Non m’importa chi è ricco oppure no, bambina” disse con un sorriso malinconico il Tritone “A me non è mai importato. So solo che i ricchi a volte fanno più facilmente male alle persone che i poveri. Volevo preservarti dal male” Ariel trattenne il respiro “Non voglio perderti, piccola mia, ecco perché ti ho tenuta segregata in casa per tutti questi anni. Non voglio che tu te ne vada via come fanno i pesci, quando si accorgono di essere in trappola. La tua amica è venuta per parlare con me e poi con te. Mi ha chiesto di persona se puoi partecipare alla sua festa questa sera. Io ho accettato” Ariel lo guardò senza crederci “Vai, bambina, e divertiti” mormorò carezzandole una guancia, poi si voltò e scese le scalette.
“Papà!” esclamò Ariel prima che lui raggiungesse la porta della camera “Papà, non è vero che non ho niente. E’ che io…” gli occhi del Tritone si illuminarono, mentre lui alzava una grande mano zittendola.
“Non importa, bambina. Non importa. Non sentirti in colpa. Se vorrai, ne parlerai al tuo vecchio Tritone quando ti sentirai pronta. Fino ad allora, sappi che ti starò sempre accanto, piccola mia. Ti voglio bene” mormorò. Poi aprì la porta e uscì. Ariel rimase a fissare la vernice bianca e la maniglia che sbattevano ripetutamente contro lo stipite, udì la porta dell’appartamento chiudersi e seppe che il padre era uscito.
Si sentiva frastornata da quell’ultima chiacchierata. Non avrebbe mai pensato che al padre in realtà non importasse nulla dei ricchi o dei non ricchi. Scese velocemente la scaletta, si infilò un paio di scarpe da ginnastica e andò in salotto, dove Aurora la stava aspettando, grattando le orecchie al mastino Sebastian. Quando la sentì entrare si voltò e la guardò per un lungo momento.
Ariel vide con chiarezza che gli occhi della sua migliore amica erano velati, che erano leggermente rossi, che piccole gocce erano ancora impigliate nelle lunghe ciglia scure. Capì che Aurora aveva pianto. Le si precipitò incontro, la abbracciò forte. L’amica la strinse, fece un singhiozzo ma non si lasciò andare nemmeno per un momento. Le due amiche si guardarono.
“Ho provato a chiamarti migliaia di volte” le disse la bionda. Ariel estrasse il telefono dalla tasca della felpa e lo accese. Sullo schermo arrivò l’avviso di quattrocentonovantacinque chiamate dell’amica, e si sentì veramente uno schifo. Non ebbe nemmeno il coraggio di chiederle scusa per la sua mancanza. Aurora alzò le spalle, le fece un sorriso tirato, poi le consegnò la busta che aveva fatto lei stessa, rosa antico con una scritta più scura sopra. Sei invitato alla grande festa di Aurora Reale!. Annuì.
“Vengo. Mio padre mi ha dato il permesso” mormorò. Gli occhi di Aurora si illuminarono per un istante, per poi tornare velati. Poi si strinse nelle spalle cercando di sorridere, i capelli biondi a boccoli le ricaddero sulla schiena.
“Allora, ti va di andare a fare un po’ di shopping?” domandò. Ariel infilò le mani nelle tasche dei jeans tirando la stoffa fuori come simbolo.
“Non ho niente”
“Pago io.” Ariel non si era mai fatta offrire niente che andasse oltre un panino e scosse la testa ma smise quando vide l’espressione dell’amica “Ti prego” disse infatti. La rossa fece un lungo sospiro.
“Va bene. Ma niente Gucci, Prada e quella roba lì. Non l’accetto” l’amica le sorrise, la prese a braccetto e la scortò fuori dall’appartamento.


