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Autore: IamShe    26/10/2012    15 recensioni
Tre momenti dolci, appassionati, ed intimi, delle coppie più belle di Detective Conan:
* Kaito & Aoko
* Shinichi & Ran
* Heiji & Kazuha
Tre spin-off della mia serie, dedicati esclusivamente a loro.
A quelli che amano.
Genere: Comico, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Heiji Hattori, Kaito Kuroba/Kaito Kid, Kazuha Toyama, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Heiji Hattori/Kazuha Toyama, Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Una vita d'emozioni'
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Allora... eccomi qui!
Prima di tutto volevo ringraziare Delia23, LunaRebirth_, shinichi e ran amore, aoko_90, _AlChiaroDiLuna_, Nana Kudo, Martins, _Vevi edIl Cavaliere Nero per aver recensito la prima shot!
E allo stesso modo, vorrei ringraziare aoko_90, Il Cavaliere Nero,  Martins, Nana Kudo, shinichi e ran amore, e _AlChiaroDiLuna_ per aver già inserito la raccolta tra le preferite,
ciccio fino per averla inserita tra le ricordate;
arianna20331, Audrey5, beautiful mind, ChibiRoby, LunaRebirth_, ciachan e kilamya per averla inserita tra le seguite!
Ci tenevo ad iniziare con i ringraziamenti, e proprio su questa scia, ringrazio infinitamente tutti coloro che hanno letto, recensito o seguito “E se io vivessi d’odio?”.
Grazie, grazie, grazie.
Adesso, però... passiamo alla shot! xD
Quanti di voi la stanno aspettando? Lo spin-off dei piccioncini per eccellenza: Shinichi & Ran! Chi si ricorda come è finita la mia long? xD
Pensiate che riescano nel loro intento... adesso? Non vi resta che... leggere, e divertirvi :D

 
 
 

Shinichi & Ran
Spin-off

 

 Un ringraziamento ad Assu che mi ha sostenuta nella stesura di questa vera e propria pazzia XD 

  
 
Sottile venticello, aria calda e rassicurante, piccole foglie rosate che cadono sulla strada, ornandola di meraviglia e bellezza: tempo di Sakura in fiore, per Tokyo e per la sua gente.
Vetrine luminose e appariscenti, viali alberati di dolcezza, atmosfera idilliaca.
Non c’era nulla da fare: la stagione dei ciliegi era da sempre la sua preferita.
“Che belli.”
Emise il suo stupore in un soffio, che le uscii spontaneo. Aveva trent’anni, eppure quello spettacolo non avrebbe mai smesso di mozzarle il fiato e di incantarle lo sguardo cristallino.
Quanta potenza c’era nella debolezza di un fiore? Ne raccolse uno, tra i tanti, caduto a terra.
Così vellutato da poter fare invidia alla seta, o magari alla Sua pelle.
Sfiorandolo, sorrise.
No, quella non aveva paragoni.
 
***
 
“Sono tornata...”
Rincasò con la solita stanchezza che la contraddistingueva negli ultimi giorni. Le pratiche, le visite, le spiegazioni, le lamentele, le voci in più della gente: tutto non era teso a scemare, nemmeno un mese dopo che Shinichi Kudo avesse dato l’annuncio della sua - per così dire - resurrezione.
Fan accanite sotto casa, clienti affezionati in ufficio, paparazzi in incognito, poliziotti in lacrime alla centrale; tutti in visibilio per l’evento del secolo, quello che, definivano i giornalisti, sarebbe rimasto nella storia del Giappone. E tutti pretendevano dettagli, nomi, indirizzi, luoghi e tempi.
Sbuffò seccata, osservando la casa vuota ed il silenzio a dominarla.
Anche se l’avessero cercato, di tempo non vi era. Tralasciando il fugace ed invano tentativo di dedicarsi un po’ a loro qualche pomeriggio prima, distrutto dall’altrettanta repentina entrata di Conan ed amica, Shinichi e Ran non avevano avuto il tempo di scambiarsi nemmeno più un’occhiata.
Il lavoro era ricominciato, ed era anche ingente.
Ran sospettò che tutti i mariti, mogli, amanti e fidanzati del Giappone volessero una consulenza proprio da lui. E che tutti i misteri, delitti, suicidi e furti dovessero avvenire proprio lì, a Tokyo.
E sebbene fosse convinta che anche il marito provasse il forte desiderio di stare un po’ con lei, dovette ricredersi nel vederlo entusiasta e gioioso, nel riprendere la sua tanto amata, ed agognata, attività di investigatore privato. Salì le scale velocemente, intenzionata a rinfrescarsi sotto la doccia. A quel pensiero ridacchiò, mentre l’immagine di Conan che le chiedeva e scopriva cosa fosse “rinfrescarsi la memoria” le si proiettò avanti.
Ma in quel momento, raggelarsi consisteva proprio nel sentire l’acqua scorrerle addosso e rianimarla, facendole abbandonare per un attimo la realtà.
Arrivò in camera, e liberandosi della scarpe, camminò a piedi scalzi sul tappeto. S’intravide tra gli specchi, e facendosi aiutare da essi, aprì la cerniera che le manteneva il vestitino, dietro la schiena. Rimase in intimo: rigorosamente di pizzo, nero, provocante.
Sospirò; il periodo da femme fatale era servito a qualcosa, ma come poteva attuare ciò che aveva imparato, se lui mancava ad ogni momento libero della giornata?
Un altro sbuffo, ancora più seccato.
Incamminandosi verso il bagno, si scontrò, senza neanche accorgersene, contro qualcosa, che le si parò improvvisamente davanti. Alzando un po’ gli occhi, s’immerse nello sguardo azzurro di suo marito, che l’osservava con leggera sorpresa.
“Che ci fai qui?”                               
Ran non rispose subito, sebbene non sapesse che dirgli: Shinichi era in accappatoio, di un blu così profondo da metter ancora più in risalto i suoi occhi cristallini, debolmente annodato alla vita. Il cappuccio gli copriva i capelli corvini, che fuoriuscivano ribelli e bagnati dalla stoffa, appiccicandosi sulla fronte umida. In un ripiego, il tessuto blu notte dell’accappatoio lasciava scoperto il petto e i muscoli dell’uomo: ancor più evidenziati, a causa della pelle lucida e leggermente bagnata.
