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Autore: lady vampira    28/10/2012    2 recensioni
Cosa succede se una ragazza approdata a Berlino da un paesino di montagna si ritrova coinvolta nell'equivoco più emozionante della sua vita con l'uomo dei suoi sogni? Scegliere tra sincerità e amore non è semplice, e se di mezzo ci si mette anche un coinquilino moooolto particolare con i suoi saggi consigli ... fate voi!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3


E il domani sera … arrivò. 
Vera non era mai stata in quel posto. Era giusto il genere di locale che mai e poi mai avrebbe frequentato di sua volontà. Si sentiva fuori luogo, proiettata in una dimensione che non le apparteneva e sembrava quasi guardarla in cagnesco, con occhi ostili, come un‘intrusa. Le pareva di avere gli occhi di tutti puntati addosso, come se portasse in giro un bel cartello con su scritto a caratteri cubitali: “IO NON DOVREI ESSERE QUI” invece di quella meravigliosa tunica color albicocca che Kosta aveva scelto per lei. 
Non vedeva l’ora che finisse, di levarsi quel peso dal cuore. Si sforzava di concentrarsi su quello che avrebbe detto … lo aveva scelto, sistemato e rimaneggiato con cura. Restava solo dirglielo ad alta voce. 
Ce la posso fare. Sì, ce la posso fare. 
E poi lo vide. Prese un bel respiro, e avanzò decisa, quasi sfuggendo a quei timori che sembravano serpeggiare sul bel pavimento lucidissimo come tralci e radici, pronti ad avvolgersi alle sue caviglie e impedirle di risolvere quella questione. 
<< Ciao >>, disse infine, solo trattenendo un po’ troppo il fiato. 
<< Ehi, ciao … cavolo >>, disse Bill, guardandola come se fosse la prima volta che la vedeva. Vera lo squadrò a sua volta, perplessa e … ah, decisamente ammirata. Mamma mia, quant’era bello … impossibile non notarlo. La sua figura alta e bianca, quasi angelica spiccava contro tutto quel velluto rosso come una rosa candida in un campo di amaranti. 
<< Cosa c’è? >>.
<< Sei fantastica. Cioè, so che sarai abituata ai complimenti di ogni genere ma … ecco, ci tenevo a dirtelo lo stesso >>.
<< Oh, be’ … grazie >>.
Le prese galantemente la mano, sfiorandogliela appena con le labbra. Erano così morbide e vellutate, pensò Vera … e immediatamente si ritrovò a lottare con un flash di un istante in cui le aveva avute addosso, a sfiorarla in ben altro posto che il dorso della mano.
Rabbrividì fino al cuore del midollo nelle sue ossa.  
Oh, cavolo … dannato Kosta, quello è peggio di uno specchio rotto, porta un male cane bastardo!  << Non speravo ti liberassi per me così presto, davvero. Ero rassegnato ad andare al santuario di Augsberg a chiedere la grazia d’incontrarti almeno entro un paio di mesi … >>, mormorò lui alzandosi per scostarle la sedia.  Vera s’accomodò, e inarcò piano un sopracciglio. 
<< In realtà non è che abbia proprio un’agenda … così fitta >>. Non ce l’ho proprio, segno tutto sul calendario. 
<< Quanto sei modesta. Come se non avessi visto come ti guardavano tutti l’altra sera >>, osservò lui tornando al suo posto, di fronte a lei. 
Vera ingoiò aspro, come se qualcuno le avesse appena ficcato in gola un pezzo di limone verde. << Ah, ecco … a questo proposito … >>. Non riusciva a chiamarlo per nome in sua presenza. Non voleva farlo, perché aveva come l’impressione che pronunciare quelle fatidiche quattro lettere avrebbe segnato una specie di linea di non ritorno. 
E lei aveva una fretta dannata, di tornare indietro. Prima che le si fottesse l’unico neurone ancora sano nel suo cervellino da adolescente mai cresciuta. 
Stabilì con sé stessa di non farlo. Non chiamarlo per … nome. Fermarsi prima di attraversare quel confine. Sapeva di potercela fare. 
Santo cielo, quant‘era patetica. Le sembrava assurdo che … lui non si fosse ancora accorto di avere a che fare con una tale idiota. E non c‘era neanche speranza che se ne avvedesse in tempi brevi, visto che la guardava … con le stelline agli occhi, era il caso di dire. Piccole pagliuzze dorate scintillavano quelle iridi brillanti come cristalli ambrati, profonde come laghi bruni, dolci, avvolgenti e calde come cioccolato fuso … 
Una volta tirato in ballo, il passo da lì ad immaginare la sua pelle perfetta come perfetta base per farvela colare davvero, una sottile traccia di quella delizia rovente per assaporarla direttamente da essa fu breve, brevissimo. Un piede nell’abisso su cui sentiva di vacillare e in cui, da vera codarda, non voleva guardare. Ma non faceva poi tanta differenza … 
Perché aveva perso comunque tutta la fretta che aveva di chiarire quell’equivoco. 
Kosta, ‘fanculo tu e le tue sentenze del cavolo! 
Bill alzò una mano. Quant‘erano lunghe, quelle belle dita affusolate … oh, no, merda, sta succedendo di nuovo! Presto, distraiti, Vera, distraiti! << Aspetta, scusa se t’interrompo, ma devo dirti una cosa. Se … il saldo non era … adeguato … non è stato certo perché non ritenevo valessi di più ma … solo, non avevo altro contante disponibile addosso. Generalmente non tengo mai denaro liquido con me … è stata una fortuita coincidenza. Ma se manca qualcosa … >>.
<< Oh, no! Mio Dio, no, no … va benissimo. E’ … anche troppo >>. Carol le dava ottocento euro al mese per lavorare otto ore al giorno, sei giorni la settimana con dieci minuti di pausa e caffè e cappuccini li sapeva fare a occhi chiusi. Lui le aveva dato quasi il doppio in contanti senza contare le spese accessorie, per sei ore a occhio e croce, neanche tutte di filato, di cui probabilmente ne aveva trascorse due o tre a dormire beata accanto al suo bel corpo, magari tra le sue braccia … e non voleva neanche immaginare come se la fosse cavata in quelle durante cui non aveva dormito; non era tanto coraggiosa. Per non parlare del valore aggiunto costituito dal piacere che le aveva dato, e dalla sua bellezza, e dalla sua grazia, dalla sua gentilezza e educazione. E dal modo adorabile in cui abbassava la voce e si mangiava le parole infarcendo le frasi di silenzi al limite della sopportazione, quando toccava qualche tasto non proprio ortodosso …  
Hai voglia se era troppo. Era in debito di chissà quanto. 
E non le sarebbe bastato lavorare due vite intere straordinari compresi, per restituire tutto quello. 
Eppure quel ragazzo meraviglioso si sentiva in difetto per non averle dato abbastanza. E non riusciva a fissarla abbastanza a lungo senza chinare il capo e … arrossire?! 
Nahh … arrossire, lui? Come se avesse dodici anni e uscisse con una ragazza per la prima volta dopo una vita claustrale alla casa-e-chiesa. Lui, arrossire … 
Sì, era proprio così. Ma lei volle credere si trattasse solo di un gioco di rifrazione della luce e dei riflessi del velluto color rubino sulla pelle porcellanata di lui. 
Perlomeno ci stava provando. << Stai benissimo con questo vestito >>, riprese lui, giocherellando con uno dei pesanti anelli alle sue dita. Ferma, non le guardare, Vera, non le guardare. E puntò lo sguardo sul suo volto. 
Ma non è che così fosse meglio. Si sentiva più o meno come una delle candele che aveva davanti: molliccia, gocciolante e pronta a piegarsi al minimo tocco. 
Ma porca pu … pazza. << Grazie. E‘ … un regalo di Kosta >>. 
<< Mhmm. Kosta? >>.
<< Sì, quello che ti ha risposto ieri al telefono >>.
<< Mhmm >>. 
Sapeva di non aver alcun dovere di fornirgli spiegazioni. Ma le venne spontaneo, quando vide l‘ombra scura che gli passò negli occhi. << Non è quello che stai pensando. Kosta è il mio coinquilino. Ed è gay >>.
Lui rialzò lo sguardo. E Vera comprese che non poteva più illudersi, riguardo al rossore sulle guance di lui. 
<< Ha … un ottimo gusto >>, disse, e la ragazza si avvide con una fitta di panico che il sollievo nella sua voce argentea era palpabile. <<  Non che quello dell’altra sera non fosse bello … ma questo mi piace di più >>. 
<< Merito del colore? >>, civettò lei. E lui annuì. << Anche, ma soprattutto del taglio >>.
<< Quale taglio? >>, scherzò Vera, sorridendo. << E’ tutto d’un pezzo! >>.
<< Appunto … per questo mi piace di più. Mi piace perché nasconde >>.
<< Strano. Mi pare che l’altra mattina avessi detto l’esatto contrario … che c’è, d’un tratto il mio corpo non ti piace più? >>.
<< Certo che mi piace, tantissimo. Ma come piace tantissimo a me, così può piacere tantissimo anche a chiunque altro lo veda e … be’, adesso che sei qui con me davanti a tanta altra gente, preferisco che tu lo copra >>.  
<< Ma così non lo vedi neanche tu >>, osservò lei con semplicità. E Bill arrossì ancora di più, semmai era possibile.  
<< Be’, sì, però … io lo so, cosa c’è sotto. Ogni linea. Ogni curva. Ogni angolo. Centimetro per centimetro, sfumatura per sfumatura, trama per trama >>. Adesso anche gli zigomi ardevano di quel bel colore rosato che pervadeva già le guance, e le labbra erano rosse per quanto se l’era mordicchiate mentre parlava. Gli occhi, poi, adesso erano completamente lucidi e splendevano. 
Era molto più che adorabile, si rese conto Vera, la fitta di panico che evolveva in una morsa serrata. Era desiderabile. Da morire. Più lo guardava più le veniva fame … e non aveva nessuna voglia di fermarsi a cenare. 
Stava bollendo. Mise una mano sotto l’orecchio e sentì il battito cardiaco spingere e scalciare sotto la pelle, il sangue scorrerle nelle vene e infiammarle i sensi, peggio di qualsiasi vino. Aveva la testa pesante e faticava a respirare. Lunghi rivoli roventi le stavano percorrendo la schiena dalla base della nuca alla fossetta dell’osso sacro. Trattenne per i capelli l’impulso di sventolarsi con il menu, accontentandosi di sbirciarlo. 
Cavolo, chi ha alzato il riscaldamento? 
Andava male. Malissimo. Era lì da dieci minuti e stava per … sì, tanto valeva dirlo chiaramente: stava per venire. Il basso ventre le pulsava esattamente come quando la stava toccando lui. E mentre gli guardava di soppiatto le dita ricordava com’erano lisce e sicure mentre strisciavano dentro di lei; precise ma delicate nel solleticare quella mirabile fonte di piacere puro tra le sue cosce. 
Oh, santo cielo … 
<< Ti posso fare una domanda? >>.
Se stai per chiedermi quanto tempo manca al collasso ti rispondo subito: un secondo e mezzo. 
<< Naturalmente >>.
<< Quanto l’ha presa male la persona che hai fatto rimanere a casa per venire qui da me? >>.
Vera si riscosse improvvisamente da quel devastante trance erotico in cui era piombata, e batté le palpebre. << Scusa? >>.
<< Hai l’aria pensierosa. E sembra che tu debba scappare via da un istante all’altro. Non ci vuole molto a capire che ti ho messa nei guai con qualcuno di decisamente più interessante di me >>.
<< Oh, no … >>. Stava per dire “Bill”, ma si trattenne appena in tempo. << Ma no, figurati. Ho dato buca solo alla mia massaggiatrice >>, disse, mentendo solo per civettare un po’ e dargli al contempo una rassicurazione. 