Il viaggio fino al centro commerciale fu silenzioso. Aurora non sembrava in vena di parlare, mentre Ariel non ne aveva il coraggio. Capiva che all’amica fosse successo qualcosa di brutto, ma se non le avesse parlato non le avrebbe tirato fuori nulla. In fondo, doveva sentirsela. In fondo al cuore, però, sentiva che in realtà voleva parlarne proprio a lei, perché fare un’uscita solo loro due? Perché andare a casa sua? Ariel si vergognava profondamente del trilocale in cui vivevano in otto, soprattutto davanti a una persona ricca come Aurora. Aveva qualcosa da confidarle, e presumeva che in questo qualcosa centrasse proprio lei. Quando arrivarono al centro commerciale per cercare i giusti abiti e accessori erano ancora in silenzio. Entrarono in un negozio in cui si diresse subito Aurora, che cercò di scherzare un po’ dando qualche abito ad Ariel, poi entrarono entrambe nelle cabine a provarsi vestiti su vestiti. Dopo almeno cinque cambi entrambe convennero che Ariel doveva assolutamente prendersi un abito verde di raso che enfatizzava i seni un po’ scarsi della ragazza e che era stretto in vita, in modo da fasciarle i fianchi magri. Aurora era indecisa fra tre diversi abiti, e dopo esserseli provati uno dopo l’altro per almeno tre volte, ne scelse uno rosa e azzurro fasciante, in raso ma largo sulla gonna, sotto la vita, con uno stile un po’ anni trenta. Le stava d’incanto. Quando uscirono dal negozio si sedettero su una panchina nel corridoio mangiandosi una cialda insieme. Dopo poco Aurora finalmente parlò.
“Volevo parlarti. Sono giorni che vorrei parlarti ma sei irraggiungibile” disse. Ariel si sentì in colpa per l’ennesima volta quel giorno e rimase in silenzio, aspettando che l’amica proseguisse. La bionda fece un sospiro, come se stesse aspettando una risposta senza averla ottenuta, poi proseguì “Ho rotto con Eric, sai. Qualche giorno fa mi ha detto che chiaramente non facciamo l’uno per l’altra. Io non potrò mai capire la situazione in cui si è trovato da piccolo, si sente inferiore quando è con me e via dicendo” concluse guardando a terra, mentre la rossa le lanciò un’occhiata di soppiatto “Si, ci sono stata male, ma proprio mentre mi diceva quelle cose mi è venuto in mente che in realtà stava dicendo un po’ quello che avresti potuto dire tu a un ragazzo ricco, così mi sono anche ricordata di quella sera in cui vi ho trovati alla Dream’s House e delle facce che avete fatto quando mi avete vista… insomma, si, mi piaceva molto. Ma non ti chiedo di dirmi perché mi hai rubato il ragazzo, Ariel.” Aurora si protese e afferrò le mani dell’amica nelle sue. E quando la guardò vide che gli splendidi occhi azzurri erano carichi di lacrime “Non te lo chiedo perché lo so già: siete voi che siete fatti l’uno per l’altra, non certo io e lui. Non ti chiedo nulla, è giusto che le cose vadano così. Volevo solo sapere se potresti perdonarmi per non aver capito” Ariel si sentì definitivamente l’ultimo rifiuto sulla faccia della terra. Non solo era stata sua la causa per cui i due si erano lasciati, non solo Aurora le stava chiedendo perdono per averli ‘ostacolati’, ma lei era anche felice della notizia. Si staccò bruscamente dalle mani dell’amica, poggiandosele in grembo “Non mi perdonerai…?” gemette Aurora.
“Vaffanculo” le disse Ariel, per poi fissare lo sguardo in quello dell’amica preoccupata “Vaffanculo davvero. Io non l’avevo nemmeno riconosciuto quella sera, e me ne sono innamorata pazzamente. L’ho rincontrato qualche sera dopo, ha detto che c’era qualcosa che non quadrava fra te e lui. E poi mi ha baciata, ma io l’ho spinto via perché volevo lasciarti la strada libera, volevo che tu fossi felice. E dopo che io mi sono addirittura innamorata del tuo ragazzo, tu mi chiedi perdono?” Aurora sembrò all’istante più sollevata.
“Ti voglio, bene, Ariel” disse poi “Troverò anche io il ragazzo dei miei sogni”. Le due amiche si abbracciarono, promettendosi fra le lacrime che non avrebbero più avuto segreti l’una per l’altra. E così fu.