“S-Shinichi!” riuscì solo a chiamarlo, rapita dalla sua immagine, dal suo viso, dai suoi muscoli.
Ma ripresasi, sbatté le palpebre: perché era lì, lui?
“No, piuttosto che ci fai tu qui!”
“Ho... finito...” tentò di spiegarle, inutilmente, fissando con gli occhi il suo corpo. “...Un...po’...prima...”
Rialzandoli su di lei, le sorrise malizioso, indicandole con un dito il bagno, alle sue spalle: “Doccia?”
E domandaglielo, si avvicinò a lei; le mani fredde ed umide le presero le cosce, tirandola su dal terreno.
“Ma tu non ti sei già lavato?” lo canzonò lei, ridacchiando.
“Fa un po’ caldo oggi.”
Ran portò le braccia intorno al suo collo, e affondando le dita nei capelli, lasciò cadere il cappuccio. In un attimo, le loro labbra si scontrarono, e con veemenza si assaporarono, facendo entrare in gioco anche le loro lingue, assetate d’amore. Shinichi la trascinò in bagno, mentre con le mani sorreggeva e stringeva il corpo della moglie al suo.
Le slacciò il reggiseno, mentre lei lo liberava dell’accappatoio, svincolandosi con le mani, leggermente tremanti. Il cuore in palpitazione, ogni volta che suo marito la toccava, andava in tachicardia, nel ritrovarsi nuda di fronte a lui. Abilmente, il detective liberò Ran dell’ultimo intralcio, e fiondandosi con lei in doccia, lasciò cadere l’acqua sui loro corpi, già bollenti di passione.
Il getto gelido si insinuò tra i capelli, e tra i loro muscoli, che si sfregavano con veemenza gli uni contro gli altri.
“Dovremmo dirlo a Shin-chan.”
Una voce, familiare, solare, e neanche troppo lontana, arrivò alle orecchie dei due amanti, che si ritrovarono a guardarsi negli occhi, allibiti.
E dopo poco udirono qualcos’altro, dal tono diverso, ma pur sempre conosciuto.
“Ran ne sarà felicissima.”
Staccandosi, sbiancarono.
“MIA MAMMA E TUA MAMMA!” sbottò la karateka, strabuzzando le palpebre.
“Abbassa la voce!” la intimò il marito, portandosi l’indice sopra le labbra. “Ma come hanno fatto ad entrare?!”
“Tua mamma ha le chiavi! Gliele diedi io per ogni evenienza quando fingesti di morire!” lo rimbeccò, come a dargli la colpa di ogni cosa.
“Che?!?”
“Ma non sono in casa?”
Intanto, le voci della baronessa e dell’avvocatessa si fecero sempre più vicine, e più pericolose, decisamente. Probabilmente avevano già salito tutti gli scalini, e si accingevano ad entrare in camera.
“Esci, esci, esci subito!” la mandò fuori dalla doccia il marito, cominciando ad arrossire.
“Io?!” si lamentò la donna, seppur in sottovoce. “E che mi invento?!”
“Ran, Shinichi?”
Girando l’angolo, Yukiko si ritrovò di fronte sua nuora: leggermente rossa in viso, capelli e corpo inzuppati, visibilmente agitata. Eri osservò la figlia in un accappatoio blu, che le andava decisamente largo; dedusse, proprio come la consuocera, che fosse di Shinichi. La karateka osservò allibita le due per qualche secondo, riuscendo a chiudere la porta del bagno dietro di sé, e cercare di nascondere l’ilare verità alle due donne.
“M-mam-ma-ma! Y-Yuki-ko-ko!” balbettò, l’imbarazzo le mozzava le parole. “C-come v-va?”
“Tutto bene tesoro.” Recitò la madre, sbattendo le palpebre. Ma il discorso lo continuò la suocera, maliziosa: “Piuttosto a te, cosa ti è successo?”
“A-a m-me?” chiese conferma, nel tentativo di prendere tempo.
“E perché indossi un accappatoio da uomo?” ingranò la marcia Eri, curiosa.
“I-io?” domandò ancora, arrossendo. “B-beh, ho s-sbagliato a p-prenderlo...” e guardandosi, si finse ignara, e improvvisò una recitazione: “Uh, è q-quello di Shinichi, è vero!”
“Ma c’è qualcuno in bagno?” chiese ancora Yukiko, puntando lo sguardo verso il basso, imitando l’amica. Ran si ritrovò gli occhi in puntini, e il viso paonazzo. Indietreggiando ed attaccandosi alla porta, rise, nel tentativo di sviarle: “No... perché?”
“Hai lasciato la luce accesa allora, ti conviene spegnerla.”
“Eh?” emise un soffio, per poi guardare in basso anche lei. Dall’insenatura della porta, si intravedeva la luce del bagno, che andava a contrastarsi con il pavimento più scuro. Riportando l’attenzione a loro, quasi le maledisse: perché dovevano essere così intuitive?
“S-sì. A-avete ragione. C-che sbadata!” Ma alle parole non seguirono i fatti; Ran rimase sostanzialmente ferma, in attesa della prossima mossa delle due donne.
“Non preoccuparti, la spengo io, devo andare un attimo in bagno...” enunciò Eri, afferrando quasi la maniglia della porta, e preparandosi ad aprirla.
“NO!!!” si fiondò su di essa, facendo da scudo all’entrata. Le due la guardarono stranite, con occhi curiosi, e sopracciglia incurvate.
“Che c’è?”
“E’... è che qui il bagno è... è in disordine. Vai... vai nell’altro mamma. Q-Quello al piano terra.”
Eri sussultò, per poi annuire, seppur non soddisfatta. “Ok tesoro. Ma c’è qualcosa che non va?”
“No, tutto benissimo. Vieni, ti accompagno.”
Ed afferrandole il braccio, l’allontanò dal bagno, e la trascinò, nella speranza di averla finalmente convinta.
“Comunque, avevamo pensato di festeggiare il piccolo Conan...” la informò la madre, staccandosi dalla presa.
“Per i suoi otto anni?” s’interessò Ran, nel tentativo di sviare l’attenzione da quel bagno.
Ma aveva dimenticato Yukiko: la baronessa della notte, moglie di Yusaku Kudo, e madre dell’investigatore più conosciuto al mondo. Ma prima d’ogni cosa, donna anche lei.
Ridacchiando e fischiettando, l’attrice le seguì, dando un’ultima occhiata a quella porta.
“Puoi uscire adesso... Shin-chan!”
 
