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Autore: itsjjoy    24/10/2012    2 recensioni
HTML della storia in revisione!
2018. Adam è sposato con Sauli, abita a New York e sta per adottare un bambino. Ma dopo 5 anni, Isaac torna a bussare alla sua porta e gli dice solo 3 parole: ‘è per Tommy’. Questo basta per far correre Adam a Burbank da quel ragazzo che già una volta gli aveva fatto riconsiderare tutte le proprie convinzioni e l'aveva cambiato da cima a fondo, e chissà che non l’avrebbe fatto ancora. La storia di due anime gemelle che la vita ha portato ad incontrarsi per poi separarsi ancora e di quel loro legame irrimediabilmente indissolubile che li porta, dopo essersi rivisti, ad un percorso di riscoperta di sé stessi, dei propri sentimenti, delle proprie passioni e delle proprie priorità. Un percorso difficile fatto di debolezza, ostinazione, rifiuto, fiducia, speranza, pentimento, affetto, perdono e accettazione; un percorso che forse non li porterà a tornare quelli di prima, a riavere indietro ciò che avevano, ma certamente li cambierà nel profondo.
[Adam/Tommy; Adam/Sauli; Isaac/Sophie]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Adam Lambert, Isaac Carpenter, Tommy Joe Ratliff, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: Bright Light
Autore: itsjjoy
Fandom: RPF Adam Lambert
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico
Tipologia: Long Fic
Conteggio Parole: (capitolo) 3151
Pairing/Personaggi: Adam Lambert/Tommy Joe Ratliff; Adam Lambert/Sauli Koskinen
Rating: Giallo
Avvertimenti: Slash, Het, What if?, OOC
Note: Ehm, ecco, chiedo umilmente perdono per l'infinito ritardo :(
Spero che il capitolo vi piaccia lo stesso :(