La sera della festa Ariel ricevette i complimenti di tutte le sorelle. I capelli di fuoco erano rimasti sciolti, dello stesso colore delle labbra, gli occhi azzurri erano enfatizzati da un perfetto trucco grigio e nero che li cerchiava; l’abito verde le stava alla perfezione, le fasciava il corpo come un’amante, le scarpe rosse, con un tacco a onda, le chiudevano dolcemente le caviglie con un cinturino. Le sue unghie erano accuratamente laccate di rosso, in contrasto con l’abito e con la pochette di luminosi brillantini viola. Due orecchini dello stesso colore della borsetta facevano capolino fra i capelli, e il gioiello che le scendeva sul petto era a forma di stella marina. Il padre stesso l’accompagnò alla festa di Aurora.
Quando arrivò rimase davanti al cancello per smistare gli invitati, salutando gentilmente, piena di trepidazione in attesa di Eric, che aveva promesso che sarebbe venuto, e rimase a bocca aperta quando vide Christopher Leroi, lo scapolo più ricco d’America, arrivare alla festa con sottobraccio la ragazza più bella che Ariel avesse mai visto: ancora più bella di Aurora stessa. Era la ragazza che avrebbe dovuto vincere i vari premi a scuola ma che aveva lasciato il posto alla sua seconda, la sedicenne, e li seguì con lo sguardo mentre si incamminavano verso l’enorme villa dell’amica.


Quando fu abbastanza certa che tutti gli invitati fossero arrivati, Ariel decise di dirigersi verso la casa dell’amica, per salutarla e chiederle come andava ma anche per trovare Eric. Si inoltrò fra la folla, salutando gente a destra e a manca. Incontrò nuovamente i due bellissimi Christopher e Cindy che uscivano dalla cucina per mano, ridendo. Vide Aurora che rideva con degli invitati e decise di non disturbarla. Salì le scale con fatica, sgomitando. Voleva trovare Eric. In tutta quella caoticità non si rese conto che aveva aperto la porta di una camera da letto e si bloccò a occhi e bocca spalancati, quando vide sul letto Jasmine e Ali che si girarono verso di lei e cominciarono a urlare. Chiuse la porta di botto e si appoggiò un momento alla parete per riprendere fiato. Non era proprio ciò che avrebbe voluto vedere. Continuò la sua ricerca, ma di Eric nemmeno l’ombra. Quando scese di nuovo al pianoterra e passò dal salottino venne attirata da uno strano odore e si avvicinò a un gruppetto di persone che stavano fumando davanti al camino. Li guardò un momento, cercando di riconoscerli. Fra loro c’era una ragazza dai lunghi capelli neri, che non era sicura di conoscere. Guardò gli altri, e contò sette sconosciuti che si passavano una strana sigaretta odorosa e una ragazzina dai capelli scuri e dalla pelle bianca come la neve che sedeva in mezzo a loro. Non capiva cosa stessero fumando. Guardando più attentamente si rese anche conto che in mezzo a loro c’era una polverina bianca che uno dei sette uomini stava dividendo con uno specchietto rotto. Mentre stava cercando di ricordare dove avesse già visto una cosa del genere qualcuno le afferrò i fianchi, Ariel si girò e sorrise quando si ritrovò il viso simpatico e impertinente di Eric.
“Sei arrivato!” esclamò, dimenticandosi di odori strani, polverine e ragazze dai capelli scuri “Ti ho aspettato fin’ora!”
“Scusa il ritardo. Ti va di scambiare due parole?” Ariel annuì e lo seguì fuori dalla porta di casa. Il ragazzo non le tolse un secondo gli occhi di dosso e lei si sentì davvero fiera di se stessa, di com’era vestita e di come si era presentata alla festa. Lo seguì in giardino, per un vialetto che si inoltrava nel bosco. Sorpassarono ridendo alcune coppie in atteggiamenti chiaramente hot e una ragazza che urlava sotto un ragazzo, e arrivarono in una zona tranquilla. Lì si sedettero sotto un albero. Rimasero alcuni minuti in silenzio, poi Eric estrasse dalla tasca della camicia bianca un pacchetto di sigarette, lo aprì e ne offrì una ad Ariel, stupendosi quando lei accettò e ne infilò una fra le labbra. Le porse l’accendino, e quando aspirò, Ariel si sentì bruciare la gola e il fumo scendere verso i polmoni. Eric sbuffò un po’ di fumo dalle labbra, poi la prese per mano.