***
 
“Shinichi?”
Ran avanzò, aprendo lentamente la porta della dependance, che portava all’ufficio di suo marito. Era corsa da lui appena le due donne avevano lasciato l’abitazione, portando via con loro le varie idee strambe riguardo il compleanno del piccolo Conan. La karateka sapeva perfettamente che il figlio non era un tipo mondano, ma non poteva fare nulla contro la furia travolgente di sua suocera; così, aveva acconsentito: l’indomani, suo figlio avrebbe festeggiato i suoi otto anni. Con tali pensieri, entrò silenziosamente nella dependance, ma non ebbe modo di vedere Shinichi.
“Shinichi sei qui?”
Al secondo richiamo, dalla porta laterale dell’ufficio, balzò l’interpellato, con un paio di scartoffie in mano. Incuriosito, si avvicinò a lei.
“Che ci fai qui?”
“E’ tardi, ti sono venuta a cercare.” Lo rimbeccò, mantenendosi i fianchi con le mani.
“Scusa, ma sono dovuto scappare da mia madre! Cosa volevano?”
Ran sbuffò, e superandolo, si abbandonò alla poltrona dinanzi alla scrivania, dove Shinichi era solito ricevere i clienti.
“Mia mamma si è fatta convincere da tua madre ad organizzare una festa a sorpresa a Conan per domani.” Lo informò poi, sbuffando. Suo marito la raggiunse, prendendo posto sulla scrivania davanti a lei, lanciando lo sguardo sui fogli che aveva tra le mani.
“Immagino il mostriciattolo come ne sarà contento.” Continuò ironico, ridacchiando.
“Ho provato a spiegare loro che a Conan non piacciono queste cose, ma nulla, non mi hanno dato retta!” sbottò, allargando le braccia.
“Mia madre non dà mai retta a nessuno, rassegnati.” Le ricordò, sorridendo meschino al di là dei fogli.
Lei lo osservò con palpebre assottigliate, ed un sorriso canzonatorio disegnato sulle labbra.
“Devo rassegnarmi a tutto, allora?” gli chiese, allusiva.
Shinichi alzò lo sguardo dai suoi fascicoli, ghignando. Balzò dalla scrivania, ed afferrandole il polso, riuscì ad attrarla al suo corpo.
“Io e te abbiamo una questione in sospeso...” le bisbigliò all’orecchio, circondandole la schiena con un braccio, e sfiorandole le labbra con un dito.
Ran annuì, sorridendogli, ed aggrappandosi al suo collo. Shinichi non esitò, anzi; la sorresse per le gambe, e velocemente l’adagiò alla scrivania. La karateka sentì il marmo duro e freddo sotto la sua schiena, ma non ci badò: aveva un unico pensiero in quel momento,  dedicarsi a lui, a loro. Il detective la sovrastò, mantenendosi con le ginocchia e i gomiti, mentre le dita andavano a perdersi tra i capelli della sua bella, scombinandoli in più direzioni.
I baci divennero fin da subito ardenti di passione, per troppo tempo repressa: Shinichi prese possesso delle sue labbra, e con tanta maestria, anche della sua lingua, che scontrandosi, fecero accrescere quel desiderio a dismisura, facendolo poi scoppiare, come in vulcano in eruzione.
“E’ tardi per i clienti, giusto?” Gli domandò lei in un sussurro, mentre con le mani svincolava, nel tentativo di afferrare i bordi della sua maglia. Gliela sfilò con non curanza, e con estrema velocità, per poi gettarla a terra, ai piedi della sedia.
“Beh, ce ne ho un’ultima qui sotto di me. Ed è anche bellissima.”
Ran gli accarezzò la schiena, sorridendogli. “E sono anche la sua preferita, vero? Detective?”
Shinichi avvicinò le labbra al suo orecchio, per poi scroccarle un bacio ed un sussurro.
“Da sempre.”
Il lieve scricchiolio di una porta, quella della dependance, e l’entrata improvvisa di Kogoro e Yusaku, spezzarono la magia e l’atmosfera creatasi.
Mouri si ritrovò davanti suo genero, sopra sua figlia, senza maglietta, e sdraiato insieme a lei sulla scrivania, in evidente affanno.
Un moccioso, addosso alla sua bambina, senza maglietta, intento a baciarla.
Un moccioso addosso alla sua bambina.
“TU!!”
Shinichi lo guardò arrivare, con un pugno svolazzante nell’ambiente, che presto o tardi avrebbe assaggiato sul viso; e cominciò a sudare.
Ran rimase immobile, incapace ad alzarsi; sentì solo scoppiarle il fuoco in faccia, e la vergogna mangiarle l’anima, e divorarla nell’osservare Yusaku, poco distante, con occhi e bocca spalancati.
“P-papà!” tentò poi di fermarlo, richiamarlo, attrarre anche solamente la sua attenzione, e salvare la vita al marito.
Shinichi, caduto a terra, dopo esserci stato scaraventato dalla moglie, si apprestava a ripararsi o fuggire dalle torture imminenti che il suocero avrebbe voluto fargli provare seduta stante, per aver semplicemente tentato di sfiorare la sua bambina; perché, per Kogoro, Ran sarebbe rimasta per sempre la sua piccola ed intoccabile figlia. La povera karateka, si ritrovò così a rincorrere il padre per la stanza, che a sua volta correva dietro Shinichi, che cercava riparo dietro Yusaku che, nel frattempo, assisteva allibito ad una delle scene più comiche della sua vita.
“Papà, lascialo!”
“TU NON DEVI TOCCARE LA MIA BAMBINA!!”
Finalmente,  Ran riuscì ad interporsi tra suo marito e Kogoro, ed a fargli scudo con il corpo e le braccia; quasi come a volerlo difendere dal più crudele degli assassini.
“BASTA PAPA’! TUTTO QUESTO E’ RIDICOLO! SONO MOGLIE E MADRE DI UN BAMBINO, COME CREDI L’ABBIA CONCEPITO?!?!”
Shinichi non azzardò nemmeno a parlare, la situazione avrebbe potuto degenerare!
Suo suocero, invece, alle parole della figlia, riuscì a sedare la sua furia omicida, e a tentare, per quanto ci riuscisse, di ragionare.
Yusaku osservò il tutto con degli occhi ridotti a puntini, sebbene stentasse a trattenere un risolino; meglio non far arrabbiare ancor di più Kogoro, però.
“Sarebbe potuto entrare chiunque, e trovarvi così! Non è professionale da parte tua, moccioso!” riuscì a replicare poi, dando la colpa alla superficialità di Shinichi nel scegliere i luoghi delle sue romanticherie.
“Papà, ragiona. Sono le nove. L’ufficio è chiuso a quest’ora!”
“Appunto! E voi a quest’ora dovreste essere a casa con vostro figlio, anziché fare queste porcherie qui!” Continuò ancora, lanciando occhiate infiammate a colui che, definiva da un po’, suo genero.
“Conan è a studiare da Sophie. Lo stavamo andando a prendere, infatti.”
“Lo... stavate... andando... a... prendere?” tentennò nel chiederlo Kogoro, come a voler sottolineare quanto l’eventualità fosse improbabile e ridicola.
“E dove l’avete lasciato... alle Hawaii, che avete bisogno di spogliarvi?”
Ran arrossì ancora di più, tramutando anche i suoi occhi in puntini, un po’ come suo marito e suo suocero, che osservavano il tutto con un certo imbarazzo.
Nel tentativo di romperlo, Yusaku tossicchiò, leggermente arrossito.
“Piuttosto,” cominciò, portando l’attenzione dei presenti su di lui. “Vorremmo chiedervi che regalo farete al piccolo, cosicché da non copiarci.”
“Ehm...” titubò Ran, nell’osservare Shinichi rimettersi la maglia, e tentare di seppellire, quell’ennesimo tentativo, nella sfera più oscura della memoria. “Noi già abbiamo provveduto a comperarlo, voi che avete intenzione di fargli?”
“Dei genitori nuovi.” Sbottò Kogoro, guardando suo genero di traverso che, alla milionesima occhiata, sobbalzò.  Ran, a sua volta, ne dedicò una al padre, che distolse lo sguardo, irritato.
“Ehm...” ridacchiò Yusaku, divertito quasi. “Io e Yukiko avevamo pensato di regalargli l’intera collezione di Agatha Christie, e se Kogoro avesse voluto partecipare...”
“Ha già letto tutti i libri.” Lo bloccò Shinichi, sorridendo fiero. “E poi, l’intera collezione della Christie, già ce l’ho io.”
“Agatha chi...?” chiese il Detective Dormiente, osservando i presenti con titubanza.
“Ha già letto tutti i libri?!” sbottò Yusaku, sorpreso. “...E di Doyle?” indagò poi, curioso.
“Secondo te!?” ribatté Shinichi, sfottendolo.
“...Poe?”
Suo figlio annuì, con braccia incrociate.
“...Queen?”
Stessa risposta: leggero accenno col capo.
Al che, Yusaku, afflitto, sbuffò un ironico: “...Kudo?!”
Shinichi e Ran sogghignarono, ma fu il detective a prendere parola: “Se può consolarti, i tuoi sono stati quelli che ha letto per primi.”
“Ma chi so ‘sti tizi...?” continuò a chiedersi Kogoro, intanto, con perplessità.
“Va beh, a quanto pare, dobbiamo scartare l’idea libri.” Sospirò Yusaku, cominciando a pensare. Cosa regalare ad un bambino di otto anni, dall’intelligenza acuta ed dall’incredibile curiosità?
“Papà su... suo padre è un detective e suo nonno uno scrittore di gialli. Come pensi che non abbia già letto tutto ciò che concerne l’ambiente?” lo rimbeccò Shinichi, sorridendogli.
“Sì, ma cosa regaliamo a questo bambino? Ha praticamente tutto!”
“Beh, veramente...” obiettò l’investigatore, osservando dapprima sua moglie, e poi i due uomini. “Ci sarebbe una cosa...”
Ran sorrise, intuendo all’istante: effettivamente, era qualcosa che il piccolo Conan desiderava da tempo, ma che loro, per un motivo o un altro, non erano mai riusciti a regalare.
Yusaku si apprestò ad ascoltare, ma fu il Detective Dormiente a rompere il silenzio.
E non solo quello.
“Basta che non costi troppo!”
 
