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Autore: frodina178    21/06/2004    2 recensioni
Ampiamente ispirato al libro e al film "I Diari della Motocicletta"di Che Guevara.Due amici,un continente,una motocicletta e tanto tempo per pensare.
Genere: Avventura, Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dominic Monaghan, Elijah Wood, Orlando Bloom
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nota: premetto che sono stata costretta, per colpa di terzi(Marty, un giorno ti brucio quel cd…o___O), a scrivere questo capitolo con la "musica" di Eminem in sottofondo, cantante che poco cordialmente disprezzo, quindi non so bene cosa sia venuto fuori.

Nota2: anche questa parte è stata contrassegnata con il rating NC17 esclusivamente per la durezza d'alcune immagini descritte.

Zaire - Kamina - day 26/27

Orlando sollevò un poco la testa, cercando di capire da che parte provenissero le urla. Sembrava si avvicinassero sempre di più, seguite dal rimbombo di un motore. In meno di un minuto una jeep sbucò spedita, da una strada che convergeva nella piazzetta dov'era seduto. Al primo impatto poteva sembrare una scena abbastanza comica: tre ragazzi, più uno sistemato alla guida, erano in piedi nel veicolo scoperchiato, brandivano ognuno una bottiglia, sputavano a destra e a manca, cantando e urlando a squarciagola. Il fuoristrada era stato dipinto di un verde militare, lo stesso colore delle magliette che i giovani indossavano. Capire le loro parole, per Orlando, era impossibile, sia perché erano in portoghese sia perché non s'impegnò nemmeno troppo a farlo. Era troppo demoralizzato e ubriaco per poter prestar loro un minimo d'attenzione, così si ricoprì il volto con le mani, appoggiandosi allo schienale della panchina.

Dominic camminava spedito, aveva sentito il rumore di un motore, e immediatamente si era nascosto dietro un cassonetto dell'immondizia. Si sentiva un imbecille ad avere reazioni così esagerate, ma non poteva fare a meno di pensare alle parole dell'albergatore: non vorrei trovarmi a frugare nelle tasche di un cadavere per avere i miei soldi. Lo avevano colpito più di quanto lui stesso volesse dare a vedere, anche se, in fondo, nutriva la speranza che l'uomo avesse semplicemente voluto prendersi gioco di lui. Purtroppo non poteva rischiare, preferiva risultare ridicolo che incorrere in rischi inutili. Non appena il rombo fu abbastanza lontano, si sollevò sbattendosi la camicia nera, nel tentativo di scrollare i moscerini che si erano appiccicati nell'attesa. Mentre cercava con lo sguardo Orlando, la sua mente era proiettata verso Samantha, verso quello che stava per fare. Quella ragazza doveva veramente amare suo fratello, poche persone avrebbero agito così. Lui stesso, se qualcuno si fosse comportato in quel modo, non avrebbe avuto remore a dargli la benedizione e a cancellarlo definitivamente dalla sua vita. Ma forse non poteva capire, anzi n'era sicuro. Come non riusciva a comprendere il comportamento dell'amico; sperò con tutto se stesso di riuscire a farlo in seguito. Gli era chiaro il prima, ovvero i motivi che avevano spinto Orlando a lanciarsi in quest'impresa, e tanti altri piccoli particolari, ma non riusciva a focalizzare il dopo. Non poteva immaginarsi l'evolversi di questa situazione, e nemmeno voleva farlo. Non c'entrava, non era che una pedina, forse importante per lo sviluppo del gioco, ma non fondamentale per dare lo scacco matto al re. Il problema era che non vi erano due squadre, niente giocatori, vinti o persi. Solamente due ragazzi, un fratello e una sorella, che cercavano di riparare il loro rapporto. Perché questa era l'unica cosa a cui si poteva auspicare. Ormai Orlando la cazzata più enorme della sua vita l'aveva fatta, non c'era possibilità di tornare indietro. Bisognava solamente salvare il salvabile, Dominic non avrebbe potuto fare più di tanto, e nemmeno si voleva intromettere.