07 A Loaded Smile






Adam chiuse gli occhi e fece un respiro profondo.
Doveva solo smettere di piangere; solo respirare con un ritmo regolare, aprire gli occhi e fingere che tutto andasse bene. Bastava non pensarci.
Stupido, stupido, stupido, stupido.
Quegli occhi vuoti e bui, quei polsi troppo magri, quella stretta calda... perché era andata così? Aveva sbagliato, tutta colpa sua, sua e dei suoi schifosissimi dubbi. Aveva un terrore folle di soffrire, ecco cosa, e invece di affrontare la paura era scappato come chi rinuncia a vedere il mondo perché ha paura dell'aereo. Aveva combattuto per chiudere una porta destinata a stare aperta ancora a lungo e nel tentativo vano di serrarla brandelli di ciò che c'era dall'altro lato erano rimasti lì con lui, ad aumentare il senso di nostalgia. Perché? Sarebbe bastato correre da Tommy e dirgli tutto, e lui l'avrebbe abbracciato e gli avrebbe detto che non aveva nulla da temere, perché il loro amore non sarebbe finito mai. Non ci credeva, Adam. 'Stronzate', pensava. E moriva dentro.
Era arrivato a quel punto in cui non riusciva più ad ascoltare una sola parola di Tommy senza sentirsi irrimediabilmente irritato all'idea che lo stesse prendendo in giro. Quasi odiava quella sua espressione serena e felice quando erano insieme, quello stronzo credeva di poter giocare con i suoi sentimenti a quella maniera? Si capiva che di lui non gliene fregava nulla, non era geloso, non gli faceva scenate, accettava di buon grado le sue stranezze, i suoi difetti e le sue stupidaggini e non faceva una piega quando Adam lo ignorava per prestare attenzione ad uno stupido qualsiasi che aveva appena incontrato. Il cantante ci aveva riflettuto a lungo e le ragioni di quel comportamento potevano essere solo due: la prima, a Tommy di lui non importava proprio nulla, non nutriva nessun tipo di interesse nei suoi confronti e stava solo aspettando di trovare qualcuno di interessante con cui sostituirlo; la seconda, lo amava così tanto che accettava qualunque prezzo pur di poter stare con lui. Dato che nessuno è così masochista da amare a quella maniera, Adam aveva considerato impossibile la seconda opzione. Aveva sbagliato.
Continuava a pensare a quanto si fosse comportato male il giorno in cui l’aveva lasciato, a quante bugie e cattiverie gli aveva detto. Voleva far pagare a Tommy qualcosa che lui non aveva mai fatto o pensato, qualcosa che era accaduto solo nella sua testa, figlio della paranoia. E gliel'aveva fatto pagare per bene, questo era certo, lo aveva fatto pentire di averlo mai amato. Questo soltanto perché pensava troppo, perché insisteva a fidarsi solo del proprio cervello, perché ignorava gli strepiti di quel cuore impotente, che se ne stava lì e si dibatteva nella gabbia naturale che era il suo petto, cercando di far udire la propria voce ad un padrone sordo ai propri sentimenti e ad un raziocinio che valutava inutile il suo contributo.
Negli occhi chiusi vide ancora una volta le labbra screpolate e pallide di Tommy che si muovevano esitanti, mormorando una supplica: 'Non te ne andare...'
Ancora una volta era stato sordo, sordo a quella voce quasi impercettibile che proveniva dritta dal baratro dal quale Tommy guadava la vita; forse era per questo che era un sussurro tanto flebile, perché arrivava da lontano, dal fondo di quell'abisso e sebbene Tommy urlasse con tutta l'aria che aveva nei polmoni, spesso ciò che diceva non arrivava neanche all'orecchio dell'ascoltatore più attento. Si era sforzato di farglielo sentire, Tommy, dal fondo del burrone aveva urlato fino a restare senza voce, eppure lui l'aveva ignorato, non aveva capito, non aveva voluto vedere.
Ma adesso, volente o nolente, comprendeva perfettamente Tommy. Adesso sentiva il pavimento sprofondare sotto di sé e non poteva scappare, perché il pavimento non si stava muovendo, era lui a precipitare in sé stesso.
Aveva smesso di piangere, adesso c'era solo il dolore sordo e amaro dentro di sé, a morderlo e consumarlo, a scavarsi la strada attraverso le sue interiora, dai polmoni al cuore, allo stomaco, fin nelle gambe.
Guardò lo schermo del cellulare nella vana speranza di vederlo illuminarsi per un sms di risposta da parte di Isaac. Anche un 'vaffanculo' sarebbe bastato, anche sapere che Tommy adesso di lui non voleva saperne più nulla, sarebbe bastata qualunque cosa, ma non arrivava nulla. Perché? Toccava a lui soffrire adesso? E se toccava a lui, significava che almeno Tommy stava bene? Anche senza di lui? E se lo era, a lui faceva piacere?
No, non era contento. Non sarebbe mai stato felice della serenità di Tommy, non se quella serenità esisteva senza di lui: non lo era mai stato e non lo sarebbe stato mai. Mentiva a se stesso se credeva di essere mai stato davvero bene senza di lui. Mentiva a se stesso come aveva sempre fatto, per non affrontare le proprie paure, per sentirsi padrone della propria vita. Ed era lì che aveva sbagliato, ed errore dopo errore, bivio dopo bivio, si era allontanato sempre di più dalla propria felicità.
La rabbia contro se stesso gli ruggiva nello stomaco troppo vuoto, e tutto quello che voleva era provare dolore, dolore fisico, intenso e persistente, così forte da farlo urlare, e voleva provarlo fin quando non avesse sentito più nulla, fin quando non ne fosse morto.
La pioggia iniziò lentamente a battere contro i vetri e il vento prese a soffiare più forte. L'autunno era arrivato davvero, pensò Adam, di soppiatto durante la notte, mentre la città dormiva, quasi non volesse essere colto sul fatto. Ma lui l'aveva visto:  portava con sé la pioggia, il vento, il freddo e la malinconia. E lui non aveva fatto nulla per impedirgli di entrare nella sua vita e di lavare via il sole estivo dalla sua pelle; anzi, l'aveva accolto con un silenzioso sorriso complice, e lo aveva accompagnato con le proprie lacrime.