***
 
Raggi fievoli e dorati si posarono sul viso del piccolo Kudo, abbandonato in luogo di Morfeo, dove il Sole cominciava a spuntare, e la notte lasciava spazio ad una nuova giornata, forse più speciale delle altre: il suo ottavo compleanno.
Shinichi e Ran camminarono in punta di piedi sul parquet, nel tentativo di non fare rumore e di non svegliare Conan, che dormiva beato nella sua camera, al caldo, sotto le coperte.
Ma il passo della donna risultava un po’ troppo pesante per il marito che, in quanto ad apparire invisibile, poteva dare vere lezioni.
“Non fare casino!” La intimò sottovoce,  guardandola truce.
La karateka sobbalzò, irritata.
“Non l’ho fatto apposta!” Rispose di botto, sussurrando.
“Dove la mettiamo?” chiese la moglie, osservandolo dimenarsi nella stanza del piccolo alla ricerca di un posto per sostare il loro regalo.
“Ma che state facendo?”
Una voce bianca li riportò al concreto, costringendoli ad alzare gli occhi, e a fissare il loro bambino che, per quanto piccolo, era già sveglio e bell’incuriosito per il trambusto creato.
Shinichi si parò dinanzi al regalo, mentre Ran avanzò verso Conan, per poi abbracciarlo, e stringerlo forte a sé.
“Tanti auguri a te, tanti auguri a te...” cominciò a canticchiare la madre, guadagnandosi smorfie facciali da parte del marito e del figlio, contrariati.
“Mamma sei stonatissima!” Ribatté il piccolo, scostando le coperte ed apprestarsi a scendere dal letto, per scoprire cosa suo padre nascondesse dietro di sé.
“Mai quanto tuo padre.”
Shinichi la guardò truce, sentendosi offeso. “Che c’entro io adesso?”
“Che nascondi qui dietro?” chiese il piccolo, con curiosità, interrompendoli.
“Ah, ah!” lo distanziò Shinichi, prendendolo in braccio, e posandogli una mano sugli occhi, nel tentativo di offuscargli la vista.
“Dai papà!” provò a dimenarsi Conan, mentre Ran, con la complicità di suo marito, poggiava sul regalo una bustina bianca, dalla forma rettangolare. La karateka fece segno a Shinichi di poterlo lasciare, affinché potesse soddisfare la sua curiosità: il suo regalo era completo.
“Ecco, ecco, ti lascio!”
Lo liberò poi, permettendogli di balzare a terra, ed osservare ciò che affiancava sua madre: una bicicletta rossa fiammante, dai particolari neri, e con una scritta argentea sopra, che l’abbelliva ancora di più.
“Ma... ma... è bellissima!” esclamò, mentre i suoi occhi risplendevano vivaci nel riflettere quella bici, col suo nome inciso sopra. Si fiondò su di essa, sfiorandola, girandoci intorno un paio di volte entusiasta, fin quando non notò sul sedile scuro una busta bianca.
“Cos’è questa?” chiese con curiosità, distogliendo l’attenzione dalla bici.
“Questo è il vero regalo!” Lo informò la mamma, osservando Shinichi, sorridente.
“Davvero?!” Esclamando felice, Conan scorticò la carta della busta. Essendo essa ben incollata, ci impiegò qualche secondo prima d’aprirla: stufo, ricorse all’uso dei denti, che presto tagliuzzarono la carta. Da essa ne fuoriuscirono tre biglietti azzurrini, con alcune stampe sopra. Nell’averli tra le mani, il piccolo sentì mozzarsi il fiato.
“Non ci credo!!!” sbottò, alzandoli al cielo con felicità. “Andiamo a Londra!! Andiamo a Londra!!”
Shinichi e Ran si scambiarono un’occhiata complice: la loro idea era stata sopraffina. Conan, proprio come il padre, adorava Londra, ma non avevano avuto opportunità di andarci fino ad allora; e loro, beh, loro ci mancavano da parecchio.
“Grazie mamma!! Grazie papà!!” Conan abbracciò la madre, dandole un bacio sulla guancia, facendola sorridere.
“A me niente bacio mostriciattolo?” lo riprese il padre, fingendosi arrabbiato. Conan non se lo fece ripetere due volte: corse da Shinichi e l’abbracciò, aggrappandosi al suo collo, e schiamazzando, dovette sopportare il solletico che il padre gli infliggeva, facendolo ridere a crepapelle. Ran si perse nell’immensità di quel momento: sì intenerì nell’osservare Conan e suo padre scherzare tra di loro, giocare e prendersi in giro; le sembrò di raggiungere il Paradiso dopo aver sofferto l’Inferno, quello che aveva loro inferto Kemerl e Cikage, e che adesso, appariva più lontano che mai.
“L-lasciami... papà!!” lo pregò Conan, tra le risate e le lacrime che gli fuoriuscivano dalle palpebre, ed il solletico che gli infastidiva il corpo. Finalmente, Shinichi decise a lasciargli tregua: si allontanò un po’ dal piccolo,  cosicché da farlo riprendere a sospirare. Suo figlio, di tutta risposta, gli mostrò la linguaccia, per poi indietreggiare, e tentare di sfuggire al padre.
Fu Ran a salvarlo, spazientita, ma allo stesso tempo divertita, gli fece l’occhiolino: “Conan, perché non vai a provare la bici in giardino?”
“Vado!!” esclamò afferrandola, e fuggendo via dalla stanza, ridacchiò nell’osservare il padre.
“Tu vuoi muoverti a vestirti? O vuoi restare per tutta la giornata in pigiama? Ricorda che stasera c’è la festa! E Conan non deve sapere nulla!”
Lo rimbeccò la moglie, parlandogli con velocità, per poi afferrargli il polso e trascinarlo in camera da letto, dove i due si sarebbero cambiati.
“Ehi... calma, calma!”
Ran si avvicinò all’armadio, ed aprendolo, rimase qualche minuto ad osservarlo, perplessa.
“Non ho niente da mettermi!”
“Ma se hai un armadio pieno...”
La karateka continuò a guardarlo, mantenendosi l’indice. Poi squittì: notò un abito nero, attillato, che le era sempre piaciuto, ma che aveva buttato nel dimenticatoio dopo la faccenda con Richard. Entusiasta, lo raccolse dall’armadio e lo gettò sul letto.
Senza pensarci, si liberò della maglia del pigiama, rimanendo in canottiera. Aveva intenzione di provarlo quanto prima, anche perché non era sicura gli andasse ancora perfettamente: aveva messo su due chili nell’ultimo periodo, e non era certo una buona notizia.
Shinichi la osservò spogliarsi e porsi il vestito sul petto, guardandosi più volte allo specchio. Quella canottiera, bianca e così attillata, metteva in evidenzia le sue curve, e non lasciava alcun spazio all’immaginazione. Così, mentre l’adrenalina cresceva nel suo corpo, socchiuse la porta della camera, attirando l’attenzione di Ran, che sobbalzò.
“Che fai?”
Ma lui non le rispose: semplicemente la abbracciò da dietro, e dolcemente le baciò il collo, facendola sospirare, e cominciare a godere. Ma la karateka si ritrasse dalla sua presa, non convinta.
“Shinichi, no... c’è Conan, e verremmo interrotti...” lo avvisò, amara. “...nuovamente!”
Lui la zittì con un tocco effimero sulle labbra, che delicatamente disintegrò le paure della moglie: Ran si abbandonò al suo corpo, ed aggrappandosi a lui, si ritrovò sdraiata sul loro letto, con ancora le coperte in disordine. Shinichi la sovrastò, e muovendosi con veemenza sopra di lei, permise che la karateka potesse sfilargli la maglia del pigiama. Imitandola, lui la liberò del pantalone della tuta da notte precedentemente indossata: portò fuori le sue gambe snelle e slanciate, ed adulandole con le mani, fece scivolare il suo tocco dal ginocchio ai fianchi, fino a salire lungo i seni.
Il silenzio dominava l’ambiente, spezzato soltanto da alcuni uccellini, che squittivano felici sui rami di un albero del giardino.
 
“Ciao Conan!!”
Una voce adulta e femminile richiamò il piccolo, intento a giocare con la bici sul prato di casa: giratosi, scorse il volto di sua zia Sonoko, che lo salutava entusiasta oltre il cancello della villa. Il ragazzino sorrise, ed avvicinandosi alla donna, permise che potesse entrare. A fianco all’amica della mamma, comparve un uomo dalla carnagione scura e dagli occhi chiari, nel quale Conan riconobbe il marito della donna, Makoto Kyogoku.  Anch’egli salutò il bambino con gentilezza, per poi richiudere il cancello alle sue spalle. Sonoko si avviò verso casa, seguita da Conan, che curioso, s’informò circa la sua venuta.
“Mi è giunta notizia che oggi è il compleanno di un Kudo. Spero tanto sia tu, perché per tuo padre non ho regali!” esclamò ironica, entrando in casa, sotto guida del bambino, che lasciò la porta aperta a Makoto, intento ad osservare il giardino dei Kudo, abbellito da mille e più fiori colorati: un vero spettacolo.
“E’ mio, è mio” sorrise il piccolo, leggermente imbarazzato, mentre cominciava a chiedersi dove fossero finiti i suoi genitori e perché non fossero ancora scesi.
“Allora questo è per te.” Sonoko porse al bambino uno scatolino colorato, con un fiocco dorato sopra, ed un piccolo biglietto che enunciava il suo nome. Makoto prese posto sul salotto insieme a sua moglie che, d’altronde, sembrava insospettita e ricercava qualcosa di indefinito nella casa che, Conan, intuì al volo.
“Se cerchi mamma è di sopra, con papà.”
L’ereditiera sorrise, gioiosa: “Allora la vado a salutare. Dopo tutto quello che vi è successo non sono riuscita a vederla nemmeno una volta, causa lavoro e convegni.” Spiegò al piccolo, issandosi dal divano.
Poi, osservando il marito, si congedò: “Conan, fammi sapere se ti piace. Aspettami che torno subito.”
La donna salì le scale rapidamente, con un sorriso indelebile ad ornarle il viso. Kazuha le aveva raccontato ciò che era successo, ma tutti gli appuntamenti, viaggi e convegni della Suzuki Corporation le avevano mozzato il tempo. Finalmente, dopo mesi, poteva rivedere la sua amica, sana e salva, scampata per l’ennesima volta alla morte; e allo stesso modo, poteva rivedere quel Shinichi che tanto fingeva d’odiare, ma che la notizia di morte l’aveva sconvolta ed amareggiata, pietrificata. Percorse il corridoio velocemente, passando innanzi alla camera del piccolo, dove i due, non c’erano. Il bagno era libero, così avanzò, ritrovandosi di fronte alla camera da letto, con la porta socchiusa.
Con gioia, decise di spalancarla.
“Ehi, amica!”
 