L'inglese intuì che la jeep si era fermata, come si erano spente le urla. Ora regnava solamente il silenzio. Solamente quando riaprì gli occhi, che aveva chiuso dalla stanchezza, realizzò che l'automezzo era proprio davanti a lui. I quattro giovani lo fissavano incuriositi, con dei sorrisetti ambigui dipinti sui volti. Orlando li fisso a sua volta, chiedendosi cosa mai volessero da lui.
-Posso aiutarvi?- esordì, asciugandosi con una manica una lacrima che aveva versato qualche secondo prima, incurante del far vedere questo gesto.
-Poverino… -piagnucolò sarcastico uno -…sta piangendo…dillo…dillo allo zio Tobia cosa ti turba…-.
Naturalmente Orlando non capì una sola parola, e nemmeno il tono beffardo con cui era stata pronunciata la frase.
-Mi dispiace…non parlo portoghese… -sorrise dolcemente, credendo si stessero preoccupando per lui -..sto bene, grazie…- si accompagnò con dei gesti mimici, intuendo che nemmeno loro parlassero la sua lingua.
Il giovane sistemato al volante accennò una risata, tirò su con il naso e spalancò bruscamente la portiera. Gli altri tre seguirono in silenzio i suoi movimenti, aspettando il momento, o il segnale, per agire. Il ragazzo, con una lentezza estenuante, compì il giro dell'intera jeep, infilandosi le mani in tasca con noncuranza e calciando qualche sassolino con i piedi.
-Allora…-parò infine, posto proprio davanti ad Orlando, ancora seduto, confuso -Cosa ci fa un bel giovincello come te solo soletto di notte? Ti ha mollato la ragazza? Forse il tuo amichetto là sotto ha deciso di andare in vacanza?-.
I tre, ancora in piedi sul veicolo, scoppiarono a ridere, mentre l'inglese lo guardava senza capire.
-E dimmi…- riprese a camminare in circolo, questa volta intrecciando le dita dietro la schiena e assumendo un'espressione concentrata -Lo sai, per caso, in che guai ti stai per cacciare?- cominciò a fischiettare un motivetto.
Orlando stava male, stava veramente male. L'alcool, che in lui raggiungeva l'apice del suo effetto solo un bel po' dopo essere stato bevuto, iniziò a creargli dei forti giramenti di testa, e una terribile nausea. Non voleva essere scortese, ma non aveva la minima voglia di comprendere cosa gli stessero dicendo o cosa stesse succedendo. Così si alzò e fece per andarsene.
-Scusatemi, ma io ora proprio…- non riuscì a terminare la frase, perché il ragazzo che poco prima gli stava parlando, gli si parò velocemente davanti, respingendolo con poca grazia a sedere sulla panchina.
-Oh, ma che cazzo…?- Orlando si risollevò di nuovo, venendo, però, nuovamente buttato bruscamente indietro.

Dominic dovette convenire di essersi perso, era stato uno stupido a non darsi dei punti di riferimento mentre avanzava alla cieca. Cosa ancora più grave del suo smarrimento, era il mancato avvistamento dell'amico. Non era certo che non avesse ascoltato il messaggio di Samantha, che lo avvertiva della morte della madre, così temeva potesse fare qualche insana cretinata. Conoscendolo non che ci fosse molto da temere, però quella situazione non era nemmeno lontanamente paragonabile a quelle che avevano precedentemente vissuto insieme. Averlo accanto gli avrebbe trasmetto più sicurezza e tranquillità, invece si sentiva invaso dall'inquietudine, e da una bruttissima sensazione di disagio. Si grattò la punta del naso, rigirandosi nervosamente uno dei vistosi anelli che portava sulle dita, guardandosi intorno.