–   –   –   –

“Avevi ragione, papà. Su di me, su Tommy, su Sauli, su tutto. Avevi ragione.”
Fu per puro caso che il finlandese passò davanti la porta di Adam e lo sentì pronunciare quelle parole, in lacrime.
Il dolore e la rabbia assalirono il suo corpo prima ancora che ne avesse la consapevolezza, prima ancora che realizzasse cosa significava ciò che aveva sentito. Ma quando il suo cervello elaborò il senso di quelle frasi, quando lo stupore lasciò definitivamente spazio a dolore e rabbia, la sua reazione fu così violenta, così disperata che dovette praticamente ficcarsi un pugno in bocca per non mettersi ad urlare e per non buttare giù una parete a mani nude. Sapeva cosa ne pensava Eber di lui, sapeva che suo suocero non lo odiava, ma sapeva anche che era convinto che Adam avesse sbagliato anche solo a considerare l'idea di stare con lui. Aveva finito per accettarlo, perché lui aveva torto, e se non voleva accettare il loro amore non erano certo affari suoi! Lui ed Adam erano fatti l'uno per l'altro, o almeno ne era convinto fino a pochi istanti prima.
Si fermò ad ascoltare ancora, per masochismo, o forse perché quel miscuglio amaro di collera e amarezza lo teneva inchiodato a terra e lo privava di qualunque sforzo di lucidità.
“Sì... sì, sono un codardo, lo so. Non avrei mai dovuto sposare Sauli, non lo amo, non l'ho mai amato. Gli voglio solo tanto bene. Ho solo fatto sì che soffrissero entrambi. E Tommy... è... è distrutto. Mi sento così in colpa, papà...”
Non volle ascoltare oltre, il suo cuore non avrebbe retto e il suo stesso corpo già non reggeva più. Voleva prendere a pugni il muro finché le nocche non gli si fossero consumate, voleva piangere, urlare, ed insultarlo; invece, corse semplicemente via, in silenzio, quasi alla cieca, fuori dalla porta, dalla casa, dal giardino, dalla strada, e poi continuò a correre, e se Dio fosse esistito neanche lui avrebbe saputo dove era diretto.
Dolore, dolore cieco. Lacrime su lacrime, e singhiozzi, e disperazione nera. Aveva buttato la propria vita, gli anni migliori, i più felici, li aveva passati accanto a qualcuno che non aveva fatto altro che mentirgli. Come aveva potuto essere così stupido? Aveva rinunciato a tutto, famiglia, amici, la sua casa, i suoi ricordi, i posti a cui più era legato, la sua camera, i suoi vestiti, il suo giardino, si era privato di tutto, e perché? Per chi? Uno stronzo che non lo amava, che gli voleva solo “tanto bene”? Vomitò in un vicolo buio, non sapeva dov'era, né quanto tempo fosse passato, e pareva si stesse preparando un altro temporale, ma che importava? Cosa importava più?
Adam, Adam, Adam, lo amava e lo odiava così tanto. No, non lo odiava, odiava Tommy. Se lo avesse avuto tra le mani, se solo l'avesse avuto tra le mani! Avrebbe scontato anche l'ergastolo per essere sicuro che quell'essere non avesse mai più suo marito. Perché era suo marito, non di quel bugiardo scroccone.
Chi c'era stato accanto ad Adam, sempre e comunque, con la pioggia e con il sole, quando era felice e quando era triste? Certo non Tommy. Lui era a casa propria a deprimersi, a quanto pareva. Sauli, invece, era sempre stato lì. Aveva rinunciato alla propria vita per lui, ed ora scopriva che Adam non l'aveva mai amato? L'aveva preso in giro? Tutto quel tempo?!
Pianse, pianse, pianse, e quando ebbe finito pianse ancora. Di rabbia, di tristezza, di dolore, di nostalgia per la sua amata Finlandia, di rimpianto per non aver mandato a fanculo Adam quando era ancora in tempo, pianse e prese a pugni il muro. Diede un calcio ad un cestino e lo rovesciò, inciampò e si tagliò sulla gamba con una bottiglia rotta; lasciò che il sangue scorresse a macchiare l'asfalto ancora bagnato di pioggia. Avrebbe portato profonde cicatrici per tutta la vita, non fuori ma di certo nel cuore. E in fondo le desiderava, quelle maledette cicatrici, le voleva tutte, dentro e fuori, e voleva che anche Adam le avesse, ovunque, e che le ferite di Tommy, se vere, non si rimarginassero mai.
Ma alla fine qualcuno passò da quelle parti. Gli chiesero come si fosse ferito, che ci facesse lì, perché non avesse chiamato un ambulanza, se aspettava qualcuno, ma lui non rispose. Non voleva che facessero nulla, e provò a dirlo, ma pensarono che fosse delirante; provarono a vedere se aveva la febbre, poi chiamarono il 911. Qualcuno gli portò della stoffa in cui stringere la gamba per contenere l'emorragia. La tenne stretta come gli dissero ed aspettò l'ambulanza. Si fece tirare su e collaborò con i medici. Raccontò cosa era successo. Ma gli sembrava di osservare se stesso compiere quelle azioni dall'esterno, come se fosse un altro. Non gli importava. Non importava ad Adam, non importava a nessuno, perché avrebbe dovuto importare a lui?