<< E’ … forse un invito? >>, fece lui, e subito: << Oh, ehm, mi spiace. Non … >>. Prese fiato, risucchiandolo tra i denti perfetti e candidi, e Vera sussultò: quel lieve verso aveva aperto altri spiragli nella nebbia che avvolgeva i ricordi della loro notte, ed era esattamente quello che non le occorreva, grazie tante. 
A saperlo avrebbe ascoltato Kosta. Un paio di Valium le avrebbero fatto comodo. 
<< … sono abituato a … come dire, corteggiare le donne >>.
<< Preferisci farlo con gli uomini? >>, scherzò lei per ristabilire una certa distanza. Lui sorrise. 
<< Non è questione di preferenze, ma di tempo. Mi manca il tempo di instaurare legami, sempre di corsa, sempre al lavoro, mai una pausa. Ho quasi dimenticato com’è che si tratta una ragazza >>.
Non si direbbe proprio, stava per sputar fuori Vera, ma riuscì a tenere a bada la boccaccia. << Ma nonostante le mie carenze, mi piacerebbe tanto provare a conoscere te >>.
Lei batté le palpebre. << Perché? >>.
<< Perché so che ne vale la pena. Non sarebbe tempo sprecato, con te >>.
<< E cosa te lo fa pensare? >>.
“ Quello che sento mentre mi sei di fronte, e ti guardo, e vedo quanto sei bella. E non riesco a fare a meno di pensare che … adesso vorrei scivolare sotto il tavolo, spalancarti le cosce ed infilarmi tra di esse, con le dita, con la bocca, con tutte queste persone attorno che non si accorgerebbero di niente e continuerebbero a cenare tranquille mentre io mi nutrirei del tuo miele … “. Miele che già stillava abbondante dal favo, e non chiedeva di meglio che di venire assaporato da labbra perfino più dolci di esso … 
Oh, no no no no … come si esce da qui? C’è una cazzo di uscita di emergenza, un estintore, un esorcista in sala? 
Aiuto!
<< Vera? Stai bene? >>, domandò d’un tratto Bill, e lei inclinò il volto, scrutandolo minuziosamente per vedere quanto avesse captato di quel suo dramma psicologico ormai di competenza dello specialista. 
Niente, probabilmente, perché le sorrideva tranquillo. 
<< Chi, io? Sì, sì, certo, scusa. Stavo cercando di ricordare se ho spento i fornelli prima di uscire >>. Porca miseria, che figura del cacchio. Chissà se il Valium è anche anti-allucinogeno. Perché la mezza idea di chiamare Kosta e farmene recapitare una boccetta non è niente male. 
Lui rise. << Ti ringrazio. Così non mi rassicuri sul fatto che … tu sia dell’intenzione di continuare a vedermi >>.
<< Perché non dovrei? >>. 
<< Perché se davanti ad uno sbocco di sincerità assoluta tu pensi ai fornelli probabilmente ti sto annoiando. O forse è perché non … >>. Bill allungò la mano e prese il taccuino che le aveva messo davanti, aggiunse due righe e glielo porse nuovamente. 
“ … non sono un amante all’altezza dei tuoi standard. Ne sono consapevole, e se puoi scusare ancora una volta la mia sincerità, mi sarebbe piaciuto avere l’opportunità di potermi sforzare di più la prossima volta e magari … chiedere aiuto a te, per colmare le mie lacune “. 
Lei arricciò il naso, ma solo per impedirsi di battere la testa sul tavolo. 
Non era stata un’allucinazione. Solo, invece di dirglielo a voce, quel messaggio incendiario glielo aveva scritto sul suo inseparabile taccuino. 
Oh, mamma mamma … 
Un cameriere si avvicinò al tavolo, con fare elegante e discreto, domandando ai due se volessero ordinare.  
<< Vera? >>, fece Bill, sorridendole.
Ehm … per me un antipasto al cianuro e oleandro, zuppa alla Rohypnol, dei involtini con lamette e magari perché no, una macedonia di veleno per topi, naftalina e granuli di acido prussico . E per finire, creme brûle al piombo fuso guarnita con codette di soda caustica. Sì, penso che così possa essere sufficiente. 
Altro che la culinaria di Kosta, qua sarebbe una botta di culo davvero non tirare le cuoia a metà del primo. 
Qualcuno mi salvi …
<< Ehm … fai tu >>.
<< Sicura? >>.
<< Sì. Ah, e … non sentirti obbligato nei miei confronti perché io non sono … vegetariana. Davvero >>, insisté lei, vedendo ch’esitava. 
<< Okay >>. Bill si occupò di ordinare, e quando l’uomo si fu allontanato, Vera riprese: << Non potrei mai mangiare carne davanti a te, sapendo come la pensi >>. 
<< Grazie. Significa molto per me >>, disse lui, e per un attimo Vera dimenticò ch’era lo stesso ragazzo che a momenti la spediva in rianimazione con due tratti di biro su un blocnotes. << Posso chiederti se … hai animali? >>.
<< Certo. Il mio coinquilino. E’ un incrocio tra uno scimpanzè e un criceto da ruota, e quando si prepara per uscire rivela una certa affinità cromosomica con qualche strano tipo di uccello tropicale, se non altro per la livrea sgargiante … >>.
Bill scoppiò a ridere, e a quella cascata di suoni argentei Vera sentì la morsa allo stomaco stringersi ancora di più. << No, poveretto, dai! >>.
<< Dico sul serio. E poi ha un’inquietante propensione per i cibi al limite del possibile. Oggi ha tentato di avvelenarmi con un qualche tipo di droga indiana, un misto di curry e codeina al sapore di scarpa da ginnastica … >>.
<< Detto così suona terribile >>.
<< Ti assicuro che assaggiarlo è stato anche peggio. Di solito cucina benissimo, ma sotto esami è ossessionato dalla volontà di fare qualcosa di unico e nuovo, di farlo in modo perfetto e s’incasina >>.
<< Lo capisco. Per me e gli altri componenti del gruppo è un po’ la stessa cosa. Quel farlo nuovo e perfetto diventa un’ossessione, il tuo Sacro Graal personale e rischi di perdere di vista quello che volevi dire davvero rodendoti il cervello per trovare il modo migliore di dirlo … che spesso, è quello più semplice e diretto >>. 
<< Già. Spesso basta essere se stessi >>.
<< Ma spesso le circostanze non lo permettono >>. 
<< Anche questo è vero >>. 
Silenzio. Il cameriere tornò con il vino, e un altro uomo alto e magro, il sommelier, fece la degustazione. 
Vera fu grata di quella pausa. Le schiarì le idee e le ricordo il motivo per cui aveva accettato quell’invito. Appena andati via quei tizi, bevve un sorso d’acqua e si preparò alla sua brillante esposizione. 
Già. Peccato che subito dopo vide lui portare il calice alla labbra e muoversi impercettibilmente sul bordo di cristallo … in un modo così … delicato … e appena passò la punta della lingua tra di esse, a lei si seccò la bocca e si annodarono le corde vocali. 
Lui si accorse del modo in cui lo guardava, con gli occhi sgranati e abbassò impercettibilmente lo sguardo. << Oh, scusami … ma ho visto che tu avevi già bevuto e … >>.
<< Che?! >>.
<< Be‘, aspettavo bevessi prima tu >>.
Accidenti, che cavalleria. Non fosse stato per il ciuffo color platino e i piercing, avrebbe pensato che fosse atterrato direttamente dal Settecento. 
<< Mi sento un po’ a disagio. Non sono mai uscito con … una come te >>.
<< Con “una come me” intendi … una che fa il mio mestiere o una che dice scemenze? >>.
<< La … prima. E se mi sento a disagio è perché per l’appunto non dici scemenze ... Ma ho il terrore di farlo io. Davvero, non so cosa dire. Ho trascorso il tempo che mancava al nostro appuntamento pensando a un milione di cose che avrei voluto dirti e chiederti e adesso non me ne viene in mente neppure una. Mi è bastato vederti entrare e puff!, tutto sparito, risucchiato in un angolo buio e sprangato da qualche parte nella mia testa >>.
<< Un posto che nessuno può trovare? >>, chiese lei sorridendo sorniona. 
Lui chinò leggermente il capo biondissimo, scoccandole un‘imbarazzata occhiata di sottecchi. Quel ragazzo era sorprendente: ci metteva una vita e mezzo a parlare e un secondo e mezzo ad agire, pensò Vera, attonita. Ma chi è, dottor Jeckyll e Mister Hyde? << Non … credevo che … >>.
<< Conoscessi le tue canzoni? Errore. Le conosco meglio di quanto credi >>.
<< Se al posto mio ci fosse stato Tom ti avrebbe chiesto se ne hai mai usata qualcuna come sottofondo … oddio, mi spiace >>, si scusò subito, notando l’espressione di lei. << Te l’avevo detto che ho il terrore di dire scemenze, forse è meglio se sto zitto >>. 
Vera rise, guardandolo poi con intenzione. << Ah, io no. E tu? >>, fece, sfidandolo. Non riusciva neanche lei a capire cosa cavolo le stesse passando per l’anticamera del cervello … okay, vabbé, una mezza idea ce l’aveva in realtà, ma non era saggia. 
Bill chinò ancora di più il capo. << No … no, accidenti, non potrei mai. Penso che altrimenti comincerei a ridere e non potrei far altro, sarebbe troppo imbarazzante >>.
<< A quanto pare per te lo sono moltissime cose >>, osservò lei, prima di bere un sorso d’acqua. Nulla l’avrebbe convinta a buttar giù anche solo l’aroma dell’alcol, nemmeno se da quello fosse dipesa la salvezza del pianeta. Stava già sconfinando oltre la linea che si era autoimposta. 
Ma con lui era impossibile non farlo … a guardarlo così, Vera non avrebbe potuto giurare che si trattasse dello stesso uomo che l’aveva accarezzata con tanta soave maestria facendole gridare perfino il sangue nelle vene. A meno che non soffrisse di doppia personalità. 
Naaah, aveva già un gemello alquanto “particolare“, a suo dire; quindi che soffrisse anche di problemi di personalità multiple sarebbe stato un disastro totale. Semplicemente, era l’esatto contrario di tanti che fanno gli spacconi a parole ma poi a fatti non valgono una cicca. 
Lui invece era bravissimo in entrambe le cose. E a giudicare dal modo in cui avvampava, era del tutto sincero. Nessuno avrebbe mai potuto fingere a quei livelli. Bastava un cenno e puff!, ecco sbocciare quelle belle rose sugli zigomi. La sua pelle delicata era un ottimo specchio rivelatore … oltre che una morbidissima distesa di velluto su cui strisciare, sfregarsi, passare le dita …
Vera mandò giù un altro sorso d‘acqua. Come se fosse sufficiente a spegnere quell‘incendio … non era certa le bastasse tutto l’Antartico, a quel punto. << Prima hai accennato a Tom … >>.
<< Mio fratello, sì >>.
<< Lui … lo sa? Che sei con me, dico >>.
<< Mhmm … sì. Anche se avrei preferito non dirglielo. Lui … ha il brutto vizio di generalizzare un po’ troppo >>.
<< In che senso? >>.
<< Penso sia meglio lasciar perdere. Ho già sputato fuori troppe scempiaggini io, non voglio aggiungerci anche le sue >>.
<< Dai, cosa avrà mai detto di così tremendo? Se ti ha messo in guardia sulle malattie sessualmente trasmissibili può stare tranquillo. Una delle regole è “mai dentro senza”, se capisci cosa intendo >>, disse, solo per il gusto di vederlo avvampare di nuovo. 