-Stai buono, vecchio mio…- lo sconosciuto gli sorrise ipocrita.
Orlando era completamente disorientato, lo sconvolgeva non riuscire a capire cosa stesse succedendo. Il fatto d'essere ubriaco fradicio certo non lo stava aiutando.
-Senti… -respirò forte, tentando di ricordarsi le poche parole in portoghese che aveva sommariamente studiato su un dizionario, nei giorni in cui Dominic era stato ricoverato in ospedale- Io parlo solo inglese, non intendo quello che…-.
Il ragazzo scoppiò a ridere, seguito immediatamente dagli altri tre, che intanto erano scesi dalla jeep, brandendo nelle mani oggetti non bene identificati.
-Non credere che non me lo aspettassi… - l'estraneo si piegò fino a sfiorargli quasi la fronte con il proprio petto, parlando in perfetto accento nord americano- Ma così c'è meno gusto…-.
-C'è meno gusto per cosa?- sospirò Orlando, massaggiandosi la fronte. Cominciava ad essere veramente stufo, questi tizi si stavano prendendo troppa confidenza. Inoltre lo avevano preso in un momento poco prospettabile e non indicato per una tranquilla conversazione.
-Dimmi…ma sei realmente così rincoglionito oppure vuoi proprio congedarmi?- si fece serio il suo interlocutore.
L'inglese, stanco oltre ogni immaginazione, scocciato e nervoso, non aveva la minima voglia di proseguire il discorso, che sapeva tanto di provocazione. Ma non ebbe nemmeno il tempo di alzarsi per andarsene, che un violento schiaffo lo colpì sulla guancia destra. Istintivamente afferrò con forza il braccio del suo aggressore, guardandolo con rabbia e stringendo forte con le dita.
-Sei impazzito?- vociò fuori di testa.
Lo sconosciuto lo fissò prima negli occhi, quindi fece scivolare lo sguardo sul braccio che Orlando stava comprimendo.
-Mi sa che qui il pazzo sia proprio tu…- dette queste parole, qualcosa colpì la nuca dell'inglese, che lasciò la presa, barcollando qualche passo indietro, portandosi una mano sulla testa. Il colpo era stato prepotente, gli si era annebbiata la vista, mentre la mano destra tremava involontariamente.
Il ragazzo che lo aveva percosso con un manganello, si stava osservando impegnato le unghie, mentre con un piede seguiva il ritmo di una musica inesistente.
-Secondo me… -disse uno, portandosi vicino a quello che appariva, a tutti gli effetti, il capo della squadra- E' frustrato perché la sorella si è messa a fare la puttana prima che potesse fottersela per bene…-.
L'altro si grattò il mento, pensieroso, quindi pronunciò
-Secondo me è figlio unico, si vede che è viziato… -sorrise- A mio parere, è uno schifoso finocchio di merda…tu che ne dici?- si rivolse ad un ragazzo, che fino a quel momento era stato zitto, un po' in disparte. Quello allargò le braccia, facendo intendere che non aveva opinioni sulla questione.
-Sai… -riprese il leader, avvicinandosi ad Orlando, che era crollato di nuovo sulla panchina, ancora intento a massaggiarsi la nuca- Ti dobbiamo proprio ringraziare, è stata una notte un po' fiacca…grazie alla tua gentile apparizione avremo modo di rifarci, non è vero ragazzi?- alzò la voce, diretto ai suoi compagni. Questi si limitarono a sorridere complici, schioccando le nocche delle dita nel silenzio della notte, probabilmente per fare scena.

Quello che Dominic vide da lontano non lo rassicurò per niente: una jeep, probabilmente quella che l'aveva superato prima, era fermo in una piazza. I suoi occupanti erano scesi, disposti quasi a cerchio intorno a qualche cosa, che intuì essere una panchina. Non riuscì a scorgere se, su quella, vi fosse seduto qualcuno, ma era palese, altrimenti non avrebbero avuto motivo di porsi in quella maniera. Si nascose dietro un edificio, sbirciando nascosto dallo spigolo. Stavano parlando, ma non capiva cosa dicessero. Uno dei ragazzi sollevò una mano, colpendo la sua vittima in faccia. Questa si alzò furente afferrandolo per un braccio. Gli si fermò il respiro, quando realizzò che l'importunato era proprio l'amico. Ebbe l'istinto di lanciarsi in suo aiuto, ma si bloccò in tempo; non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione. Prese a mordicchiarsi nervosamente le unghie, era la prima volta che si trovava in una simile situazione, e non sapeva come comportarsi. Stupidamente non si erano informati su quale fosse il numero della polizia locale, pensando non ne avessero avuto bisogno. Quando Orlando venne colpito violentemente alla nuca, trattenne un grido: dalla prepotenza con cui era stato sferrato il colpo, si stupì del fatto che non fosse svenuto.