–   –   –   –

Stavano tornando a casa.
Adam guidava, le mani salde sul volante, gli occhi fissi sulla strada e una fredda espressione concentrata. Non aveva detto una parola da quando si erano visti.
Lo avevano chiamato dall'ospedale appena Sauli era entrato al pronto soccorso e si era recato lì in fretta. Aveva parlato con i dottori, ascoltato le loro raccomandazioni e preoccupazioni e si era preso la responsabilità di portarlo di nuovo lì quando sarebbe dovuto tornare a rimuovere i punti. Era stato gentile, disponibile e sorridente, ma con Sauli non aveva parlato affatto; l'aveva a stento guardato in faccia.
Sembrava avercela con lui. Il suo risentimento, la sua rabbia – o qualsiasi cosa lo spingesse a non parlargli e a trattarlo freddamente – era così intensa che Sauli poteva sentirla semplicemente standogli accanto; e non era piacevole. C'erano centinaia di cose non dette nello spazio tra loro, tutte stipate in quello stretto abitacolo, e poi c'era la propria rabbia a rendere il tutto ancora più soffocante, insopportabile. Adam ce l'aveva con lui? E cos'avrebbe dovuto dire Sauli? Come avrebbe dovuto stare lui? Chi aveva maggior diritto di essere arrabbiato lì?
Il biondo abbassò il finestrino affinché l'aria gli soffiasse direttamente sul viso, fredda e tagliente, un vero sollievo. Con gli occhi socchiusi osservò la strada che scorreva, le auto che andavano nel senso opposto, la gente che passeggiava sui marciapiedi, un uomo d'affari che saliva in un taxi, una madre che teneva per mano le sue due bambine, dei turisti che scattavano fotografie a tutto, una giovane coppia che girava tenendosi la mano.
Ma, tempo alcuni secondi, ed Adam chiuse il finestrino sbuffando infastidito.
“C'è l'aria condizionata accesa.” borbottò, senza guardarlo e senza staccare lo sguardo dalla strada neanche per un secondo. Sauli spostò il proprio sguardo su di lui, lentamente. Prese un respiro profondo, poi due, poi tre. Non doveva attaccarlo. Doveva stare calmo.
Adam strinse il volante sempre più forte, fino a che le sue nocche sbiancarono, e la sua espressione si fece sempre più contratta, innaturale. Le mani iniziarono a tremargli, e sembrava pronto ad urlare, o in alternativa a piangere, ma non rallentò.
“Si può sapere che cazzo ti è passato per la testa?!” sbottò, il tono di voce alto ma controllato, con uno sforzo evidente di cui Sauli si rese conto solo sentendolo parlare. Iniziò ad avere paura e, non sentendolo rispondere, Adam accelerò, tremando appena più intensamente.
“Adam, rallenta, ti prego...” mormorò Sauli, sempre più spaventato, mantenendosi al sedile e guardando davanti a sé con gli occhi sgranati.
“'ADAM RALLENTA' UN CAZZO! SPIEGAMI COSA DIAMINE TI PASSAVA PER LA TESTA, COSA CI FACEVI FUORI CASA, QUANDO SEI USCITO, PERCHÈ E PER QUALE MOTIVO NON MI HAI AVVERTITO!”
Sauli si strinse ancora più forte al sedile, chiudendo gli occhi, e sperando solo che si calmasse. Cos'era quello? Senso di colpa, paura, gelosia, preoccupazione, ansia...? Da cosa dipendeva tutta quella rabbia? Perché Adam ce l'aveva con lui?
“Io... stavo facendo jogging...” iniziò, sussurrando, sperando che se gli avesse risposto forse sarebbe riuscito a farlo calmare; si sbagliava. Adam non rallentò, scoppiò invece in una risata senza allegria.
“Ha piovuto, la strada era scivolosa e faceva freddo, non fai mai jogging con giornate così. Non mi hai avvertito prima di uscire, ma cosa ancora più rilevante, Sauli... indossavi i jeans. Mi hai preso per stupido?!”
Erano oramai quasi arrivati a casa. Sauli fece un respiro profondo, mentre la sua mente lavorava velocemente per trovare una scusa plausibile.
“Ero nervoso e preoccupato per te, sono uscito a prendere una boccata d'aria. Pensavo a te e mi sono perso, non sapevo dove fossi. Poi sono inciampato su quella bottiglia. È stata solo sfortuna...”
Adam continuava a tremare, ma stavolta sembrava decisamente più vicino alle lacrime che ad uno scatto d'ira, e lui voleva semplicemente che tutto finisse. Non aveva alcuna intenzione di dirgli la verità. Non voleva parlare di ciò che aveva sentito, né confessare di averlo fatto, perché non voleva affrontarlo, non aveva la forza per farlo. Non voleva lasciarlo, ma gli faceva schifo l'idea di restare con lui. Lo amava, non aveva mai smesso, ma odiava quello che gli stava facendo. Lo amava e soffriva, e non sapeva fare altro che soffrire. Avrebbe potuto capire Tommy, se solo avesse voluto.
Invece ciò che Sauli avrebbe voluto era semplicemente smettere di provare sentimenti per lui. Solo quello. Cancellare tutto quell'amore che gli stringeva il cuore in una morsa, sfuggirgli, ucciderlo per non esserne ucciso. Ma non si può smettere d'amare una persona perché ti ferisce: magari fosse così semplice. Una persona la si ama e basta, e spesso non si smette mai di farlo. Si continua a provare amore nonostante tutto, anche quando ogni cosa è finita, andata, marcita. E si muore dentro.