Shinichi continuò ad assaporare le labbra morbide della moglie, mentre con una mano le accarezzava i fianchi, massaggiandoli con dolcezza. Ran si lasciò cullare in quella sensazione meravigliosa, fin quando le sue mani non andarono a liberare suo marito anche del pantalone del pigiama, per buttarlo dall’altra parte del letto.
Con solo l’intimo a coprirli, sentì le mani del detective afferrare la canotta ed alzarla lentamente, nel tentativo di sfilargliela.
Ma fu nuovamente la porta ad interrompere il tutto, e ad enunciare loro una voce conosciuta, che mai in quel momento avrebbero voluto sentire.
“Ehi, amica!”
Sonoko sbarrò le palpebre nel guardarli: Shinichi era in boxer sopra Ran in intimo, e la mano dell’amico, quella destra - poté notare -, sorreggeva la canotta di lei. Per terra e sul letto strascichi di vestiti un po’ ovunque, e loro, in imbarazzo e in affanno, fissi ad osservare lei, sulla soglia della porta.
“S-Sono-no-ko??!?!” sbottò la karateka, arrossendo fino alla punta dei capelli, dimenandosi con le mani per allontanare Shinichi da sé, atterrito. “Che-che ci fai q-qui?!”
La karateka si mise a sedere sul letto, portandosi le coperte all’altezza del petto nel tentativo di nascondere qualcosa: forse, per prima, la sua vergogna.
Ma un pensiero non poté fare a meno di attraversarle la mente: ma c’era una maledizione che si abbatteva su loro due, appena provassero a stare un po’ soli?
L’ereditiera, intanto, ripresasi dallo shock, assottigliò le palpebre, ed azzardò un sorrisetto.
“Ma guarda, guarda... mogliettina  e maritino non perdono un secondo... e bravi, bravi.”
“Sonoko!” la richiamò l’amica, paonazza.
“Arrivo a casa tutta preoccupata per la salute della mia amica, che ha dovuto subire le pazzie di maniaci assassini...” cominciò la donna, melodrammatica. “Il vostro pargolo mi informa che siete di sopra... ma non aveva specificato che l’aveste cacciato fuori di camera, il giorno del suo compleanno, per fare i vostri comodi.”
“Sonoko...? Piantala! Non è come pensi!”
“Ah, no?”
Ran si ritrovò con gli occhi ridotti a puntini. “No, però...”
“Non ti hanno insegnato a bussare prima d’entrare?” continuò la frase della moglie Shinichi, sbuffando irritato.
Aveva i muscoli del viso contratti, e le labbra storte in una smorfia disgustata: quella situazione cominciava a divenire pesante.
“Scusatemi se avevo intenzione di salutare e strapazzare di coccole i miei amici dopo tutto quello che hanno passato!” obiettò lei, sorridente.
“Le coccole puoi tenerle anche per te.” Replicò Shinichi con tono pungente, afferrando i pantaloni gettati a terra.
“Kudo non avevo alcuna intenzione di coccolare te!” Continuò l’ereditiera, con le braccia incrociate al petto. “Anche perché, a quanto noto, Ran ti coccola abbastanza...”
“Sonoko!” la riprese l’amica, imbarazzata.
“...O almeno ci prova.” La corresse lui, ghignando.
“Shinichi!” sbottò ancora la karateka, paonazza.
“Cosa? Cosa? Avete problemi?!” s’informò nell’immediato l’ereditiera, curiosa.
“Sì.” Annuì il detective, osservandola truce. “Uno: tu.”
“Io sarei il vostro problema? Che è colpa mia che lo fate...”
“... nella nostra camera da letto?” ribatté stizzito il detective, dagli occhi assottigliati.
“Possiamo cambiare discorso!?!”  provò Ran in imbarazzo, facendosi notare dal letto.
Suo marito emise un grugnito seccato, per poi abbandonare la stanza con incredibile velocità. Le due donne restarono a guardarlo andarsene, un po’ spiazzate e perplesse.
“Si è arrabbiato?” chiese Sonoko, leggermente intimorita, buttando lo sguardo sulle scale. “Se avessi saputo che...”
Ma non poté completare che si ritrovò circondata da due braccia nude e molto esili, e stretta ad un corpo altrettanto magro; l’amica le aveva cinto il collo, ed addolcita, aveva buttato il suo capo nell’incavo della spalla.
“Mi sei mancata.”
“Anche tu, Ran...” Le sussurrò dalla voce rotta e tenera. “Anche tu...”
 
***
 
Festoni colorati e palloncini d’ogni misura ornavano la libreria di villa Kudo, animando il corso di un’atmosfera festosa e giovale, del quale il piccolo Conan avrebbe volentieri fatto a meno. Mancavano circa quattro ore al suo compleanno, ma la precedente casa del detective, adiacente a quella del professore, era sotto le dure direttive della baronessa e dell’avvocato Kisaki, impegnate ad organizzare l’evento per il meglio, ed attente ad ogni piccolo particolare. Per l’occasione, la nonna aveva usufruito dei servigi del catering più famoso della città, e dell’animazione più rinomata di Tokyo.
Shinichi e Ran osservarono il tutto con aria sospetta e sinistra, quasi scettica.
“Conan ci ucciderà!” Dedusse la donna, amareggiata. Il piccolo, conoscendolo, non avrebbe di certo gradito tutto quel chiasso: non amava le feste, né tantomeno essere al centro dell’attenzione. Su questo, si differiva completamente dal padre. Era molto più riservato ed introverso del genitore, avendo ereditato timidezza ed umiltà dalla mamma, a dispetto della voglia di esibizionismo dell’investigatore.
“Daremo tutta la colpa a mia madre, è lei che ha messo su tutto questo!”
In effetti, Yukiko, si stava dando parecchio da fare: gironzolava avanti e indietro per la casa, seguita da Eri, che appariva incredibilmente gioiosa nel festeggiare il nipotino: per l’occasione, aveva indossato un bellissimo abito rosa, ornato da un foulard grigio, che andava ad intonarsi con le scarpe.
“Manco fossimo ad un matrimonio!” sbottò la karateka, attonita.
Dalla stanza, un grosso vociferare, che faceva da sottofondo ad un assordante rumore di piatti, bicchieri e passi:
“Ehi voi! Quelle bibite non su quel tavolo! Ma sull’altro! Sull’altro!”
“Insomma: vi ho detto che le luci bisogna posizionarle più in alto, sennò danno fastidio!”
“Le sedie! Mancano le sedie, ce ne sono solo trenta!”
I due sposi, allibiti di fronte a tanta maestosità, sentirono un gocciolone cadere sul loro capo, ed una mano che andò a posarsi sulla spalla dell’investigatore, facendolo sussultare.
“Shin-chan!!” esclamò entusiasta Yukiko, balzando verso il figlio. “Hai visto che bello?! Vedrai che stasera sarà un successone!”
“Mamma?! Conan è un bambino di otto anni, ma che hai combinato?!”
“Perché... non ti piace?” fece la donna, leggermente arrabbiata.
“Non... mi... piace?!” replicò il figlio, dal sopracciglio tremante. “A me piuttosto che una festa sembra l’incoronazione del re d’Inghilterra!”
“Staresti insinuando che è pacchiano?! Che non ho bei gusti!? Io mi sono impegnata corpo ed anima per realizzare tutto in modo perfetto, e tu, figlio degenere, mi smonti così?!”
“Signora Kudo?” la richiamò l’addetto al catering, con in spalla alcune sedie ripiegate, bloccandola. “Dove le posiamo queste?”
Yukiko distolse l’attenzione dal figlio, che tirò un sospiro di sollievo, per affrettarsi a raggiungere l’uomo , e portarlo in fondo alla sala. Ran sbuffò, seccata. Stress e tensione accumulati,
adesso aveva anche il compito di spiegare al piccolo che tutto quel teatrino era stato messo su solo per lui, e che non era affatto una brutta cosa; certo, forse solo un po’ pacchiana...
“Ehi...” la richiamò il marito con una carezza sulla guancia, osservandola pensierosa. “Mi segui ad una parte?”
“Dove?”
Shinichi le si avvicinò, facendola rabbrividire; abbassò il capo fino al suo orecchio, e con le braccia le cinse il bacino, dolcemente.
“In cantina...”
Ran ridacchiò, incuriosendosi.
“In cantina?”
“Sì... sai quel posto dove teniamo i vini e le cose più assurde ed impolverate della casa?”
“So cos’è una cantina Shin... non so perché tu voglia andarci.”
Il marito la guardò allusivo e malizioso, al che, lei scoppiò a ridere.
“No, ma sei impazzito?”
“Ma Ran... ragiona. Vino non ne devono prendere perché è una festa di compleanno, il catering è indaffarato nei preparativi, e poi...” ritrasse la mano, per poi mostrargliela a pugno, richiusa.
“Non mi sembra una buona idea...” ribatté lei, bloccandolo ed osservandolo, sebbene non riuscisse a non sorridere. Certo l’idea non era buona, semplicemente intrigante...
“Dai Ran sono più di due mesi che non...”
“Non è colpa mia!”!” replicò la karateka in un botto, repentina, tentando di nascondere una certa titubanza: non avrebbe voluto ammetterlo, ma il pensiero di quell’esperienza l’attraeva.
Shinichi la tenne ancora più stretta a sé, e baciandole il capo, affondando le labbra tra i capelli, le mostrò il pugno ancora chiuso.
“Ho la chiave...” le rivelò, mostrandogliela. “Non verranno a disturbarci...”
La giovane esitò, osservandola: cosa fare? dare ascolto agli impulsi o alla ragione?
Deglutì, affogando nel nervosismo. Buttò uno sguardo un po’ ovunque: tutto le sembrò così lontano, sfuggente. L’unico respiro che avvertiva era quello di suo marito sulla sua pelle, vicino,
indissolubile come il loro legame.
Sospirando, le scappò una risata nervosa, che tentava di mascherare l’imbarazzo che provava.
“Solo perché ho voglia di un po’ di vino!”
 