-Allora?- gridò ridendo uno degli aggressori- Avete intenzione di continuare questa piacevole conversazione o vogliamo arrivare al sodo?-.
Uno dei giovani fece il giro della jeep, trafficando nel cruscotto e prendendo da quello una bustina. Ne rovesciò cautamente il contenuto sul muso del veicolo, formando pressappoco una striscia bianca. Quindi si chinò, si chiuse una narice e aspirò forte. Ebbe qualche secondo di stordimento, in cui dovette appoggiarsi al cofano con le mani, respirando profondamente con gli occhi chiusi. Si mise un dito nella narice, armeggiando un poco, quindi proclamò
-Vi dispiace se comincio io?-
Il leader, si prostrò in un sarcastico inchino, facendogli spazio per avvicinarsi alla vittima del momento. Orlando aveva seguito la scena e l'ultimo scambio di battute, avvenuto in portoghese, trattenendo il respiro, senza nemmeno accorgersene. La luminaria, nella piazza, era molto diffusa, così non ebbe particolari difficoltà a leggere l'espressione completamente esaltata, dalla crudeltà e dalla droga, del suo aggressore. Questo lo afferrò per una caviglia, strattonandolo violentemente e facendolo scivolare sdraiato per terra. L'inglese, immediatamente, fece per alzarsi e reagire, ma fu spinto nuovamente sul terreno, da una pedata nello stomaco. Emise un gemito e si raggomitolò su se stesso, abbracciandosi lo stomaco con le braccia, e stringendo i denti allo scopo di soffocare il dolore. L'aggressore sorrise soddisfatto. Lanciò un'eloquente occhiata ad un compagno, facendogli capire che poteva accomodarsi. Un altro ragazzo si mise allora al suo posto, osservando Orlando dall'alto, con espressione schifata.
-Mi piace la tua camicia!- proferì. Si abbassò, facendolo voltare supino. Gli strappò i bottoni uno per uno, fino a mostrare il suo petto al cielo.
-Oh…- si portò una mano alla bocca, sarcasticamente dispiaciuto- Cosa ho fatto! Mi dispiace…scommetto che l'avevi pagata tanti soldi…aspetta dai, ti do una mano…- allungò un braccio, facendogli segno di aggrapparsi a lui, per rialzarsi. Orlando, che non vedeva altra alternativa, gli afferrò il polso, facendosi sollevare per forza di inerzia. Quando fu in piedi, però, la gentilezza dell'estraneo scomparve all'improvviso. Gli lacerò la camicia con poche mosse, facendo poi cadere i brandelli a terra, emulando una nevicata.
-Ops…scusami di nuovo…ho idea che tua madre dovrà darsi molto da fare per rammendartela, questa volta…-.
-A meno che…- rise un altro- Non sarà troppo impegnata a farsi sfottere dal figlio!-.
L'inglese era ancora abbastanza lucido per capire questo corto scambio di battute. Purtroppo l'alcool, l'agitazione, la stanchezza e lo sbigottimento non gli permettevano di coordinare i suoi pensieri e le sue azioni.
-Questo non lo dovevi dire… -strinse i pungi-…lurida testa di cazzo…- si scagliò conto il ragazzo che aveva pronunciato le ultime parole, venendo però facilmente bloccato da una altro, che lo fermò colpendolo una seconda volta alla testa con un manganello. Orlando crollò a terra senza sostegno, storcendosi un braccio e sbattendo con violenza il setto nasale, che cominciò a sanguinare copiosamente. Non ebbe nemmeno il tempo di realizzare il dolore, che un'ulteriore pedata lo trafisse allo stomaco, provocandogli un prepotente conato di vomito, che non si preoccupò di trattenere. Boccheggiato qualche istante, lasciò che la sua bile gli colasse dalla bocca. Questa reazione sembrò provocare l'ilarità dei giovani, che ne sembrarono addirittura incoraggiati.

Dominic si stava torturando le unghie, al punto da giungere a mordere la carne. Stava piangendo, anche se non se n'accorgeva. Era talmente agitato che non riusciva a muoversi, avrebbe voluto correre immediatamente in soccorso dell'amico, ma non ci riusciva. Stava lì, come un ebete vigliacco, a guardare la scena, al culmine dell'apprensione. Non gli venne nemmeno in mente di prendere il cellulare, telefonare a qualcuno perché s'informasse in fretta del numero che avrebbe dovuto chiamare.

-Dai! - allargò le braccia scocciato uno- Sei patetico! Non ci si può divertire con te! Su alzati!- afferrò Orlando sotto le ascelle, sollevandolo. Lui era ancora cosciente, anche se aveva gli occhi socchiusi e ciondolava debolmente la testa.