E infatti … 
<< No, no … no. Ha solo detto che … be’, secondo lui è, cito testualmente, “una figata. Niente telefonate alle due del mattino solo per farsi dire che la pensi, niente “ma io credevo che ci fosse qualcosa di speciale tra noi due”, niente sbattimenti. Solo il meglio”. Fine della citazione. Certo, lui ha avuto un brutto colpo di recente, quindi non so quanto valga il suo punto di vista in questo momento >>.
<< Mhmm mhmm >>. C’era da aspettarselo, con la reputazione che aveva, pensò Vera. << E la tua personale opinione? Parla liberamente, io non mi offendo >>.
<< L’hai già detto tu. Liberamente. Serve dire altro? Vera, io non voglio cercare giustificazioni inutili per fingere di essere migliore di quello che sono. Il mio lavoro strangola ogni mio legame, sì, certo, ma c’è anche una parte di me che … chiamala pure selvatica, vuole sentirsi sempre libera di comportarsi come meglio crede. Ogni volta che … sono andato con una ragazza, dopo ci sono stato male, perché mi sembrava di fare qualcosa di sbagliato, di sfruttarla solo per il mio piacere, anche se cercavo di fare tutto il possibile per farla stare bene, per farla sentire speciale … mi sentivo in colpa lo stesso, e anche di più perché poi magari lei finiva con l’illudersi e finiva ancora peggio. E’ un dare e avere estenuante in cui non sei mai sicuro di rimanere in pareggio, non solo a livello emotivo ma anche fisico, e materiale … è un casino. E’ pesante tutto questo. E io sono decisamente un disastro … perché sono fedele in assoluto solo al mio lavoro e questo le ragazze non lo comprendono. Scrivere è una cosa che ti prende in qualsiasi momento, ed è come bere, mangiare, a volte come respirare. Se non puoi farlo ti senti soffocare, ti fa male la gola come se ti stessero strozzando. E una ragazza che vede che ti perdi nel tuo taccuino mentre lei ti sta raccontando l’ultima interessantissima puntata di “90210” o qualche altra cazzata di serie televisiva, o peggio ancora, dopo esserci stato insieme, be’ … piantarti in asso e coprirti d’insulti è il minimo che possa fare. Se ti va bene >>. 
Quando si fermò, si accorse che lei aveva gli occhi vitrei, spalancati. Non poteva certo immaginare che aveva descritto nei minimi particolari quello che sentiva lei nei momenti peggiori, quelli in cui cominciava a batterle in testa un flash, una battuta e non poteva scriverla perché era entrato uno a chiederle un caffé … se le andava bene, come aveva detto Bill. Se le andava male arrivava Carol e la mandava a pulire i cessi, con lei che entrava e usciva ogni tre secondi e quindi non poteva neanche approfittarne per segnare qualche appunto. 
<< Scusa. Ti sto annoiando >>.
<< No. Assolutamente no. E credimi … io ti capisco. Il bisogno di lasciarti prendere in tutto e per tutto da quel foglio bianco … i tratti che prendono forma, più disegni che parole in realtà, e ti mostrano in schizzi sempre più dettagliati quello che vuoi vedere … e tu torni e ritorni sempre su alcuni punti, sempre gli stessi, perché ti piace quello che provi mentre li rileggi, e li ritocchi, anche se solo di una virgola, e li sfiori ancora perché senti i brividi che ti percorrono la schiena, e le dita mentre batti sui tasti  … e più ti addentri nel corpo della storia, più ti entra dentro e più tu ti perdi dentro di lei, finché non comprendi più dove sei, qual è il tuo nome, perché sei lì. Lo sei e basta. Il mondo in cui vivi non esiste più e conta solo quello che hai raccontato tu. E penetri sempre più a fondo … entrando e uscendo dalle scene, prima lentamente, dilatando ogni intervento, ogni frase  perché ti piace prolungarti quanto più possibile quella dolce agonia che precede la conclusione … poi ti prende la frenesia e inizi ad andare sempre più velocemente perché brucia, ogni attimo che passa ti brucia dentro e tu non vuoi altro che liberarti di quel fuoco, riversarlo fuori … e quando finalmente ci arrivi, e hai finito, mentre rileggi quello che hai scritto più e più volte ti sale il cuore in gola, le pupille si dilatano, il respiro si fa affannoso, le viscere ti pulsano e sembrano contorcersi per l‘ansia di quello che ti aspetta nel prossimo paragrafo, o verso … sai già come finirà, le dinamiche in definitiva sono quelle, ma non puoi fare a meno di provarlo ugualmente e sempre diverso quel piacere che va via via crescendo … finché non ti esplode dentro nel finale, che ti sembra il migliore che tu abbia mai realizzato. E quando chiudi il pc, o il taccuino, riprendi fiato e ti rilassi, finalmente appagato, magari ti accendi una sigaretta continuando ad assaporare gli echi di quelle sensazioni … e ogni volta che ci ripensi, a qualcuna di quelle scene, sorridi tra te e socchiudi gli occhi quasi le risentissi in quel momento quelle stesse sensazioni che ti avevano attraversato mentre le scrivevi e rileggevi. In attesa del prossimo round. La scrittura è un’amante stronza ed esigente, che va coccolata e sferzata in parti uguali, dosando sapientemente passione e tenerezza, istinto e precisione, ma se riesci a piegarla dolcemente alla tua volontà ti dà delle soddisfazioni immense >>.
Lui chinò il capo un istante. E sospirò a fondo. 
Quando la guardò di nuovo, i suoi occhi da cerbiatto erano lucidi. E lei non poté fare a meno di provare una fitta alla gola, come un colpo dato con del filo spinato. 
<< Vera? >>.
<< Sì? >>. 
<< A proposito di regole … come funziona il … come dire, tassametro? E’ a ore o a … ehm, “prestazioni concluse”? >>.
<< Perché questa domanda? >>.
<< Perché se la risposta esatta è la seconda puoi cominciare a segnare sul conto >>. 
<< Questa era carina. Spinta, ma carina >>.
<< Pensi sia una battuta? Se vuoi continuare a crederlo non guardare sotto il tavolo, per nessun motivo >>. Lei lo fissò incredula. Poi scoppiò a ridere, scuotendo la testa. 
Rimase in silenzio per qualche secondo per lasciar decantare quell’attimo “particolare”, poi riprese. << Dovresti guardarti. Hai lo stesso colore dei pannelli sulle pareti >>.
<< E ci credo. Ricordami di non indossare mai più nulla di chiaro, semmai decidessi di uscire qualche altra volta con me. Hai mai avuto qualche altro “caso” disperato come me? >>.
<< Ad essere onesta no >>.
<< Bene. Adesso potrò sentirmi ancora più patetico >>.
<< Be’, se non altro ho con me la tua giacca >>.
<< Quando l’ho comprata ho avuto un istante di rimpianto perché l‘avevo presa lunga e non corta, ma adesso sono felicissimo di quella scelta … >>. 
Vera si morse piano un labbro, per nascondere un sorriso. Era una situazione oltremodo imbarazzante ma … non poteva fare a meno di sentirsi lusingata. 
Oltre che spaventosamente eccitata.                                      
<< Comunque, per tornare al discorso principale … tu mi piaci molto, mi piace come sei e quello che mi fai e … be’, per me il tuo lavoro non è un problema. E’ un garanzia, perché così non dovrò stare sempre continuamente a domandarmi se faccio bene, se faccio male, se non mi faccio sentire per mesi perché ho un tour interminabile davanti, se sono costretto a saltare un appuntamento perché ho avuto un imprevisto o … semplicemente, se ho voglia di … “stare con te” senza troppe complicazioni, senza dovermi giustificare … senza dovermi sentire in colpa. Perché diversamente dovrei farmi un sacco di scrupoli, di pormi un sacco di “se” e di “ma” e credimi, quando cominci a incasinarti così il cervello, la vita ti diventa uno schifo e va tutto a … ehm, rotoli >>. 
Vera sorrise per quell’educato cambio di uscita last - minute. Sembrava impossibile che potesse mai poter deludere qualcuno, lui, con quella delicatezza e la sua volontà di non voler ferire a nessun costo.
<< Sempre se accetterai di continuare a vedermi >>.
<< Be’ … ecco … >>. 
In quel momento il cameriere tornò con le ordinazioni. << Scusate il ritardo, abbiamo avuto un piccolo incidente in cucina … >>.
<< Non c’è problema. Non ho avuto il tempo di rendermene conto >>, rispose Bill, e Vera abbassò lo sguardo non tanto perché il commento di lui l’avesse imbarazzata quanto il pensiero che in cucina non erano stati i soli ad avere … un piccolo incidente.
<< Basta che non abbia preso fuoco nessuno >>, disse lei, e l’uomo inclinò la testa bruna impeccabilmente pettinata.
<< No, per la verità è l’esatto contrario … E‘ esploso un tubo e abbiamo avuto una perdita … meno male che l‘abbiamo contenuta prima che costituisse un vero e proprio problema. Ma mi perdoni, forse non le interessava saperlo … >>.
<< No, non si preoccupi, come le ho detto, basta che non si sia fatto male nessuno >>, osservò lei lanciando un’occhiata di sottecchi al suo accompagnatore, che aveva le guance in fiamme. 
<< No, per fortuna no. Grazie per l’interessamento … lei è davvero molto gentile, signorina >>.
<< Ma si figuri >>. 
L’uomo si dedicò agli altri tavoli e lasciò loro due da soli, a cenare … in teoria. In pratica, a tentare di mandar giù senza strozzarsi ad ogni battuta i sapori leggeri e delicati dell’antipasto. 
Era una bella sfida. 
 
Bill non riusciva a credere di essere … lì. Con lei. La guardava sorridere, e inclinare la testa con quel suo fare spontaneo, che le fece ricadere qualche ciocca dorata sulla spalla che la tunica color albicocca copriva. 
Santo cielo, quant’era bella. Ogni suo sguardo, ogni suo gesto erano un delicato ma esplicito invito. Non c’era da stupirsi se … aveva scelto quel lavoro. Trasudava sensualità come resina ambrata dalla corteccia di un giovane tiglio, liscio e candido. Dovevano adorarla tutti i suoi clienti, come minimo. 
Un po’ gli spiaceva, però. Sì, vero, aveva detto che per lui era l’ideale … ma c’era anche il rovescio della medaglia. 
Non avrebbe avuto soltanto lui. 
Non avrebbe mai immaginato di poter … frequentare una … escort. Non gli era mai passato per l’anticamera del cervello … lui aveva in orrore tutto quello che riguardava il sesso senza cuore. Sapeva quant’era facile perdersi, se si cominciava a farlo tanto per fare e amen. Solo perché … ci si deve pur sfogare, una volta o l’altra. Perché il corpo chiama e … be’, bisogna rispondere.  
Aveva rinunciato a molte cose nella sua giovane vita, e non gli pesava, perché in cambio aveva avuto tantissimo, cose che i suoi coetanei non potevano neanche immaginare. Ma quel suo principio era deciso a non svenderlo. Non avrebbe cominciato a saltare da un letto all’altro perché le ragazze erano prontissime a salirci sopra assieme a lui. 
Quel cane di suo fratello e i loro “colleghi” lo sapevano benissimo. Sapevano come la pensava riguardo certe cose, e privi di qualsiasi ritegno, gli avevano dato appuntamento in un indirizzo a Shoenfeld. “Ci abita la zia di Gus, ci ha invitato a cena … e poi giochiamo a Monopoli”, gli aveva detto Tom. “Io vado avanti, devo passare a ritirare la mia piccolina da Zuckerhann, dovevo sostituire le corde. Ci vediamo direttamente lì”. Non aveva idea di cosa gli stavano combinando quei tre deficienti. Ci era andato convinto e … solo una volta arrivato lì, aveva scoperto il tiro mancino che gli avevano organizzato. 