Porta chiusa a chiave, Shinichi si apprestò ad accendere la luce, ma l’interruttore non dava alcun segno di vita: probabilmente, la lampadina si era fulminata.
“E se ci sentissero?” cominciò a preoccuparsi Ran, intimidita dalla situazione.
“Non senti che chiasso stanno facendo loro? Possono mai sentire noi?”
Effettivamente, dalla porta che divideva la cantina sottoterra, alla scala che portava al piano rialzato, si udivano mille e più voci: ma se il silenzio che non dominava l’ambiente esterno, avrebbe sortito qualcosa nella buia e deserta cantina?
“Shinichi?” lo chiamò la moglie, titubante.
“Che c’è?”
“Ho paura!”
“E di che?!”
“Qui è tutto buio, non si vede un accidente!”
La karateka, in evidente disagio, non riusciva nemmeno a distinguere il profilo dell’investigatore da quello degli scaffali che ospitavano il vino; sentì un fruscio passarle vicino, che la fece sobbalzare.
“Ti... ti sei mosso tu?”
“No, un fantasma.” La prese in giro il marito, sogghignando.
“Non fare lo spiritoso!” si dimenò con le braccia in avanti, nel tentativo di aggrapparsi a lui. Ma non lo trovò facilmente: cercò, piuttosto, di seguire il rumore che proveniva dalla sua destra.
“Shinichi?”
“Eh?”
“Che stai facendo?”
“Sto cercando qualcosa che possa farci luce, visto che la lampadina è fuori uso.”
Ran si strinse nelle spalle, timorosa. L’oscurità li avvolgeva, e rendeva l’atmosfera tutto fuorché che romantica: non le erano mai piaciuti i posti bui...
“Shinichi?”
“Eh?!” sbottò, irritandosi all’ennesimo richiamo.
“Torniamo su?”
E mentre lo diceva, cercò di tornare verso la porta, che avevano precedentemente chiuso.
Ma, senza volerlo stavolta, andò a sbattere contro il corpo del marito, che l’accolse in un braccio, circondandole la schiena.
“Oh, mi hai trovato!” la schernì, ridacchiando di lei.
“Non allontanarti mai più!” lo sgridò, stringendosi a lui, e poggiando la testa sul suo petto.
“No, no...” continuò lui, sfiorandole l’orecchio. “Mai più...”
Presto comunque, l’investigatore s’inebriò del profumo della sua signora, facendolo distrarre dalla sua ricerca. Alzò il capo a Ran con le dita, ed avvicinando le loro labbra, le strappò un primo bacio. Quel tocco sembrava ancora più profondo nel sostanziale buio dell’ambiente, dove gli occhi non potevano nulla e le sensazioni arrivavano ancor più violente, senza alcun preavviso: potevano sentire solo i loro corpi incatenati, ma non potevano vedersi. La karateka riuscì così a sciogliere i nervi: quasi dimenticò di trovarsi nell’oscurità, e traendo forza da essa, dove tutto si può e nulla si nega, circondò il collo di suo marito con le braccia, e spingendosi su di lui, cominciò a baciarlo.
Shinichi, dapprima sorpreso, l’accolse tra le sue braccia, ed affidandosi al solo intuito, si fece spazio nell’ambiente scuro della cantina. Raggiungendo il muro, spinse Ran contro esso, facendola sorridere.
Un sorriso di gioia, privo di tensione: solo lui poteva disintegrarle la sua paura più grande.
“Ma come ci riesci?” gli domandò, in un sussurro a fior di labbra.
“A fare cosa?”
“A rendermi ogni giorno un po’ migliore...”
Shinichi sorrise, e con foga ritornò a baciarla: i loro ansimi oppressero il freddo buio e il tormentante silenzio, trasportandoli in un aldilà, dove, paure non esistevano.
 
“Signora Kudo, abbiamo un problema.” Enunciò l’uomo responsabile del catering, avvicinandosi alla baronessa e all’avvocato Eri, poco più distante.
“Che succede?”
“I tavoli non bastano per tutte le cibarie che avete ordinato. Ne servirebbe almeno un altro!”
Yukiko ci pensò su, strofinandosi il mento, con espressione riflessiva.
“Mi sembra, mi sembra...” cominciò la padrona di casa, osservando il vuoto. “Che ci sia un tavolino di legno in cantina, ma è piccolo, e sarà tutto impolverato.”
“Andrà bene, non preoccupatevi.” Si fece disponibile l’uomo, inchinandosi alla donna. Fattosi spiegare dove si trovava la cantina, scese le scale, ritrovandosi di fronte alla porta.
Provò ad aprirla, ma si rese ben presto conto che fosse chiusa.
“Signora Kudo?” la chiamò da lì, per poi risalire nuovamente le scale ed avvicinarsi alla donna. La sua voce, senza volerlo, era giunta ai due amanti...
“Che c’è?!”
“La cantina è chiusa a chiave, come ci entro?”
“Che significa è chiusa a chiave?” obiettò Yukiko, stranita.
“Sì, la porta, non si apre!”
“Strano... va beh, ho la...” cominciò la baronessa, fermandosi nel rendersi conto che le avevano privato della chiave per aprire lo scantinato.
Sbatté più volte le palpebre, perplessa. Era convinta le avesse con sé!
Cominciò a pensare, strofinandosi il mento pensierosa. “Come facciamo con il tavolo adesso?”
“Non preoccupatevi.” Una voce la interruppe, facendola voltare.
Yusaku si avvicinò a loro repentinamente, con un sorriso stampato sul volto. “Ho la chiave di riserva!”
 