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Canterbury

-Non ci pensare nemmeno, Samantha! Ora smettila, rimetti le cose al loro posto!-.
La ragazza nemmeno lo ascoltò, continuando imperterrita a riempire la sua sacca, stipando vestiti e altri oggetti alla rinfusa, pigiando per riuscire a fare altro spazio.
-Porca troia! Ma sei per caso impazzita del tutto? Sarà ben capace di badare a se stesso!-.
-No!- si bloccò lei, avvicinandosi furiosa al suo fidanzato- No che non lo è, William! Se lo fosse non ci sarebbe bisogno di questo- indicò la sua valigia- Vorrei che lo capissi! E vorrei anche che capissi che, tra perdere lui o perdere te, non avrei dubbi sulla mia scelta! Tu mi stai facendo uno stupido ricatto, e io non ci sto. Questa è la mia vita, non la tua!-.
-Ma io faccio parte della tua vita!- sbraitò il ragazzo, afferrandola per le braccia, scuotendola.
-Non lo so, non lo so più…- il suo tono si fece più mormorato- Io non pretendevo che mi capissi, questo no, sarebbe stato troppo…però speravo che mi avresti sostenuto…-.
-E' quello che sto facendo, Samantha! Ma non posso farlo nel modo che vuoi tu!-.
-Eppure credo- alzò di nuovo la voce lei- Che qui tu non mi stia assecondando in niente! Non è dei tuoi baci che ho bisogno adesso, mi danno fastidio le tue carezze! Riesci a capirlo? Mi fanno male, non le voglio!-.
-Allora dovrei assecondarti in tutto e per tutto? Andare dietro alle tue follie e alle tue crisi?- urlò.
Lei lo fissò diritto nelle palle degli occhi, mormorando, prima di rigirarsi verso la sua sacca
-Sì…era proprio questo quello di cui avevo bisogno…-.
William si mise le mani tra i capelli, sospirando varie volte; non riusciva a capire proprio niente, come tutti del resto. Quella ragazza era decisamente strana, ed era anche per questo che se n'era innamorato, però ora il suo comportamento stava rasentando la follia. Era anche vero che non poteva, o meglio, non riusciva, ad entrare nella sua mente, a scoprire quali pensieri l'attraversassero la notte. Erano giorni che non facevano l'amore, e questo poteva facilmente superarlo, anche se era stato sin dall'inizio palese che, colonna portante della loro storia d'amore, era il coinvolgimento fisico. Però le sue follie avevano cominciato a degenerare, l'aveva persino trovata la notte, in quella che era la camera della madre, seduta la bordo del letto, che rideva e scherzava, come se la donna si fosse trovata sdraiata di fronte a lei. Non mangiava praticamente niente, se guardava la televisione le veniva una crisi isterica, aveva smesso di frequentare le lezioni e di coccolare la sua gatta. Non si faceva una doccia da giorni, ormai, e lui non aveva avuto il coraggio di dirle che il suo odore era diventato molto sgradevole. Non rispondeva alle telefonate delle amiche, si pettinava i capelli con un'assiduità paranoica, la notte dormiva poco o niente, mentre il giorno lo passava seduta sul divano a fissarsi le unghie dei piedi. Erano passati solamente cinque giorni dalla morte della madre, eppure sembrava trascorsa un'eternità. William si era praticamente trasferito a casa di Samantha, sopportando parenti ipocriti e visite d'amici che simulavano dispiacere, solo per non fare la figura degli insensibili.
(Mi dispiace per tutte le fans d'Orlando, che sicuramente saranno più informate di me. Mi è stato fatto presente che la ragazza non ha diciotto anni, ma molti di più, però ormai la frittata l'ho fatta, quindi, per favore, consideratela una licenza letteraria…nda).

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Zaire - Kamina

Mentre uno lo teneva sollevato, passandogli gli avambracci sotto le ascelle, un altro prese la mira, sferrandogli un potente pungo, che lo colpì direttamente in bocca. Il dolore si propagò attraverso tutti i nervi, giungendogli come una scarica elettrica al cervello. Tentò senza troppo zelo a divincolarsi, ma la presa era troppo forte, e lui era troppo spossato. D'istinto alzò una gamba, calciando nel vuoto. A questa sua mossa tutti risero, canzonandolo con parole poco gentili.
-Ehi voi!- una voce dall'alto- Lasciate subito quel povero ragazzo!- una donna si era affacciata alla finestra.
-Oh, buon giorno signora! Ben svegliata!- fece uno salutandola con una mano- Vuole che venga a farle visita? Oltre alle gambe le allargherò anche la mente!- simulò lo sparo di una pistola con due dita.
-Guardate che chiamo la polizia!- continuò lei, senza però dare segni di volersi muovere dalla sua postazione.
I tre ragazzi guardarono il leader, che sorrise cinicamente. Questo si spostò, portandosi al posto di guida, allungando un braccio e armeggiando nel cruscotto. N'estrasse un portafogli, quindi s'incamminò fino ad arrivare sotto la finestra della donna.
-Sarò felice di venire in suo soccorso!- urlò mostrandole per bene un distintivo- Può chiamarmi commissario, se vuole, anche se non bado molto al formalismo!-.
Lei fece un'espressione alquanto schifata, sembrò indecisa qualche istante, poi sparì all'interno, chiudendo velocemente vetri ed imposte. Il ragazzo scoppiò a ridere, ritornando dai suoi compagni.