Sbuffante e seccato, e soprattutto pronto a fargli lo scalpo, a quello scemo di Tom, e a quelli che gli avevano tenuto mano aveva girato su due tacchi e stava per andar via da quel … be’, festino, prima che qualcuno si rendesse conto della sua presenza e scoppiasse uno scandalo. Sarebbe stato il colmo, lui che non si drogava e non andava a donne, finire sulle prime pagine perché avvistato ad una roba del genere …
E poi aveva visto lei. Nonostante la generosa porzione di corpo scoperta, e il trucco da vamp aveva un’aria così fragile … non aveva potuto fare a meno di andare a guardarla in volto da vicino, almeno per un istante. 
Era stato lì che si era reso conto che … non stava facendo la parte con un cocktail sexy dal nome evocativo. Si stava sbronzando. E di brutto. Forse per non pensare a quale di quei tizi sarebbe toccata in pasto quella notte … Dio, ce n’erano alcuni davvero orrendi. Lei probabilmente non lo sapeva. E fare il suo lavoro quella sera si era rivelato davvero difficile. Quindi, stava cercando di mandar giù il rospo con una bella dose di coraggio liquido … troppa, a dire il vero. Un conto era cercare di annebbiarsi, un conto era rischiare di finire in mano a chiunque, in quello stato. 
Era stato un impulso. L’aveva quasi caricata in spalla e l’aveva portata via. Non l’avrebbe lasciata lì, no. Generalmente tendeva a farsi i cavoli suoi ma … innanzi tutto era un gentiluomo e anche se la scintillante armatura certe volte gli stava stretta, in quel momento sentiva ch’era suo dovere proteggerla.  
Ma una volta in auto, lei aveva terminato quel po’ di lucidità che le era avanzata dalla sbornia, e si era addormentata. Tutta raggomitolata su quel sedile, sembrava piccola e fragile, nonostante quel vestito da tigre mangiauomini … le stava d’incanto, ma lui l’avrebbe preferito più accollato. E più lungo. E più … cazzo, ma a che stava pensando? Quelli non erano davvero affari suoi. 
Aveva fatto la cosa più intelligente che poteva fare. Aveva fermato davanti al primo albergo “sicuro” ed era sceso, rassegnato a passare la notte fuori di casa anche … “a casa”. Il portiere lo aveva riconosciuto anche se non era mai stato lì in precedenza e non aveva battuto ciglio quando aveva adocchiato la ragazza abbandonata in evidente stato di ebbrezza tra le sue braccia, né quando lui gli aveva chiesto una suite … grazie a suo fratello, assiduo frequentatore, non correva alcun rischio di paparazzate a tradimento. 
Una volta tanto le abitudini da donnaiolo di Tom gli tornavano utili, aveva pensato entrando in ascensore. Sotto quella luce forte, lei sembrava ancora più spaurita. Tigre mangiauomini … psssh, sembrava più un gattino randagio con gli artigli spuntati. Per un attimo, un’idea assurda gli aveva attraversato la mente … che fosse stata incastrata anche lei da qualcuno. Magari un’amica stronza. O un ex vendicativo. O qualche figlio di buona donna che gli aveva detto che si trattava di un incontro a cui poteva conoscere qualche regista, o comunque qualcuno che avrebbe potuto darle una spinta nella sua eventuale carriera.  
Ma quando era arrivato in camera e l’aveva posata sul letto … oh, santo cielo. Come quando d’estate nel cielo azzurro lapislazzuli si addensano le nubi e in due minuti scoppia il diluvio universale che sembra voler annegare il mondo intero, mentre fino a un momento prima brillava il sole. Era bastato che lei si tirasse su e gli allacciasse le braccia al collo, le gambe ai fianchi e lo attirasse verso le sue labbra aderendovi con le proprie … quanto erano morbide … e nonostante tutto l’alcol trangugiato aveva un buon sapore, pesca e violetta, anche se non aveva idea da dove venisse. Aveva provato a resistere, a porre come freno ai suoi più bassi istinti ogni ragionevole dubbio … non era da lui. Bill Kaulitz non sarebbe mai andato a letto con una … be’, professionista del sesso, ubriaca fradicia per giunta, in una stanza d’albergo. Non … no, non poteva farlo. A parte le sue proprie convinzioni, gli sarebbe sembrato di approfittarsi di lei. Anche se lo faceva per mestiere aveva comunque una sua dignità. Non poteva sapere per quali e quante circostanze era arrivata a quella scelta estrema. Forse aveva una famiglia da mantenere. Magari era stata sposata con un porco che poi l’aveva abbandonata con un figlio da crescere … un errore di gioventù pagato caro. Forse era straniera … era arrivata lì a Berlino con la promessa di un lavoro e un permesso di soggiorno e poi dei bastardi l’avevano sbattuta in quel giro con la minaccia di fare del male a lei o ai suoi parenti se non faceva come dicevano loro … No, non sarebbe andato a letto con lei … una ragazza di cui non sapeva nemmeno il nome …
E poi  lei gli aveva slacciato i pantaloni, infilandovi dentro una mano esattamente come stava facendo con la lingua nella sua bocca. Misericordia, che tocco … deciso, inebriante, avrebbe piegato alla sua volontà anche un muro di mattoni. Gli era scivolata contro morbida, arrendevole, una vera gattina. Riusciva a sentire la sericità della sua pelle nonostante lui fosse completamente coperto. 
Ma il colpo di grazia era arrivato quando si era staccata da quel bacio e l’aveva guardato dritto negli occhi. Erano vividi, presenti. Sembrava non fosse mai stata così lucida come in quel momento. E se ancora non fosse stato sufficiente …
<< Bill … >>, gli aveva sussurrato, il suo nome una preghiera straziante, come se stesse chiedendo ad uno splendido sogno di non svanire al sorgere dell’alba. 
Non aveva più potuto opporre nulla. Aveva spento il cervello e … 
L’aveva fatto. L’aveva fatto sul serio. L’aveva messa giù, con delicatezza … le aveva allargato le cosce e si era sdraiato sopra di lei, in modo da non gravarle addosso però. Le aveva accarezzato con dolcezza il volto, l’arco della mascella, la gola … le spalle … non si aspettava certo che lei gli sfilasse la giacca e la maglia sottilissima con gesti bruschi, né che lo mordesse al centro del petto, spostandosi poi sul cerchietto d’argento che luccicava sul capezzolo sinistro … senza smettere di muovere la mano nei suoi boxer, stringendo e abbassandola, indugiando alla base e in punta, dov’era più sensibile … la gattina aveva gli artigli affilati, solo li teneva ben nascosti. Non amava perdere tempo … strano, considerato che di solito lo scopo del pagamento a ore è giusto quello: indugiare. 
Ma sembrava proprio che lei intendesse soddisfare più un proprio desiderio, piuttosto che quello di lui. E questo più di ogni altra cosa lo aveva spinto a cederle … si era liberato degli indumenti che aveva ancora indosso e aveva dato fondo a tutta la sua esperienza, anche solo attinta ai racconti di suo fratello, o al sentito dire di chissà chi … ed era più che pronto a fare qualunque cosa, pur di darle piacere. Qualsiasi … anche farsi mettere sotto quasi immediatamente e permetterle di non toccarla, di non accarezzarla, di non prepararla adeguatamente all’atto vero e proprio … gli era salita addosso subito, dandogli a stento il tempo d’infilare la protezione e … 
Oh, mamma …  ancora non riusciva a pensarci senza un fremito. Stava stillando umori come un ramo di ciliegio sotto la pioggia primaverile, ma la sua carne opponeva ancora un po’ di resistenza. Quel colpo secco aveva avuto l’effetto di una deflagrazione, nella sua mente, nei suoi sensi. Un lampo bianco in perfetto equilibrio tra dolore e piacere che aveva accecato e annullato tutto … c’era mancato tanto così, perché fosse già finita. Aveva dovuto stringere i denti per impedire a quell’idiota del suo membro di rovinare tutto in due secondi. 
Però un pochino gli era spiaciuto, per lei. Avrebbe dovuto aspettare un po’ più, perché lui potesse dilatarla con dolcezza, farsi strada con le dita … magari darle un orgasmo “prima“, che lo prendesse dentro di sé, e non dopo, in appena un minuto o poco più. 
Non c’era stato niente da fare. Quello non era un vago languorino da placare con assaggi a piccoli morsi. Era una fame bastarda che imponeva di essere soddisfatta, senza troppi complimenti. Lo aveva preso così bruscamente che gli aveva quasi fatto male, neanche fosse stata lei a penetrarlo. Anche se … be’, forse non aveva potuto entrargli dentro a quel modo, ma l’aveva fatto in tutti gli altri possibili e immaginabili … e anche non immaginabili. Non avrebbe mai pensato di ritrovarsi bendato con la sottilissima stola che la ragazza indossava sopra quell’abitino striminzito, e che assolveva in modo ridicolo al suo ufficio di “copertura”, e i polsi saldamente assicurati l’uno all’altro con un nodo magistrale … fatto con gli slip di lei. Incredibile. Perfino il suo immaginario erotico aveva sudato freddo, davanti a quel giochino … non perché non si fidasse di lei e temesse che sparisse lasciandolo lì a piedi, legato e nudo come un verme, in balia degli eventi. Non gli era passata nemmeno per un secondo un’ipotesi del genere. 
Aveva tremato perché così la sentiva ancora più a fondo. Ogni suo bacio, ogni sua carezza … erano amplificati da quella temporanea soppressione della vista e del tatto. Si era sempre chiesto come fosse possibile eseguire a regola d’arte del sesso orale anche con il profilattico addosso … e aveva scoperto che a volte è meglio non chiedere niente, se non si vuole rischiare di avere una risposta. Quella barriera non era riuscita ad impedire alla bocca, alla lingua e alle labbra di lei di distruggere quegli sprazzi di lucidità e remore che gli erano rimasti. Ed era stata così dolce, quando lo aveva liberato dalla tripla prigionia di quei legacci improvvisati e dell’impalpabile materiale plastico del profilattico e inginocchiatasi tra le sue gambe, lo aveva ripulito delicatamente con un asciugamano bagnato d’acqua calda … troppo dolce, così tanto che … ehm, ecco … il tempo refrattario si era accorciato al volo, l’esatto contrario del suo membro che invece … aveva spiccato di nuovo il volo. 
Ma stavolta non le aveva permesso di arrancargli ancora addosso e tenerlo giù. Era scivolato lungo le morbide linee del suo corpo nudo … prima con le mani, poi con la bocca e con la lingua … un cercatore di perle non avrebbe potuto mettere più estatico impegno, nel cacciare il suo tesoro nascosto tra le valve iridescenti e rosee della conchiglia che lo racchiude. E lei lo aveva ricambiato con un orgasmo di un candore vellutato e disarmante … come se non avesse la minima idea che si potesse raggiungere anche a quel modo. 
Il resto era stato indescrivibile. Come se invece di placarli, il piacere che si erano dati reciprocamente fosse servito soltanto a tirar fuori il meglio, o il peggio, di loro, lati oscuri e dimenticati sepolti nel fondo del loro spirito, una fame molto più antica della loro, di loro stessi, la stessa fame delle creature selvagge che si aggiravano nelle foreste che all’epoca, coprivano quasi tutta la Terra, prima che la mano dell’uomo uccidesse, estirpasse, ricostruisse a modo suo, non sempre un bene in verità. 
Ora che ormai la sapeva sondata, aveva smesso la troppa dolcezza e l’aveva penetrata di nuovo, stavolta però facendosi largo nella sua carne con spinte via via più vigorose, profonde, a un passo dal lacerante, strusciandosi addosso a lei, stringendola tra le braccia, artigliandola con le dita, mentre lei attutiva i colpi raccogliendoli nella culla dei fianchi, accarezzandogli i capelli e la nuca senza farsi sfuggire dalle labbra altri gemiti che quelli di piacere. Lui ne era convinto, perché un verso di sofferenza non gliel’avrebbe fatto vibrare come avesse preso una scossa. Morbidi, dolci, riempivano le orecchie e la mente come soffice panna, o zucchero filato.