Le loro lingue intrecciate, e i loro respiri ansanti, fecero accrescere vertiginosamente l’ eccitazione: Shinichi afferrò la maglia di Ran, e sfilandogliela, portò le mani sul suo seno, coperto solo dall’intimo. La karateka tremò  nell’avvertire il suo tocco, ma non volle fermarsi.
Il suono smorzato della maniglia li disturbò, facendoli sussultare: qualcuno stava provando ad entrare.
“Signora Kudo?” udirono poi una voce troppo vicina per poter provenire dal piano rialzato, che però presto tese a scemare. Il cameriere si era reso conto di esser sprovvisto di chiavi...
“Shinichi?” Bloccò il marito Ran, preoccupata.
Il detective continuò a baciarla, zittendola. La karateka si fece trasportare, ma quella voce l’aveva messa in allarme.
“Shinichi...” lo chiamò, distanziandolo un po’ da lei.
“Non preoccuparti...” la rassicurò lui, ed afferrandola per i fianchi, la trascinò sul suo corpo, a terra.
A cavalcioni su suo marito, Ran si lasciò andare ad i suoi impulsi, ignorando del tutto i suoi timori; era come se si trovasse su un mondo diverso, abitato solo da Lei e da Lui.
Il detective portò le mani sulla sua schiena, slacciandole il reggiseno e gettandolo con non curanza a terra; dopodiché, massaggiò con delicatezza i suoi seni, continuandola a baciare con foga.
Ma ancora una volta, il suono della maniglia, e questa volta, anche della serratura, li interruppe.
Resosi presto conto del tutto, Shinichi tentò di alzarsi insieme a Ran: ma l’oscurità si prese gioco di loro due, e li fece cadere a terra  su se stessi, mentre la porta andava ad aprirsi.
Da essa, apparve l’uomo del catering, che, con una torcia in mano, illuminò i loro corpi.
“E... e voi chi siete?!?!” sbottò, allarmandosi, nel notare due individui, di cui non riconosceva bene neppure i volti, all’oscuro nella cantina.
Pensò, così, che fossero dei ladri, e repentino, provò ad urlare: “SIGNORA KU-?!”
Ma non poté completare la frase che una mano gli si posò sulla bocca: alzando gli occhi, si ritrovò l’investigatore davanti a tenergli coperte le labbra, affinché non potesse gridare.
“Stai zitto! Siamo i genitori del bambino, non chiamare nessuno!”
Shinichi lo lasciò andare, ma l’espressione dell’uomo non cambiò: palpebre strabuzzanti e sbattenti, bocca aperta.
“Voi...” cominciò, perplesso. “Sareste i genitori del bambino?”
La domanda sembrava ridicola; velocemente l’uomo si chiese cosa ci facessero due persone adulte al buio in una cantina deserta, mentre sopra vi era i preparativi per la festa del loro bambino?
Incuriosito, l’uomo lanciò lo sguardo più lontano, ritrovandosi di fronte ad una bellissima donna in topless, dalla carnagione chiara e dai capelli neri. Rapito, spostò il raggio della torcia su di lei, illuminandola.
Al che, Ran tentò di coprirsi con le mani, ma Shinichi fu più veloce di lei: stizzito, si mise davanti, facendole ombra col suo corpo.
“Oh!?!??! Ma che guardi?!?!?” richiamò l’uomo, innervosito; e girandosi verso Ran, le urlò contro. “E tu copriti dannazione!”
“Ehm... mi scusi signore!” provò ad obiettare quello, sebbene il suo sguardo cadesse sempre verso la ragazza. “Ma... cosa stavate facendo?”
“E a te cosa importa scusa?!” continuò, visibilmente irritato il detective, mentre, alle sue spalle, la moglie provava a rivestirsi: come un pomodoro, ricercò la maglia e il reggiseno, tentando di non pensare al fatto che un uomo sconosciuto l’aveva appena vista nuda e che, per l’ennesima volta, i loro piani siano stati distrutti da qualcuno.
“Questo sono tutte le maledizioni di Cikage!” sbottò Ran, tra sarcasmo e tensione.
Shinichi avrebbe voluto ridere, ma proprio non ci riusciva: anche lui, non sopportava più tutte quelle interruzioni...
“Dovrei prendere quel tavolo, posso?”
L’uomo li disturbò ancora, illuminando l’oggetto con la torcia, facendo luce anche su Ran, che si trovava alla destra di esso.
Ran, ancora in biancheria, portata alla luce.
Nuovamente, Shinichi sbottò, stizzito. “Se non spegni quella torcia te la faccio mangiare!”
“Signore, devo prendere il tavolo!”
Il detective mugugnò qualcosa di strano, che nessuno riuscì a captare. Poi, incamminandosi verso la moglie, la tolse dalla prospettiva dell’addetto a catering.
“Te lo prendo io, il tavolo!”
“Ti vuoi rivestire?!” le bisbigliò quando le fu vicino, osservandola truce.
“Non mi dovevo preoccupare eh? La cantina è chiusa a chiave eh?” Lo schernì lei, irritata.
“Signori...” s’intromise ancora l’uomo, facendosi notare. Poi, con schiettezza, suggerì loro: “Comunque io ora me ne esco... voi continuate come se non fosse successo nulla.”
Alla proposta, il detective osservò Ran, finalmente vestita; ma lei lo ripagò con un’occhiata sinistra e stizzita. Come poteva pensare che rimanesse ancora lì, dopotutto?
“Ran...”
“Fottiti!”
E con passi pesanti superò il cameriere, risalendo le scale e risorgendo alla luce. Shinichi rimase nella cantina con l’uomo, osservandola andarsene.
Sospirò afflitto, risedendosi a terra: cosa doveva fare di più?
“Comunque...” interruppe il silenzio l’uomo, prendendo il tavolo sotto braccio. “Fate i complimenti alla signora per il decolté!”
Lo sguardo truce e assassino dell’investigatore divenne l’incubo delle sue notti.
 
***
 
“Si può sapere che ci facciamo a casa dei nonni?”
Il Sole era tramontato da un po’, lasciando al suo posto un manto blu stellato, che faceva da cielo a quella serata. Il piccolo Conan fu portato, con l’inganno, nella villa storica ed occidentale dei Kudo, dove tutto era ormai pronto per festeggiarlo. Ignaro di ciò che lo aspettava, superò il cancello d’entrata con i suoi genitori, osservando la casa. Un silenzio martoriante e le luci rigorosamente spente la dominavo, e ciò non faceva presagire nulla di buono; lo stesso Shinichi si stupì di quanto le nonne si fossero impegnate per rendere tutto nei minimi particolari, e non tralasciare nulla al caso: se non l’avesse visto già, mai avrebbe pensato che la villa racchiudeva la festa del secolo. Ridacchiò, osservando il figlio camminare lungo il viale. Sperò solo che Conan riuscisse a contenere tutto il suo poco entusiasmo nell’imbattersi in quel covo di gente, che altro non aspettavano che la sua entrata.
“Te l’ho già detto tesoro...” finse Ran, cercando di mantenere un tono serio. “I nonni vogliono darti il regalo.”
Il piccolo mugugnò qualcosa di strano, seriamente non convinto: c’era sotto qualcosa, ci avrebbe scommesso!
Aspettò che suo padre giunse alla porta, e con le chiavi l’aprisse, permettendogli d’entrare. Varcando la soglia, s’imbatté in un silenzio ancora più penetrante e sospetto di quello avvertito da fuori. Ma fu Shinichi a spezzarlo, e a fingersi ignaro.
“Saranno in libreria...” azzardò, strozzando una risatina che gli nacque sul volto nel guardare suo figlio.
La famiglia raggiunse la porta che li separava dalla festa; fu Conan stesso ad aprirla, curioso di scoprire che fine avessero fatto i suoi nonni. Ed appena varcò il confine, si ritrovò abbagliato da mille e più luci che lo puntavano, e da un paio di palloncini che finirono miseramente al soffitto. Si ritrovò assordato dagli applausi e della grida di coloro che partecipavano all’evento, investito dai volti di persone che conosceva bene, come suo zio Heiji, ed altre un po’ meno.
Con il sopracciglio tremante, ed occhi assottigliati, fece qualche passo indietro.
“Io me ne vado.”
Ma un abbaio lo richiamò, portandolo a fissare il centro della libreria. Un cucciolo di pastore, con un fiocchetto in testa azzurro, scodinzolava allegro nella sala, infondendo l’ambiente d’allegria. Conan adorava i cani, e da sempre ne aveva richiesto uno ai suoi genitori: vederlo lì, piccolo e indifeso, lo entusiasmò. Gli occhi gli brillavano felici, fin quando non cercò di attrarre il cane a sé.
Il cucciolo fuggì verso di lui, e cominciò a giocare con il piccolo, leccandogli il viso e saltandogli addosso.
Fu la nonna paterna, la prima, ad avvicinarsi: sorridente, nel suo vestito blu, gli scompigliò i capelli con dolcezza.
Sotto consiglio di Shinichi, quel regalo era stato davvero un successo!
“Bisogna dare un nome a questo cucciolo.” Lo informò la nonna, addolcita. “Come lo chiamiamo?”
Conan titubò un attimo, incerto.
Lanciando uno sguardo al padre, dietro di lui, sorrise: non poteva dargli nome diverso.
“Arthur!!”
 