Dominic, sebbene non avesse potuto vedere cosa avesse mostrato, non fece fatica a capire. Effettivamente non c'era niente di strano, la polizia, in quel paese, ma pensò poi che non c'era molta differenza tra stato e stato, era forse la parte più coinvolta in certe faccende. Non si preoccupò, in ogni modo, d'indagare se quello che il giovane avesse dato ad intendere corrispondesse alla realtà o meno. Doveva immediatamente fare qualcosa per tirare Orlando fuori dei pasticci, altrimenti sarebbe finita male, molto male.
Fortunatamente, si fa per dire, alla fine la faccenda terminò abbastanza "bene". I quattro si limitarono a qualche calcio e pungo, poi lo spogliarono completamente. Forse perché non era nero, forse perché, dalla faccia, appariva vagamente "uno di loro", forse perché…di motivi ce ne sarebbero stati molti, fatto sta che dopo averlo picchiato, spogliato completamente, derubato ed umiliato se ne andarono, tranquillamente, come se no ci sarebbero state conseguenze alla loro deplorevole azione. Appena la jeep fu abbastanza lontana, Dominic prese a correre, più veloce che riusciva, verso l'amico, che stava disteso, nudo a terra, lamentandosi.
-Cazzo Orlando!- non sapeva dove mettere le mani. Si accorse, con enorme sollievo, che il sangue sopra il suo corpo, derivava solo ed unicamente dal naso e da una ferita alla bocca, niente che non potesse essere facilmente curato. Lo aiutò ad alzarsi. Appena fu eretto, l'inglese si portò le mani sopra le parti intime, spudoratamente abbandonate al vento fresco della notte.
-Come stai?- fu l'unica cosa che Dominic riuscì a dire.
L'amico non rispose, limitandosi ad annuire con la testa.
-E' meglio se andiamo subito all'ospedale! Vieni, forza! Aspetta che suono ad una porta!- fece per farlo accomodare su una panchina.
-No! Aspetta…- Orlando, con le forze che gli rimanevano lo bloccò per un braccio. Il tedesco obbedì, sedendosi accanto a lui.
-Sto bene- biascicò- Veramente sto bene…-
-Non devi fare l'orgoglioso!- disse secco, sfilandosi la camicia nera e legandogliela sommariamente alla vita, per cercare di togliere, almeno in parte, l'imbarazzo che lo stava ricoprendo.
-Sei sicuro?- chiese. Sarebbe stato molto meglio non andare all'ospedale, per evitare questioni burocratiche e domande a cui, per paura di una vendetta, non avrebbero risposto. Certo, era un comportamento da codardi, purtroppo era la verità. In fondo tutti sapevano come andavano le cose, e nessuno faceva niente.