Era stato qualcosa di memorabile. Da quando aveva perso la verginità, ormai parecchi anni prima, non era mai passato attraverso un uragano del genere. 
Quella notte, assieme a lei, aveva realmente capito il senso dell’espressione: “perdere il controllo”. Per altre quattro volte. 
E poi era crollato, esausto. Con lei sul suo petto. Desiderando solo dormire, perché non aveva più energie né altri desideri, avendo quella forza della natura consumato tutto. Appena chiusi gli occhi era piombato in uno stato catatonico a un passo dal coma …
Ma non prima di appuntarsi mentalmente di ringraziare suo fratello. Non solo per l’invito, ma anche per lo scherzo dei preservativi che gli aveva organizzato giusto qualche giorno prima, riempiendogli le tasche di tutte le giacche, i jeans e le felpe … era riuscito a togliergli quasi da tutto, ma la tasca interna di quella che indossava l‘aveva dimenticata, quasi fosse stato un segno del destino. 
Mai burla di Tom si era rivelata più provvidenziale.   
 << Ciao. E’ stato bello? >>, chiese Vera, e Bill trasalì. La bolla fatata in cui stava beatamente fluttuando si ruppe e si ritrovò lì con lei, che lo fissava maliziosa. Eppure, nonostante tutto, sembrava così ingenua … doveva essere una bravissima attrice. 
O forse no. Forse, era davvero così. Forse il suo lavoro le piaceva, e da un lato lui pensò che sarebbe stato meglio così, per lei. Niente drammi umanitari. Solo una donna che faceva un buon uso dei doni che la natura le aveva fatto: un bel corpo, un viso da fata, due grandi occhi limpidi e … una disinvoltura e una maestria spettacolare negli affari di letto. In fondo non erano poi tanto dissimili … lui vendeva la sua voce, lei vendeva il suo corpo. Sfruttava il suo talento. 
Tutte inutili masturbazioni mentali, pensò storcendo le labbra. Sapeva benissimo che si stava imbrogliando da solo per non pensare agli altri, a tutti gli altri … che forse, erano molto migliori di lui. 
Cazzo, i confronti sono sempre tremendi. Soprattutto su quell’argomento così delicato. E per un attimo rimpianse di non essere più bravo, più smaliziato, più … spinto. Stava premendo a tavoletta sull’acceleratore della sensualità esplicita ma lei era sempre un centinaio di chilometri avanti, e lo faceva avvampare come una fanciullina del secolo scorso. Lui aveva tirato fuori una roba da diario delle medie e lei aveva ribattuto con un parallelismo pitagorico che quadrava come il famoso teorema e il risultato era stato devastante, per i suoi calzoni firmati grigio perla chiarissimo. Si era venuto nei boxer come un adolescente brufoloso davanti al suo primo porno. 
Dio, che disastro. 
<< Co … cosa? >>.
<< Il viaggio che hai fatto mentre io finivo di mangiare. Posso sapere dove sei andato? >>. 
<< In … un bel posto >>.
<< Pensavi a qualcosa da scrivere? Guarda che non ti devi formalizzare. Se ne senti il bisogno tira fuori il tuo amichetto e dacci dentro >>. 
Ma allora era un congiura. Lo stava facendo apposta. O era lui ad essere così … ingrifato che ricollegava ogni cosa a … quello. 
L’aveva invitata a cena perché voleva conoscerla meglio … un po’ una cosa al contrario, considerato che di solito si andava prima a cena per finire a letto. Lui invece aveva già abbondantemente assaporato quella parte e gli era venuta voglia di saperne di più anche su tutto il resto, di lei. Non gli bastava conoscere il suo nome, anche se gli piaceva da matti. Aveva un suono saldo, puro … forte e sicuro. Pulito. Senza inutili cadenze esotiche, o significati strani. Vera. Era riuscito a farselo sussurrare sulle labbra, mentre lei gli si inarcava sotto in preda a quello che sembrava un orgasmo acutissimo … così dolce e profondo da essere doloroso. Da malfidato aveva quasi pensato che stesse fingendo ma … be’, le contrazioni, intensissime, della carne di lei attorno al suo membro che l’avevano stretto in una morsa molto simile a quella di una mano da pugile non lasciavano posto a dubbi. 
No, per favore, basta … << No, tranquilla, niente attacchi d‘ispirazione. Solo mi stavo chiedendo … hai parlato di regole, prima? >>. 
<< Già. In tutte le cose, ci sono delle regole … anche in questo. Una te l’ho detta >>.
<< E … le altre? >>. 
Vera esitò. Forse, non era un bell’argomento da tirar fuori a quel punto. Ma lui voleva essere sicuro di non combinare casini … di nuovo. 
<< Non sono tante, in fondo. Ma non mi pare né il luogo, né il tempo per discuterne >>.
<< Giusto. Però volevo sapere … i baci sulle labbra sono proibiti? >>.
<< Certo che no >>, rispose lei sorridendo. 
<< No, è che l’avevo sentito in un film. Mi sarebbe spiaciuto. E’ una cosa che a me piace molto e poi … >>.
<< E poi? >>.
<< Tu baci benissimo >>.
<< Ah. Ehm, grazie >>.
<< Figurati >>.
<< E poi, se lo fosse stato, non ti avrei permesso di baciarmi l’altra mattina no? >>.
<< Già, scusa. Non c’aveva pensato >>.
Non le disse che avrebbe rinunciato, sia pure a malincuore, a quel piacere pur di non condividerlo con gli altri. Non occorreva mostrarsi così stupido. 
Lei aveva appena riabbassato le posate nel piatto, che lui riprese: << Ce n’è una che vieta d’innamorarsi? >>.
Il tintinnio che seguì quella domanda lo fece trasalire, e fu come se gli fece da sveglia. Era un cretino. Un cretino. Un autentico cretino. Punto. 
<< Scusa. Non … si può impedire d’innamorarsi ad una persona. Sarebbe come imporle di non respirare >>.
<< Già, è vero. Ho detto un’altra stupidaggine. Di certo … dovranno essere tutti innamorati di te >>, pensò lui, con una lieve fitta di fastidio al centro del petto, una sorta di eco delle punture dell’ago da tatuatore. 
<<  Sai qual è un’altra regola? Non si parla del mio lavoro. Niente domande sui miei … altri clienti. Non parlo alle spalle degli altri. E’ una questione di riservatezza >>.  
<< Okay >>. Da un lato era meglio così. Occhio non vede cuore non duole no? O meglio, orecchio non sente, cuore non duole, giusto? 
Col cavolo. Si era parato in corner con la bella manfrina del suo lavoro, della sua voglia di libertà, della sua infaticabile dedizione alla sua musica ma … più parlava, più tutte quelle parole gli sembravano false, costruite, una bella maschera da uomo moderno che non cedeva allo sciocco impulso di voler fare terra bruciata attorno ad una donna solo perché ci era andato a letto, da individuo ragionevole che fa una scelta sensata per non ferire nessuno. 
Quante cazzate. La verità era che l’aveva preso alla gola come un morso. L’aveva spedito indietro sulla scala evoluzionistica di migliaia di anni e gli aveva succhiato via la razionalità lasciandogli quel tanto che bastava a destreggiarsi in quel labirinto verbale senza giocarsi lei. 
Non aveva mai conosciuto una come lei. Più andava a fondo, più le piaceva … e tutte le sue brave teorie e convinzioni erano andate … sì, proprio a puttane, esatto, Bill caro, proprio così. Almeno abbi il coraggio di essere uomo e di ammetterlo, anche se solo con te stesso. Tanto se non lo farai tu c’è chi lo farà per te … anzi, l’ha già fatto. La desideri, la vuoi, e non c’è via d’uscita. Sei disposto a pagare per averla. Sei disposto a dividerla con altri che non conosci, ombre invisibili che si porta dietro come la sua propria, demoni custodi che tentano di offuscare la sua luce con le loro oscure manovre. Ma non ce la fanno. Lei splende di più. 
E tu non sei migliore di loro. Avrai anche un bel faccino, maniere impeccabili e riesci a tenere a bada la voglia di saltarle addosso come un assatanato, ma non c’è nessuna differenza tra te e un vecchio porco sessantenne in giacca e cravatta che gira in Porsche e la domenica va ai brunch coi nipotini dopo la funzione in chiesa. Quando sei con lei comanda quello che hai tra le gambe e tanto vale lasciar campo libero a lui che forse se ne intende un po’ più di te, piccolo stupido imbecille. 
<< Non me lo vuoi proprio dire cosa sta catturando tanto intensamente la tua attenzione eh? >>, fece Vera. 
<< Tu >>, rispose lui d’impulso. Vera gli scoccò un’occhiata perplessa. 
<< Ma io sono qui di fronte a te >>.
<< Certo. Ma eri con me anche l’altra notte >>. 
<< Stavi … pensando a quello? >>, mormorò lei … cielo, sembrava quasi in imbarazzo. 
Che avesse fatto così schifo?
Eppure non sembrava troppo insoddisfatta. Anzi. 
Anche se la mattina dopo l’aveva vista … e sentita, un tantino distante. 
Chissà come mai …
Dio, perché doveva essere sempre così paranoico?
<< Sì >>.
Non domandò altro. E l’arrivo del cameriere col dolce fu una via d’uscita d’emergenza. 
Okay, Bill Kaulitz. Ringrazia che anche stavolta ti è andata bene.
 
Vera non riusciva a spiccicare parola. Tre volte. Tre volte aveva avuto la possibilità di spiegare, e tre volte aveva lasciato correre, anzi, aveva aggiunto nuovi fili a quella ragnatela d’inganni. “Non si parla del mio lavoro …”. Bella scusa.
Aveva avvertito una fitta così improvvisa che non era riuscita a dissimulare. Sembrava fosse abilissimo a spogliarle l’anima e andare a colpire proprio nei suoi punti più vulnerabili. Perché le aveva chiesto se erano proibiti i baci sulle labbra? Solo perché l’aveva davvero sentito in un film? O perché aveva sentito che lei era stata un tantino restia, quando l’aveva baciata quel mattino? Be’, non poteva certo immaginare che lei … non ricordava assolutamente nulla di con chi fosse andata a letto, ed era sotto shock quando lo aveva visto. 
E perché le aveva chiesto se era vietato innamorarsi? Aveva forse paura che, date le stupidaggini in cui lei si stava andando impigliando da tutta la sera, temesse di aver fatto tanto giro solo per trovarsi punto e a capo con una ragazzina imbecille che lo guarda come vedesse Febo Apollo in carne e ossa, sguardo adorante e manine giunte? 
Escort uguale libertà assoluta. Certo. Gli piaceva -vai a sapere perché, lei non ne aveva la minima idea - e voleva continuare a vederla. 
Ma se avesse saputo che lei era davvero una di quelle ragazzine imbecilli, l’avrebbe pensata allo stesso modo?
Cazzo, che casino. Il destino le aveva posto davanti un bivio. Anzi, un incrocio … perché tra al scegliere di continuare in quell’intruglio di frottole, o sputar fuori la verità, ci andava di mezzo anche quel fottuto desiderio carnale. Le sembrava di essere diventata un pozzo senza fondo, e principalmente senz’acqua. 
Quella voglia non le stava permettendo di essere lucida. Altroché. Se non calmava quella belva feroce tra le sue cosce non ne sarebbe uscita mai. Quella grandissima … escort, per l’appunto, aveva fame, una fame dannata, e se a una belva in gabbia non gli getti carne fresca è facile che ti si rivolta contro mordendo un po’ a caso. 