“Quella sera volevo davvero baciarti” ammise poi “Perché mi hai cacciato?”
“Perché stavi con la mia migliore amica, e non si bacia il ragazzo della migliore amica” rispose Ariel serissima. Eric scoppiò a ridere.
“Vi volete proprio bene, eh?” Ariel gli mostrò il suo bracciale. Era identico a quello delle altre due, citava in ciondoli differenti le parole ‘Best Friends Forever’, e lei aveva la parte del per sempre.
“’Best’ ce l’ha Aurora, perché ovviamente lei è la migliore fra noi tre” spiegò “E’ la più onesta, la più buona, la più bella e la più brava a scuola. La parola ‘friends’ ce l’ha Jas perché lei è la colla del gruppo. A volte io e Aurora litighiamo perché io sono troppo irruenta e lei invece è troppo gentile, e Jasmine è quella che ci accomuna e ci fa ragionare. E io ho la parte del ‘forever’, perché io ci sarò per sempre per loro, anche quando penseranno di no. Ecco perché ti ho spinto via. Perché per prima cosa ci sono Aurora e Jasmine, per sempre.” Eric la guardò sorpreso e ammirato.
“E’ un bellissimo significato” commentò.
“Si” confermò la rossa “E se vai a vedere, la festa di questa sera era per me. Perché non ne potevo più di essere l’ultima del gruppo, la meno conosciuta dalla gente, la meno considerata solo perché mio padre non guadagna quanto i loro. E quando l’ho proposto, Aurora è stata subito pronta ad accettare la proposta per farmi felice. E infatti è una bellissima festa”
“Si, hai ragione” concordò lui “Sei bellissima con questo vestito”
“Grazie. Anche tu stai bene in camicia” Eric fece una smorfia e scoppiarono insieme a ridere. Mentre ridevano, videro due ragazzi che passeggiavano insieme da quelle parti, e decisero di tornare verso la festa.
Il loro proposito si rivelò più difficile del previsto, perché il bosco era grande e non riuscivano a ritrovare il sentiero. Quando lo avvistarono, la pochette di Ariel vibrò e lei estrasse il vecchio Nokia. Era Jasmine.
“Pronto?” rispose subito “Dimmi tutto”
“Ariel” biascicò Jasmine “C’è qualcosa che non va. Io credo… io credo che la festa sia andata fuori controllo.” Ariel lanciò un’occhiata allarmata a Eric, e accelerarono il passo verso la villa.
“Fuori controllo? Cosa intendi dire?” domandò Ariel cominciando a preoccuparsi.
“Fuori controllo… nel senso che quando sono uscita dalla camera con Ali c’era il putiferio” disse velocemente “C’erano ragazzi ubriachi da tutte le parti, gente che urlava… sembrava ci fosse una rissa”
“Una rissa?” le fece eco la rossa.
“Si, sai, gente intorno che urlava…” si spiegò la mora “Ma non era così. Non c’era nessuna rissa… c’era una ragazzina mora nel salottino… una piccola, ha appena quattordici anni, così abbiamo letto nella carta d’identità… oh, Ariel, non ti puoi immaginare!”
“Cos’è successo?”
“L’hanno stuprata. Ed erano in sette”


Se Ariel si era sentita in colpa per la faccenda di Eric e Aurora, in quel momento si sentiva veramente il verme più terribile dell’universo. Alla festa che l’amica aveva organizzato per lei tutto era andato male, e la ragazza se ne accorse quando arrivò senza fiato dalla corsa sui tacchi ondulati davanti alla porta d’entrata. C’erano ragazzi e ragazze che uscivano in massa dalla casa, altri che discutevano in piccoli capannelli, altri ancora che correvano a destra e a manca cercando amici e chiamandoli, cercando di riunirsi per andarsene il prima possibile. Le uniche due parole che Ariel capì in tutto quel marasma furono ‘polizia’ e ‘ambulanza’, e tanto bastò per farle capire che era accaduto davvero qualcosa di grave. Si affrettò controcorrente, seguita da Eric preoccupato quanto lei, e mentre rientravano incrociarono Christopher e Cindy, quest’ultima che stava urlando due nomi: Anastasia e Genoveffa. Ariel non si chiese nemmeno chi erano. Non si ricordava assolutamente niente e la sua mente era focalizzata solo sul trovare Aurora. Quando riuscì a entrare nella casa si strinse contro il muro con Eric vicino, per non essere portati via dalla folla. Con lo sguardo cercò il salottino e la ragazzina, e la vista fu terribile.