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Canterbury - Londra

-E allora fai quel cazzo che vuoi!- William sbatté con violenza la porta. Samantha lo sentì scendere velocemente le scale, quindi uscire dalla casa. Corse alla finestra, si affacciò e lo vide incamminarsi verso la sua macchina.
-Sei un enorme stronzo!- gli gridò dietro, facendo alzare lo sguardo dei passanti verso di lei.
-Io sono stronzo!- urlò di rimando il ragazzo, con la portiera già aperta- Ma tu sei pazza! Io ti amo! Però tu sei pazza! Non posso sopportare oltre questa situazione, sono stato comprensivo e tutto quello che vuoi, però ora basta!- entrò, accendendo il motore e partendo.
-Coglione!- sbraitò Samantha, sebbene sapesse che non avrebbe potuto sentirla, rientrando in casa. Chiuse la sacca, ma la cerniera s'incastrò, così, nel tentativo di liberarla, rese la borsa inutilizzabile, e dovette stipare il tutto in un'altra.
Amava William, lo amava più della sua stessa vita, sarebbe stata pronta a dare tutto per lui; tutto tranne una cosa: l'amicizia che, da sempre, vigeva tra lei ed Orlando. Sarebbe stata disposta a perderlo in un modo così assurdo, pur di salvare l'amore che la univa al fratello, unica cosa che, in quel momento, sembrava dare un significato alla sua vita. Il problema era che, ancora prima della morte della madre, lei stava male; andava dallo psichiatra, di nascosto da tutti, che le aveva prescritto dei farmaci antidepressivi, ma che lei non aveva mai preso, sottovalutando la sua situazione. Non sapeva com'era scaturito il tutto, fatto era che ci si trovava immersa fino al collo. Era eccezionale a non darlo a vedere, però, da piccoli gesti quotidiani, in molti lo avevano capito. In molti, ma non Orlando. Per lei era normale stendersi la sera e pensare ai vari modi di suicidarsi; non che avesse intenzione di farlo, o almeno così si dice, però le piaceva immaginare. Così la morte di Sam(si chiama così? Scusate la mia ignoranza…ma mi sono mai particolarmente informata riguardo alla sua vita privata. Nda) non era stata che l'apice del suo malessere, una scusa per buttarlo finalmente fuori.
La macchina le era stata regalata da Orlando per il suo diciottesimo compleanno, regalo che lei aveva apprezzato molto, ma a cui avrebbe molto volentieri rinunciato pur di poter stare con lui qualche giorno in più. Si era fermato solamente una settimana, a causa di quello che aveva chiamata "un inderogabile impegno di lavoro", ma che a lei sapeva tanto di frivolezza. Non sarebbe stata la prima volta che scopriva una sua menzogna, una sua fuga prematura da casa con una scusa ben congetturata, ma che nascondeva la voglia di mondanità. Non lo biasimava, in fondo, altre volte, aveva realmente rinunciato a buone occasioni o impegni lavorativi pur di stare con la sua famiglia, ma preferiva che le dicesse sempre e comunque la verità; lui non riusciva a capire che non se la sarebbe presa, si sarebbe sforzata di comprenderlo, ed era sicura di poterlo fare. Ma sembrava quasi che Orlando si sentisse in colpa per il genere di vita che conduceva, mandava spesso regali, frivoli e molto costosi, a casa, come per farsi perdonare. Non aveva afferrato che non aveva proprio niente da farsi condonare, se non, ogni tanto, la sua irrimediabile stupidità.
Ormai conosceva l'aeroporto di Londra quasi a memoria, da tutte le volte che c'era stata. Non ebbe difficoltà a trovare il suo volo, mentre il biglietto lo aveva già prenotato. Era stato abbastanza difficile, e l'essere la sorella d'Orlando Bloom, questa volta, non l'aveva minimamente aiutata. Per poter andare dove doveva andare lei c'era un'assurda burocrazia, della quale non si poteva saltare nemmeno un passaggio, perché altrimenti si rischiava, una volta arrivati a destinazione, d'essere rispediti a casa.
Si sedette ad aspettare paziente, accavallando le gambe, maledicendo quel cartello che negava la possibilità di fumare. Avrebbe dovuto attendere due ore, escludendo eventuali ritardi. Si stava nervosamente mangiucchiando le unghie, quando notò, alla fila d'un botteghino, una figura familiare. Si alzò confusa, afferrando la sua borsa e avviandosi verso quella persona.
-William?- pronunciò esterrefatta, trovandosi di fronte il suo ragazzo. Lui le sorrise, baciandole di sfuggita una guancia.
-Cosa diavolo ci fai qui?- continuava a non capire.
-Credevi davvero che ti avrei fatto partire da sola, sciocchina?-.
Samantha non sapeva se essere entusiasta di questa cosa, che sapeva a tutti gli effetti, di una prova d'amore, oppure esserne infastidita.
-Dubito molto che troverai un biglietto!- disse, mista tra il dispiacere e la delusione.
-Avere un nonno che ha fatto il pilota per trent'anni servirà pure a qualche cosa, no? Un posto per il caro William, figlio del vecchio Rush si trova sempre!- sorrise furbetto. Lei annuì, non ancora convinta, ma dovette ricredersi quando il ragazzo tornò, sventolandole davanti agli occhi un biglietto aereo.
-Siamo in scompartimenti diversi, credo…ma non si può volere tutto dalla vita, sei d'accordo?-.
Lei non riuscì a trattenere la gioia che l'aveva invasa, gli lanciò le braccia al collo, sussurrandogli un grazie
-Guarda che mica ti sto facendo un favore!- rise lui- Non mi fido di te in mezzo a tutti quei bellimbusti abbronzati che gironzolano a torso nudo per l'Africa!-.