La festa proseguì bene, meglio di quanto potessero sperare Shinichi e Ran; il piccolo, sebbene sormontato da regali d’ogni genere, ed oppresso dagli auguri di compagni, parenti, amici stretti e no, restò vicino al cucciolo per tutta la durata del compleanno. Insieme ad Arthur, Conan appariva ancor più gioioso e sorridente di quanto fosse normalmente.
I suoi genitori tirarono un sospiro di sollievo, finalmente sereni. Certo, quei due giorni non erano stati proprio fonte di relax e godimento, ma osservare Conan così felice fece capire loro che, in fondo, ne era valsa la pena. Il catering aveva fatto un lavoro davvero eccezionale: tutte le cibarie poste egregiamente sui tavoli, adornati di piccoli particolari azzurrini, rendevano l’atmosfera ancora più invitante. Vi erano piatti di tutti i gusti, e bibite per ogni palato: anche alcolici. In fondo, alla festa, era stata invitata anche metà della questura di Tokyo.
“Shinichi?” richiamò il marito Ran, correndo nella sala freneticamente.
“Che c’è?”
“Hai visto Conan? Tra poco apriremo la torta, e non lo trovo!”
Il detective sussultò, ed intrepido lasciò andare la discussione che stava avendo con Heiji. Si scusò, e velocemente s’impegnò a cercarlo.
“Io guardo fuori” le disse, dirigendosi verso l’esterno della villa. “Tu vai nelle stanze.”
Ran annuì, e muovendosi, cominciò a percorrere le scale. Lo chiamò per nome, scuotendo il capo in più direzioni nel tentativo di scorgerlo; entrò dapprima nella camera da letto dei suoi suoceri, seguì il bagno, lo sgabuzzino, ed infine, la cameretta di Shinichi.
“Dove si sarà cacciato...”
Entrò nella precedente stanza di suo marito, dove tutto appariva come se tempo non ne fosse passato; il letto ancora nella stessa posizione, il computer su quella scrivania, e la piccola libreria dove teneva i suoi trofei calcistici. Qualche foto qua e là, che lo immortalava nel meglio della gioventù: alcune con il completino da calcio, altre con degli amici. Sorrise nell’immergersi in quei ricordi sereni e spensierati, tipici dell’adolescenza. A fianco, una fototessera di Conan Edogawa, quel bambino occhialuto sotuttoio che abitò per un po’ di tempo a casa sua, e che riuscì a sconfiggere una delle organizzazioni più potenti del pianeta.
Un passato che non puoi dimenticare ma soltanto accettare; ricordi e lezioni da cui imparare, che ti segnano e ti spronano ad andare avanti, con ogni giorno un po’ di forza in più.
“Ran...?” sentì la voce di Shinichi richiamarla dal corridoio, ed i suoi passi avvicinarsi. Il silenzio che governava il piano superiore era talmente tanto da mettere i brividi: sembrava di stare in una botola, isolati dal mondo.
Dalla porta apparve suo marito, che le comunicò velocemente: “Ran... Conan era in giardino, giocava con Arthur insieme a Sophie.”
“Capito.” Annuì la karateka, riposando l’immagine del piccolo Edogawa sulla mensola della libreria.
Shinichi le si avvicinò, curioso di scoprire cosa stesse facendo. Buttò un’occhiata sugli scaffali, dove intravide le sue foto d’adolescente  e da bambino, e qualche trofeo vinto a calcio.
“Com’eri piccolo...” soffiò la moglie con dolcezza, fissando quegli scatti.
“Mi stai dicendo che sono un vecchio?”
“No.” Rise Ran, divertita. Poi riprese in mano la foto di Conan Edogawa, mostrandogliela: “Ma pensa che qui avevi più o meno la stessa età di tuo figlio.”
“Veramente avevo diciassette anni lì.” Obiettò lui, contrariato. Quel periodo avrebbe tanto voluto dimenticarlo...
“Te li portavi bene!” lo derise lei, ridendo. “Un po’ nano per essere adolescente, eh?”
“Come siamo spiritose...”
Shinichi si fiondò su di lei, intento a zittirla. Con le braccia le impedì di muoversi, mentre con le dita le solleticava i fianchi, facendola ridere ancora di più. La karateka tentò di strapparsi alla presa, ma ogni resistenza fu inutile: suo marito aveva molta più forza di lei, e poteva giostrarle i movimenti come desiderava. Con i soli arti che aveva liberi, Ran provò a dimenarsi con le gambe, per far forza su quelle di Shinichi, nel tentativo di allontanarlo. Ma il riso non le permetteva di essere lucida, ed invece di colpire l’investigatore, inciampò con i tacchi nel tappeto sotto il letto. Cadendo, trasportò il detective con sé, atterrando insieme sul materasso della stanza, faccia a faccia. Osservandolo, Ran si perse negli occhi cristallini di Shinichi; la Luna sembrava evidenziarli ancora di più, illuminandogli parte del viso di una luce argentea, che andava ad esaltare i lineamenti del suo viso: scevro di qualsiasi imperfezione.
“Sei bellissimo...” si lasciò sfuggire, in un soffio che le uscì spontaneo. L’investigatore arrossì leggermente a quel complimento così diretto; guidato da un istinto indomabile  che ormai faceva tutto da sé, avvicinò le sue labbra a quelle della moglie, baciandole. Dapprima le sfiorò solamente, adulandole e accarezzandole con la sua bocca; ma ben presto sentì la voglia di riassaggiare il gusto della sua lingua, impregnata dell’odore del vino: dolce e penetrante allo stesso tempo, quel profumo gli fece girare la testa, facendogli perdere la ragione.
Socchiuse gli occhi, ed aprendole la bocca, diede inizio alla lussuria: Ran sentì il cuore accelerare i battiti, e le mani tremare per insediarsi nei suoi capelli corvini e ribelli. Facendosi trasportare dalla passione, sussultò nell’osservarlo scansarsi e rialzarsi dal letto: Shinichi arrivò velocemente alla porta, e con forza la chiuse, girando la chiave un paio di volte.
“Tre mandate, alla faccia vostra.”
Ran ridacchiò, ben coscia della pazzia che stavano per fare. Ma l’aveva capito tempo prima: con Shinichi, non esistevano regole o inibizioni, alcuna paura e nessun timore; con Shinichi, esistevano solo loro.
Il detective tornò repentino al materasso, dove sua moglie lo aspettava con impazienza; vedendolo avvicinarsi, Ran si fiondò su di lui, ed attraendolo a lei, gli sfilò la giacca, facendola cadere al pavimento. Il marito le accarezzò la schiena, fino a giungere alla cerniera che manteneva il suo vestito nero: aprendola, lo allargò, e permise alla karateka di poterlo togliere. Partendo dalle spalline, l’investigatore dimenò con foga le mani nel tentativo di sfilarglielo con più delicatezza possibile. Ran continuava a baciarlo con profondità, mentre le dita gli stropicciavano la camicia, e sbottonandola, fece sì che il marito rimasse a petto nudo.
Si posò così sui suoi pettorali, e li accarezzò, scendendo fino agli addominali; il detective godeva ancora di un fisico mozzafiato, che avrebbe fatto girare la testa anche alla più bella delle donne. Ansante, Shinichi fece scivolare il vestito della karateka a terra, facendola rimanere in intimo. Insieme, poi, si sdraiarono sul letto, ansimando e godendosi la pace di quel momento, che forse, avrebbe potuto essere interrotto da lì a poco. Ma in quel momento, i due amanti non ci pensarono: si abbandonarono ai loro istinti, e giocando con le dita, definivano i profili dei loro corpi, bollenti d’eccitazione.
Ran, imitando il marito, gli sbottonò i pantaloni, permettendo che rimanesse in boxer.
“Ho voglia di te...” le sussurrò all’orecchio, mentre una scossa di brividi andò ad attraversarle la schiena.
Si scrutarono per un po’, rallentando il ritmo: Shinichi osservava Ran e Ran osservava Shinichi, presi nella passione, rapiti dalle loro immagini. Ben presto, comunque, continuarono per le loro intenzioni: Ran fu privata del reggiseno, che volò miseramente sulla libreria vicino alle foto. Il detective le baciò il collo, e dolcemente scese sino al seno scoperto, facendola gemere, nell’istante in cui la lingua prese il posto della bocca in quella lussuria.
“Ran...”
Quell’ansimo come risposta, scosse d’adrenalina l’investigatore, che afferrò l’ultimo indumento che andava a coprirli, e liberò dalle barriere materiali i loro corpi, che altro non aspettavano che ricongiungersi, dopo tanto, troppo, tempo.
“Ran...” continuò a bisbigliare il suo nome, ansante.
“Shinichi...” sussurrò lei, con la voce rotta dai gemiti.
“Ran... ti amo Ran...”
E mentre fuori scoppiavano gli applausi e le urla per il soffio delle candeline, in quella stanza separata dal resto del mondo, Shinichi e Ran si amarono con la dolcezza di un fiore che dal vento viene trasportato via, attraversando cieli e tempeste, ma proteggendo per sempre la sua bellezza dalle intemperie. In quella stanza dove, tra i loro ansimi, cadevano fiori di ciliegio.
“Ti amo Shinichi...”
 
Mille e più complimenti avvolsero il piccolo Kudo, che imbarazzato, tentò di annuire e ringraziare tutti per la presenza. Gli invitati si susseguirono in una fila interminabile, che pian piano svaniva al di là del cancello d’entrata. La nonna paterna, ancora più entusiasta per la serata, raggiunse il bambino, accarezzando il cucciolo che gli avevano regalato. 
“Nonna...” la chiamò, girandosi intorno preoccupato. Yukiko lo guardò, invitandolo a continuare. “...Sai dove sono mamma e papà?”
La baronessa restò qualche secondo perplessa, ripensando a tutto ciò che era successo in quegl’ultimi due giorni; Ran inzuppata, la cantina chiusa a chiave.
Così, alzando il capo verso il piano superiore, scorse la porta della stanza di suo figlio chiusa.
Tossicchiando, e resasi conto di tutto, si abbassò all’altezza del piccolo.
“Che ne dici se per stasera... ti accompagniamo noi, a casa?”

 
 

The End



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Next Spin-off:
Heiji & Kazuha
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