Una ragazzina con il viso ancora da bambina, alta un metro e sessanta scarso, con una pelle bianchissima e dei capelli scurissimi era sdraiata a terra, fra le poltroncine, seminuda. Il suo abitino giallo, stretto sotto il seno da un fiocco, scendeva ormai disordinatamente lungo i fianchi ormai nudi, le gambe diafane erano spalancate e non si muovevano. L’abito, la ragazza e il pavimento erano sporchi di sangue. Lì intorno c’erano filtri di sigarette, una polverina bianca, foglioline e altri liquidi acquosi o meno sul pavimento. Intorno a lei non c’era nessuno, ma tutti scappavano fuori dalla porta, spaventati dall’arrivo della polizia.
Ariel non era certo il tipo da lasciare qualcuno nei guai, nemmeno se non lo conosceva. Si avvicinò alla ragazzina a grandi falcate e avvicinò l’orecchio alle sue labbra arrossate, cercando di capire se stesse respirando. Si rese subito conto che era molto grave. L’aria usciva a ritmo irregolare e flebilmente dal naso e dalla bocca semiaperta. Guardò Eric, e lui l’aiutò a metterle la testa all’indietro, sperando di liberarle le vie respiratorie. Il ragazzo allungò una mano sul collo scoperto della ragazza e attese qualche lunghissimo secondo, poi guardò Ariel terrorizzato.
“Batte?”
“Troppo poco”
“Falle il massaggio” ordinò la rossa sconvolta, lasciandosi cadere seduta su una poltroncina “Io non ce la faccio” il ragazzo annuì e cominciò a spingere fra i seni della ragazza a spinte regolari, concentrato. Ariel nel frattempo estrasse il cellulare dalla borsetta e chiamò Aurora.
“Dove sei?” le chiese subito la bionda.
“Sono nel salottino con la ragazza. Chi è che ha chiamato l’ambulanza e la polizia?” domandò Ariel preoccupata, guardando il soffitto per non permettere alle lacrime di scendere. Era in ansia. Totalmente in ansia.
“Meno male che ci sei tu!” esclamò l’amica “Io sono bloccata di sopra, si è creata una coda incredibile… e dov’è Jas?”
“Non lo so, mi ha chiamata prima ma non l’ho più vista!” esclamò Ariel con voce stridula, sempre più in ansia “Dobbiamo fare qualcosa, questa qua sta morendo e io non ho idea di cosa possa fare… Eric le sta facendo il massaggio… è in condizioni… assurde”
“Sto arrivando” disse Aurora con decisione “Tu chiama Jas, io cerco di fare il più veloce possibile”.
Ariel non aspettò un secondo ad eseguire l’ordine dell’amica bionda, chiuse la chiamata e digitò in fretta il numero di Jasmine. Lanciò un’occhiata fuori dalla finestra e scorse delle luci blu e rosse che si alternavano sulle case davanti e sulla strada, insieme all’ululato delle sirene della polizia e dell’ambulanza. Jasmine rispose.
“Dove sei, Ariel?!” esclamò, senza fiato.
“Sono nel salottino con Eric e la ragazza…” diede un’occhiata al ragazzo, che la guardò con disperazione.
“Non respira!” esclamò terrorizzato “Non respira, porca puttana, non ha più battiti!”
“Dov’è la polizia?!” gridò Jasmine nella cornetta del telefono “Ariel sto arrivando, ero di sotto al buffet! Sto arrivando, te lo giuro… Ariel, dille di non mollare!” la conversazione si spense e Ariel, presa dal panico, lanciò il cellulare sotto una poltrona e si avventò sulla ragazzina, tirandole un paio di ceffoni ben assestati.