Al momento aveva scelto il suo cervello. Mangiucchiando qua e là una buona fetta di raziocinio se n’era andata. 
Ma guarda tu se devo farmi mettere i piedi in testa da un ammasso di mucosa e umori. Come cazzo ho fatto a ridurmi così, accidenti! 
Quel cameriere poveretto avrebbero dovuto fare santo, pensò guardandolo arrivare un’altra volta al momento opportuno. Se per puro caso lui si fosse lasciato sfuggire qualche particolare che al momento le era ancora oscuro, probabilmente non gli avrebbe permesso neanche di darsi il tempo d’infilare la giacca. L’avrebbe afferrato per un polso e se lo sarebbe portato nella toilette, e all’inferno se beccava la denuncia. Meglio la galera, che il manicomio. Stava perdendo come un lavandino rotto e solo la divina Provvidenza che aveva illuminato Kosta facendogli scegliere una gonna le aveva salvato il fondoschiena. Neanche una diga avrebbe potuto tenere a bada quel macello.
Non ne poteva più. L’unica cosa che riusciva a pensare mentre portava alle labbra una cucchiaiata di quella dolcissima créme brüle era che sperava che al cuoco gli ci fosse caduto dentro un po’ di sedativo. 
Ma ne dubitava fortemente. 
 
<< E’ stata una bellissima serata, per me. Spero … che tu non ti sia annoiata troppo >>, disse Bill, spegnendo il motore. La vista da lì era magnifica, pensò Vera, ma preferiva sempre e comunque guardare lui.  
<< Tu secondo me fai così perché vuoi sentirti fare i complimenti. Non mi sono mai divertita tanto in vita mia, davvero. Tu che arrossisci in continuazione sei uno spasso superiore anche alle parodie della saga di Twilight sul web >>.
<< Ti piace Twilight? >>.
<< In realtà non moltissimo. Il primo libro sì, era okay, ma gli altri … Okay, capisco la tua morale, i tuoi principi, c’hai cent’anni e così sia bla bla bla, ma tesoro mio, Eddino bello, svegliati la mamma! Non esiste che una povera mortale con tutti gli ormoni in subbuglio ti aspetta per quattro libri formato mattone! Da qui capisci ch’è un fantasy, fosse stato realistico già nel secondo scappava con quel bel lupacchiotto focoso di Jacob alle Hawaii, ad affilarsi gli artigli sui tronchi di palma e metter su un chiosco per la piña colada! Altro che chiacchiere! >>.
Bill scoppiò a ridere, e per un cinque minuti buoni non fu in grado di smettere. Quando ci riuscì, aveva gli occhi lucidi. << Povero Edward … Sei terribile, e anche pericolosa! Hai smontato un mito in due secondi e mezzo! >>.
<< Dipende da quant’è valido il mito in questione …  A te per esempio non ti ho ancora smontato mica, no? >>.
Lui le lanciò un’occhiata obliqua, a metà tra perplesso e intimorito. << Non riesco a capire se è una minaccia, un invito, un complimento o semplicemente una battuta … >>.
<< Be’, questo spetta a te stabilirlo … >>, ribatté lei. Bill le si parò davanti e la sfiorò con uno sguardo che non lasciava alcun dubbio riguardo le sue intenzioni ... sul modo in cui voleva appurarlo.  
Ecco. Quello era il momento perfetto. Da cogliere subito, come un frutto … anche se con tutte le spine. << Ehm … aspetta. Ascolta … >>. 
Il trillo di un cellulare interruppe lo slancio di Vera. << Scusami un secondo … ti spiace? >>.
<< No, certo che no >>. 
Bill annuì, e rispose portando il telefono all‘orecchio. << Sì, pronto? Saki? Ah ah. Sì. Come? No … Sul serio? Oh, merda. Dannazione. Sì, aspetta, due minuti e arrivo. Non … ehi, cerca di tenerlo, okay? Non ci metto niente >>.
Vera aveva seguito ogni istante di quella conversazione via via più alterata, e aveva misurato con lo scolorire delle guance di lui il momento in cui la preoccupazione aveva toccato l‘apice, come la luna sorgendo andava sbiadendo dal vermiglio al perla mano a mano che saliva. << Tutto bene? >>.
<< Mio fratello … stavano facendo i cretini giù in studio e si è tagliato con uno dei piatti della batteria di Gus. Il taglio in sé è meno di niente, ma non può soffrire gli aghi e … non si farà mai mettere due punti, se non vado io a tenergli la mano. Che grand‘uomo, eh? >>. Tentava di sdrammatizzare, ma il pallore indugiava sul suo volto teso. 
Fu più forte di lei. Allungò una mano e gli scostò dalla fronte una sottile ciocca di quei fili d’oro pallido. Sembravano capelli d’angelo, finissimi e serici, luce resa palpabile per chissà quale strano e complicato fenomeno metafisico.    
<< Sei un fratello perfetto. Quello che tutti vorrebbero. Vai >>.
<< Dopo averti riaccompagnata >>.
<< Dovresti tagliare tutta Berlino, e poi tornare indietro. Finiresti nel bel mezzo dell’ora di punta >>.
<< Non posso certo lasciarti qui … >>.
<< Dai, prenderò un taxi, la colonnina è proprio qui davanti, guarda! Davvero, tranquillo … non devi preoccuparti per me, non sono mica una bambina! >>.
<< Lo so, però … >>.
<< Vai. Non accetto nessun genere di giustificazione. Vai, subito >>. 
Lui le rivolse uno sguardo di pura gratitudine. << Grazie >>.
<< Ma di che. Grazie a te. Buonanotte >>. Fece per scendere, ma d’un tratto si sentì afferrare delicatamente un polso e attirare indietro. 
Era inquieto. E anche un po’ frustrato, e affamato. E glielo fece sentire in quel bacio … assieme alla carezza piena e vellutata della lingua. Un dolore acuto sbocciò tra le cosce di Vera, pulsando ad ogni movimento di quel muscolo così delicato e viscido dentro la sua bocca, ad ogni struscio della piccola sfera d’acciaio sul suo palato, ad ogni respiro che le scaldava la gola, perfino ad ogni lievissimo, impercettibile sfarfallio delle dita che le aveva infilato tra i capelli. 
<< Bill … >>, mormorò lei quando la lasciò andare, fissandogli le labbra umide e morbide. E una cascata di tintinnii discendenti si riversò nelle orecchie della sua mente. 
La barriera di cristallo che aveva innalzato da sé era andata in frantumi. 
<< Ti chiamo presto >>.
<< Quando vuoi. Ciao >>.
<< Buonanotte, Vera >>. Lei scese e attese che mettesse in moto, poi che si allontanasse e quando fu certa di essere fuori vista, ormai ombra sfocata o neanche più quella, attraversò la carreggiata e raggiunse la colonnina dei taxi, irritata e infreddolita. 
Eppure, era una bella notte calda. Proprio non riusciva a spiegarsi dove venisse tutto quel gelo.
Meno di dieci minuti dopo, pagava l’autista con un’altra piccola parte di quello che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto restituire e suonò al citofono. 
Aveva scordato le chiavi. E anche il cellulare. Meno male che non poteva frugare nella sua testa come nella borsa altrimenti si sarebbe accorta che aveva scordato anche il cervello, da qualche parte. 
Non era una cosa molto incoraggiante.  
<< Sì? >>.
<< Apri, Kosta. E non ti azzardare a dire niente, ’che sennò le prendi >>, disse, in tono seccato. 
<< Ma che è successo? >>, domandò il ragazzo frastornato, quando ebbe davanti la sua amica fin troppo … composta. 
Vera sbuffò, tirandosi indietro i capelli che le dita di lui avevano liberato dallo chignon. << Mi ha mandata in bianco >>. 
Un istante di pausa.  
E poi: << Ahahahhahahhahahahhahahaahhahahahahahhah! AHAHAHAHAHAHAH! Non ci credo, una escort che viene mandata in bianco! La vergogna della categoria! Ti farà causa il sindacato! >>.
<< Sì, sì … domani, intanto me ne vado a letto >>.
<< Gliel’hai detto? >>.
Dal fondo del corridoio, nessuna risposta. 
<< VEEERAAA! GLIEL’HAI DETTOOOO? >>.
<< NO! >>.
<< Ecco, lo sapevo io >>. 
<< Non ho potuto >>, disse lei, riapparendo d’un tratto sulla soglia del cucinotto. << E’ … dovuto andare via di fretta >>.
Kosta inarcò un sopracciglio da sopra la tazza di tisana di tiglio e passiflora. << Sei stata fuori due ore e mezzo >>.
<< Lo so >>, fece la ragazza, chinando il capo dai capelli ancora raccolti. Non le veniva di scioglierli, dacchè li aveva toccati lui. Oh, cavolo … << Ma … abbiamo parlato di tante di quelle cose … >>. Venne avanti a passi rapidi e si sedette, come se temesse di perder l’equilibrio solo pensando a lui. << Non puoi immaginare, Kosta … è brillante, divertente, intelligente, e incredibilmente timido … perfino quando scrive porcate, con lui diventano poesie >>.
<< Che?! >>, saltò su Kosta. << Ma di che stai parlando? >>.
<< Che … be’, mentre eravamo a cena mi ha scritto un paio di cosette sul suo taccuino che … ecco … non … ehm, come dire … >>. 
<< Ti hanno fatto sciogliere? >>.
<< Mhmm mhmm, già >> . Abbassò lo sguardo e iniziò a giocherellare tracciando forme con la punta del dito sulla cerata. Ma smise di colpo quando si rese conto che quelle che stava tracciando erano dettagliate riproduzioni invisibili dei tatuaggi di lui. <>, disse al ragazzo che la stava guardando con malcelato interesse e un sorrisetto sornione, avendo capito quel gioco. 
<< Cosa c’è? >>.
<< Dammi un colpo in testa, per favore. Ho paura che non mi riprenderò mai più se non con una bella amnesia … >>.
Lui invece la prese per le spalle e la fece alzare. << Macché. Hai solo bisogno 
di riposarti un po’. Ora ti riempi la vasca, ti ci metti a mollo mentre io ti preparo una bella tisana di quelle che ti stendono in due secondi e te la lascio sul comodino in camera tua, ti fai una bella dormita e domattina, quando ti alzi, sarai come nuova e vedrai che aaaaaandrà tuuuuuuuttooo beeeeeneee … ops, scusa, non c’avevo fatto caso >>. 
<< Mhm, ci credo poco >>, borbottò Vera, scoccandogli un’occhiata di traverso. 
Ma andò comunque ad aprire l’acqua in bagno, e nell’attesa si spogliò, studiandosi per quello che poteva nello specchio. 
Non si capacitava come potesse averla presa per una escort. Poteva capire una … be’, una di quelle signore più economiche, okay. Ma le squillo d’alto bordo sono curatissime, perfette, tengono sempre lucidissima la carrozzeria perché è quella che attira i clienti, è … il loro banco da lavoro, per così dire. 
E lei prima di quel giorno non aveva mai neanche messo una crema, o fatto uno scrub. A stento sapeva mettere la matita sotto gli occhi. 
Ma era proprio in buona fede, Bill, o aveva subodorato qualcosa ma si stava divertendo a giocare lo stesso? E se … avesse invece proprio capito tutto e voleva continuare così per poter essere lui a dettare le regole e le condizioni in quello strana sottospecie di rapporto? 