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Zaire - Kamina

Dominic era alquanto disorientato, inoltre Orlando, completamente appoggiato alle sue spalle, cominciava a pesargli. Fortunatamente non si rivelò troppo difficile ritrovare la strada corretta, che li condusse direttamente alla locanda. Il proprietario non era presente alla reception, cosa per la quale il tedesco ringraziò i suoi santi protettori, così, salendo a gran fatica le scale, riuscirono ad arrivare nella loro stanza. Appena fatto stendere l'amico sul letto, Dominic si premurò di dargli dei vestiti, e di aiutarlo a metterli. Poi prese la valigetta dei medicinali e gli pulì il sangue, ormai incrostato, disinfettandogli la gengiva. Non aveva denti rotti,e, da quello che se ne intendeva, anche il setto nasale era sano. Sommariamente se l'era cavata abbastanza bene, escludendo l'umiliazione.
-Che male allo stomaco…- si lamentò Orlando, rigirandosi nel letto.
-Vuoi che ti faccia un massaggio?- domandò l'altro, non sapendo che altro dirgli.
-Ma per carità! Meglio la morte!- scherzò.
-Bene, noto con piacere che la tua affettuosità nei miei confronti non è diminuita!- ridacchiò Dominic, ormai convinto che l'amico non era in gravi condizioni.
Non parlarono molto, dopo qualche minuto Orlando s'addormentò, ancora in balia degli effluvi dell'alcool. Il tedesco si portò alla finestra, osservando il sole che, lentamente, cominciava ad illuminare le strade. Un po' di gente aveva già affollato la strada sottostante, segno che le cose erano tornate al loro posto. Per ora, per loro, per quest'anno; ma anche questa volta, com'era successo alla cava, e altre varie volte, durante il loro viaggio, l'impotenza dominava sovrana.
Era iniziato tutto così bene, poi le cose avevano cominciato a degenerare, nei piccoli fatti sino ad arrivare a questo. Non vedeva l'ora che giungesse Samantha, per poter tornare a casa. A questo pensiero gli venne in mente di chiamarla, per sapere dove si trovasse e verso che ora sarebbe giunta. Inoltre doveva andarla a prendere all'aeroporto; per fortuna non ci sarebbe stato bisogno di scuse con Orlando, sicuro che, quando sveglio, non sarebbe stato nelle condizioni migliori per ripartire. Era convinto che, non appena avesse visto la sorella, tutti i suoi dubbi e le sue paure sarebbero scomparsi nel nulla, convincendolo a smettere di fare l'idiota, e riprendere ad essere il solito, caro, dolce e avventato ragazzo di Canterbury. In quei giorni non lo riconosceva più, e non gli piaceva la persona che sembrava essere diventato; non sarebbe piaciuta a nessuno.
Purtroppo Samantha era irraggiungibile, probabilmente era già salita sull'aereo, o comunque stava per farlo. Questo tranquillizzò un po' il ragazzo, che si sedette sull'unica sedia della stanza, che mandava un nauseabondo odore di lerciume. Era stufo marcio, di tutto; e non solamente del viaggio e di tutto quello che comportava, ma quei momenti lo faceva riflettere, su tantissime cose. Politica, religione, movimenti sociali, vita familiare…erano argomenti a lui non nuovi, ma a cui aveva mai prestato particolare attenzione. Quel poco che aveva visto era bastato, bastato a fargli capire che c'era molto, forse troppo, da cambiare. Lui lottava per avere la parte in un film o le grazie di un giornalista, mentre c'era gente che lottava per vivere, per mangiare, per sopravvivere e mantenere un minimo di dignità umana. E non solamente dall'altra parte del "suo"mondo, ma anche sotto casa sua.
Si ricordò di una cosa che aveva comprato il primo giorno che erano giunti in Africa, all'aeroporto di Mosselbaai: le sigarette. Mai come in quel momento sentiva il bisogno di fumarsene una, e così fece. Erano ormai mesi che non accendeva una bionda, così tossì al primo tiro, poi, lentamente, cominciò ad abituarsi. Mentre si godeva il sapore della fumosa, osservava il soffitto, contando le innumerevoli incrostazioni che lo disseminavano, completamente perso nel piacere che quella Philip Morris gli stava regalando, boccata dopo boccata.

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Cielo europeo

-Le porto qualche cosa?- Samantha fece un cenno negativo all'hostess, ritornando a guardare fuori del finestrino. Le nuvole sotto di lei le impedivano di osservare il paesaggio, così chiuse gli occhi, nella speranza d'addormentarsi. Il volo fino a Barcellona sarebbe stato abbastanza lungo, ma mai quanto quello che le si prospettava dopo. Contava di raggiungere Kamina in meno di un giorno, e, se gli orari fossero stati rispettati, ce l'avrebbe fatta. Era tardo pomeriggio, e avrebbe dovuto sbarcare la sera successiva in Zaire, dove, all'aeroporto, Dominic l'attendeva.


  
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