“Non mollare, porca puttana!” gridò. Mani forti l’afferrarono tirandola indietro, mentre un mucchio di gente vestita d’argento fosforescente si accumulava intorno alla ragazza. L’unica cosa che Ariel riuscì a pensare fu ‘pronto soccorso’. Il capannello di uomini issò la ragazzina su una barella fosforescente quanto le loro tute, parlando concitati fra loro e impartendosi ordini a vicenda. ‘Fate piano’, ‘fate in fretta’, ‘muoviamoci, cazzo’. Ariel si guardò intorno spersa, cercando Eric con lo sguardo, e lo vide addossato al camino, che guardava la scena sconvolto. Un poliziotto si girò verso di lei e la guardò un secondo.
“Chi è questa ragazzina? La conosci?” Ariel scosse la testa, continuando a fissare il capannello di persone che si faceva largo fra la folla e usciva con la ragazzina a cui avevano messo una mascherina per l’ossigeno. Forse è salva, pensò stupidamente.
“Ariel!” esclamò una voce conosciuta, e Ariel alzò lo sguardo sulla scala.
Aurora stava scendendo in fretta, sgomitando. Il suo abito era strappato e i suoi capelli scompigliati. Zoppicava e la rossa ipotizzò che avesse perso una scarpa. La ragazzina stava urlando cercando di farsi spazio scendendo dalle scale. Urtò un ragazzo, che pestò il piede a un altro che cominciò a urlare. Questo si girò totalmente rosso in faccia e sferrò un pugno al ragazzo che Aurora aveva urlato. La ragazza non finì in mezzo per uno scalino. Si stava facendo strada il più veloce possibile, ma ancora le mancava una buona metà scalinata.
“Di chi è questa casa, ragazzina?” domandò un poliziotto. Ariel non riusciva a distogliere lo sguardo dall’amica bionda che era sempre più stretta fra la gente, e cercò di fare un passo per andarle incontro. Sapeva che Aurora aveva bisogno di un’amica in quel momento, e dove diavolo era Jasmine? Perché non potevano affrontare il problema insieme? Il poliziotto si mise in mezzo e la prese saldamente per le spalle, scuotendola violentemente. Ariel si girò a guardarlo come stordita, senza capire come mai l’avesse strattonata in quel modo. “Allora, mi vuoi dire di chi è questa casa?” domandò di nuovo bruscamente.
“Devo andare da Aurora” esclamò in faccia al poliziotto “Mi faccia passare! Devo andare dalla mia migliore amica!”
“La lasci andare!” urlò Eric, che era trattenuto da un altro poliziotto “Ariel!” tese il braccio allo spasmo verso di lei, ma il poliziotto che lo tratteneva era deciso a non farlo passare. Eric bestemmiò ad alta voce, alzando di scatto il ginocchio e assestando un forte colpo fra le gambe dell’uomo, che si piegò in ginocchio, tenendosi il cavallo dei pantaloni fra le mani giunte. Eric fece uno scatto e raggiunse Ariel, abbracciandola, ma lei si divincolò.
“Devo andare da Aurora!” urlò lei, con il viso ormai rigato dalle lacrime “Non ce la farà mai da sola!” il ragazzo cominciò una furiosa battaglia con il poliziotto, ma la rossa era in mezzo e non riusciva ad andarsene. Il suo sguardo venne di nuovo attirato dall’amica, che involontariamente aveva causato una rissa. I ragazzi sulle scale si erano messi a tirarsi pugni a vicenda, e altri poliziotti stavano entrando in casa, cercando di fermare l’orda di ragazzi che si riversavano sulla strada e di fermare la rissa. Un coraggioso si lanciò nella mischia, ma ne fu risputato urlante qualche secondo dopo, con il naso e la bocca inondati di sangue, raggomitolato in posizione fetale a terra.
Eric alzò un braccio e tirò un pugno che Ariel evitò lanciandosi a terra dove c’erano i pezzi di specchio rotti, che le ferirono le ginocchia nude. Non se ne curò e appoggiò a terra anche le mani, gattonando fuori dalla mischia fra il poliziotto ed Eric. Ma quando provò ad alzarsi le ginocchia cedettero e lei cadde pesantemente in terra. Si aggrappò a un decoro nel muro, si alzò in piedi e cercò di trovare Aurora con lo sguardo, ma la sua amica era sparita.