–   –   –   –

“Cosa hai sentito?”
Fu un mormorio, quello di Adam, a stento udibile nel silenzio della stanza.
Sauli si voltò a guadarlo: gli dava le spalle, sommerso dalle coperte fino alla testa, e probabilmente fissava quelle poche schegge di luce che filtravano dagli infissi chiusi. Probabilmente stava piangendo, di nuovo.
“Di che stai parlando, Adam?” Sauli mormorò piano. Non aveva sentito nulla, non voleva aver sentito nulla, e fin quando non avrebbe fatto chiarezza dentro di sé avrebbe finto di non aver sentito nulla. Se ne avessero parlato ora, Sauli non era sicuro di riuscire a prendere la cosa con la giusta razionalità. Anche perché dubitava esistesse un modo razionale di prendere la cosa.
Ma a quanto pare ad Adam l'idea di aspettare non piaceva.
“Mi hai sentito parlare con mio padre, non è così?” gli domandò, voltandosi a guardarlo. Aveva gli occhi gonfi ed arrossati di pianto ed il dolore negli occhi.
Sauli non riuscì a mentirgli. Annuì. Forse avrebbe chiesto scusa, chissà, avrebbe invano tentato di smentire quelle parole, almeno ci avrebbe provato.
“Mi dispiace per quello che ho detto, ma è la verità.” mormorò invece Adam, chiudendo gli occhi e sospirando di sollievo, come privato di un grosso peso.
Sauli perse il controllo. Lui ci aveva provato a tenerselo dentro, ad aspettare che tutta quella rabbia si raffreddasse, che il dolore scemasse, ma Adam, lui non gliene aveva dato il tempo.
“Vaffanculo.” sibilò. “Vaffanculo.”
Cosa ne voleva sapere lui della sofferenza? Cosa aveva lui da piangere? Aveva solo distrutto la sua vita. Gli aveva solo dato un'illusione di cui vivere e poi gliel'aveva sottratta brutalmente. Cosa credeva? Che tutti fossero delle merde insensibili come lui?
“Mi hai mentito su tutto, Adam. In tutti questi anni, non hai fatto altro che illudermi, te ne rendi conto? Non una sola parola che mi hai detto era vera. Sai cosa vuol dire per me?” iniziò Sauli, cercando inutilmente di trattenere la furia, e quasi ringhiando le sue parole, seduto sul bordo del letto, la testa tra le mani.
“Ti ho detto delle cose che per me erano vere, Sauli, le pensavo davvero mentre te le dicevo! Solo che adesso ho capito... ho capito che mi sbagliavo...” si giustificò il moro, mettendosi seduto, allungando una mano a sfiorargli la spalla. Voleva consolarlo?
Sauli sfuggì al suo tocco e si alzò in piedi di scatto, come bruciato.
“E credi che per me voglia dire qualcosa?” urlò, praticamente in lacrime. “Credi che mi faccia stare meglio? Ho vissuto in un'illusione! Tu mi hai illuso! Adam, so che non riesci a capire, ma io ho abbandonato la mia vita per te, per ciò che provavamo, per la nostra storia insieme, per la nostra vita insieme. Ho sopportato tutti i tuoi difetti, ho accettato tutte le tue stranezze, mi sono fatto forza da solo quando tu non c'eri al mio fianco e non te l'ho mai rinfacciato. Non ti ho mai rinfacciato nulla. Ti amo, Adam, o almeno credevo di farlo. Credevo in noi. È questo quello che ottengono le persone che ti amano? Merda?
Mi hai rovinato la vita, Adam. Non te lo perdonerò mai.”
Con questo, semplicemente andò via. Si chiuse dietro quelle maledette porte, si chiuse dietro quella maledetta vita.
Non voleva vedere Adam.
Mai più.













   
 
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