Rapporto? Ehi, calma, frena Vivvi bella. Ci sei solo uscita una volta a cena, e … vabbé, ci hai trascorso assieme una notte. Ma in ogni caso non basta certo a definire ‘sto pasticcio un rapporto. Potrebbe anche finire qui. E magari quella telefonata é stata architettata prima proprio per filarsela al momento opportuno, dopo aver recuperato la sua preziosa giacca …
Stava cercando in tutti i modi di lanciarsi in quella via, ma qualcosa dentro di lei si ribellò e si vergognò tanto da non riuscire a reggere il suo stesso sguardo nella lastra. Le sembrava che l’avrebbe fulminata all’istante, per quello che stava pensando. 
Certo, indubbiamente. Siccome a lui mancano i soldi … potrebbe andare e prendere su l’intero negozio in uno schiocco di dita. Uno che può permettersi di pagare un’imbranata come me 1500 euro per meno di un’intera notte … non si preoccupa certo di queste minuterie. 
E poi, quell’espressione, quella voce incrinata non poteva essere una recita. Era la voce di uno che non crede sia una cosa da poco, ma che glielo stiano dicendo solo per prepararlo gradualmente a qualcosa di peggiore. 
Sospirò, ripensando a quel bacio. Non era certo un bacio d’addio … non che lei ne sapesse un granché, ma non serviva mica una laurea in “amplessologia“, per capire che se fosse dipeso da lui l’avrebbe presa lì, in auto, fregandosene altamente dei passanti, dei gatti randagi e della ronda di quartiere … e che sarebbe stato bellissimo anche così. 
Già, be’, oh, cavolo. La laurea forse non serviva, ma lei aveva fatto comunque il test d’ammissione e dato anche il primo esame. E a giudicare dai risultati, doveva anche essere andato bene. 
E lei che aveva piantato la scuola perché temeva di non essere abbastanza brava. Forse non si era data abbastanza fiducia, abbastanza crediti. Magari doveva fidarsi un po’ di più delle sue capacità … come Bill, appunto. 
Rialzò lo sguardo incrociando di nuovo il suo riflesso nello specchio, e rimase leggermente stordita, nel vedersi diversa, già cambiata in quei pochi istanti in cui aveva pensato a lui. Quand’era diventata così bella? Quei capelli che ricadevano in lunghe onde sulle spalle che le scivolavano sul seno roseo e sodo, che ancora serbava una lievissima traccia, l’eco di una rosa tatuata non con un ago, ma con un bacio un po’ più intenso … o forse un morso. 
Si sforzò d’ignorarla, ma appena entrò nella vasca, sdraiatasi e chiusi gli occhi, ne seguì il contorno sfumato con un dito. E quel dolore ricominciò a pulsare … scavandola a fondo. 
Merda. Come si schiaccia il tasto “OFF”?! Non posso mica andare avanti così, io!
Ma non riusciva a staccare il dito da quel segno. Per un istante immaginò che fosse lui a toccarla così e … 
Si tirò su e si avvolse frettolosamente nell’accappatoio, sfregandosi con energia quasi per mandare via quelle sensazioni. 
Chissà quanto avrebbe dovuto aspettare, prima di …
La melodia di “Calling all angels” dei Train la fece sussultare, facendole quasi prendere un colpo. Meno male ch’era uscita dall’acqua, altrimenti era facile che andava sotto. 
E morire annegata in una vasca con appena trenta centimetri d’acqua dentro non era proprio quella che poteva definirsi una fine dignitosa. 
<< Pronto? >>, sbottò, pronta a incenerire chiunque la stesse chiamando, foss’anche una delle sue sorelle in lacrime per dirle ch’era morto Heiki, il loro sempiterno gatto persiano. 
Be’, quasi chiunque. Perché appena sentì un lieve schiarirsi di voce, e riconobbe a chi apparteneva, si sgonfiò come un palloncino.  
<< Ehm, ciao … Ti disturbo? >>.
Avrei dovuto immaginarlo … e l’avrei fatto, se non fossi stata troppo impegnata a immaginare qualcos’altro … ah, accidenti! << Assolutamente no, tranquillo. Come sta tuo fratello?  >>.
<< Niente di grave, come già avevano detto. Gli hanno dato tre punti, due giorni di riposo e un antibiotico. Ora sta dormendo della grossa, quell’infame >>. 
<< E tu invece no … come mai? >>. 
<< No. Mi sentivo ancora in colpa per averti mollata così … ed  ero in pensiero. Sei arrivata sana e salva? >>.
<< Sì, certo … dai, sei corso da tuo fratello e invece di tranquillizzare lui e calmarti tu, hai preso a preoccuparti per me? Tesoro ma così ti prenderai l’esaurimento nervoso! >>.
<< Che bello … >>.
<< Dici? Io non credo sia tanto bello finire in terapia, tra pillole, polverine e dottoroni che scuotono la testa quando gli racconti cose che normalmente terresti per te >>.
<< No, che mi hai chiamato tesoro >>.
Silenzio. 
<< Ho detto … qualcosa di sbagliato? >>, riprese. 
<< No, no, niente >>.
<< Devi perdonarmi. Io sono un pessimo giocatore. Non ho mai imparato a giocare a calcio perché dimenticavo in continuazione le regole >>.
<< Tranquillo, se ne infrangerai qualcuna te lo dirò io, così la prossima volta non lo farai più >>.
<< E se lo scordassi? >>.
<< Te lo scriverei sul taccuino che ti porti sempre a spasso >>.
<< E se invece decidessi di infrangerla volontariamente? >>. 
<< Be’, in tal caso dovrei prendere seri provvedimenti … >>.
<< Mi metterai in castigo? >>.
<< Forse >>, ammiccò lei.
<< Cosa mi farai? >>, riprese Bill. La sua voce morbida, suadente e leggermente roca non era proprio un toccasana, in quel momento. 
<< Ohoo, qualcosa di mooolto doloroso >>, rispose lei sforzandosi di suonare leggera e disinvolta, ma il tono incrinato tradiva quello che stava provando.    
<< Sono uno che sopporta bene il dolore, in caso non te ne fossi accorta >>. 
E come no? Altrimenti non avrebbe avuto addosso tutti quei ricami … e tutti quegli anellini. Meno male che metà di tutti quelli che portava un tempo li aveva levati. 
Lei invece proprio no, non era in grado di sopportarlo il dolore. E più lo ascoltava, più assecondava quell’accesso di vanità che sperimentava per la prima volta, la scoperta di qualcosa che non le aveva mai sfiorato prima l’anticamera del cervello, più si sentiva venir meno le forze, come se quella fitta insistente gliele stesse risucchiando via. 
<< Mhmm >>. 
<< Vai di fretta? Stavi facendo qualcosa d’importante? >>.
<< Sì, importantissimo >>.
<< Davvero? >>.
<< Assolutamente. Stavo per andare a letto >>, spiegò, sorvolando su parecchi dettagli. 
<< Con chi? >>.
<< Ah ah ah. Bella battuta, bravo >>.
<< Scusa. Ma il fatto è … che, be’, non era certo così che avevo in mente di far finire questa serata >>.
<< Lo immagino. Povero piccolo Bill, sedotto e abbandonato, solo nel suo lettuccio col cuore a pezzi e i pantaloni chiazzati … chi vorrebbe un finale così? E’ persino più tragico di quello della Piccola Fiammiferaia di Andersen! >>.
<< Complimenti per la tua vena creativa … hai mai pensato di darti alla scrittura? >>.
<< Veramente no >>, fece lei scherzando. 
<< Strano, perché da come ne hai parlato stasera avrei giurato foste parecchio intime … >>.
<< Ahaaaa! Ora si spiega il perché di quel piccolo incidente … mentre io parlavo innocentemente chissà che film ti stavi facendo in quella tua testolina! >>.
<< Innocentemente?! Ma ti ascolti quando parli, ogni tanto? Ti rendi conto che hai presentato l’atto dello scrivere come un amplesso, vero? >>.
<< Ma smettila! >>.
<< Dico sul serio. Le tue parole sembravano avere le dita. Se scrivessi come hai parlato a me stasera, “Cinquanta sfumature di grigio” sembrerebbe roba da catechismo per bambini delle elementari >>.
<< Mhmm. Be’, magari io potrei scrivere il sequel.  “Cinquantuno sfumature di grigio”, che ne dici? >>. 
<< Carino. Ma perché cinquantuno? >>.
<< Perché in questo ci mettiamo anche quella sui tuoi pantaloni. Anzi, lo chiamiamo proprio così: “Cinquanta sfumature di grigio più la chiazza sui calzoni di Bill Kaulitz” >>.
<< La smetti? >>.
<< No. Mi sto divertendo un casino >>.
<< Certo. Perché tu non eri al mio posto, ad ascoltarti >>.
<< Ma dai. E’ che tu sei impressionabile >>.
<< Impressionabile? Guarda, davvero, non hai idea di quanto mi piacerebbe farti sentire cosa si prova, ad ascoltare una roba del genere >>.
<< Ho solo pareggiato i conti. Quello che hai scritto tu non era molto da meno, sai? Anzi, io sono stata buona e ho parlato in termini generali, tu sei andato dritto al punto! >>. 
<< Sono solo stato sincero. Avrei voluto davvero infilarmi sotto il tavolo, e poi tra le tue gambe. Allargartele piano, e farvi scorrere le unghie sulla pelle sensibile delle cosce … farti sentire tante piccole scosse elettriche incendiare le tue terminazioni nervose e risalire fino a sfiorare l’orlo dei tuoi slip e insinuare le dita al di sotto, solo per sentire quanto ero riuscito a farti eccitare con quel messaggio … >>. 
Vera ingoiò a fatica, sedendosi sul letto. Si portò d’impulso una mano alla gola, sentendola dura e tesa contro il palmo. Probabilmente era così anche lui, dall’altra parte di quel piccolo apparecchio divenuto per l’occasione raffinato strumento di tortura. 
<< E se avessi visto che non lo eri ancora abbastanza, avrei voluto fartele scivolare dentro, lentamente, spingendomi fino al limite estremo … e continuare a farlo finché non saresti stata troppo bagnata e dilatata per sentirle ancora … >>.
Ossantocielo … Al solo pensiero, il seno le si alzava e le si abbassava violentemente, come se lui stesse mettendo realmente in pratica quella squisita, sensuale tortura. Vera portò una mano sul cuore: batteva come se avesse dovuto balzar fuori dalla cassa toracica da un attimo all’altro. 
Ma non era il solo a catalizzare la sua attenzione. Il piccolo bocciolo roseo, già aizzato dal tocco di prima di lei sul segno del morso, adesso pulsava anch’egli come il suo gemello sull’altro seno, e reclamava carezze che l‘assente non era ovviamente in grado di dargli. 
Vera lo sfiorò piano, con la punta dell’indice, per vedere se smetteva di pulsare. Ma quello invece si mise anche ad ardere, e il suo gemello con lui. 
Sospirò. Si era messa in un casino epico. Non bastava che quel bacio della buonanotte avesse sortito sul suo desiderio l’effetto di una secchiata di benzina sul fuoco già acceso. Adesso, quasi a compensare il “bidone“ che le aveva tirato il suo corpo, stava facendo l‘amore con la sua voce … come se avesse dovuto sforzarsi oltre un semplice “ciao” con lei. Già da prima d’incontrarlo, le bastava spesso sentirla per avvertire la stessa strana sensazione che le stava fottendo il cervello ora … 
Ma così era diecimila volte peggio.  
<< Allora ti avrei sfilato piano gli slip ormai fradici, e ti avrei spalancato le cosce ancora di più per poterti baciare, a fondo, raccogliendo quanto più possibile della deliziosa vendemmia del tuo corpo con la lingua … ogni goccia, fino all’ultima >>.
Oh, cavolo … Ormai non era più in grado di tirarsi indietro da quel gioco. Quel dolore si faceva sempre più insostenibile, la pelle e tutto ciò ch’essa rivestiva e conteneva in fiamme che domandava, esigeva, supplicava sollievo, un sollievo che lei non sapeva come dargli … la mano serrata ad artiglio attorno al suo seno, il capezzolo duro come una spina che le perforava il palmo contro cui urtava, il respiro che minacciava di spezzarsi e venirle meno ad ogni istante.