“Aurora!” urlò “Jasmine!” ma nessuna delle due rispose. Scrutò la scalinata in cerca dell’abito rosa e azzurro dell’amica, o della sua chioma bionda che si stagliava lucente fra la folla ma non la vide.
Poi, all’improvviso, l’abito strappato, Aurora si fece largo fra la folla, uscendone indenne. Sbucò fuori da due ragazzi che si stavano picchiando malamente, e barcollò qualche secondo prima di ritrovar l’equilibrio. Si guardò un momento intorno, vedendo la confusione che si era creata. Nonostante fosse lontana, Ariel nel suo sguardo lesse paura, dispersione, incomprensione e terrore. Aurora non era nel suo ambiente con tutto quel casino. Non lo era quanto se stessa e Jasmine, e lei si sentiva come un pesce fuor d’acqua. Cercò di alzare un braccio per farsi vedere, ma lo abbassò subito quando una fitta di dolore la cose. Diede un’occhiata all’avambraccio, scoprendolo ferito e sanguinante. Ma non demorse. Lo alzò di nuovo.
“Aurora!” urlo con quanto fiato aveva in gola “Aurora, sono qui!” la bionda si girò e la vide, e i suoi occhi si rasserenarono per un momento. Fece due passi lunghi per raggiungerla, ma proprio in quel momento entrò di corsa una pattuglia intera di poliziotti che cominciarono a urlare e a minacciare con pistole e il caos crebbe.
Ariel perse nuovamente Aurora fra la folla. Urlò. Ma i poliziotti non si fermarono vedendo che ormai il caos era diventato totale. Alcuni ragazzi correvano fuori, altri cercavano di scendere dalle scale, altri di risalire. Qualcuno finì quasi dietro la ringhiera delle scale, ma qualcun altro lo riafferrò. Ma Ariel guardò con terrore la scena che le sarebbe rimasta impressa nella mente per tutta la vita, come un fotogramma infinito.
Uno spintone solo, da qualcuno che era scivolato sulle scale. Un vaso di marmo in posizione precaria cadde. Si infranse contro il muro della scala, ma pezzi più o meno grandi schizzarono da tutte le parti. Sangue schizzò dappertutto. E fu allora che Ariel vide Aurora. Era proprio lì vicino, che si era girata spaventata sentendo il fracasso del vaso che si rompeva. E un pezzo di almeno venti centimetri la colpì dritta in fronte.
Aurora cadde a terra e non si mosse più.
Ariel urlò e cercò di correre verso di lei, ma cadde a terra quasi subito, senza riuscire a muoversi. Nella caduta sentì l’urlo di Jasmine, alto contro il suo. La ragazza stava cercando di entrare dalla porta principale, ma un poliziotto lottava contro lei e Ali, cercando di tenerli fuori dalla casa. La ragazza avvertì un altro gemito, e girandosi vide in maniera annebbiata Eric che cadeva a terra dopo una spinta del poliziotto.
Riguardò Aurora, e la disperazione prese il sopravvento.
Svenne.











NdA: ciao a tutti! Com'è questo capitolo? Vi è piaciuto? :D Si lo so è un po' drammatico. Scusate. In realtà non so se ho reso molto Ariel com'è nel film (per prima cosa è povera), ma almeno il carattere spero di averlo azzeccato almeno un po'... mi sono molto divertita a scrivere di Sebastian in versione cane e dell'impossibilità della ragazza a dichiararsi non per la mancanza di voce, ma per mancanza di possibilità, data la lealtà con Aurora... che è stata la "Vanessa" di turno anche se in realtà è buona. Anche descrivere il mondo dei ricchi che nel film era quello degli umani è stato un po' complesso, in realtà non sapevo se sarebbe uscito bene ma alla fine mi è piaciuta come idea. Tritone volevo fosse proprio così anche se è più malinconico. Il finale è un po' tragico! Ditemi la vostra :) Ah, quasi dimenticavo! Grazie mille a petitecherie, Elelovett, sissyl e _BriciolaElisa_ per aver commentato ^^ Prossimo capitolo su Belle! :D
Nymphna <3

   
 
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