E non accennava ad acquietarsi. 
<< Vera? >>. 
<< Sì? >>, rispose appena lei, un filo di voce. 
<< Perché non mi dici cosa stai facendo, adesso? >>.
<< Io? Nulla. Ti sto ascoltando >>.
<< E vuoi che io ti creda? Sono pronto a scommettere che è almeno sul seno. Dimmi che ho ragione >>.
<< E ammesso che te lo dicessi? >>.
<< Ti risponderei che mi piacerebbe da impazzire guardarti mentre fai roteare le dita attorno alla gemma al centro di esso … prima lo prenderei tra le mie labbra solo un istante, quanto basterebbe a farlo diventare lucido e scivoloso, e poi resterei a guardare come ci giochi, stuzzicandolo piano finché non si ribella al minimo tocco con un bruciore intenso >>. 
Vera si rese conto solo troppo tardi che stava facendo esattamente quello che le aveva appena descritto Bill, eccetto la parte che si era attribuita lui. 
Quel dolore era ormai insopportabile, era uno strazio senza misura. Infilò una mano tra le cosce, serrandole come una morsa, per vedere se smetteva. 
<< Allora ti prenderei la mano e le porterei giù, tra le tue gambe. Ti farei sentire quanto sei morbida e bagnata dopo le mie carezze, facendoti penetrare dalle tue stesse dita … e dopo, le leccherei una ad una >>. 
Vera si sdraiò, posò il cellulare sul cuscino e trattenendolo con l’orecchio, mise l’altra mano in bocca, mordendola a fondo, fin quasi a far spiccare il sangue.
Se avesse potuto lo avrebbe ammazzato, come minimo. Una roba del genere andava proibita dalla Convenzione di Ginevra. Era una palese violazione dei diritti umani.  
<< Molto lentamente. Poi ti farei sedere, con la schiena appoggiata alla spalliera del letto per farti guardare giù, come riprendo a baciare te … piano, con delicatezza, giusto per il tempo di infilare il profilattico, prima di mettermi in ginocchio e attirarti sopra di me, con la schiena al muro, le gambe attorno ai miei fianchi … mi basterebbe pochissimo a farti venire, e vorrei guardarti negli occhi mentre lo fai … >>.
E lei li spalancò di colpo, quasi lui fosse lì e potesse vederla. Ruotò la mano e affondò i denti nel cuscinetto soffice sotto il pollice, trasalendo per la fitta cruda, improvvisa; ma quel piccolo dolore reale, autoinflitto non spense il piacere che ormai era giunto al suo apice, anzi, gli tese letteralmente la mano per attirarlo su, più in alto, più in fretta ... Prima di spingerlo giù per l’altro versante, e sprofondarlo in un nero oblio che le offuscò la vista annegandole i sensi in un fiume di lava rovente, azzittendone tutte le percezioni. 
La mano tra le sue cosce rallentò fino a fermarsi. Ma non la tolse immediatamente; la trattenne ancora qualche istante, quasi a custodire quell’istante, quella sensazione per farla durare più a lungo. 
Non era bello come con lui. Era solo un palliativo. Un surrogato. Quello che aveva provato tra le sue braccia era stato un orgasmo sconvolgente, anche se un po’ sbrigativo. Questo era stato solo uno sfogo.   
Ma almeno nel suo corpo era tornata la pace. O più che altro, una tregua. 
<< Vera, mi senti? >>.
<< Sì >>. Non hai idea di quanto, ragazzo mio. 
<< Bene … penso di averti annoiata abbastanza per oggi, no? Scusa per questo giochino perditempo ma … ho avuto voglia di te fin dal primo istante in cui sei entrata in sala. Fosse stato per me … avrei mandato al diavolo la cena e ti avrei portata immediatamente a casa, o dovunque altro tu avessi voluto, per poterti fare tutto quello che stasera mi sono dovuto accontentare di dirti al telefono. Se già pensavi di me che fossi un cretino oggi devi averne avuta la conferma >>, sussurrò lui, il respiro spezzato, improvvisamente troppo rapido, precipitoso, le parole troppo tirate. 
Neanche lui se la stava passando troppo bene, pensò Vera. Il suo tentativo di seduzione a distanza doveva essersi rivelata una potente arma a doppio taglio. Doveva essere eccitato da morire … forse fino al punto di rottura. 
Sarebbe stato bene … dargli una mano. 
<< Kaulitz, cos‘è che stai combinando? >>, gli domandò lei, in tono malizioso. 
<< Niente. Perché? >>.
<< Perché a meno che tu non abbia ingoiato un mantice sono sicura ch’è la tua destra è tra le tue cosce … >>.
<< Ma no, cosa dici >>.
<< Ah, noooo? Mi sembra quasi di sentirlo stretto nella mia, di mano, durissimo e caldo … >>.
<< Per favore … non … >>, si schermì lui. Ma lei non era disposta a cedere.  
<< Dimmi che ho ragione >>, lo supplicò, in un filo di voce. Era troppo forte, quel richiamo … le sembrava di averlo accanto, in quel letto che d‘un tratto non era più troppo grande, troppo vuoto, troppo freddo. << Dimmelo. Forza. Ho ragione, vero? >>. 
<< Adesso sì >>, l’assecondò lui in un sospiro strozzato, a metà tra timido e rovente, e Vera non faticò ad immaginarselo … doveva essere bellissimo, sottomesso a quella voglia, a quella fame, l’agitazione palpabile nei boxer, la sua schiena delicata e nuda che s’inarcava, quella mano così minuziosamente ombreggiata che artigliava le lenzuola e l’altra … oh misericordia … quella pelle d’avorio che s’imperlava di sudore e le palpebre che si socchiudevano, i denti perfetti che penetravano la morbidezza vellutata delle labbra …  
E quella visione tolse la sicura alle sue parole, dando voce alla fantasia che lui le aveva suscitato e che stava ancora cavalcando le onde nelle sue vene, nel suo ventre. Lo tsunami era passato ma il mare del suo desiderio era ancora agitato … non si sarebbe mai potuto calmare del tutto se non avesse dato la sua parte anche a Bill.   
Non le bastava. Voleva fargli la stessa cosa che le aveva fatto lui. Voleva spingerlo sull’orlo di quello stesso desiderio tagliente. E poi portarlo un poco più oltre, fino a precipitare nell‘abisso.  
<< Mi piacerebbe prendermi cura di lui a dovere come tu hai fatto con me, ma io non ho 
troppa pazienza in questo momento … sei già dentro di me, e ogni colpo nelle mie viscere si trasmette a quella dannata spalliera … tum, tum, tum … di solito detesto quel rumore, mi è sempre sembrato così volgare ma … stavolta no, stavolta è diverso, stavolta che mi senta tutto il palazzo, tutto il quartiere, tutto il mondo … voglio farlo sapere a tutti quello che sento, perché sei tu a darmelo … >>.
<< Vera … ti prego, basta … >>.
<< Voglio stringermi ancora di più addosso a te, farti sentire ancora di più quello che mi stai facendo provare … uno non mi basta, Bill, non mi basta, ne voglio ancora. Ed è mentre lo sento arrivare, che vieni tu … >>.
<< Santo cielo, Vera … >>. Un ringhio, quasi un ruggito da animale in gabbia, pronto a spezzare le catene e spaccare le sbarre pur di fuggire. 
E un silenzio improvviso, che le avrebbe quasi fatto paura, se non avesse saputo a cosa era dovuto … un istante di blackout, per riprendere fiato. 
E appena lo risentì, anche se distante, sfocato, quasi impercettibile, il respiro che si acquietava piano piano … sorrise tra sé. 
Troppo, troppo facile. Era un istinto quasi naturale. Come la più consumata delle professioniste, abbassò d’impulso la voce e assunse un tono morbido, sensuale, esattamente com’era stato quello di Bill prima di lasciarsi avvolgere dalle spire dell’eccitazione.   
<< Bentornato … >>, mormorò. 
<< Adesso il conto della tintoria è aumentato >>, bofonchiò Bill, la voce mezza soffocata dal guanciale, probabilmente. << Dovrò mandarci anche lenzuola e piumino >>.
Vera scoppiò a ridere, deliziata. Non era certo il caso di spiegargli che la ragazza con cui stava amabilmente conversando di argomenti vietati ai minori di diciotto anni non lo faceva di mestiere e fino a qualche giorno prima non lo faceva neanche per hobby, per piacere, per esperimento, per … niente, insomma. Non lo faceva e basta. 
Adesso invece aveva appena concluso soddisfacentemente una seduta di sesso telefonico. 
Un’altra settimana e Sylvie avrebbe avuto una rivale pericolosa, nel suo “lavoro d‘intrattenimento“. 
Quel ragazzo era decisamente dannoso per la sua salute morale. Oltre che per quella mentale, chiaro.  
<< Sei stato tu a cominciare >>, lo rimbeccò, in tono saccente.  
<< Lo so. E posso giurarti in tutta onestà che non … è da me. E’ la prima volta che faccio una cosa del genere e … be’, francamente adesso mi sento un po’ strano >>.
A chi lo dici. 
<< Ho perso il controllo. Mi spiace di averti importunata. Mi sento un vero imbecille, credimi … >>, mormorò, in un tono quasi di scusa che le fece salire di nuovo il sangue alla testa. 
Sì, decisamente era molto dannoso.
Ma era anche così tenero, e sensuale, e ammaliante, e anche un po’ delirante con quelle sue paranoie … in una parola, era irresistibile. 
Ma sì, all’inferno. Aveva aspettato tanto di quel tempo … e poi lui si meritava tutto quello che lei gli stava dando; anzi ancora non era abbastanza. Si sentiva in obbligo di dovergli dare ancora qualcosa. Non molto, ma doveva. << Allora siamo in due. Mi sento un’imbecille anch’io >>.
Lui si lasciò sfuggire un verso di stupore, e perplessità. << Tu? E perché mai? >>.
Vera ci mise qualche secondo a raccogliere le idee. Ma quando lo fece, le buttò fuori tutte d‘un fiato. << Non porto i pantaloni. Ma se li portassi probabilmente vi sarebbe una bella chiazza scura in tono su tono, proprio al centro del cavallo. E ho le mani bagnate. Ti basta come risposta? >>.
Lui tacque. E quando riprese a parlare, la sua voce era così bassa che a malapena si distinguevano le parole. << Dì la verità, cosa ho fatto? Perché questa è la punizione di cui parlavi prima, vero? Lo sai che adesso … non dormirò pensando a quello che mi hai detto >>.
<< Mhmm >>. 
<< Vorrei  poterti chiedere di venire adesso >>.
<< Troppo tardi >>.
<< Lo so, sei già a letto >>.
<< No, in senso ch’è troppo tardi perché l’ho già fatto qualche minuto fa, fammi almeno recuperare >>. 
<< Vera, ti prego … >>.
<< E un’altra cosa. Non l’avevo mai fatto nemmeno io >>.
<< Davvero? >>.
<< Davvero >>. 
Silenzio. << Buonanotte, Vera >>.
<< Come mai questa cesura improvvisa? Ti ho forse smontato? >>.
<< No. Ma hai detto una cosa così … accidenti, così bella che voglio addormentarmi così. Con queste parole nella mia testa. Buonanotte >>.
<< Buonanotte, tesoro >>. E chiuse, un sorriso scemo sulle labbra impossibile da mandare via. 
Cazzo, che casino. 
L’unica consolazione era che … be’, non gliene veniva in mente uno più bello. 
Ma glielo avrebbe detto. Sì. Alla prossima occasione, glielo avrebbe detto. 
Sicuramente. 
  
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